Disco Di Blues Del Mese? Colin James – Blue Highways

colin james blue highways

Colin James – Blue Highways – True North/Ird

Colin James è un veterano della scena musicale canadese, cantautore, chitarrista e bluesman, in pista dalla metà degli anni ’80 dello scorso secolo: questo Blue Highways di cui stiamo per occuparci è il suo 18° album; in passato mi era già capitato di occuparmi dei suoi dischi sul Buscadero, anche se ultimamente avevo perso un po’ le sue tracce, forse perché i suoi dischi non erano di facile reperibilità, e comunque lui, indifferente alle difficoltà del vostro umile recensore, continuava a pubblicarli lo stesso, alcuni anche piuttosto belli, come la serie ricorrente con la Little Big Band, giunta a quattro capitoli. A seguito dell’ultimo tour per promuovere l’album Hearts On Fire del 2015, Colin James si era trovato molto bene con i musicisti che lo avevano accompagnato in quella fatica e ha deciso di  realizzare con loro un progetto che aveva in mente da tempo: un album dedicato ad alcuni dei pezzi blues che più lo hanno influenzato nel corso degli anni. E questo è il risultato, registrato nei Warehouse Studio di Vancouver, con la produzione affidata allo stesso James con l’aiuto di Dave Meszaros e il supporto della sua ottima touring band, formata da Craig Northley alla chitarra ritmica, Jesse O’Brien al piano, Steve Pelletier al basso e Geoff Hicks alla batteria, con l’aggiunta di Simon Kendall all’organo e Steve Marriner all’armonica.

Un disco fresco e pimpante, rispettoso delle radici, con ampi innesti anche del sound che fece grande il british blues a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, virtuosismo e grinta rock usate con la giusta misura e unite ad alcuni brani veramente splendidi, non sempre celeberrimi ma di sicuro impatto. Meglio un “usato sicuro” come questo, ennesima riproposizione di temi e generi musicali che se ben fatti come in questo caso suonano più freschi ed “innovativi” di molti presunti “nuovi esperimenti”, sempre e solo a parere di chi scrive, è ovvio, poi ognuno ascolta quello che gli pare. In tutto sono tredici brani: la partenza è fulminante, con una versione di Boogie Funk di Freddie King, che la prima volta che mi è capitato di sentirla ho pensato fosse qualche traccia inedita registrata da Rory Gallagher ad inizio anni ’70, uno strumentale ricco di grinta e ritmo, una scarica di adrenalina poderosa, con il gruppo che gira a mille, mentre la solista di James e l’armonica di Marriner si sfidano a colpi di riff e a tempo di boogie, oltre a Gallagher pensate anche al miglior Thorogood. Per amore di verità non tutto l’album è a questi livelli, ma anche la successiva Watch Out, un pezzo del mio amato Peter Green, che si trovava su The Original Fleetwood Mac e poi nuovamente su Fleetwood Mac In Chicago, è una piccola perla, una ennesima dimostrazione del fatto che i bianchi potevano suonare il blues (e come sosteneva BB King, Peter Green era uno dei più grandi nel farlo), versione sontuosa e felpata, ricca di feeling e con la chitarra di James misurata ma ficcante, ben sostenuta, come nel brano precedente, anche dal lavoro dell’organo di Kendall. Big Road Blues, un brano di Tommy Johnson, il primo Johnson del blues, quello che ha ispirato per intenderci On The Road Again dei Canned Heat, è l’occasione per ascoltare l’ottimo lavoro di Colin James anche quando è impegnato alla slide, ben sostenuto nel caso dal piano di O’Brien.

Big Bad Whiskey, a firma Thomas Davis, è una variazione sul tema dei brani dedicati all’alcol, dove cambiano titoli e qualche verso ma l’argomento, e anche i temi musicali, sono quelli, per l’occasione James passa all’acustica con bottleneck e la seconda voce di supporto è quella di una vecchia conoscenza, la brava Colleen Rennison (http://discoclub.myblog.it/2016/05/17/anteprima-dal-canada-band-solida-cantante-esagerata-sinner-old-habits-die-hard/). Poi si torna al blues-rock di una potente Going Down, con chitarre a manetta e l’ottima voce di Colin in evidenza. Segue un Muddy Waters “minore” (se esiste) con una perfetta versione di Gypsy Woman, classico slow blues elettrico di pregevole fattura, seguito da Goin’ Away, un brano di James A.Lane, per gli amici delle 12 battute Jimmy Rogers, la faceva anche Clapton su From The Cradle, qui in versione a trazione slide, eccellente, di nuovo con la Rennison voce di supporto. Lonesome di Peter Chatman inceramente non me la ricordavo, forse perché è il vero nome di Memphis Slim, versione elettrica e brillante, di nuovo tra Green e Gallagher, come pure Hoodoo Man Man di Amos Blakemore, che per il gioco degli indovini è il vero nome di Junior Wells, altro potente Chicago Blues elettrico con l’armonica di Marriner di nuovo a spalleggiare James. Riding In The Moonlight/Mr.Luck è un medley acustico, solo chitarra e armonica, dedicato a Howlin’ Wolf e Jimmy Reed, seguita dall’unica concessione alla grande musica soul con una splendida versione di You Don’t Miss Your Water di William Bell https://www.youtube.com/watch?v=8p21Ze7h9Qg , vero deep soul, con fiati, la faceva anche Otis Redding! Ain’t Long For A Day, di Blind Willie McTell, è di nuovo l’occasione per lavorare di fino con la slide https://www.youtube.com/watch?v=AED3nA8Kcno  e Last Fair Deal è l’immancabile omaggio acustico a Robert Johnson. Disco di Blues del mese?

Bruno Conti