Il Vangelo di Augusto… Secondo Graziano. Graziano Romani – Augusto

graziano romani augusto

Graziano Romani – Augusto: Omaggio Alla Voce Dei Nomadi – Route 61 Music

Alcuni anni fa, al termine di un bel concerto di Graziano Romani in quel di Pavia (al Bar Trapani per la precisione), ho avuto la possibilità insieme all’organizzatore Paolo Pieretto, e al partner di quella serata di Romani, Max Marmiroli, di chiedere (come si fa sempre in queste occasioni) a Graziano se era in programma l’uscita di un nuovo disco e quelle che erano le sue voglie musicali (per intenderci, se proseguire il percorso dei CD dedicato ai fumetti), e fin d’allora il nostro amico manifestava un alto interesse di riuscire prima o poi a dedicare un tributo alle canzoni dei Nomadi e Augusto Daolio. E ora fortunatamente quel “poi” è arrivato, con il 24° disco della sua corposa carriera (compresi quelli con le sue band, i mitici Rocking Chairs e i meno noti Megajam 5), portando nel consueto e abituale Bunker Studio di Rubiera la sua attuale “line-up” composta da Max Marmiroli (amico di lunga data di Graziano) al sax, flauto, armonica e percussioni, Follon Brown alle chitarre, Lele Cavalli al basso, Nick Bertolani alla batteria, Gabriele Riccioni alle tastiere, e Lorenzo Iori al violino, dando così una nuova vita a brani più o meno noti dei Nomadi, risalenti al periodo compreso tra gli anni ‘60 e ‘70, e facendoli risplendere sotto una nuova luce con un progetto multiforme.

Il viaggio attraverso la via Emilia inizia con Augusto Cantaci Di Noi, brano che Romani aveva già inserito nell’album Storie Della Via Emilia (01), e che in questa occasione viene riproposto anche in chiusura di questo lavoro in versione più breve, poi a seguire arrivano le famose Tutto A Posto, rifatta in una versione rock-blues che mette in rilievo la bravura della band di Graziano, e l’accattivante melodia di Un Giorno Insieme, per poi riproporre due cover d’autore come L’Auto Corre Lontano (Ma Io Corro Da Te), nella versione originale Wichita Lineman di un musicista superbo come Jimmy Webb (che Romani ama moltissimo), con in sottofondo il sax di Marmiroli, e meritoriamente recuperare una Ala Bianca, vecchio singolo dei Nomadi, ovvero Sixty Years On di Elton John, riletta in una versione semi-psichedelica 

Si riparte per Casalgrande (paese d’origine di Romano), pescando sempre dal repertorio di Francesco Guccini con la mitica Canzone Per Un Amica, riproposta in modalità rock stradaiolo, con un impronta del sax che sembra uscire dalle labbra del compianto Clarence Clemons, per poi ritornare all’anima blues di Non Credevi e Ritornerai ( Sulla Strada), grazie al sapiente uso di armonica e chitarre.

Ecco anche la poco conosciuta Mercante E Servi con un“groove” marcato e l’ottimo lavoro alla chitarra di Follon Brown, e la ripresa di una sempre iconica Per Fare Un Uomo, dove ancora un volta Max Marmiroli dà il meglio di sé. Ci si avvia quindi alla fine del viaggio con una “fumettistica” Gordon, canzone simbolo dell’album, almeno per chi scrive, più innovativo dei Nomadi, seguita da una accelerata versione di Ti Voglio un classico di Bob Dylan, la celeberrima I Want You, con un’armonica a bocca martellante, e riproporre infine una ballata poco conosciuta come Mille E Una Sera, e terminare in gloria in vista di Novellara (paese d’origine di Augusto Daolio) con la ripresa di Augusto Cantaci Di Noi, in una versione più rock, ma anche più breve. Penso che per la riuscita di questo lavoro non sia trascurabile il fatto che da ragazzino Graziano Romani era spesso sotto il palco dei Nomadi, ad ascoltare Augusto che cantava quelle canzoni che parlavano di forza e amore, e che a distanza di tempo oggi come ieri siano ancora attuali.

Penso anche che a differenza dei due tributi dedicati a Bruce Springsteen, Soul Crusaders e Soul Crusaders Again, in questo caso forse Romani lo abbia sentito ancora più nelle sue corde, con la sua bellissima voce sempre più riconoscibile, regalandoci un omaggio alla voce dei Nomadi, pieno di belle canzoni, interpretate con amore e tanta passione, accompagnato da un nucleo di grandi musicisti italiani (una menzione particolare per il più volte ricordato Max Marmiroli), che ha contribuito in modo determinante alla riuscita del disco. Fine del viaggio. *NDT: Mi permetto di fare un inciso: negli anni ’60 e ’70 i discografici italiani hanno “banchettato” come Corvi (c’era pure il gruppo), traducendo in italiano i vari successi inglesi e americani dell’epoca, facendo la fortuna di molti gruppi “senza arte ne parte”, ma non è il caso dei Nomadi, che su questo ci hanno costruito spesso intere carriere.

Tino Montanari

Sta Tornando! Il 14 Giugno Arriva Il Nuovo Album Di Bruce Springsteen Western Stars

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Bruce Springsteen – Western Records – Columbia Records/Sony Music – 14-06-2019

Se ne parlava già di diverso tempo (le prime notizie erano uscite da circa tre anni), ma ora è ufficiale, il 14 giugno uscirà il nuovo album di Bruce Springsteen Western Stars, il diciannovesimo disco in studio della sua carriera, il primo dai tempi di High Hopes del 2014, ovviamente se non contiamo la raccolta Chapter And Verse e il doppio dal vivo Springsteen On Broadway. Per l’occasione Bruce ha registrato questo album senza l’aiuto della E Street Band: tredici nuove canzoni ispirate, come ha detto lui stesso (citando anche Glen Campbell, Jimmy Webb, Burt Bacharach) , dalla musica pop raffinata della California fine anni ’60, primi ’70, anche con l’uso di arrangiamenti “orchestrali”. Tra i musicisti spicca la presenza di Jon Brion, a celesta, Moog e Farfisa (arrangiatore, musicista e produttore di pregio, a lungo con Aimee Mann, ricordate la colonna sonora di Magnolia?, ma anche, tra i tanti, con Fiona Apple Rufus Wainwright), il ritorno di David Sancious, il primo tastierista della E Street Band, mentre tra i collaboratori recenti non mancano Soozie Tyrell Charlie Giordano. Il produttore Ron Aiello suona anche il basso, le tastiere e altri strumentali, mentre ovviamente non può mancare la moglie Patti Scialfa: ci sono anche altri musicisti, in totale una ventina suonano nel CD, ma i nomi non sono ancora stati rivelati.

Il disco è stato registrato nel suo studio casalingo nel New Jersey, mentre alcune parti sono state registrate tra la California e New York. Springsteen ha aggiunto «Questo lavoro è un ritorno alle mie registrazioni da solista con le canzoni ispirate a dei personaggi e con arrangiamenti orchestrali cinematici,è come uno scrigno ricco di gioielli». Per la serie chi si loda si imbroda: ma la nuova canzone Hello Sunshine, disponibile proprio da oggi in rete, sembra comunque promettente, e qualcuno ha già visto dei rimandi con il sound di Tunnel Of Love (e al sottoscritto ha ricordato anche certe sonorità di Harry Nilsson).

Ecco comunque la lista completa dei brani.

1. Hitch Hikin’
2. The Wayfarer
3. Tucson Train
4. Western Stars
5. Sleepy Joe’s Cafe
6. Drive Fast (The Stuntman)
7. Chasin’ Wild Horses
8. Sundown
9. Somewhere North Of Nashville
10. Stones
11. There Goes My Miracle
12. Hello Sunshine
13. Moonlight Motel

Che sia la volta buona? Vedremo.

Bruno Conti

Appena In Tempo. Anche Glen Campbell Ci Ha Lasciato: Se “Lungo Addio” Doveva Essere… Questo E’ Stato Uno Dei Migliori. Glen Campbell – Adios

glen campbell adios

Come forse avrete letto l’8 agosto anche Glen Campbell se ne è andato, aveva 81 anni e dopo una lunga battaglia con l’Alzheimer durata ben sei anni è morto a Nashville l’altro ieri. Prima di lasciarci ha fatto comunque in tempo a regalarci un ultimo album Adios, del quale a seguire mi sembra doveroso riproporre come omaggio alla sua arte la recensione pubblicata circa un mese, recensione che conteneva anche una breve cronistoria della sua carriera musicale.

Glen Campbell – Adios – 2 CD Deluxe Universal Music Enterprises

Una premessa doverosa, se conoscete le circostanze che hanno dato vita a questo disco: l’album è veramente bello, forse addirittura il migliore, o tra i migliori in assoluto, della carriera di Glen Campbell. Si diceva delle circostanze: all’inizio del 2011 al musicista di Billstown, Arkansas, viene diagnosticata una forma già sviluppata di Alzheimer (che forse era in corso da prima), ma in effetti già l’anno precedente Campbell aveva registrato un disco Ghost On The Canvas, poi pubblicato nell’agosto del 2011, che doveva essere il suo album di addio; a seguito della pubblicazione Glen si imbarca anche nel suo “Tour d’addio”, nel corso del quale viene annunciata pubblicamente la malattia, anche per giustificare le sue perdite di memoria o eventuali discorsi sconnessi sul palco, che sono tra i sintomi dell’Alzheimer. Nel 2013 poi esce See You There, un ulteriore disco con tracce vocali registrate durante le stesse sessions del 2009-2010 a cui è stata aggiunta una nuova base strumentale. Tra l’altro entrambi gli album erano piuttosto piacevoli e ben suonati e cantati; la malattia ha poi proseguito il suo corso e attualmente Campbell è in una clinica in quelle che paiono le fasi finali del suo male, ma, come poi ha rivelato la moglie Kim, dopo il tour di commiato, il cantante era entrato in studio ancora, tra il novembre del 2012 e il gennaio del 2013, per registrare l’album di cui stiamo parlando, il suo vero commiato, questo Adios, per chi non conoscesse Campbell, allegato al CD “nuovo”, c’è anche una raccolta di successi, con 16 brani non in ordine cronologico, che tracciano la storia di uno dei grandi della musica americana.

Chiamiamolo un “crooner country”, ma è stato anche un formidabile chitarrista, uno dei membri della “Wrecking Crew”, Beach Boys onorario (ha sostituito spesso Brian Wilson nei tour e ha suonato su Pet Sounds), con una serie impressionante di dischi di studio registrati nella sua carriera, questo è il n° 64 (neanche Johnny Cash o Dylan credo sono stati così prolifici, nel 1968 il suo anno d’oro sono usciti ben cinque album): nella raccolta troviamo gli splendidi brani scritti da Jimmy Webb, tra cui By The Time I Get To Phoenix, Wichita Lineman, Galveston, ma anche il suo più grande successo, Gentle On My Mind, la canzone di John Hartford, in una versione scevra di archi, per un brano che era il diretto antenato di Everybody’s Talkin’ (in cui Campbell aveva suonato la chitarra), e ancora True Grit, il tema di “Il Grinta”, il film di John Wayne, una Southern Nights di Allen Toussaint, che sembra un pezzo della Nitty Gritty o di Loggins & Messina, e anche cover dei Foo Fighters o di Jackson Browne, incise negli ultimi album, il tutto cantato con una voce splendida ed espressiva, calda ed avvolgente, e se ogni tanto gli arrangiamenti di archi sono forse eccessivi, erano comunque un segno dei tempi, le canzoni rimangono bellissime.

Per questo capitolo finale Glen Campbell, aiutato dal suo produttore abituale, l’ottimo cantante e musicista Carl Jackson, ha voluto incidere alcune cover di celebri brani che non aveva mai affrontato nella sua carriera (non è del tutto vero, ma lo vediamo tra un attimo): sono con lui i tre figli, oltre ad un manipolo di ottimi musicisti, tra cui spiccano Aubrey Haynie al violino e mandolino, Mike Johnson alla steel guitar, Catherine Marx al piano, oltre allo stesso Jackson alla chitarra acustica (visto che Campbell non riusciva più a suonarla) ed alcuni ospiti di nome. Il disco ha un suono eccellente, raramente o mai sopra le righe, Glen per essere all’epoca un 76enne malato ha ancora una voce quasi uguale a quella degli anni d’oro e le canzoni sono molto belle: dall’iniziale Everybody’s Talkin’, il tema dell’Uomo Da Marciapiede, di Harry Nilsson (ma scritta da Fred Neil), qui in una versione leggermente accelerata, che non diminuisce il fascino del pezzo, con il banjo della figlia di Glen, Ashley Campbell, in bella evidenza a sottolineare la matura e vissuta voce del babbo, ancora in grado di arditi falsetti.

Il primo brano scelto di Jimmy Webb è la delicata Just Like Always, una romantica ballata con uso di pedal steel, seguita dal duetto con Willie Nelson (poteva mancare?) Funny How Time Slips Away, più di 150 anni in due, ma che classe, non so chi canta meglio; Arkansas Farmboy è un pezzo di Carl Jackson, una specie di biografia della gioventù di Glen, a tempo di valzerone country, con una strumentazione acustica parca, ma ricca di dettagli sonori. Am I All Alone di Roger Miller viene prima presentata in un breve frammento dell’originale e poi nella nuova versione con Vince Gill alle armonie vocali, bellissima pure questa; It Won’t Bring Her Back, il secondo brano di Webb, ancora con una magnifica weeping steel è un’altra country tune di grande fascino, degna dei grandi balladeer americani, avvolgente e ad alto tasso emotivo, sempre con splendide armonie vocali della famiglia Campbell, sembra quasi un pezzo degli Eagles. E pure la versione di Don’t Think Twice, It’s Allright di Dylan è da applausi, ispirata da quella country di Jerry Reed, con dell’ottimo picking dei musicisti; She Tinks I Still Care in effetti l’aveva già incisa in un album del 1972, ma è un classico della country music, con decine di riletture fatte da grandi nomi (da George Jones in giù), talmente bello che una nuova versione, tra l’altro di ottima fattura, ci sta proprio bene.

Anche Postcards From Paris, sempre di Jimmy Webb, era già apparsa su See You There, ma questa nuova versione di una grande canzone, con i figli che intonano “I Wish You Were Here”. manda un groppo giù per la gola, sembra quasi una canzone di James Taylor e pure di quelle belle. Jerry Reed appare anche come autore, di un brano che è stato uno dei grandi successi di Johnny Cash (soprattutto in Europa) A Thing Called Love, altro pezzo dal fascino inalterato nel tempo, ancora con Campbell in pieno controllo vocale ed emotivo. Se deve essere Addio, l’ultimo pezzo di Jimmy Webb scelto, è proprio la title track Adios, una ballata di una bellezza struggente, cantata con grande trasporto da Glen Campbell che pone l’ultimo sigillo alla sua carriera e ci saluta con malinconia ma anche un senso di profonda serenità. Forse solo Warren Zevon con The Wind e la canzone Keep Me In Your Heart in particolare, aveva saputo salutare i suoi fans, conscio della fine imminente, con un testamento sonoro di tale fattura ed intensità. La versione doppia del CD è quasi d’obbligo.

Bruno Conti

Finalmente Il Giusto Riconoscimento! Darlene Love – Introducing Darlene Love

darlene love introducing

Darlene Love – Introducing Darlene Love – Sony CD

Un paio di anni fa è uscito un bel film-documentario intitolato 20 Feet From Stardom https://www.youtube.com/watch?v=F9PXdv3mLhc , che si occupava di dare il giusto tributo ad una lunga serie di cantanti femminili che avevano sempre, o quasi, lavorato come backing vocalist di artisti famosi, vivendo quindi all’ombra di qualcun altro e dunque a pochi passi dalla celebrità: tra i volti noti e meno noti (tra i primi, Merry Clayton e Lisa Fisher) una delle protagoniste del film era indubbiamente Darlene Love. Nata Darlene Wright 74 anni fa, la cantante di colore ha avuto una carriera abbastanza particolare: all’inizio degli anni sessanta figurava nel roster di artisti patrocinati da Phil Spector, con il quale incise diversi singoli a suo nome, o come componente dei Blossoms e di Bob B. Soxx & The Blue Jeans, anche se il suo più grande successo, He’s A Rebel, fu commercializzato a nome delle Crystals, che con la canzone non c’entravano un tubo ma, avendo un nome molto più famoso, promettevano vendite maggiori (in quei tempi succedevano anche queste cose).

Il suo momento migliore la Love lo ebbe comunque nel 1963, quando uscì il mitico A Christmas Gift For You, album stagionale che presentava il meglio della “scuderia Spector” alle prese con materiale tradizionale a tema natalizio https://www.youtube.com/watch?v=9k7RBkOMNOY , e nel quale Darlene interpretava ben quattro brani come solista e due con Bob B. Soxx (tra cui la celebre Christmas (Baby Please Come Home), unico pezzo originale della raccolta). Dagli anni settanta, la stella di Darlene iniziò ad eclissarsi, e lei cominciò una lunga carriera come backup singer (per, tra gli altri, Elvis Presley, Aretha Franklin e Frank Sinatra) e più avanti anche come attrice (nella serie di Arma Letale era la moglie di Danny Glover, poliziotto collega di Mel Gibson), senza però pubblicare alcunché a suo nome: pensate che il suo primo album, Paint Another Picture, risale al 1988 (non male per una che ha iniziato nel 1961), e non è che dopo abbia continuato ad incidere con continuità. Darlene non ha comunque mai smesso di avere molti estimatori anche tra i suoi colleghi: tra questi c’è Steven Van Zandt, più noto come Little Steven, che già la volle nel 1985 nel supercast coinvolto per il singolo Sun City (ottima iniziativa, pessima canzone), e che ora l’ha riportata in studio per farle incidere finalmente l’album della vita, il giusto tributo ad una carriera vissuta nelle retrovie, dal titolo significativo di Introducing Darlene Love, quasi come se questo fosse il suo primo vero disco (devo dire la verità: quando ho letto il titolo per la prima volta ho pensato all’ennesima antologia. *NDB. Anch’io!)

Per questo album sono state fatte le cose in grande: Van Zandt stesso, oltre a produrre ed arrangiare il tutto, ha scritto tre canzoni nuove di zecca, e lo stesso ha fatto gente del calibro di Bruce Springsteen (due brani), Elvis Costello (idem), l’ex Four Non Blondes Linda Perry ed il grande Jimmy Webb (un pezzo a testa), e si è riformata persino (come songwriting team, in quanto nella vita privata sono ancora sposati) la leggendaria coppia composta da Barry Mann e Cynthia Weil per Sweet Freedom; il resto sono covers. Infine, Steven ha fatto un gran lavoro di produzione, rivestendo l’ancora grande voce della Love con sonorità decisamente spector-oriented, utilizzando (come faceva Phil) una serie infinita di musicisti, ma mantenendo un equilibrio ed una leggerezza invidiabili, e mettendo al centro l’ugola potente di Darlene, senza mai dare l’impressione di lascarsi scappare il suono dalle mani: il risultato è un disco al quale inizialmente davo poco credito, ma già al primo ascolto mi ha letteralmente conquistato, nonostante la durata superiore all’ora.

L’album è stato preceduto dal singolo Forbidden Nights (scritta da Costello), una splendida e solare pop song dal feeling spectoriano, accompagnata da un divertente video nel quale, oltre al suo autore e a Van Zandt, compaiono Springsteen con la moglie Patti Scialfa, Joan Jett, un David Letterman barbuto ed il suo (ex) direttore musicale Paul Schaffer (che suona nel disco, ma non in questa canzone). Among The Believers, di Little Steven, apre l’album: uno scintillante errebi, pieno di ritmo e con un feeling rock neanche troppo nascosto, e l’orchestrazione usata in maniera intelligente https://www.youtube.com/watch?v=8qbQQf_DrOY . Anche Love Kept Us Fooling Around non è da meno, un delizioso soul dal mood coinvolgente ed accompagnamento di gran classe: sorprende il fatto che sia scritta dalla Perry. Little Liar, cover di un brano del 1988 di Joan Jett, cambia registro, le sonorità sono un po’ da power ballad AOR anni ottanta, ma il ritornello epico e maestoso ci fa perdonare qualche eccesso. Still To Soon To Know è l’altro pezzo di Costello (che suona anche la chitarra), e vede Darlene duettare con Bill Medley (il titolare dei Righteous Brothers con Bobby Hatfield), uno slow da mattonella con una melodia toccante, due grandi voci ed un feeling enorme: un plauso a Little Steven, che ha fatto un lavoro davvero notevole come arrangiatore. Who Under Heaven è un lento pianistico tipico del suo autore (Jimmy Webb), con un refrain di grande impatto emotivo e la solita orchestrazione dal sapore sixties.

Night Closing In è il primo dei due brani di Springsteen, e suona come se Spector avesse deciso di produrre la E Street Band: aggiungeteci una melodia di valore assoluto ed avrete uno dei pezzi più belli del CD. Painkiller è un pezzo di Michael Des Barres, un rock-pop-funky ben eseguito ma di valore inferiore alle precedenti canzoni, anche se un calo ci può stare (e comunque la prestazione vocale di Darlene è super); Just Another Lonely Mile è il secondo brano del Boss, e si sente, un brano rock veloce e godibile che starebbe bene anche in un disco del rocker del New Jersey, uno di quelli che dal vivo fanno saltare tutti. Last Time (Van Zandt) è una rock ballad potente e fluida nello stesso tempo, ed è l’unica in cui l’arrangiamento orchestrale è forse superfluo; ed ecco una travolgente versione del classico di Ike & Tina Turner River Deep, Mountain High, molto più roccata dell’originale, ma che ne mantiene intatto lo spirito: grande cover https://www.youtube.com/watch?v=qyjnnTjiNGY . La già citata Sweet Freedom è un perfetto rhythm’n’blues dal gran ritmo, ottimi cori e suonato con una grinta da rock’n’roll band; Marvelous, un veccho brano del gospel singer Walter Hawkins, mantiene intatta l’anima dell’originale, ma che voce e che classe! Il CD si chiude alla grande con il terzo pezzo scritto da Steven, Jesus Is The Rock (That Keeps Me Rollin’), un trascinante gospel-rock che ci proietta all’istante in una chiesa del sud degli Stati Uniti, quasi impossibile tener fermo il piede, un finale strepitoso.

Era ora che qualcuno si ricordasse di Darlene Love, e questo disco è il modo migliore per celebrarla.

Marco Verdi

Novità Di Ottobre, Puntata Unica Parte II. Pearl Jam, Steve Hackett, Sadies, Jimmy Webb, Robert Wyatt, James Booker, Eric Bibb, Prefab Sprout, Toad The Wet Sprocket

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Continuiamo la disamina delle varie uscite discografiche di ottobre. Domani escono molti titoli di cui vi ho parlato in precedenti Post: il box dei Waterboys, quello degli Humble Pie Live At Fillmore, le varie edizioni di Moondance di Van Morrison sono uscite la settimana scorsa. Che altro? Il cofanettino di Rory Gallagher, l’edizione Deluxe di Benefit dei Jethro Tull, le varie versioni in DVD e Blu-ray di Tour De Force di Joe Bonamassa. Tanta roba, insomma, più quelli di ieri e ciò di cui vado a parlarvi oggi.

Partiamo dal nuovo Pearl Jam, Lightning Bolt, etichetta Monkeywrench/Republic/Universal, è uscito il 15 ottobre scorso, in una edizione speciale limited, nel senso che la prima tiratura è in una bella confezione digipack. Il disco, il primo in studio dopo Backspacer del 2009, prodotto da Brendan O’Brien, ha avuto ottime recensioni ed in effetti è uno dei migliori della band negli ultimi anni. Questi sono i brani:

1. Getaway
2. Mind Your Manners
3. My Father’s Son
4. Sirens
5. Lightning Bolt
6. Infallible
7. Pendulum
8. Swallowed Whole
9. Let The Records Play
10. Sleeping By Myself
11. Yellow Moon
12. Future Days

Ennesimo cofanetto che rivisita l’opera dei Genesis per Steve Hackett, questa volta è dal vivo, si chiama Genesis Revisited: Live At Hammersmith, è un box di 3 CD e 2 DVD. è uscito il 22 ottobre per la Century Media/Universal (ma negli Stati Uniti esce domani) e vede la presenza come ospiti di Nik Kershaw (?!?), John Wetton, Jakko Jakszyk, Steve Rothery e Amanda Lehmann. Non è niente male, tra l’altro. Ecco il contenuto:

Disc: 1
1. Watcher Of The Skies
2. The Chamber Of 32 Doors
3. Dancing With The Moonlit Knight
4. Fly On A Windshield
5. Broadway Melody of 1974
6. The Lamia
7. The Musical Box
8. Shadow Of The Hierophant
9. Blood On The Rooftops
Disc: 2
1. Uniquet Slumbers For The sleepers
2. In That Quiet Earth
3. Afterglow
4. I Know What I Like
5. Dance On A Volcano
6. Entangled
7. Eleventh Earl Of Mar
8.Supper’s Ready
Disc: 3
1. Firth Of Firth
2. Los Endos
Disc: 4
1. Watcher Of The Skies
2. The Chamber Of 32 Doors
3. Dancing With The Moonlit Knight
4. Fly On A Windshield
5. Broadway Melody Of 1974
6. The Lamia
7. The Musical Box
8. Shadow Of Hierophant
9. Blood On The Rooftops
10. Uniquet Slumbers For The Sleepers
11. In That Quiet Earth
12. Afterglow
13. I Know What I Like
14. Dance On A Volcano
15. Entangled
16. Eleventh Earl Of Mar
17. Supper’s Ready
18. Firth Of firth
19. Los Endos
Disc: 5
1. Behind The Scenes

Anche Jimmy Webb ha rivisto varie volte la propria opera, questa volta lo fa con questo nuovo disco Still Within The Sound Of My Voice, sottotitolo Duets And Collaborations. Il disco effettivamente è uscito in USA già dal 10 settembre per la Entertainment One (ma solo in questi giorni in versione europea per la Cargo) però mi sembra talmente bello che era un peccato non segnalarlo. Sono alcune delle più belle canzoni della storia della music pop e rock (e country) eseguite in una serie di duetti con degli ospiti fantastici (a parte un paio, indovinate quali):

1. Sleeping in the Daytime ft. Lyle Lovett
2. Easy for You to Say ft. Carly Simon
3. Elvis and Me ft. The Jordanaires
4. Where’s the Playground, Suzie ft. Keith Urban
5. Still Within the Sound of My Voice ft. Rumer
6. If These Walls Could Speak ft. David Crosby and Graham Nash
7. The Moon’s a Harsh Mistress ft. Joe Crocker
8. Another Lullaby ft. Marc Cohn
9. You Can’t Treat the Wrong Man Right ft. Justin Currie
10. Rider from Nowhere ft. America
11. Honey Come Back ft. Kris Kristofferson
12. Adios ft. Amy Grant
13. MacArthur Park ft. Brian Wilson
14. Shattered ft. Art Garfunkel


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Un altro terzetto di uscite, due ristampe e un personaggio, Paddy McAloon che è diventato una “ristampa” di sè stesso.

La Cuneiform ci regala un altro dischetto formidabile (uscito il 15-10) dedicato all’opera di Robert Wyatt, qui siamo proprio ai primordi, infatti non per nulla si chiama ’68, in quanto contiene brani registrati a cavallo tra i primi due album dei Soft Machine. Sono solo quattro brani, ma per un totale di quasi 50 minuti di musica: Chelsea, scritta in coppia con Kevin Ayers che suona anche il basso nella canzone, una lunga improvvisazione di circa 18 minuti, Rivmic Melodies, che contiene frammenti ed idee che poi verranno sviluppati nei dischi futuri di Soft Machine, Matching Mole e solistici di Wyatt. Una breve Slow Walkin’ Talk che ha la particolarità di avere Jimi Hendrix al basso e il giovane ci sapeva fare anche con questo strumento. E per finire una bella versione di The Moon In June, per chi scrive una delle dieci “canzoni” più belle della storia della musica rock. 

Altro personaggio formidabile, ancorché poco conosciuto dalle grandi masse, della scena di New Orleans. James Booker è uno che ha poco da invidiare a Allen Toussaint, Professor Longhair o Dr.John, purtroppo ha inciso pochissimo. Questa ristampa potenziata, rimixata e rimasterizzata di uno dei due album registrati nel corso della sua carriera, Classified Remixed And Expanded pubblicato in origine nel 1982 dalla Rounder, esce di nuovo per la stessa etichetta, ora del gruppo Universal, con dieci tracce aggiunte rispetto alla prima versione. Booker sarebbe morto nel 1983 e quindi questo album, con Junco Partner uscito nel 1976 per la Hannibal, rimane uno dei due album ufficiali pubblicati durante la sua vita. Esistono vari suoi album postumi, anche dal vivo, pure belli, ma questo è uno di quelli da avere, imperdibile per conoscere un grande musicista. E’ uscito il 15 ottobre.

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Quello su Paddy McAloon che sembra una ristampa di sè stesso, voleva essere una affettuosa battuta, però se guardate le foto, com’è oggi e come era, sembra mio nonno (o il fratello più vecchio di Leon Russell), anche se ha “soltanto” 56 anni. Probabilmente centrano i problemi di salute che negli ultimi 25 anni hanno consentito ad uno dei più geniali musicisti pop britannici dell’ultimo trentennio (qualcuno ha definito il suo genere sophisti-pop e ci sta) di pubblicare solo 5 dischi come Prefab Sprout e uno come Paddy McAloon. Questo nuovo Crimson/Red è uscito il 15 ottobre nel Regno Unito su etichetta Kitchenware/Icebreaker Records (così leggo sul CD) e per l’occasione Paddy ha suonato tutti gli strumenti che si sentono nel disco anche se ringrazia tutti i vari compagni di avventura che negli anni hanno partecipato ai dischi dei Prefab. il genere è il solito e nei dieci brani che compongono l’album, tuffi firmati da McAloon, si percepiscono sprazzi del vecchio sound, anche se a momenti forse un tantino troppo sintetico ma è sempre stato nel DNA della band, quindi i vecchi fans saranno soddisfatti.

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E per finire questo giro un trio di uscite dal continente nordamericano, due dagli Stati Uniti e una dal Canada.

Iniziamo proprio dai Sadies, una delle migliori bands canadese degli anni 2000, il nuovo album si chiama Internal Sounds, esce come al solito (anzi è uscito, il 1° ottobre) per la Yep Rock, si tratta del primo album di studio dopo l’ottimo Darker Circles del 2010 (anche se nel frattempo sono uscite tre collaborazioni del gruppo, una con André Williams, una con John Doe e una con i Good Brothers, che sono poi sempre loro). Gary Louris dei Jayhawks non è più il produttore aggiunto, anche se viene accreditato per un non meglio specificato “vocal coaching & fortunes read”. L’unica ospite è Buffy Sainte-Marie che appare nella traccia conclusiva e lo stile il solito, ma valido, alternative country-rock, jingle jangle, armonie vocali deliziose miste a “psichedelia canadese”. Sempre bravi, anche se il disco dura solo 35 minuti scarsi, meglio pochi ma buoni.

Tornano anche i Toad The Wet Sprocket con il primo album nuovo dal lontanissimo 1997. La band californiana capitanata da Glenn Phillips ci delizia ancora una volta con questo nuovo album New Constellation che se non raggiunge le vette del classico Dulcinea è un disco di solido rock melodico californiano della più bell’acqua. Se non li conoscete assolutamente da scoprire, magari ci torniamo in qualche prossimo post specifico.

Eric Bibb è un cliente abituale del Blog, molto prolifico, con dischi sempre di notevole livello qualitativo, dopo l’ottimo Deeper In The Well di cui mi ero occupato a febbraio dello scorso anno saluti-dalla-louisiana-eric-bibb-deeper-in-the-well.html, eccolo già pronto con un nuovo disco Jericho Road sempre per la Dixiefrog (Stony Plain in America). Recensione quanto prima (lo so, prometto, prometto, ma poi devo mantenere, comunque voi segnatevi gli album belli), per il momento  vi basti sapere che il disco tiene fede alla sua fama di grande bluesman (e non solo, gospel, folk, soul e altre forme musicali sono sempre presenti). Tra i musicisti presenti, Victor Wooten al basso, la bravissima Ruthie Foster come vocalist aggiunta e Glenn Scott che oltre a produrre suona una valanga di strumenti. Consigliato.

Mancherebbero un paio di DVD in uscita sempre domani, ma ne parliamo prossimamente (si tratta dei film su Springsteen e Jerry Garcia).

Bruno Conti

“Nostra Signora” Del Folk! Judy Collins – Live At The Metropolitan Museum

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Judy Collins – Live At The Metropolitan Museum – Wildflower Records 2012 – DVD – CD

Tra i pochi regali di Natale che ho ricevuto, mi fa estremamente piacere recensire questo DVD di Judy Collins  (che è stato già segnalato dal titolare del blog circa un mesetto fa con relativo video). Registrato il 16 Agosto scorso al Metropolitan Museum Of Art di New York,  nella sala dove fa bella mostra di sé il Tempio di Dendur: ed è in questa suggestiva location che la Collins (con Joan Baez e Joni Mitchell, una delle grandi voci della scena folk americana degli anni ’60 e non solo), celebra il 50° anniversario della sua carriera in uno show straordinario, con la partecipazione di vari artisti, coinvolti in duetti e nella rivisitazione di classici della musica americana.

Infatti entrano in scena, di volta in volta, chiamati dalla “musa” Judy, Ani DiFranco, in una sentita rilettura di Pastures Of Plenty di Woody Guthrie, il poco conosciuto ma bravo Kenny White in una versione di Helplessly Hoping di Crosby, Stills and Nash e in Veteran’s Day, Chris Bailey con Some Day Soon, l’amica Shawn Colvin in Since You’ve Asked, e una maestosa Moon Is A Harsh Mistress dal repertorio del leggendario Jimmy Webb. A completare la scaletta del concerto, la Collins pesca da una selezione straordinaria, con brani di Joni Mitchell (Both Sides Now), Joan Baez (Diamonds & Rust), Bob Dylan (Mr. Tambourine Man), una deliziosa Send In The Clowns tratta dal Musical di Stephen Sondheim A Little Night Musice non poteva certo mancare Suzanne del grande Leonard Cohen, eseguita al pianoforte, con relativa dedica all’autore, da lei, in un certo senso, scoperto e lanciato.

Tanto tempo è passato dai nostalgici giorni del Greenwich Village, ma la “nostra signora” Judy Blue Eyes non perde occasione di ricordare le sue origini, e fortunatamente, questo concerto è l’occasione per far rivivere ai suoi ammiratori (che spero non siano pochi) quella indimenticabile esperienza. Per chi scrive, questo è il mio “Concerto di Natale”, e sarei contento che fra tanti regali inutili, questo DVD fosse l’eccezione. Buone feste e l’augurio di un anno migliore.

Tino Montanari

Confermo: E’ Proprio Brava! Rumer – Boys Don’t Cry

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Rumer – Boys Don’t Cry – Atlantic Deluxe Edition

Penso che se uscite e chiedete al classico “uomo della strada” di farvi il nome di una cantante inglese di successo, almeno otto su dieci vi faranno il nome di Adele, mentre i restanti due, avidi consumatori di reality e talent show, vi potranno citare Susan Boyle. Pochi vi faranno il nome di Rumer: eppure la cantante anglo-pakistana (avrebbe dovuta essere tutta anglo, ma forse dopo sei figli avuti dal marito la madre ha voluto provare qualcosa di diverso e si è rivolta al cuoco…ma per le note biografiche vi rimando a Wikipedia) ha superato con il suo debutto Seasons Of My Soul, uscito nel Novembre del 2010, la ragguardevole cifra delle 500.000 copie vendute, quantità di tutto rispetto in un momento di profonda crisi del mercato discografico.

Tutte copie meritate, dalla prima all’ultima (piuttosto forse è esagerato il successo della pur bravissima Adele, mentre della Boyle non parlo, talento non significa solo una voce formidabile): Bruno vi aveva detto meraviglie di Seasons Of My Soul (e io condivido),  perfect-pop-rumer-seasons-of-my-soul.html un disco di puro pop, ma suonato ed arrangiato alla grande, e con la voce calda e piena d’anima (soulful, letteralmente) di Rumer (nata Sarah Joyce, il nome è in onore della scrittrice Rumer Godden). Una voce che la stampa inglese aveva paragonato a quella della sfortunata Karen Carpenter (del famoso duo The Carpenters), ma molti, me compreso, vedevano tracce, anche nello stile oltre che nella voce, di Dusty Springfield, Laura Nyro, Carole King ed un pizzico del Van Morrison di dischi come Tupelo Honey.

Ora esce il tanto atteso secondo album, intitolato Boys Don’t Cry, che, a differenza del debutto che era composto da brani originali (tranne due), è formato interamente da cover di canzoni che hanno avuto una profonda influenza su di lei: uno potrebbe pensare ad una mossa astuta della casa discografica in mancanza di materiale nuovo, ma, una volta ascoltato il disco, l’operazione ha perfettamente senso. Rumer infatti affronta un repertorio che più eterogeneo non si può (si passa da Neil Young a Hall & Oates, da Townes Van Zandt a Isaac Hayes, e così via, ma niente Carpenters, Springfield, Nyro, ecc.), facendo suo ogni brano con la sua voce spettacolare, sostenuta come sempre da arrangiamenti misurati ma di gran classe (la parola classe la ripeterò spesso nel corso di questa recensione), con una serie di ottimi musicisti, sui quali spicca senz’altro lo straordinario David Hartley al pianoforte: il produttore (ma non di tutto il disco) è come nel primo disco Steve Brown, suo scopritore e mentore. Piccola nota prima di iniziare la disamina dei brani: anche questo album esce incomprensibilmente in due versioni, una con dodici canzoni ed una deluxe con sedici, ed io vorrei tanto conoscere un giorno chi compra la versione con meno brani per risparmiare quattro/cinque Euro…

L’album si apre con P.F. Sloan, brano scritto da Jimmy Webb e dedicato al noto autore di hits anni sessanta (in coppia con Steve Barri): inizio per chitarra acustica, voce subito “sul pezzo”, intervento di oboe (chi suona ancora l’oboe nei dischi?) e ritornello corale strepitoso. Sarah canta con la stessa facilità con la quale io mi infilo un paio di calze. (Bella tra l’altro l’idea di pubblicare nel libretto interno al CD l’elenco dei brani con il dettaglio di autore, anno, album di provenienza e copertina dell’album stesso). It Could Be The First Day (Richie Havens) è arrangiata come se fosse una ballata di Burt Bacharach (un altro folgorato dal talento della ragazza, tanto che ha voluto conoscerla di persona), con soave arrangiamento d’archi e la voce di Rumer che si estende eterea lungo tutto il brano. Forse un po’ “troppo” commerciale, ma che classe! Be Nice To Me (di Todd Rundgren) sembra provenire da un disco anni settanta di Carole King: la band segue Sarah (mi piace alternare il vero nome a quello d’arte) con leggiadria e…indovinate? Esatto: classe! C’è anche posto per il flugelhorn (vedi commento sull’oboe di prima), ci mancano solo il glockenspiel e l’harpsicord ed abbiamo riunito tutti gli strumenti vintage.

Travelin’ Boy (Paul Williams) è un lento da brividi (sentite come canta), con accompagnamento classico, piano e chitarra su tutti; Soulsville (Isaac Hayes) mantiene un po’ dello spirito originale, un errebi lento da applausi, arrangiato con gusto e misura e Rumer che modula le corde vocali da par suo. Same Old Tears On A New Background (Stephen Bishop), per voce, piano e poco altro (vibraphone, questo mancava!) è più sul versante Laura Nyro, mentre Sara Smile, di Hall & Oates, viene spogliata degli inutili orpelli tipici del duo di Philadelphia, per diventare una solida ballata dominata da piano e organo. Superba, e poi Rumer con quella voce può fare ciò che vuole. Passare da Hall & Oates a Townes Van Zandt è come pranzare da McDonald’s e cenare da Cracco: Flyin’ Shoes è una delle grandi canzoni del songbook americano, e questa versione dominata dal piano, con delicati interventi di armonica e steel guitar, è semplicemente inarrivabile. La migliore del disco (almeno fino ad ora), quasi commovente. Home Thoughts From Abroad (Clifford T. Ward) è pochissimo strumentata, costruita com’è attorno alla voce inimitabile di Sarah; con Just For A Moment (tratta da un album poco noto di Ronnie Lane in coppia con Ron Wood) siamo dalle parti della Springfield.

Brave Awakening (Terry Reid) è arrangiata in modo sofisticato ma per nulla stucchevole, con hammond e coro femminile che fanno tanto soul, mentre We Will, di Gilbert O’Sullivan, cantata come sempre alla grandissima (ma il brano in sé è forse quello che mi piace meno), chiude la versione “normale” del disco. Il primo bonus è Andre Johray di Tim Hardin, languida e raffinata, seguita da Soul Rebel di Bob Marley, dove fortunatamente (almeno per me) il reggae viene cancellato per farla diventare una perfetta ballata “alla Rumer”, con un tocco sixties che non guasta. L’album si chiude definitivamente con due grossi calibri: My Cricket di Leon Russell (deliziosamente country got soul) e soprattutto A Man Needs A Maid (and a wife needs a cook avrebbe aggiunto sua madre, scherzo signora, non mi fulmini da lassù!) di Neil Young, il brano più noto della raccolta, tratto da Harvest che è l’album più noto del canadese. Un brano che mi stupisce sentito cantare da una donna (leggete il testo e capirete), ma Rumer rilascia una versione manco a dirlo da pelle d’oca, anche Neil approverà di sicuro. Tra le cover dell’anno fin da adesso, assieme a quella di Townes.Che dire di più, penso di non dover aggiungere altro, grande musica e grandissima interprete: di solito a dischi di questo tipo (di cover intendo) viene fatto seguire a breve distanza un altro album con brani nuovi di pacca. Speriamo quindi di non aspettare un altro anno e mezzo.

Marco Verdi

E Chi E’ Costei? Rita Wilson – AM/FM

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Rita Wilson – AM/FM – Decca/Universal 08-05-2012

Chi è Rita Wilson? E soprattutto perché ne parlo? Lei è la “Signora Tom Hanks” e ha molti amici nel mondo del cinema e dalla musica. Questi ultimi sono accorsi in massa per partecipare alla realizzazione di questo AM/FM: tra gli ospiti infatti troviamo: Chris Cornell, Sheryl Crow, Jimmy Webb, Jackson Browne, Faith Hill, Vince Gill, and Patti Scialfa (ma “lui” non c’è?). Sono tutte cover di brani celebri degli anni ’60, AM e anni ’70, FM, astuta! Ovvero:

1. All I Have to Do is Dream
2. Never My Love
3. Come See About Me
4. Angel in the Morning
5. Walking in the Rain
6. Wichita Lineman
7. Cherish
8. You Were on My Mind
9. Good Times Charlie
10. Love has No Pride
11. Please Come to Boston
12. Will You Still Love Me
13. Faithless Love
14. River

Sentiremo!

Bruno Conti