I Talent Producono Anche Dei Talenti Veri, In Australia! Owen Campbell – The Pilgrim

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Owen Campbell – The Pilgrim – Reckless Grace Music US Version

Owen Campbell, Owen Campbell, perché non mi dice niente? Un ulteriore ennesimo, cantante e chitarrista blues-rock, mai sentito nominare! La prima risorsa è leggere le note del CD, scritte al solito in piccolissimo, lasciandoci quindi una parte della vista, ma anche lì indizi zero, tra i tanti collaboratori il nome di Jeff Lang, pure lui chitarrista e mandolinista, qualcosa mi ricorda (in effetti ha una copiosa discografia), ma poi in fondo trovi Mill Studio, Melbourne, Australia. E le cose cominciano a chiarirsi, più o meno: parte la ricerca in rete, autore di due album, finalista di Australia’s Got Talent nel 2012, prego https://www.youtube.com/watch?v=VVM_SH2QFbc ? Nel frattempo però ho iniziato ad ascoltare questo The Pilgrim e la musica che ne fuoriesce mi sembra ottima, un rock-blues energico, ben suonato e anche meglio cantato, non siamo di fronte ad un fenomeno da baraccone ma ad una persona, Owen Campbell, che ha sfruttato i vantaggi dei moderni mezzi di comunicazione, almeno per farsi conoscere in Australia, dove vive e poi nel resto del mondo https://www.youtube.com/watch?v=EJ23m-kb0yI  (è stato anche in tour ovunque, Italia compresa, non sapevo).

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Dieci anni di gavetta ed ora i primi accenni di fama, peraltro meritata. Spesso, nell’ambito blues, troviamo ottimi chitarristi che sono mediocri cantanti o viceversa ottimi cantanti che sono anche discreti chitarristi, dovendo scegliere molto meglio la seconda opzione, se sei Jimmy Page o Jeff Beck (per volare alto), e non sai cantare, ti cerchi il tuo Robert Plant o Rod Stewart, se riesci ad unire le due cose, magari in piccolo, ma in modo onesto, potresti rientrare nella categoria di questo Owen Campbell. 10 brani, capitoli vengono definiti nel libretto che comprende tutti i testi, che spaziano dal possente blues-rock della iniziale Wreckin’ Ball, dove la voce profonda di Campbell è minacciosa ed espressiva e le chitarre slide dello stesso Campbell e di Jeff Lang si sfidano a suon di riff e di soli dai canali dello stereo https://www.youtube.com/watch?v=7kE7Dd4wrz8 . Leave It Alone,di nuovo con la slide di Campbell in grande evidenza e con due voci femminili di supporto, ha un forte ritmo scandito dalla batteria e dal contrabbasso, e anche se forse non ricorda moltissimo il sound di Robbie Robertson, a cui dice di ispirarsi, è comunque un notevole esempio di blues contemporaneo, con un bel sax e l’organo ad arricchire ulteriormente il suono. You Know I’m Gone, è un notevole folk-blues, solo la bellissima voce di Owen ed una chitarra acustica  https://www.youtube.com/watch?v=xgqSpwqe7Yc . Anche Cried For Yesterday, di nuovo con sax aggiunto e voci femminili di supporto, viaggia più o meno su queste coordinate sonore, e se lui cita tra le influenze Bob Dylan, Van Morrison, la Band (ma piacciono pure a me) e gli Stones, forse qualcosa di vero c’è, in questo sapido roots-rock che sembra provenire dal profondo Sud, non so se degli States o dell’Australia, si intravede comunque una notevole classe e la capacità di scrivere ottime canzoni.

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Come ribadito in It Don’t Mean A Thing, dove all’impianto acustico iniziale si aggiunge un piano malandrino, una intera sezione fiati e una atmosfera ricca di gospel e soul music, quasi dalle parti del Van Morrison più carnale, che di è un’altra categoria, ma qui la stoffa c’è. Devilish Woman, di nuovo con le duelin’ guitars di Campbell e Lang è un altro sano rock-blues, deciso e ritmato, sempre nel giusto groove, con una elettricità trattenuta che emana dalle note delle canzone fino al solo strozzato e “cattivo” della chitarra https://www.youtube.com/watch?v=dPZ93e46aGc . E pure Remember To Breathe ha quella tensione emotiva che sembra ricordare il miglior Chris Whitley degli inizi o anche un altro Campbell, John, di nuovo tra noi, con in più la voce di Owen Campbell che è uno strumento duttile e versatile, il mandolino di Lang aggiunge un ulteriore tocco di classe ad un brano già di per sé veramente notevole. Gli ultimi quattro brani sono particolari: Burkhu’s Blues è uno strumentale dalla struttura orientaleggiante, con l’acustica del nostro amico che si misura con il “Mongolian Throat Singing” e l’horse hair fiddle, qualunque cosa siano, di tale Bukhu Gangburged. New Years Eve è una bellissima ballata acustica di stampo folk, delicata e deliziosa, veramente una sorpresa nella sorpresa. Highway Bound, banjo e percussioni orientali è un altro esempio di folk blues primigenio https://www.youtube.com/watch?v=hn3_XYzrD1c , mentre A Better Place si inserisce nuovamente nel filone di quelle che semplicemente si possono definire belle canzoni, una accattivante melodia, la voce struggente di Campbell, un violino malinconico sullo sfondo e i giochi sono fatti, basta saperle scrivere. Questo è uno bravo, talent show a parte!

Bruno Conti

Bravi Ma Sconosciuti. E Questo E’ Molto Bravo! Ron Hacker And The Hacksaws – Filthy Animal

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 Ron Hacker And The Hacksaws – Filthy Animal – Self-released   

Ormai sembra acclarato che per diventare una leggenda nella storia della musica una delle strade più battute sia quella di morire giovani, meglio se a 27 anni: da Robert Johnson a Brian Jones, passando per Janis Joplin, Jimi Hendrix e James Morrison, la storia si è ripetuta. Non sempre è stato così, anche John Campbell, grande cantante e chitarrista Blues bianco, è morto, relativamente giovane, stroncato da un infarto nel 1993 quando aveva 41 anni. Perché vi parlo di lui? Perché il personaggio (e la musica) di Ron Hacker, mi sembra si possa avvicinare, per certi versi, a quella di Campbell.

Entrambi sono virtuosi della chitarra dal corpo d’acciaio suonata preferibilmente in stile slide, entrambi sono cantanti dalla vocalità torbida, quasi misteriosa che si riappropria del meglio del Blues “classico” per stravolgerlo in una sorta di ibrido che incorpora anche elementi di rock (molto) e altre musiche con un suono grintoso e poderoso che non è sicuramente originale al 100% ma ha una sua profonda efficacia. Per chi non conosce John Campbell non posso che consigliarli i suoi tre album da solista con una preferenza per One Believer e Howlin’ Mercy rispetto al più acustico e tradizionale A Man and His Music, anche perché la produzione da major dei due dischi Elektra era molto più rifinita. Secondo alcuni (anche il sottoscritto sul Buscadero in quegli anni) Campbell avrebbe potuto essere negli anni ’90 quello che Stevie Ray Vaughan era stato negli anni ‘80, entrambi stroncati troppo presto rispetto a quello che avrebbero potuto dare ancora oppure avevano già dato tutto e si sono allineati al famoso motto di Pete TownshendI Hope I Die Before I Get Old”, non lo sapremo mai.

Uno che già era in circolazione ma si muoveva ai margini, tra culto e realtà per parafrasare un’altra celebre frase, era il nostro amico Ron Hacker, nativo del 1945 è sulle scene, si può dire, dagli anni ’50 ma la sua carriera professionale inizia molti anni dopo, attraverso un incontro fruttuoso con Yank Rachell a lungo partner di Sleepy John Estes che con i suoi insegnamenti ne ha affinato le capacità tecniche come chitarrista e ne è diventato un amico. I primi dischi di Hacker con varie configurazioni degli Hackers risalgono alla fine degli anni ’70 e da allora ha pubblicato 8 album, gloriosamente (semi)sconosciuti ai più ma non agli addetti ai lavori. Il modo ideale per conoscerlo (ma mi rendo conto che non è facilmente praticabile) sarebbe quello di assistere ad uno dei concerti che tiene regolarmente al Saloon, uno dei più vecchi bar di San Francisco, dove pare sia regola di non chiedergli di suonare brani di Stevie Ray Vaughan, causa un patto reciproco scambiato tra i due “Io non faccio brani tuoi e tu non suoni i miei”, ma potrebbe essere un’altra leggenda metropolitana.

L’alternativa più praticabile è acquistare questo Filthy Animal che sarà anche un album registrato in studio ma ha quel feeling dei dischi Live, una miscela di brani classici e originali di Hacker arrangiati nel suo stile con una forte presenza della slide che spesso impazza con grande gioia di chi ascolta.

Gli ospiti che affiancano Artis Joyce al basso e Bryant Mills alla batteria sono nei due primi brani dell’album: una ripresa pigra e sensuale della celebre di You Gotta Move di Memphis Minnie (Campbell faceva When The Levee Breaks) con la voce maliziosa di Leah Tysee che affianca quella più vissuta di Hacker. Il tun-tun-tun-tun-tun inequivocabile del blues annuncia una Bad Boy che proviene dalla penna del nostro amico che fa scivolare il suo bottleneck con gusto e tecnica ben coadiuvato dalla chitarra solista pungente di Debbie Davis, gran brano. I’m Going Away Baby di Jimmie Rodgers scorre fluida e piacevole, molto classica mentre Meet Me In The Bottom viene dal repertorio di Howlin’ Wolf che suonava anche una ottima slide, Hacker ci mette del suo e nella parte strumentale pareggia ma il “vocione” del Lupo era inarrivabile. Anche nel repertorio acustico Hacker non scherza come dimostrato nell’ottima Goin’ Down The River. Ma è nei brani elettrici quando fa viaggiare la slide che il suono decolla come in una eccellente cover di Evil o nella ripresa di Death Letter House di Son House e poi ancora in Gonna Miss You un brano di Slim Harpo arrangiato da Hacker con notevoli risultati. In definitiva è tutta roba buona, sia una Shotgun minacciosa o una fantastica rivisitazione di Chameleon di Herbie Hancock che diventa una funkyssima Filthy Animal con la slide che parte per la tangente e va in overdrive. Sarà anche un artista di culto ma è grande musica. Da scoprire!

Bruno Conti