Proseguono Le Buone Tradizioni Di Famiglia! The Allman Betts Band – Bless Your Heart

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The Allman Betts Band – Bless Your Heart – BMG CD

Uno dei migliori album di debutto del 2019 era stato indubbiamente Down To The River della Allman Betts Band https://discoclub.myblog.it/2019/07/16/questi-cognomi-mi-dicono-qualcosa-the-allman-betts-band-down-to-the-river/ , gruppo di southern rock diretto discendente fin dal nome della mitica Allman Brothers Band, e formato da Devon Allman (figlio di Gregg) e Duane Betts (rampollo di Dickey Betts), nonché con la presenza di Berry Duane Oakley che è a sua volta figlio dello sfortunato bassista degli Allman Berry Oakley e che non ha mai conosciuto il padre, morto nel famoso incidente motociclistico quando il piccolo Berry Jr. era ancora nel grembo materno. A poco più di un anno di distanza la ABB pubblica il suo secondo lavoro intitolandolo Bless Your Heart, e proseguendo il suo cammino volto a tenere alto il vessillo del gruppo dei loro padri e del southern rock in generale.

Se Down To The River colpiva per il suono potente e per la bellezza delle canzoni, questo nuovo lavoro è ancora meglio: intanto ha una durata “importante” tipica dei classici album di questo genere (71 minuti), ma quello che più importa è che vede i nostri in ottima forma sia come compositori che come musicisti, con un suono forte, vigoroso e decisamente sanguigno, sempre più rivolto verso il rock ed un po’ meno verso il blues, con le voci e le chitarre dei due leader in grande evidenza ben coadiuvate dalla spettacolare slide di Johnny Stachela (uno dei protagonisti del sound del gruppo), e completate dal basso di Oakley, dalla doppia batteria di R. Scott Bryan e John Lum e dalle tastiere di John Ginty, anch’egli molto bravo. Prodotto ancora da Matt Ross-Spang, Bless Your Heart fa dunque compiere un altro passo avanti alla ABB, dando l’impressione a chi ascolta di trovarsi di fronte al lavoro di una band ancora più coesa ed affiatata: a conferma di questo, l’album è stato inciso in presa diretta e sovraincidendo solo qualche parte vocale, per di più in un luogo magico come i Muscle Shoals Sound Studios.

L’iniziale Pale Horse Rider è una suggestiva rock ballad che parte con una melodia evocativa per sola voce e chitarra (canta Devon, che nel corso del CD si alterna con Duane alle lead vocals), ma poi entra la band in maniera decisamente potente, forse anche troppo: la canzone è comunque più che buona ed i due leader fanno cantare le chitarre che è un piacere, con la sezione ritmica che pompa di brutto. Anche Carolina Song ha un intro bello tosto, ma l’uso dell’organo e la slide le danno un sapore maggiormente sudista, così come la melodia corale che è più figlia dei Lynyrd Skynyrd che della ABB “originale”. Ancora slide in evidenza doppiata dal sax di Art Edmaiston nella ritmata e sanguigna King Crawler, dal train sonoro irresistibile, puro rock’n’roll del sud che fa muovere piedi, testa e quant’altro; Ashes Of My Lovers è il brano che non ti aspetti, un’evocativa western song cinematografica alla Ennio Morricone, con un cammeo vocale della brava Shannon McNally che le dona quel quid in più: notevole. Ed eccoci al centerpiece del disco: Savannah’s Dream è un favoloso strumentale di ben dodici minuti in cui le soliste di Devon e Duane si sfidano a duello con assoli anche di Stachela alla slide e Ginty al piano, il tutto in un tripudio di suoni caldi e creativi tra rock, jazz, blues e psichedelia: il brano più simile in assoluto agli “altri” Allman.

Anche la ruspante Airboats & Cocaine è molto bella, rock song trascinante con le chitarre in gran spolvero (ma qui il vero protagonista è Stachela); la robusta Southern Rain ha un motivo orecchiabile, una struttura soul-rock di tutto rispetto ed una ritmica insinuante, mentre Rivers Run è un country-rock terso e limpido, una signora canzone che Betts ha scritto sullo stile di certe cose di papà Dickey come Blue Sky o Seven Turns. Ottima anche Magnolia Road (il disco cresce man mano che prosegue), una vigorosa ma fruibile canzone di puro southern, splendida nei suoi interplay tra chitarre, slide e pianoforte e con in più un refrain di quelli vincenti. Should We Ever Part è forse già sentita per quanto riguarda lo script ma è suonata anche questa in modo spettacolare, e precede gli otto minuti della ballatona The Doctor’ Daughter (sottotitolo: Ambarabacicicocò…no scherzo), che stranamente ha qualcosa dei Pink Floyd classici dei seventies, oltre ad un bellissimo assolo acustico finale di Duane. Il CD si chiude con la scintillante Much Obliged, altro country-rock cadenzato ed accattivante, e con la pianistica Congratulations, rock ballad ricca di umori soul, che chiude benissimo un album da consigliare a chiunque ami il southern rock di qualità, e che conferma che la Allman Betts Band ha tutto il diritto di ereditare l’acronimo dal leggendario gruppo dei genitori. E, come prossima mossa, non mi dispiacerebbe un bel disco dal vivo.

Marco Verdi

Un Album Dal Vivo Veramente “Selvaggio”. Albert Castiglia – Wild And Free

albert castiglia wild and free

Albert Castiglia – Wild And Free – Gulf Coast Records

Albert (anzi Albert Joseph, come firma le sue canzoni) Castiglia, non è più uno di primo pelo, 50 anni compiuti lo scorso anno, nativo di New York City, ma trasferito in Florida fin dalla più tenera infanzia, mamma cubana e papà italiano, con una “passionaccia” per il blues, coltivata anche grazie al suo trasferimento a Chicago, dove dalla metà degli anni ‘90 è stato il chitarrista della touring band di Junior Wells, fino alla morte del suo mentore nel 1998. Un paio di album indipendenti all’inizio degli anni 2000, poi una serie di album per l’etichetta Blues Leaf, e quattro album, compreso il collettivo Blues Caravan 2014 per la Ruf https://discoclub.myblog.it/2016/07/12/o-compagnia-sempre-gran-chitarrista-albert-castiglia-big-dog/ . Quindi era arrivato il tempo per un bel disco dal vivo a nome proprio, questo Wild And Free, registrato tra il 3 e il 4 gennaio del 2020 in quel di Boca Raton, Florida, con la produzione dell’amico Mike Zito, che appare anche in un brano. Castiglia diciamo che si potrebbe definire un artista di culto, ma è pure un fior di chitarrista, con un solismo ricco e variegato, scoppiettante, al limite del virtuosismo, una bella voce gagliarda, tra blues e musica del sud (qualcuno, presumo con seri problemi uditivi, lo ha paragonato come stile vocale a Van Morrison), e in questo live ha quindi l’occasione di mettere in mostra tutta la sua bravura alla solista, grazie anche a una serie di brani potenti e ruvidi, ma con “paccate” di feeling ed una tecnica di prim’ordine.

Una eccellente sezione ritmica, con Justine Tompkins (Todd Wolfe Band) al basso, e Ephraim Lovell (Roomful Of Blues) alla batteria, alle tastiere si alternano due dei migliori su piazza, Lewis Stephens, del giro di Mike Zito e John Ginty, solista di vaglia, di recente nella Allman Betts Band: e allora vai subito alla grande con Let The Big Dog Eat, un brano tratto dal disco del 2016 per la Ruf, dove Albert comincia a mulinare la sua Gibson, con una serie di assoli formidabili, mentre Stephens all’organo e la sezione ritmica pompano di brutto. Hoodoo On Me, brano scritto da Zito, era sul CD del 2017, un’altra scarica di pura adrenalina chitarristica, con Castiglia molto efficace anche nel reparto vocale, mentre I Been Up All Night scritta da Brian Stoltz (a lungo chitarrista nel giro Neville Brothers) è un vorticoso blues-rock dove il nostro si produce al wah-wah con un impeto e una forza travolgenti, estraendo dalla chitarra un fiume di note, prima di mostrare il suo lato più raffinato in una eccellente (e lunga) Heavy, uno slow blues tratto da Mastepiece, il suo disco del 2019, sempre con il lavoro della solista impetuoso e lancinante, fantastico.

Get Your Ass In The Van, ancora da Big Dog del 2016, ci permette di apprezzare anche la notevole maestria alla slide del chitarrista di New York, in puro stile Elmore James, ben spalleggiato da uno spumeggiante Stephens al piano; Searching The Desert For The Blues, va ancora più indietro nel tempo, pescando dal repertorio di Blind Willie McTell, elettrificato e adattato ai nostri tempi, con un ritmo scandito e con la solista di Castiglia sempre impegnata in continue folate. Keep On Swinging è un altro brano originale tratto dal disco dello scorso anno, ancora tirato e senza requie, un ennesimo rock-blues vibrante, sempre potenza pura che esce dalle casse del vostro impianto; poi Albert chiama sul palco Mike Zito per una ripresa di Too Much Seconal di Johnny Winter, con John Ginty all’organo, i due si scambiano sciabolate libidinose, godendo come ricci mentre rivisitano il classico blues senza tempo dell’albino texano https://www.youtube.com/watch?v=4FUZv9EzSyk .

Non contento Castiglia rende omaggio anche ad un altro pezzo da novanta del blues bianco Paul Butterfield,  Loving Cup un oscuro brano che si trovava su What’s Shakin’, dove alla chitarra c’era Bloomfield, mentre nella versione dal vivo di Albert, mantenendo lo spirito blues, si privilegia un approccio “cattivo”, grintoso e decisamente elettrico con alta presenza di ottani rock nel suono e un assolo notevole di organo di Ginty, e pure I Tried To Tell Ya è l’occasione per un altro vibrante tour de force a tutto wah-wah, prima di congedare alla grande il pubblico presente e gli ascoltatori di questo CD con una fantastica cover di Boogie Funk di Albert King https://www.youtube.com/watch?v=gXF-yDzNqVI , puro boogie rock texano all’ennesima potenza che chiude degnamente un album dal vivo tra i più belli finora di questo sfortunato 2020.

Bruno Conti

Uno Dei Migliori “Nuovi” Chitarristi In Circolazione. Sean Chambers – Welcome To My Blues

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Sean Chambers – Welcome To My Blues – American Showplace Music

Il chitarrista della Florida torna con il suo settimo album, una dichiarazione di intenti più che un titolo, Welcome To My Blues è un ennesimo tassello di una “onorevole” carriera solista, iniziata nel 1998, quando, grazie al suo primo disco, fu scelto come direttore musicale della touring band di Hubert Sumlin con cui rimase quattro anni, e poi proseguita a colpi di rock-blues solido e roccioso, chiaramente influenzato dai grandi bluesmen, ma anche e soprattutto da Jimi Hendrix, e ancor di più, anche per proprietà traslativa, da Stevie Ray Vaughan, al quale parecchio si ispira pur non essendone un clone. Per gli amanti della chitarra dal suono tosto e ruvido, ma anche ricco di spunti tecnici pregevoli e con un suono limpido che spesso erompe dai canali dello stereo con una definizione veramente apprezzabile grazie al lavoro del produttore Ben Elliott (già all’opera nel precedente Trouble & Whiskey), uno che sa maneggiare questo tipo di musica grazie alle sue esperienze con gente come Leslie West, Savoy Brown, Albert Castiglia, Todd Wolfe, ma anche lo stesso Sumlin, Eric Clapton, Keith Richards, ed altri meno noti, registrati sempre nei suoi Showplace Studios di Dover, New Jersey, dove opera abitualmente e da cui prende il nome anche l’etichetta per cui incide Sean Chambers.

Il nostro amico, come mi era già capitato di dire in un passato anche recente https://discoclub.myblog.it/2017/05/22/poderoso-rock-blues-di-stampo-southern-sean-chambers-trouble-whiskey/ , ha una voce più che piacevole, potente e grintosa il giusto, ma soprattutto si apprezza la sua notevole maestria alla solista, con uno stile fluido e prorompente, in grado di esaltarsi in lunghi assoli che spesso traggono ispirazione e forza dai suoi idoli del passato. Prendiamo il brano di apertura, la title track Welcome To My Blues, un pezzo come altri dell’album firmato da Chambers insieme all’ottimo tastierista John Ginty https://discoclub.myblog.it/2017/04/24/unaltra-bella-coppia-musicale-john-ginty-feat-aster-pheonyx-rockers/ , un vorticoso rock-blues di impianto texano, che tanto deve alla musica del grande SRV, grazie anche alla solida sezione ritmica di Todd Cook, basso e Moe Watson, batteria, su cui si innestano le continue divagazioni della solista di Sean, ma anche l’eccellente Black Eyed Susie, un lento ed intenso blues d’atmosfera, con Sean Chambers alla slide e Ginty all’organo B3, seguita dalla prima cover, una lenta e cadenzata Cherry Red Winter, tratta da un disco Alligator del 1995 di Luther Allison, costellata da una serie di lancinanti e torrenziali assoli che rendono omaggio allo stile furioso di Allison e che avrebbero reso orgoglioso il suo “maestro” Stevie Ray Vaughan.

Notevole anche Boxcar Willie, l’unica canzone firmata in solitaria da John Ginty, che conferma il poderoso impeto del rock-blues di Chambers, sempre in evidenza con la sua brillante solista, prima di passare a Cry On Me, dove Ginty questa volta è al piano, per un ondeggiante shuffle dalla tipica andatura sudista; One More Night To Ride, scritta ancora con Ginty e con l’ospite Jimmy Bennett alla slide e Sean Chambers che pigia a tutta potenza sul pedale del wah-wah per un omaggio funky-rock a Mastro Jimi Hendrix https://www.youtube.com/watch?v=2tQ9PGJ5-Qk . Red Hot Mama tra blues e R&R, di nuovo con il nostro amico alla slide, vira decisamente verso tempi e sonorità alla Johnny Winter, con You Keep Me Satisfied, firmata di nuovo con Bennett e il bassista Cook, altro ottimo esempio del rock-blues irruente del musicista della Florida (citata nel testo), di nuovi con retrogusti southern rock, prima di tuffarci in un altro torrido “lentone” come Keep Movin’ On dove Chambers esplora ancora con classe e potenza il repertorio classico del miglior blues (rock), poi ribadito in una cover di All Night Long, un brano del 1972 di T-Bone Walker, costruito intorno ad un giro funky del basso e all’organo dei Ginty e che rimanda al sound dello Spencer Davis Group di Steve Winwood, sempre arricchito dalla fluente solista di Chambers https://www.youtube.com/watch?v=7A7mPCx93I0 , che in conclusione di album rende omaggio con uno strumentale jazzy e raffinato che, anche nel titolo, Riviera Blue, ricorda lo Stevie Ray Vaughan di Riviera Paradise, a conferma di uno stile eclettico e variegato che lo rende uno dei migliori solisti elettrici attualmente in circolazione.

Bruno Conti

Poderoso Rock-Blues Di Stampo Southern. Sean Chambers – Trouble & Whiskey

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Sean Chambers – Trouble & Whiskey – American Showplace Music

Mi era già capitato, in passato,  di parlare, in modo più che positivo, di Sean Chambers: in occasione del suo Live From The Long Island Warehouse del 2011 http://discoclub.myblog.it/2011/10/20/virtuosi-ain-t-nothin-but-the-blues-rock-the-sean-chambers-b/ , poi il chitarrista della Florida aveva pubblicato nel 2013 un altro buon album, dal titolo The Rock House Sessions, prodotto da Reese Wynans, che suonava pure le tastiere nel disco, dove apparivano tra i musicisti gente come Bob & Etta Britt, Tom Hambridge alla batteria, Tommy McDonald al basso, Rob McNelley alla seconda chitarra, quindi non i primi che passavano per strada. Ora a distanza di quattro anni dal precedente il nostro amico ritorna con Trouble & Whiskey, il suo sesto CD (e forse il migliore), in una onorata carriera che lo ha visto suonare ad inizio carriera come chitarrista della band di Hubert Sumlin, facendo la dovuta gavetta. In Humble Spirits del 2004 c’erano Bobby Torello alla batteria e Dan Toler addirittura al basso, oltre a Bernard Allison, e pure il Live citato prima era un ottimo album.

Nulla quindi da far supporre che il nuovo album potesse essere inferiore ai suoi predecessori, e infatti non lo è. Sean Chambers, per dividere la capocchia di uno spillo, è un praticante del rock-blues più che del blues, nel senso che il suo genere è tirato e grintoso, dalle parti del power trio, anche se le tastiere sono sempre ben presenti, ma soprattutto è un notevole virtuoso della chitarra elettrica, di quelli della scuola Hendrix, Stevie Ray Vaughan, ZZ Top, per la sua provenienza sudista, ma, per certi versi, anche con affinità con Gary Moore, nel senso che gli piace “picchiare”, con giudizio, nella propria musica. Nel nuovo disco Chambers è affiancato da Kris Schnebelen ex Trampled Under Foot alla batteria, oltre che da Todd Cook al basso e da Michael Hensley alle tastiere, più altri ospiti che vediamo fra un attimo: l’iniziale I Need Your Lovin’, uno dei sette brani originali firmati dal nostro, è un poderoso rock-blues di stampo southern, molto alla ZZ Top, con la chitarra che inizia a volteggiare con vigore sulle evoluzioni della sezione ritmica e dell’organo; in Bottle Keeps Staring At Me Chambers passa alla slide, per un brano che mi ha ricordato moltissimo lo stile di Rory Gallagher, mentre la title track è un torrido blues lento (firmato insieme al collega Jimmy Bennett) in cui Sean ci delizia con uno di quei classici assoli da faccina, quelli dove il chitarrista estrae dal suo strumento fino all’ultima stilla di feeling, e per fare ciò il viso si contorce in smorfie che fanno pensare a qualcuno affetto da una forte acidità di stomaco, oppure che stia eseguendo un assolo della Madonna, e per l’occasione siamo nella seconda categoria.

E pure nel reparto vocale non si scherza, il musicista della Florida è un possesso di una voce potente ed espressiva, e nella successiva Travelin’ North, dove John Ginty siede all’organo, i due si sfidano in un sinuoso duetto chitarra-organo che rimanda all’accoppiata Ronnie Earl/Bruce Katz nei dischi dei Broadacasters. Cut Off My Right Arm è la prima delle tre cover, un blues più classico e rigoroso, dal repertorio di Johnny Copeland, sempre con il fluido lavoro della solista in evidenza; Bullfrog Blues, un traditional degli anni ’20, lo si ricorda nella versione dei Canned Heat, ma a chi scrive soprattutto in quella di Rory Gallagher, e la grinta di Chambers, di nuovo alla slide, si rifà moltissimo all’approccio poderoso del grande irlandese, e per completare il tuffo nel passato Schnebelen piazza pure un “desueto” assolo di batteria. Eccellente anche la ripresa di Sweeter Than An Honey Bee, un brano di B.B. King, con Michael Hensley al piano, dove la band, con Sean anche all’acustica si lancia in un vorticoso ritmo che più che a Riley rimanda di nuovo a Gallagher in trasferta sul Mississippi; Handyman è firmata di nuovo con Bennett, che è anche impegnato alla seconda chitarra, ancora un brano a tutto riff, che vira verso il lato più tirato e rock della musica di Chambers, che comunque suona sempre come un indemoniato. E tanto per non farci mancare nulla Be Careful With A Fool è un altro slow blues di quelli intensi, con la chitarra che inanella una serie di assoli lancinanti della premiata scuola Jimi Hendrix o Stevie Ray Vaughan, mentre in Gonna Groove, firmata ancora con Bennett, come da titolo  si va molto di funky felpato, con organo sincopato e anche se la tensione si allenta un attimo l’assolo prima di slide e poi della solista tradizionale è sempre di grande classe e finezza, come tutto l’album del resto. Se vi piace il blues-rock chitarristico non passate oltre.

Bruno Conti    

Un’Altra Bella Coppia, Musicale. John Ginty Feat. Aster Pheonyx – Rockers

john ginty feat. aster pheonyx

John Ginty Feat. Aster Pheonyx – RockersAmerican Showplace Music                

Forse il nome John Ginty non dirà molto ai più, ma il nostro amico non è un novellino: in pista da più di 20 anni Ginty, che suona organo, piano e altre tastiere, appariva già negli anni ’90 in tutti i dischi di Neal Casal (e anche in quelli degli anni 2000), come pure in Strangers Almanac dei Whiskeytown, con i Blind Boys Of Alabama, nella prime versioni della Family Band di Robert Randolph, ha suonato anche in Shaman di Carlos Santana, nel primissimo disco di Dana Fuchs Lonely For A Lifetime, con Kathleen Edwards: io personalmente lo ricordo come produttore e musicista insieme a Todd Wolfe e con le Court Yard Hounds, con Albert Castiglia, e moltissimi altri, insomma un bel CV. Ha registrato anche alcuni album a nome suo, tra cui un buon doppio dal vivo Fireside Live, e recentemente ha deciso di unire le forze con Aster Pheonyx, che al di là di nome e cognome bizzarri (credo una storpiatura di un personaggio dei Manga giapponesi), ha già un album al suo attivo, pubblicato nel 2011. Il risultato, come si può forse intuire, per certi versi, ricorda quello dell’accoppiata Bonamassa/Beth Hart, con un tastierista al posto di un chitarrista (ma pure le 6 corde nel disco si apprezzano), la citata Dana Fuchs, e anche, andando indietro nel passato, Brian Auger & Julie Driscoll, visto che l’organo è spesso lo strumento solista. Ad esempio nei due strumentali posti in apertura e chiusura di questo Rocker: The Shark, su un groove funky e corposo creato da Justine Gardner al basso e Maurice “mOe” Watson alla batteria, l’organo Hammond B3 di Ginty sembra quello di Auger ai tempi degli Oblivion Express https://www.youtube.com/watch?v=j_wbibie_wk , mentre nella conclusiva Rockers pare addirittura di ascoltare le evoluzioni prog-rock di Keith Emerson negli E L & P.

Il resto dei brani dell’album portano la firma unita di Ginty E Pheonyx e svoltano decisamente verso un rock-blues energico, ma di qualità, grazie alla bella voce di Aster, che a tratti rivaleggia con i nomi citati in precedenza, ma nella raffinata Mountains Have My Name pare emulare Susan Tedeschi, in un gospel-rock di grande intensità, grazie anche al tocco di classe di piano e organo, suonati magistralmente dal bravo Ginty. Altrove il rock è decisamente più energico, come nella vorticosa Lucky 13, ancora con le svisate dell’organo ben controbilanciate comunque dalle chitarre tirate di Mike Buckman e Jimmy Bennett, e pur sempre con elementi soul ben presenti. Entrambi nativi del New Jersey, Ginty ha scoperto Aster mentre cantava in un bar di Asbury Park (!?!), e i due hanno creato una bella alchimia, come confermano i brani dell’album: dalla gagliarda Believe In Smoke, molto vicina al sound della Fuchs, a Target On The Ground, con un bel dualismo piano elettrico/urgano e un’aria soul che ricorda addirittura lo stile raffinato di Janiva Magness, e pure Captain Hook mixa lo stile della Tedeschi con quello di Beth Hart (con cui condivide anche una passione per i tauaggi), con ottimi risultati. Mr. Blues tiene fede al suo nome https://www.youtube.com/watch?v=7gxeipAjq8Y , su un vorticoso giro creato dall’organo, si inseriscono chitarre dal suono rock e grintoso, e la voce sempre soulful della Pheonyx che mantiene il suo aplomb, mentre Ginty sfoggia un prodigioso solo di organo degno dei grandi dello strumento.

Dopo uno strano intermezzo con un DJ di una radio locale, l’album ci presenta uno dei brani più “morbidi”, una bella ballata pianistica come Priscilla, dove si apprezza ancora la calda vocalità di Aster, di nuovo molto vicina a Susan Tedeschi (e per affinità vocale anche a Bonnie Raitt) https://www.youtube.com/watch?v=cMySu3zgs3c , con Ginty che si cimenta anche alla Melodica. Electric si regge parimenti sulla forte attitudine vocale della ragazza, forgiata da anni di musica on the road e non da qualche improbabile talent show, con John che al solito fa i numeri all’organo, ben spalleggiato in questo caso da un bel lavoro della chitarra in modalità slide. Manca solo Maybe If You Catch Me, dove si vira quasi verso uno stile decisamente jazzy, da torch singer, per confermare la validità e la varietà di questo album, dove una bella voce convive con un pugno di ottimi musicisti che ne evidenziano la qualità con classe e mestiere. Se mi sono spiegato bene ed avete afferrato il genere, e lo amate, non lasciatevi sfuggire questo Rockers, potrebbe rivelarsi una bella sorpresa.

Bruno Conti