Un Altro “Giovanotto” Pubblica Uno Dei Suoi Migliori Album Di Sempre! Dion – Blues With Friends

dion blues with friends

Dion – Blues With Friends – Keeping The Blues Alive CD

Dion DiMucci, conosciuto semplicemente come Dion, fra un mese compierà 81 anni, di cui più di sessanta di carriera musicale: a dirlo uno non ci crede, in quanto il cantante originario del Bronx non dimostra assolutamente le sue primavere e soprattutto non le dimostra la sua voce, che è ancora incredibilmente limpida e giovanile. Dagli esordi negli anni cinquanta a capo dei Belmonts in poi, Dion ha sempre proposto un’ottima miscela di rock’n’roll, doo-wop, pop (il suo famoso album del 1975 Born To Be With You è stata una delle ultime produzioni di Phil Spector) e gospel, fino al ritorno al rock nel 1989 con lo splendido Yo Frankie. Nel nuovo millennio il nostro si è decisamente avvicinato al blues, con una trilogia di album di buona fattura pubblicati tra il 2006 ed il 2011 “interrotti” nel 2016 dal più variegato New York Is My Home https://discoclub.myblog.it/2016/02/18/vecchie-glorie-alla-riscossa-dion-new-york-is-my-homejack-scott-way-to-survive/ . Quest’anno Dion ha deciso di tornare di nuovo al blues, ma questa volta ha alzato il tiro a livelli inimmaginabili, confezionando un disco davvero magnifico, con una serie di ospiti da capogiro ed una produzione nettamente migliore rispetto agli ultimi lavori.

Blues With Friends è quindi una sorta di capolavoro della terza età per Dion, un album strepitoso in cui il nostro si cimenta ancora con la musica del diavolo (ma non solo, c’è anche qualche brano non blues) e lo fa con un parterre de roi incredibile, una serie di musicisti che non appaiono tutti i giorni su un disco solo, e che vedremo tra poco canzone dopo canzone. Ma il protagonista del disco è senza dubbio Dion, con la sua voce ancora splendida e la sua attitudine da bluesman sempre più sicura: se devo essere sincero, quando nel 2006 era uscito Bronx In Blue avevo storto un po’ il naso dato che non ritenevo Dion adatto al blues (ma il disco si era rivelato ben fatto), però negli anni il rocker newyorkese mi ha smentito acquistando sempre più credibilità come bluesman. E non è tutto: in Blues With Friends non ci sono cover di classici del blues, ma tutti i brani sono usciti dalla penna del nostro, alcuni nuovi, altri rifatti, altri ancora tirati fuori da un cassetto (e per il 98% scritti insieme a tale Mike Aquilina). Pare che lo stimolo iniziale per il progetto lo abbia dato Joe Bonamassa (ed infatti il CD esce per la Keeping The Blues Alive Records, etichetta di sua proprietà), ma gli altri grandi della chitarra non hanno tardato a rispondere presente, a parte qualche inevitabile assenza (dov’è Clapton?): e attenzione, questo non è un disco di duetti vocali (ce ne sono solo due su 14 brani totali), ma un album di chitarre al 100%.

La house band, se così si può dire, è formata dallo stesso Dion alla chitarra ritmica e da Wayne Hood (che produce anche il lavoro con Mr. DiMucci, una produzione solida ed asciutta) alla seconda chitarra, basso, tastiere e batteria; dulcis in fundo, Dion stesso accompagna nel libretto ogni canzone con interessanti aneddoti, e la prefazione è stata scritta nientemeno che da Bob Dylan, che ha gratificato il nostro con parole molto sentite e toccanti. L’iniziale Blues Comin’ On vede proprio Bonamassa protagonista, un boogie poderoso dal suono limpido e forte e dominato dalla voce scintillante del leader, con “JoBo” che arrota da par suo piazzando un paio di assoli torcibudella: miglior avvio non poteva esserci. Kickin’ Child era già stata incisa da Dion nei sixties con la produzione di Tom Wilson (era anche il titolo del suo “lost album” uscito nel 2017), ma qui viene rifatta con uno stile rock-blues pimpante ed allegro che ricorda un po’ B.B. King, accompagnato dalla chitarra “swamp” di Joe Menza (un commerciante in chitarre vintage che si cimenta anche con lo strumento); la sei corde piena di swing di Brian Setzer contribuisce fin dalle prime note alla riuscita della bella Uptown Number 7, altro coinvolgente boogie dal ritmo vigoroso con Dion che gorgheggia con la solita naturalezza ed il biondo Brian che lo segue senza perdere un colpo.

Il tintocrinito Jeff Beck è uno dei più grandi chitarristi di tutti i tempi (sicuramente da Top Ten, per qualcuno anche da Top Five) e qui è alle prese con Can’t Start Over Again che è uno slow più country che blues e forse un tantino sdolcinato (e poi quel synth che scimmiotta la sezione d’archi…), ma Jeff accarezza comunque il brano con classe e misura, mentre con My Baby Loves To Boogie torniamo in territori più consoni con un pezzo tutto ritmo e feeling, un jump blues classico nel quale le chitarre soliste sono di Dion e Hood in quanto l’ospite, John Hammond, per l’occasione suona (bene) l’armonica. Forse I Got Nothin’ potrebbe essere considerato un blues abbastanza canonico, ma se poi ci piazzi il grande Joe Louis Walker alla solista e soprattutto Van Morrison alla voce (in duetto con Dion), ti ritrovi con uno dei pezzi migliori del CD, da ascoltare in religioso silenzio; i fratelli Jimmy e Jerry Vivino, rispettivamente alla chitarra e sax, donano spessore, calore ed un tocco di raffinato jazz a Stumbling Blues, mentre Billy Gibbons non ha mezze misure dato che la chitarra se la mangia a colazione, e con la solidissima e cadenzata Bam Bang Boom porta un po’ di Texas nel Bronx. Se Gibbons è un macigno, Sonny Landreth è un fine tessitore di melodie con la sua splendida slide, ma sa dare potenza quando è necessario come accade con I Got The Cure (dove spuntano anche i fiati), fornendo una prestazione strepitosa, ricca di classe e grondante feeling, per uno degli highlights del CD.

Con Song For Sam Cooke (Here In America) Dion mette un attimo da parte il blues per un toccante omaggio al grande soul singer citato nel titolo (i due si conoscevano bene), una splendida ed evocativa ballata di stampo folk impreziosita dal violino di Carl Schmid e soprattutto dalla voce di Paul Simon, che fornisce il secondo duetto del disco. La giovane promessa del blues Samantha Fish si destreggia con brio ed energia nella saltellante e godibile What If I Told You (performance eccellente), e non sono da meno ancora John Hammond (slide) e la brava Rory Block (chitarra, basso e controcanto) nel notevole country-blues elettroacustico Told You Once In August, un pezzo degno di Mississippi John Hurt. Finale all’insegna della E Street Band prima con la roboante e coinvolgente Way Down (I Won’t Cry No More), dove la chitarra solista è di Little Steven che tira fuori un assolo molto sanguigno, e poi con il Boss e signora, quindi Bruce Springsteen (chitarra solista, ma non voce) e Patti Scialfa (armonie vocali) che accompagnano Dion nella bellissima e ricca di pathos (ma non blues) Hymn To Him, remake di un brano già inciso dal nostro nel 1987 e finale perfetto per un disco favoloso.

Credo che dal prossimo album Dion dovrà rivolgersi ad un genere musicale diverso, dato che per quanto riguarda le dodici battute a mio parere ha raggiunto l’apice con questo imperdibile Blues With Friends: disco blues dell’anno?

Marco Verdi

L’Ultima Volta Dell’Indimenticabile “Big Man”! Bruce Springsteen & The E Street Band – HSBC Arena, Buffalo, NY 11/22/09

bruce springsteen buffalo 2009

Bruce Springsteen & The E Street Band – HSBC Arena, Buffalo, NY 11/22/09 – Bruce Springsteen/Nugs.net 3CD/Download

Nel 2016 la pubblicazione di storici concerti d’archivio da parte di Bruce Springsteen (di cui avevo fatto un riassunto in questo blog http://discoclub.myblog.it/2016/02/14/supplemento-della-domenica-bruce-springsteen-sempre-comunque-grandissimo-performer-il-punto-sugli-archivi-live-del-boss/ ) ha subito un rallentamento, principalmente per lasciare spazio agli instant live tratti dagli 89 shows del River Tour: solo il doppio The Christic Shows, da due esibizioni acustiche del 1990 http://discoclub.myblog.it/2016/07/03/il-supplemento-della-domenica-dello-springsteen-dagli-archivi-live-del-boss-ottimo-anche-senza-la-band-bruce-springsteen-the-christic-shows-1990/ , e, sotto Natale, questo triplo tratto da un concerto svoltosi a fine 2009 a Buffalo, nello stato di New York, per la serata conclusiva della tournée a supporto dell’altalenante album Working On A Dream, forse il meno riuscito della carriera del Boss dopo il raffazzonato High Hopes (la recensione del live arriva solo adesso in quanto ho atteso più di due mesi che mi arrivasse il CD). Il perché di questa scelta apparentemente strana, visto che questo tour, pur presentando un Bruce in grande forma (avevo assistito alla serata di Torino, una delle migliori da me mai viste per quanto riguarda il Boss) non è certo passato alla storia come tra i suoi più leggendari, è presto detta: il concerto di Buffalo è anche l’ultimo con il grande Clarence “Big Man” Clemons in formazione, dato che il sassofonista di colore morirà per malattia nel Giugno del 2011. Chiaramente all’epoca nel concerto ancora non si sapeva che la E Street Band, già orfana di Danny Federici, avrebbe avuto un altro lutto, e proprio nell’elemento più amato dal pubblico (a parte Bruce naturalmente), vecchio amico e compagno di scorribande del Boss, un vero gigante buono che è anche sempre stato una parte fondamentale nel suono degli E Streeters, pur non essendo certo considerato tra i fenomeni mondiali del suo strumento.

In questo concerto quindi si respira la solita aria di festa, ed il triplo CD si ascolta che è un piacere: l’apertura è potente con Wrecking Ball, all’epoca ancora inedita su disco, poi si entra subito in clima “arena rock” con The Ties That Bind e Hungry Heart, ed un dovuto omaggio a Working On A Dream con l’obamiana title track, una canzone assolutamente normale che infatti sparirà dalle scalette dei successivi tour. Ed ecco la parte più ghiotta della serata: sappiamo che ormai da anni il Boss ha preso l’abitudine di omaggiare ogni tanto i suoi album più popolari del passato suonandoli da cima a fondo (Born To Run, Darkness On The Edge Of Town, Born In The U.S.A., The River lo scorso anno), ma questa sera decide di fare una cosa mai vista, cioè riproporre in versione aggiornata il disco da cui è nato tutto, ovvero il suo esordio del 1973, Greetings From Asbury Park, NJ, un album all’epoca passato quasi inosservato ma ampiamente rivalutato negli anni (e Bruce stasera lo dedica al suo scopritore, il leggendario produttore John Hammond). Si parte quindi con la solare Blinded By The Light, piena di suoni e ritmo, per finire con la fluida It’s Hard To Be A Saint In The City (che chiude anche il primo CD): in mezzo, la sempre bellissima Growin’ Up, la drammatica Lost In The Flood, interpretata con la solita incredibile intensità, le travolgenti Does This Bus Stop At 82nd Street? e Spirit In The Night, la poco conosciuta The Angel: davvero una gradita sorpresa.

Il secondo CD presenta alcuni classici (The Promised Land, Born To Run, The Rising, Tenth Avenue Freeze-Out), ma anche diverse chicche, a partire, visto che siamo a fine Novembre ed è l’ultimo concerto del tour, da un uno-due formato dalle festose Merry Christmas Baby e Santa Claus Is Coming To Town; poi abbiamo la rara Restless Nights (era sul cofanetto Tracks), dedicata a Little Steven dato che è anche il suo compleanno, ed un trittico molto interessante di cover formato dal mitico strumentale di Booker T & The MG’s Green Onions, da una Boom Boom molto più rock’n’roll e meno blues di quella di John Lee Hooker, e da Hang Up My Rock And Roll Shoes di Chuck Willis, arrivata sul palco come richiesta e con conseguente siparietto di Bruce che se la prende con l’autore del cartello per non aver incluso anche il testo, dato che dichiara di non ricordarlo (ma poi la canterà in maniera impeccabile). Il terzo ed ultimo dischetto è incentrato sui bis, tra i quali troviamo una Thunder Road full band, la sempre irresistibile American Land e le ormai classiche Dancing In The Dark e Rosalita. Come conclusione abbiamo una torrenziale ed incandescente Higher And Higher, noto brano di Jackie Wilson (e con Willie Nile ospite ai cori) ed un finale a tutto rock’n’roll con la famosa Rockin’ All Over The World di John Fogerty. Gran concerto, inciso anche splendidamente, il modo migliore per omaggiare il grande Clarence Clemons.

Marco Verdi

Una Serata Da Ricordare! John Lee Hooker & Friends – The House Of Blues

john lee hooker house of blues 2

John Lee Hooker & Friends – The House Of Blues – Klondike 

Il titolo potrebbe essere fuorviante, perché in effetti John Lee Hooker appare solo negli ultimi tre pezzi, ma il concerto è veramente fantastico. Si tratta della registrazione di una serata alla famosa House Of Blues di West Hollywood, Los Angeles, uno dei locali della catena di proprietà di Elwood Blues (ovvero Dan Aykroyd, qui impegnato solo come presentatore, vista la presenza di un paio di armonicisti niente male, di cui tra un attimo): siamo nel giugno del 1995, il concerto viene trasmesso dall’emittente radiofonica WLUP-FM e dovrebbe far parte anche della serie TV Live From House Of Blues che andò in onda sulla TBS (il network di Ted Turner) per 26 puntate e un paio di anni e di cui recentemente hanno festeggiato il 20° Anniversario. Da non confondere con un DVD con lo stesso titolo John Lee Hooker And Friends che però riporta, sempre in modo non ufficiale, una serata con Ry Cooder e Bonnie Raitt. Intanto diciamo che il CD è pubblicato dalla Klondike (due diverse copertine), ma secondo me guardando le grafiche più o meno identiche del retro dei vari dischetti relativi ai broadcast più disparati, non solo per questo concerto, li fa tutti la stessa casa, usando nomi diversi: dicevo comunque che il CD questa volta non è inciso solo abbastanza bene, è perfetto, come un disco ufficiale, la particolarità che lo contraddistingue come “Historic Radio Recordings” (o così è scritto) è il fatto che si tratta proprio della registrazione completa della trasmissione radiofonica, con tanto di presentazioni, annunci, perfino qualche sponsor, riportati nell’esatta sequenza in cui ascoltarono il concerto alla radio in quel lontano 1995.

john lee hooker house of blues 1

Ed è un gran bel ascoltare: la house band della serata è quella di Duke Robillard, in gran forma e in uno dei suoi migliori periodi a livello discografico, quello degli album per la Point Blank/Virgin, particolare che lo unisce ad altri partecipanti della serata, oltre al festeggiato John Lee Hooker, anche John Hammond e Charlie Musselwhite, incidevano tutti per la stessa etichetta. Ovviamente il fatto, anche se significativo, non inficia o eleva la qualità del concerto: si parte, dopo l’introduzione di Elwood Blues, con Zakiya Hooker, la figlia del grande Hook, alle prese con una poderosa Look Me Up, una ballata soul mid-tempo di ottimo spessore, e Robillard scalda subito l’attrezzo (la chitarra, cosa avete capito!) che rimane incandescente con una scintillante versione di Too Hot The Handle, il brano che dava il titolo al suo disco di esordio, con Duke che all’epoca era veramente in gran forma, ragazzi se suonava! E anche l’omaggio a Albert Collins con una lunga e sofferta Dyin’ Flu è da manuali del perfetto bluesman, un lento di quelli da sballo. La band rimane per accompagnare uno degli “originali” come Lazy Lester che propone una pimpante Sugar Coated Love, il suo successo per la Excello del 1958, che anche i Fabulous Thunderbirds avevano in repertorio la voce è ancora quella dei vecchi tempi e anche l’armonica viene soffiata con vigore.

John Hammond poi sale sul palco per proporre una versione fantastica di Come On In My Kitchen, solo voce e chitarra bottleneck acustica e si unisce con la band di Duke Robillard per proporre una Found Love che avrebbe trovato posto nel disco registrato insieme e che verrà pubblicato da lì a poco, ottimi gli interventi di Hammond all’armonica e di Duke alla solista. Altro armonicista incredibile è Charlie Musselwhite, ottimo anche il suo segmento di concerto con Blues Overtook Me e con una stellare rilettura di Help Me, il celeberrimo brano di Sonny Boy Williamson, oltre otto minuti di grande blues. A questo punto arriva Taj Mahal, pure lui in grande serata, prima da solo, accompagnato da una tastiera, propone una divertente e salace Big Leg Mama, poi con la Duke Robillard Band altri lati del suo enorme talento, la jazzata Strut dove si concede anche qualche accenno di scat e infine una versione di She Caught The Katy, dal suo capolavoro The Natch’l Blues, che lo mette in concorrenza con Otis Redding e non so chi vince. Nel disco originale alla chitarra suonava Jesse Ed Davis, ma in precedenza Taj aveva diviso i palchi con Ry Cooder che a questo punto sale sul palco con la sua slide per accompagnare John Lee Hooker in una magica versione di Crawling King Snake, fantastica l’intensità della accoppiata con il Maestro, in gran forma con il suo vocione che incita Ry a estrarre dalla sua chitarra l’essenza del blues, poi riproposta in una versione full band più la slide di Cooder, di nuovo con Robillard e soci, del classico One Bourbon One Scotch One Beer e a concludere i poco più di  dodici essenziali minuti della presenza di Hooker non poteva mancare una esplosiva Boom Boom, fine, titoli di coda, grande serata, assolutamente da avere!

Bruno Conti

Novità Di Gennaio Parte IIb. A.J. Croce, Amy Ray, Rhonda Vincent, Beth Nielsen Chapman, Autumn Defense, John Hammond

aj croce twelve talesamy ray goodnight tender

Seconda parte del Post di ieri, altre sei interessanti uscite discografiche, diciamo “minori”. Di tutto non si riesce a parlare, ma come vedete le recensioni si succedono a raffica (fra poco arrivano anche Damien Jurado e Robben Ford), per cui bando alle ciance e partiamo.

A.J. Croce tra i vari figli d’arte è uno dei migliori in circolazione (il babbo era Jim Croce, cantautore dei primi anni ’70, spesso sottovalutato dalla critica, perché aveva successo e questo era un delitto di lesa maestà). Era dal 2009 che non pubblicava dischi nuovi, l’ultimo Cage Of Music, e nella mia carriera di recensore (anche sulla carta stampata, Buscadero) mi è capitato di occuparmi di lui in passato. Pianista e cantante di ottima qualità, parzialmente cieco dall’infanzia per un tumore che ha rischiato di farlo morire (il babbo morì in un incidente aereo) Adrian James Croce ha esordito nel lontano 1993 con un disco omonimo che era co-prodotto da T-Bone Burnett e John Simon (quello della Band), con Ron Carter, Robben Ford, Jim Keltner e Benmont Tench tra i musicisti utilizzati. Ottimo anche il secondo That’s Me In The Bar, ancora con Robben Ford, Ry Cooder, Stephen Bruton, David Hidalgo, Bill Payne, Dean Parks e di nuovo Jim Keltner che era anche il produttore. Ma senza raccontarvi tutta la discografia i dischi di A.JCroce sono sempre stati piuttosto buoni, con uno stile che oscilla tra il cantautore pianista raffinato, il bluesman, l’innamorato della musica di New Orleans e dintorni. Questo nuovo 12 Tales esce nuovamente per una etichetta importante, la Compass, dopo qualche anno di dischi autogestiti. Per non farsi mancare nulla ha scelto 6 dei migliori produttori in circolazione per registrare questo disco che lo riporta ai vecchi splendori: Tony Berg (Fiona Apple, Bob Dylan), Mitchell Froom (Crowded House, Los Lobos), “Cowboy” Jack Clement (Elvis Presley, Johnny Cash),  Kevin Killen (Elvis Costello, Peter Gabriel), Allen Toussaint (Dr. John, Paul McCartney) e
Greg Cohen (Tom Waits, John Zorn) praticamente i primi che passavano per strada http://www.youtube.com/watch?v=5VZZsjQ0ZQA !

Lo sanno tutti, ma ricordiamolo, Amy Ray è una delle due Indigo Girls (insieme ad Emily Saliers): come solista questo Goodnight Tender è il sesto album che appare. Esce per la Daemon Records che pubblica sempre il loro materiale quando non agiscono come duo. Si tratta di una primizia per la brava cantante: un disco di country. Genere che ha fatto sempre capolino nelle prove di Amy ma non in modo così evidente. Ed il disco è veramente bello, uno dei migliori un assoluto della sua carriera, da sola o in coppia. Già il fatto che ci sia un brano intitolato Duane Allman dove le armonie vocali sono a cura di Susan Tedeschi depone a favore della qualità musicale. Ma nel disco ci sono anche Justin Vernon (Bon Iver per i meno attenti), Heather McEntire dei Mount Moriah, Kelly Hogan e molti altri musicisti, Megafaun dice qualcosa?, meno noti ma di gran spessore. Sentire per credere http://www.youtube.com/watch?v=vWw14MJ-xzM

rhonda vincent only mebeth nielsen chapman uncovered

Altre due deliziose voce femminili, sempre benvenute su questo Blog: nomi che su queste pagine virtuali vengono sempre citati con piacere. L’ultimo disco ricordato di Rhonda Vincent, era stato il CD dal vivo del 2012, Sunday Mornin’ Singin Live, pubblicato, come i precedenti dalla sua etichetta, la Ingrooves/Upper Managent (prima uscivano per la Rounder). Chiamata, non a caso, “The Queen Of Bluegrass”, la Vincent ha una delle più belle voci in circolazione, come conferma questo nuovo Only Me (stessa etichetta), anche se questa volta il disco si divide tra bluegrass e country tradizionale e un disco più honky-tonk. E’ un doppio, ma contiene dodici canzoni in tutto, 6 per CD, non sanno più cosa inventare e duetti con Daryle Singletary Willie Nelson (strano non lo fa mai con nessuno). Se amate il genere, una piccola chicca http://www.youtube.com/watch?v=t94iNHwb62Q .

Anche Beth Nielsen Chapman non appare su Disco Club per la prima volta, se volete sapere tutto (o quasi) su di lei lo trovate qui, http://discoclub.myblog.it/2010/04/04/beth-nielsen-chapman-back-to-love/. Anche la nostra amica ha la sua etichetta personale (un’esigenza che molti artisti ormai devono avere per sopravvivere), la BNC, per cosa starà, mistero? E anche il nuovo Uncovered esce in questo modo autogestito: si tratta di un disco “strano”, un album di cover all’incontrario, è lei che canta le sue canzoni che sono state successi in passato per altri cantanti, e lo fa ospitando nel disco quasi tutti gli artisti originali. Senza farla troppo lunga, ma per incuriosirvi, sappiate che nel CD cantano e suonano: Duane Eddy Jessie Colter-Jennings Vince Gill Darrell Scott Pam Tillis & Lorrie Morgan Amy Grant Mary Chapin Carpenter Gretchen Peters, Suzy Bogguss and Matraca Berg Bekka Bramlett Phil Cunningham, John McCusker, e molti altri, vedete voi, se interessa http://www.youtube.com/watch?v=gxWFyk2QAek !

autumn defense fifth

john hammond timeless live

Due segnalazioni in breve per concludere. La prima è per il nuovo album degli Autumn Defense, che per aiutare il recensore alle prime armi si chiama Fifth. Stiamo parlando della band collaterale di Pat Sansone e John Stirratt, quando non sono impegnati con i Wilco, molto piacevoli e con un sound tipicamente 70’s, niente male http://www.youtube.com/watch?v=uHoDiVChxiY .

L’altra segnalazione è per il nuovo album di John Hammond (Jr. se preferite, ma ormai il babbo non c’è più da tempo e il rischio di confonderli è molto basso), uno dei più grandi bluesmen bianchi di sempre: il nuovo CD si chiama Timeless, è dal vivo, in solitaria, solo voce, chitarra ed armonica, e secondo alcuni tra i suoi migliori in assoluto. Visto che quei due o tre album di Blues, ogni tanto, mi capita di recensirli, magari ci ritorno con più calma http://www.youtube.com/watch?v=lTs6DC3byWc .

Direi che per oggi, per il momento, è tutto.

Bruno Conti

 

 

 

Un “Narratore” Di Blues. Doug Macleod – There’s A Time

doug macleod there's a time.jpg

 

 

 

 

 

 

Doug MacLeod – There’s a Time – Reference Recordings

Doug MacLeod è un distinto signore che ad aprile compirà 67 primavere, capello e pelle bianchi, espressione seria e dignitosa, uno degli ultimi storytellers del Blues, diretto discendente dei bluesmen classici ma anche dei cantautori folk, quelli che hanno una storia da raccontare nelle proprie canzoni, basata su fatti di vita vissuta, esperienze quotidiane ma anche pescate dalle storie sentite in giro e riadattate secondo la sua sensibilità. Con una lunga gavetta alle spalle, raccontata anche nelle ricchissime note del libretto allegato a questo There’s A Time, il primo (secondo quello che dice lui stesso, ma poi nella discografia ne viene riportato un secondo, sia pure di una etichetta collegata) per la Reference Recordings, una storica etichetta di San Francisco, specializzata in classica e jazz, ma soprattutto di musica per audiofili (24-bit HCD recordings).

Tornando alla sua carriera, MacLeod si è fatto le ossa collaborando con gente come George ‘Harmonica” Smith, Eddie ‘Cleanhead’ Vinson, Lowell Fulson, Big Mama Thornton, veri monumenti del Blues, ma anche Albert King, Little Milton e Ike & Tina Turner, poi dal 1984 ha iniziato una trentennale carriera da solista, pubblicando da allora ben più di 20 album tra studio e live, un DVD didattico per chitarristi, visto che insegna anche e ha scritto oltre 300 canzoni che sono state interpretate da molti grandi musicisti, Dave Alvin, Albert Collins, Eva Cassidy, Son Seals, Joe Louis Walker, Chris Thomas King, Coco Montoya e moltissimi altri sono stati tra i suoi “clienti. Ha tenuto pure una rubrica sulla rivista Blues Revue e ha avuto anche un programma radiofonico. Un artista a tutto tondo, come si suole dire, ma soprattutto un bluesman puro e duro. A questo punto della recensione dovrebbero rimanere solo i veri appassionati di blues, perché soprattutto a loro è destinato questo disco: se in una classificazione generalista al CD dovremmo dare tre stellette (e quindi un onorevole 6, anche 6 e ½) in un ambito più specializzato, ovvero Blues, il disco si merita anche un bel 7. Non dico questo per precludere l’ascolto ai non appassionati, ma il disco per costoro potrebbe, come diceva il “finto” Sacchi a Mai Dire Gol, essere “un po’ ostico e persino agnostico”.

Registrato in trio, con la sua bella sezione ritmica, costituita da due veterani del genere come Jimi Bott alla batteria e Dennis Croy al contrabbasso (entrambi con una bella biografia riportata in quel corposo libretto di cui vi dicevo in precedenza), il disco ha comunque un approccio chiaramente acustico, Doug MacLeod si divide tra le sue tre chitarre, che hanno tutte un nomignolo, “Owl” la National semplice, “Moon” la National Reso-phonic e “Little Bit”, perché perde i pezzi, uno alla volta, la Gibson. Ce n’è anche una quarta, una National El Trovador a 12 corde, prestata per l’occasione e utilizzata in uno dei 13 brani dell’album, una complessa The Up Song, dove MacLeod si lancia anche in alcuni arditi falsetti oltre alle consuete linee intricate di chitarra che sfociano in un assolo breve (come di consueto) ma ricco di classe e ben supportato dalla notevole sezione ritmica. L’iniziale Rosa Lee, suonata sulla Reso-phonic ha quello stile strascicato tipico dell’approccio slide e, come tutte le altre, questo suono fantastico e ben definito, ottenuto negli studi di registrazione SkyWalker Sound di Marin County, Ca, dove l’album è stato registrato in presa diretta, live, con i tre musicisti schierati uno di fronte all’altro e con chitarra, basso e batteria che suonano con una precisione quasi chirurgica. Se vogliamo paragonarlo ad un bianco che fa questo genere (perché i neri costituiscono il cuore della musica), il primo che mi viene in mente, sia per l’approccio rigoroso che per il tipo di voce è il buon David Bromberg, che però si muove anche in altri stili e generi, o il John Hammond dei dischi dalle sonorità più acustiche.

Black Nights è un slow blues intensissimo suonato sulla Gibson Little Bit, con una tecnica e un feeling eccezionali e cantato con passione ed una voce rodata da migliaia di ore di concerti dal vivo, calda e di grande spessore tecnico, come l’eccellente I’ll Be Walking On che ha anche un sapore gospel. My Inlaws Are Outlaws, come dice lo stesso Doug nelle ricchissime note, è l’unico brano non basato su una storia vera ma la qualità della musica non ne risente. The Entitled Few, di nuovo alla National e in solitaria, il ritmo tenuto con il piede, racconta la storia di un finto handicappato che usava la sua tessera per trovare un parcheggio riservato (chissà perché mi ricorda qualcosa!) e da lì si dipana per un mezzo talking blues con “aiutino” di Memphis Slim per il verso finale. MacLeod non fa mistero che la sua musica utilizza anche pezzettini di altri, ma poi l’esecuzione è assolutamente personale. L’intricato fraseggio di A Ticket Out, con il basso di supporto, ci permette di gustare la sua tecnica sopraffina e quella voce notevole. Mi dilungo un po’ perche il disco merita, nella seconda parte un paio di brani, The Night Of The Devil’s Road, con una chitarra atmosferica e delle atmosfere rarefatte e maestose e Ghost, anche questa intensa ed arcana, sono quasi magiche mentre Dubb’s Tallkin’ Religion Blues, come da titolo, è parlata, ma spezza il ritmo e viene tirata troppo per le lunghe, probabilmente dal vivo ha un suo perché, ma su disco annoia un poco. Detto che Run With The Devil racconta la sua particolare versione dell’incontro con il diavolo all’incrocio fatidico ed è suonata nuovamente con la sua National dal suono incredibile, consiglio il disco soprattutto agli appassionati del Blues, che peraltro già conoscono ed apprezzano questo artigiano di gran classe, per “specialisti” e per “apprendisti”.

Bruno Conti

Cura Dimagrante Per “The Queen Of Soul” – Aretha Franklin – Take A Look Box Set

arethafranklinbox2011.jpgaretha franklin take a look.jpgaretha franklin great american songbook.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Aretha Franklin – Take A Look – Columbia Legacy 11 CD + 1 DVD Box Set

Aretha Franklin – The Great American Songbook – Sony/Bmg Legacy

Quest’anno si celebra il 50° anniversario dall’ingresso della grande Aretha Franklin nell’agone della musica pop, il 27 febbraio del 1961 usciva il suo primo album per la Columbia Aretha (With The Ray Bryant Combo) prodotto da quello che viene considerato il suo “scopritore John Hammond (e di Robert Johnson, Billie Holiday, Bob Dylan, Bruce Springsteen, uno che aveva un “certo occhio” per la musica). Le ultime voci sulla sua salute la danno in ripresa e dimagrita (leggermente, magra non è mai stata) dopo la riuscita operazione per il tumore al pancreas, in una radio americana (Tavis Smiley Show) a presentare un’anteprima di quella che sarà una sua nuova produzione, cantando The Way We Were della Streisand in duetto con Ron Isley. Le altre notizie parlando di questo nuovo album (Woman Falling Out Of Love?) annunciano una produzione di R.Kelly e duetti con Faith Hill, BeBe Winans e Kiki Sheard, speriamo bene! Ma questa è un’altra storia. Oltre al tributo ai recenti Grammy la Columbia pubblica questo Box con 11 CD e 202 canzoni + un DVD Aretha ’64! 5 brani dal vivo allo Steve Allen Show con un’orchestra completa.

Ma è Leon Russell quel bel giovine al piano?

Per un caso curioso il Box, che esce oggi 22 marzo negli Stati Uniti, in Inghilterra e nel resto del mondo, non vede, per il momento, la luce sul mercato italiano. Strano! Però esce, in serie economica, dopo la cura dimagrante, quel sampler singolo con 18 brani, The Great American Songbook. Ovviamente questa non è ancora la vera Queen Of Soul, quella arriverà nel periodo Atlantic successivo alla metà anni ’60, ma è già una cantante immane in possesso di una voce straordinaria, ricca di melisma e reduce da uni inizio di carriera nel gospel con il babbo il reverendo Charles Franklin.

Il Box raggruppa i primi 7 album pubblicati dalla Columbia in versione espansa ed alcune chicche. Ovvero:

* Aretha (With The Ray Bryant Combo)
* (Her debut on Columbia, produced by John Hammond, released Feb. 27, 1961)
* The Electrifying Aretha Franklin (1962)
* The Tender, the Moving, the Swinging Aretha Franklin (1962)
* Laughing On the Outside (1963)
* Tiny Sparrow: The Bobby Scott Sessions (newly compiled from 1963)
* Unforgettable—A Tribute To Dinah Washington (1964)
* Take A Look: The Clyde Otis Sessions (newly compiled from 1964)
* Runnin’ Out Of Fools (1964)
* A Bit of Soul (unreleased compilation album, 1965)
* Yeah!!! In Person With Her Quartet (1965; includes a previously unreleased version of the album)
* The Queen In Waiting (newly compiled singles and rarities, 1965-1969)
* BONUS DVD: Aretha ’64! Live on The Steve Allen Show (5 songs with a full orchestra)

La previously unreleased version di Yeah In Person With Her Quartet (che è comunque un disco molto bello) vuol dire che hanno tolto gli applausi posticci che erano stati aggiunti a una registrazione dal vivo in studio, ma senza pubblico.

Se questo è il periodo “meno buono” figuriamoci cosa potremmo aspettarci da un “Aretha complete on Atlantic Records”, vai Rhino Records!

Bruno Conti