E Il Lavoro E’ Stato Fatto Molto Bene, Nonostante La “Strana” Ma Riuscitissima Accoppiata. Marc Cohn & Blind Boys Of Alabama – Work To Do

omarc cohn blind boys of alabama work to do

Marc Cohn & Blind Boys Of Alabama – Work To Do – BMG Rights Management

Come dice il titolo, sulla carta questa accoppiata potrebbe sembrare “strana”, ma in effetti è stata rodata in lunghi anni di frequentazione: già nel 2017 Marc Cohn aveva collaborato con loro nel disco Almost Home con il brano Stay On The Gospel Side, scritto con John Leventhal (che è anche il produttore di questo Work To Do), basandosi su dei versi inediti di Clarence Fountain, il vecchio leader del gruppo che nel frattempo è scomparso nel 2018. Negli ultimi anni Cohn e i BBOA hanno effettuato diversi tour insieme e da una serata speciale al Katharine Hepburn Cultural Arts Center di Old Saybrook, Connecticut, registrata per l’emittente PBS per la serie The Kate, sono stati estratti sette brani registrati dal vivo, che sono stati aggiunti a tre canzoni di studio che inizialmente dovevano costituire un EP di materiale inedito. Il materiale di Work To Do, a parte due pezzi tradizionali notissimi come Walk In Jerusalem Amazing Grace, è costituito per gran parte da canzoni scritte da Marc Cohn stesso. In effetti ascoltando il repertorio di Marc Cohn, a partire dal suo cavallo di battaglia e maggiore, nonché unico grande successo, Walking In Memphis, la musica del 60enne cantautore di Cleveland ha comunque sempre avuto degli afflati gospel, inseriti comunque in un contesto di pop raffinato e di grande sostanza, ed è quindi un grande piacere riascoltare la voce di Cohn che non pubblica un album da Listening Booth 1970 del 2010, che però era composto tutto da cover di brani usciti in quell’anno, quindi l’ultimo CD di materiale originale, Join The Parade, risale al 2007.

Il nostro amico avrà anche perso tutti i capelli, ma la voce è rimasta uno strumento affascinante, dalle tonalità “scure” e di grande impatto emotivo, se poi viene rafforzata dalle armonie vocali fantastiche dei Blind Boys (di cui aveva già goduto anche Ben Harper, nel suo There Will A Light del 2014) il risultato è assicurato. Oltre a Cohn al piano e alla chitarra, troviamo Leventhal che suona di tutto, tastiere, chitarre, basso e batteria, e nella parte live, Randall Bramblett, anche lui a tastiere e organo, Joe Bonadio alle percussioni, Tony Garnier di dylaniana memoria al contrabbasso e i cinque BBOA alle voci. Proprio loro aprono le operazioni con una rilettura scintillante di Walk In Jerusalem, uno dei tre brani di studio, dove le loro voci vissute si incrociano, si sovrappongono, si sostengono, alternandosi come soliste, con l’accompagnamento affidato solo al battito delle mani e poco altro, mentre nella mossa Talk Back Mic, il pezzo nuovo scritto da Cohn e Leventhal, ci sono elementi sonori rock, swamp e soul, con l’eccellente lavoro full band di tutti gli strumentisti e la voce di Cohn, sicura e assertiva, circondata da quelle splendide di Beasley, Carter, McKinnie, Moore Williams. Il terzo e e ultimo pezzo nuovo di studio è la title track Work To Do, una ballata pianistica di impianto sudista splendida, dove sembra di ascoltare la Band migliore, con le doppie tastiere in grande spolvero e le armonie vocali da arresto per flagranza di bellezza dei cinque Blind Bloys, tra gospel e soul dai celestiali risultati, a dimostrazione che Cohn non ha perso il tocco di autore, e potrebbe ancora stupirci in futuro.

I brani in concerto, con Marc impegnato al piano; Bramblett alle tastiere, Garnier al Basso e Bonadio alle percussioni, si aprono con Ghost Train, una canzone che era sull’omonimo esordio del 1991, una ariosa ed avvolgente ballata pianistica, tipica del suo repertorio che, con l’aggiunta delle voci e del semplice schioccare delle dita dei BBOA, diventa irresistibile; Baby King viene da Rainy Season e il call and response tra un ispirato Cohn e le voci senza tempo del quintetto vocale in puro stile gospel, lascia senza fiato. Listening To Levon, da Join The Parade del 2007, fa il paio come bellezza con Levon, il celebre brano che Elton John dedicò al grande vocalist e batterista della Band Levon Helm, altra esecuzione da urlo per una ballata splendida che Marc interpreta con grande trasporto, anche senza la presenza delle splendide voci dei co-protagonisti della serata, che tornano però a farsi sentire nella lunghissima versione di Silver Thunderbird, soprattutto nella seconda parte, quando cominciano ad improvvisare ad libitum titillando e spingendo Cohn e soci verso le praterie celestiali del migliori gospel, con Jimmy Carter e Paul Beasley che fanno venire giù il piccolo teatro dove si svolge il teatro. Non contenti i cinque decidono di affrontare in modo inconsueto e geniale Amazing Grace, riarrangiata sulla melodia di House Of The Rising Sun e cantata divinamente dal quintetto. Ci si avvicina alla conclusione ma non può mancare naturalmente una stupenda rivisitazione di Walking In Memphis, il “piccolo” capolavoro di Marc Cohn che forse riceve il suo trattamento definitivo nell’occasione, grazie ai cori gospel dei BBOA. Molto bella anche One Safe Place, altra sontuosa ballata posta in chiusura. Peccato che manchi dalla serata  televisiva una versione travolgente di If I Had A Hammer, al limite la trovate qui https://thekate.tv/artist/marc-cohn-and-the-blind-boys-of-alabama/, dove si può vedere tutto il concerto completo.

In ogni caso non inficia il giudizio complessivo dell’album che rimane una delle più piacevoli sorprese di questo scorcio di stagione discografica.

Bruno Conti

Novita Prossime Venture 9. Un Modo Diverso Per Festeggiare L’Anniversario Dell’Uscita: Shawn Colvin – Steady On (30th Anniversary Acoustic Edition) In Uscita Il 13 Settembre

shawn colvin steady on 30th anniversary acoustic edition

Shawn Colvin – Steady On (30th Anniversary Acoustic Edition) – Shawn Colvin Self-released – 13-09-2019

Non è cosa rarissima, ma sicuramente inconsueta, che per festeggiare l’anniversario dell’uscita di un disco, si decida di inciderlo ex novo, per di più in versione acustica, solo voce e chitarra, quindi per sottrazione, in un album che in origine all’uscita nel 1989 era full band, con la produzione di Steve Addabbo e con un cast ricchissimo di musicisti, in cui spiccavano, tra i tanti, il co-produttore John Leventhal Hugh McCracken alle chitarre, Rick Marotta alla batteria, Bruce Hornsby al piano, Soozie Tyrell al violino e Suzanne Vega alle armonie vocali. Steady On poi nel 1991 vinceva il Grammy come Miglior Disco di Folk Contemporaneo, il primo di 3 vittorie totali, a fronte di 10 nominations cimplessive. Ricordo che in quegli anni, nel 1993, la Colvin venne anche a Milano per un brillante Showcase, sempre solo voce e chitarra, al Sorpasso, un piccolissimo locale che ormai non esiste più da decenni. A cavallo tra il secondo album Fat City e il disco Cover Girl, quello tutto dedicato a brani di altri artisti.

In effetti Shawn aveva già pubblicato un album a livello indipendente in precedenza e nel 1995 era uscito anche un Live registrato nel 1988. Tutto perché la nostra amica, anche se non si dovrebbe mai dire l’età delle signore (ma non è un segreto), veleggia per i 64 anni, e quindi il disco di esordio uscì quando aveva già 33 anni. Da allora ha pubblicato parecchi album sempre di buona qualità, ma negli ultimi anni anche lei ha dovuto piegarsi alla distribuzione in proprio, nel 2018 un CD-R di canzoni per l’infanzia The Starlighter e ora la nuova versione acustica di Steady On. Nel 2016 era uscito Colvin & Earle, un disco in coppia con Steve Earle https://discoclub.myblog.it/2016/06/21/buon-debutto-nuovo-duo-shawn-colvin-steve-earle-colvin-earle/e l’anno precedente il secondo disco di cover Uncovered https://www.youtube.com/watch?v=Y6ImwSLUJIM.  Mentre a livello di collaborazioni con altre colleghe, solo in tour, c’era stato l’ottimo Three Girls And Their Buddy, insieme a Patty Griffin Emmylou Harris, accompagnate da Buddy Miller, spettacolo apparso nel 2010 in un episodio della serie Soundstage della PBS:

Come risulta dai nuovi video che trovate all’interno del Post comunque la nostra amica porta i suoi anni con nonchalance, grazie anche all’eccellente lavoro del suo parrucchiere che le ha creato delle tinte brillanti, soprattutto quella nera del primo video, dove appare (quasi) identica a 30 anni fa. Scherzi a parte l’album sembra molto valido ed interessante anche in questa veste sonora più intima, la voce è sempre bellissima. I brani, gli stessi di allora, li trovate qui sotto, dopo il video.

Tracklist
1. Steady On
2. Diamond In The Rough
3. Shotgun Down The Avalanche
4. Stranded
5. Another Long One
6. Cry Like An Angel
7. Something To Believe In
8. The Story
9. Ricochet In Time
10. The Dead Of The Night

Il CD uscirà il prossimo 13 settembre.

Bruno Conti

Dieci In Pagella Da Uncut Per Il Primo Grande Disco Del 2014! Rosanne Cash – The River And The Thread

rosanne cash the river

Rosanne Cash – The River And The Thread – Blue Note/Unversal 14-01-2014

Partiamo da un assunto: dischi così belli se ne fanno pochi in un anno, forse anche in una decade e, per certi versi, anche nel corso di una vita, però 10 vuole dire la perfezione, la bellezza suprema, nella mente del recensore del mensile inglese Uncut (Luke Torn) che gli ha assegnato questa votazione chissà se sono passati dischi come Blonde On Blonde e Highway 61 Revisited di Dylan o Electric Ladyland di Hendrix, Revolver dei Beatles, Pet Sounds dei Beach Boys, il Johnny Cash At San Quentin del babbo, Astral Weeks o Moondance (che ha ottenuto otto nella recente ristampa!) di Van Morrison, ma solo per citare alcuni dei dischi più celebri della storia, ce ne sono altre decine, venuti prima o dopo che meriterebbero questo giudizio (che si può equiparare alle classiche 5 stellette) e quindi, secondo questo metro di giudizio, quanto dovrebbero avere come votazione? Undici o dodici?! Attenzione non è per denigrare il disco di Rosanne Cash, ma per mettere tutto in una prospettiva più giusta; sono sempre stato un ammiratore incondizionato della figlia di Johnny, fin dai tempi degli esordi (beh, magari il primo omonimo registrato in Germania nel 1978, con musicisti locali, non era fenomenale, ma già da Right Or Wrong e Seven year ache si capiva che eravamo di fronte ad un talento formidabile), il modo di scrivere, le canzoni, la voce bellissima, la scelta dei musicisti ( e dei mariti, prima Rodney Crowell, poi John Leventhal), la dicono lunga sul buon gusto di questa signora dalla vita travagliata, ma gloriosa.

rosanne-feature

The River And The Thread è una sorta di conclusione di una trilogia ideale iniziata, dopo la morte del padre Johnny, con Black Cadillac nel 2006, proseguita nel 2009 con The List (qui trovate quello che ne avevo scritto ai tempi sul Blog http://discoclub.myblog.it/2009/11/10/rosanne-cash-the-list/) e ora portata a termine con il nuovo album, mentre nel frattempo, alla fine del 2007, Rosanne si sottoponeva anche ad un intervento al cervello. Per togliere ogni dubbio il disco è bellissimo, vogliamo essere pignoli ed assegnarli un nove o quattro stellette e mezzo, o un otto, per quel discorso di prospettiva appena fatto? Non cambia molto, l’album rimane bellissimo ma chi scrive si sente più tranquillo.

2013barclaycenter-nashvilleallforthe-hall

Concepito come una sorta di pellegrinaggio “mistico”, personale e musicale attraverso gli stati del Sud degli Stati Uniti, questo The River And The Thread, “Il Fiume E Il Filo” o meglio “Il Fiume E La Trama Del Filo”, dove il fiume ovviamente è il Mississippi e la “trama” è quella della vita e della musica, ispirato da una frase dettale dall’amica Natalie Chanin, quando stava insegnandole a cucire, “Devi imparare ad amare la trama del filo”, in inglese meglio, “You Have To Learn To Love The Thread”, pronunciata con l’accento di una che viene che da Florence, Alabama. E di personaggi, storie, incontri e luoghi ce ne sono a bizzeffe in questo disco. Da Etta Grant, la moglie di Marshall, il primo contrabassista della band di Johnny Cash, colpito da un aneurisma proprio nella serata in cui veniva inaugurata la Dyess House, casa natale restaurata della famiglia Cash e scomparso tre giorni dopo, vicenda raccontata in Etta’s Tune, una delizia sonora dove John Leventhal, marito e produttore del disco, suona con maestria tutti gli strumenti e John Paul White dei Civil Wars si occupa delle armonie vocali http://www.youtube.com/watch?v=ANpWRURSW6M .

rcash23

Ma fin dall’iniziale A Feather’s Not A Word, che contiene la frase citata poc’anzi, si capisce che stiamo per inoltrarci in un viaggio di grande spessore: costruita intorno a un giro di blues, raffinato e sinuoso, semplice ma ricco, con le chitarre di Leventhal che si fanno strada attraverso una sezione di archi, il violino e la viola di David Mansfield, un ricco coro guidato da Amy Helm, altra grande figlia d’arte e con un sound swampy, da paludi e da gumbo della Lousiana, che ci porta dall’Alabama a Memphis, dall’Arkansas fino a Nashville e ritorno, nei luoghi dove si trovano i Sun Studios, il luogo di nascita di Johnny Cash, le strade dove fu ucciso Emmett Till (ricordato in una stupenda canzone di Bob Dylan), il ponte di Tallahatchie, il sito della bellissima Ode To Billie Joe di Bobbie Gentry, la tomba di Robert Johnson, le piantagioni dove Charley Patton e Howlin’ Wolf lavoravano ed iniziavano a scrivere la loro musica, la casa di William Faulkner. Ovviamente non tutti i luoghi e le persone sono in questo brano, ma il viaggio parte da qui. E prosegue con The Sunken Lands, un tributo ai contadini dell’era della grande depressione (ma anche di oggi) piegati sulle loro terre sommerse, cantato, come di consueto, con quella tonalità, stupenda e compassionevole, di Rosanne, una delle voci più duttili ed espressive del panorama musicale attuale, su un tessuto musicale country-folk-blues impreziosito da un delicato lavoro di Leventhal al mandolino (che peraltro suona anche tutti gli altri strumenti, come in gran parte del disco) http://www.youtube.com/watch?v=U7pdEdv3QXw .

Di Etta’s Tune abbiamo detto, posso solo confermare, Modern Blue è il pezzo più rock del disco http://www.youtube.com/watch?v=1bVOy5k3y2o , mi ricorda, non so dirvi perché, quelle ballate mid-tempo stupende che sa scrivere John Hiatt, ma qui virata al gusto di Rosanne Cash, una che con il country più bieco di Nashville ha sempre avuto poco a che fare, ma che la capacità di scrivere una canzone con un bel ritornello non l’ha mai persa, sarà per questo che negli anni ha racimolato 11 numeri uno nelle classifiche Country e 21 nelle Top 40 americane. Ma indubbiamente si trova più a suo agio (forse) nelle trame acustiche e folky, delicate e malinconiche di una preziosa Tell Heaven http://www.youtube.com/watch?v=V-whhwYqX7Y . O nei raffinati e complessi arrangiamenti di una The Long Way Home che parte con un mini chick-a-boom rallentato di una elettrica e si arricchisce con gli archi arrangiati da Leventhal (come nella iniziale A Feather’s Not A Bird) e poi dal gruppo e dalle voci di supporto, che entrano di volta in volta, mentre la chitarra liquida di John sottolinea i passaggi intricati del brano http://www.youtube.com/watch?v=m1Pn7d2gfXg .

image-41_withjohnprine image016_with-cory-chisel-and-john-americana-fest-nashville-september-2013

World Of Strange Design è un blues stupendo, impreziosito dalla fantastica slide di Derek Trucks e da alcuni versi tra i più immaginifici di Rosanne, “If Jesus came from Mississippi…! (ma se andate a riascoltarvi i vecchi dischi canzoni così belle ne trovate molte altre) http://www.youtube.com/watch?v=SQmH8yggnCM . Anche la dolcissima e bellissima Night School è una canzone sulla memoria e sui tempi che furono, come se ne scrivono (e se ne cantano) poche, un poco agée e fuori dai tempi, musicalmente parlando, ma splendida e toccante e quindi chissenefrega se sembra venire da due secoli fa. E del duetto con Cory Chisel (grande cantautore e rocker americano di cui ci siamo occupati in questo Blog http://discoclub.myblog.it/tag/cory-chisel/) in 50.000 Watts cosa vogliamo dire? Che bello può andare? Uno dei centrepiece del disco è la sontuosa When The Master Calls The Roll, una canzone dal crescendo emozionante con un “coretto” cantato da alcuni “amici” che passavano di lì per caso, Amy Helm, Kris Kristofferson, John Prine, Tony Joe White Rodney Crowell, che aveva iniziato a scriverla, con John Leventhal, per Emmylou Harrisma poi quando Rosanne l’ha sentita ha detto, fermi tutti, questa la finisco io, e i “due mariti” hanno concordato (a proposito se volete sentire due dei più bei “Divorce album” della storia, pre e post, con Shoot Out The Light di Richard e Linda Thompson, andate a recuperarvi InteriorsThe Wheels della nostra amica, due dischi fantastici, tra i tanti).

image-20_credit_sam_rayner

Conclude (ma ci sono le tre bonus delle Deluxe Edition) una sinuosa Money Road, il luogo dell’incrocio con il diavolo di Robert Johnson e del ponte della Gentry, un’altra “confezione” sonora sontuosa, con un piano Wurlitzer piazzato ad arte e una geniale coloritura dettata dell’eletric sitar suonato, assolutamente a sorpresa, da un Leventhal in vena di diavolerie per questo brano. E già questo sarebbe un grande disco, sarà un caso ma i dischi e lecanzoni che contengono River nel titolo sono sinonimo di qualità (Springsteen, Eric Andersen, Joni Mitchell, eccetera), ma le due cover, la delicata Two Girls, un brano poco conosciuto dal repertorio di Townes Van Zandt e la bellissima Biloxi, viceversa una delle più conosciute di un altro “outsider” di pregio come Jesse Winchester, sono le classiche ciliegine sulla torta. Come Your Southern Heart, sempre scritta dalla premiata ditta Leventhal/Cash e che non ha nulla da invidiare alla qualità delle canzoni ufficiali del disco. Non meri riempitivi, ma tasselli importanti, quindi vi consiglio caldamente di procurarvi la versione Deluxe, ve la faranno pagare cara, purtroppo, ma ne vale assolutamente la pena. Se volete dare una ascoltatina in anteprima http://www.npr.org/2014/01/05/259143273/first-listen-rosanne-cash-the-river-the-thread

Come diceva Dan Peterson, per me Numero Uno!

Bruno Conti

Grande Chitarrista, Grande Cantante, Altri Nove Ottimi Musicisti (E Qualche Amico): Che Disco! Tedeschi Trucks Band – Made Up Mind

tedeschi trucks band made up mind.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tedeschi Trucks Band – Made Up Mind – Sony Masterworks

Sarà un caso che il disco esca per il ramo Masterworks della Sony, quello dedicato alla musica classica? Ovviamente no, in quanto l’album è già un piccolo “classico” nel suo genere. Già ma quale genere? Direi rock, blues, soul (tra Stax e Motown, con una spruzzata Muscle Shoals), funky e jazz, quindi di tutto un po’. Come facevano Delaney & Bonnie & Friends (con Eric Clapton) più di 40 anni fa. Ma la musica non risente del tempo che passa, anzi, come il buon vino, migliora. La fusione dei gruppi di Derek Trucks e della moglie Susan Tedeschi, che all’inizio poteva sembrare un azzardo, si è rivelata una mossa azzeccata: al di là del fatto che sicuramente non deve essere facile mantenere e portare in giro una band di 11 elementi, i risultati, prima con Revelator nel 2011, poi con l’eccellente doppio dal vivo Everybody’s Talkin’, che esplorava il lato più improvvisativo del gruppo e ora con questo eccellente Made Up Mind, confermano che la Tedeschi Trucks è una delle migliori entità musicali attualmente in circolazione sull’orbe terracqueo.

Come dice il titolo, un grande chitarrista, Derek Trucks, soprattutto alla slide, degno erede di Duane Allman e che rivaleggia con Ry Cooder per la maestria all’attrezzo, ma ottimo chitarrista anche complessivamente, nel lato ritimico e solista, e anche come compositore. Una grande cantante, Susan Tedeschi, in possesso di una voce bellissima, roca e sensuale, dolce e potente al tempo stesso, degna erede di voci come quella di Bonnie Raitt, di cui in questo disco, leggo da qualche parte, si sarebbe affrancata dalle, diciamo, affinità elettive, manco si parlasse di madonna o kylie minogue, non di una delle più grandi cantanti e chitarriste bianche nell’ambito blues e rock e quindi si tratta di un complimento, non certo di una critica. Senza dimenticare gente come Bonnie Bramlett, tanto per non fare altri nomi, vera diva, con il marito Delaney, nell’arte di fondere soul, R&B e rock. Mi pare invece che le similitudini tra gli stili delle due Bonnie e Susan Tedeschi siano ancora più evidenziate in questo nuovo album, che è un disco di canzoni ancora più rifinite, ma al contempo fresche e frizzanti, rispetto ai predecessori.

Non dimentichiamo che la band ha anche una sezione fiati di tre elementi, piccola ma compatta, Maurice Brown alla tromba, Kebbi Williams al sax e Saunders Sermons al trombone, che si applica con profitto anche alle armonie vocali, doppia batteria, J.J. Johnson e Tyler Greenville, come nella band di zio Butch Trucks, quattro diversi bassisti, ma solo in l’occasione di questo CD, e alternati nei vari brani, dal vivo, per il tour, hanno annunciato, il nuovo addetto allo strumento,sarà Eric Krasno, presente nel disco come chitarrista aggiunto e autore, uno dei “friends”. Chi manca? Kofi Burbridge, il tastierista, anche ottimo flautista e i due vocalist aggiunti, Mike Mattison (già cantante della Derek Trucks Band e leader degli Scrapomatic, qui forse un po’ sacrificato) e Mark Rivers. Tutti costoro, se serve, si danno da fare anche alle percussioni e, soprattutto, ci regalano undici canzoni, una più bella dell’altra.

A partire dal boogie rock blues dell’iniziale title-track dove Derek Trucks si divide tra slide e wah-wah, la moglie innesta un ottimo ritmo alla seconda chitarra e canta all grande, mentre il pianino di Burbridge e i fiati aggiungono pepe alle operazioni, ottima partenza. Do I Look Worried, scritta con John Leventhal, uno dei tanti ospiti, è un mid tempo sincopato ed emozionale, perfetto esempio di quel blues-rock got soul che è uno dei manifesti del disco, un paio di soli brevi ed incisivi di Derek, contrappuntati alla perfezione dai fiati e dalla voce partecipe di Susan. idle Wind è scritta con Gary Louris dei Jayhawks, un brano elettroacustico, dall’arrangiamento complesso, quasi jazzato, con il flauto di Kofi Burbridge a farsi largo tra gli altri fiati, la doppia batteria molto felpata e le armonie vocali soffuse, un perfetto esempio di jazz & soul revue, esplicato dall’assolo quasi modale di Trucks (la chitarra sembra quasi un sitar).

Sonya Kitchell (bravissima cantautrice) e il già citato Eric Krasno scrivono il super funky di Misunderstood, che con il suo clavinet e fiati, voci, chitarre wah-wah nel finale, organo e percussioni in libertà, sembra un brano dei tempi d’oro di Sly & Family Stone. Part Of me, scritta con Doyle Bramhall II e Mike Mattison, è anche meglio, pura Motown della più bella acqua, fino al falsetto fantastico di Sermons, che accoppiato con l’ottimo contralto di Susan, rievoca le armonie dorate di Tempations e Jackson 5, una piccola magia fin dalle chitarrine ritmiche e dalle sinuose linee della solista di Derek Trucks qui ispiratissimo, che trasporta parti del brano in zona Muscle Shoals, ovvero Stax, un matrimonio in Paradiso, in una parola, anzi due: una meraviglia!

Torna Louris come autore per una poderosa Whiskey Legs e qui le cose si fanno serie, la Tedeschi imbraccia la sua Gibson e risponde colpo su colpo alle bordate del marito Derek, in un brano di impianto rock-blues, dove anche l’organo si ritaglia i suoi spazi e che dal vivo probabilmente diventerà territorio di battaglia per gagliarde jam nella migliori tradizioni del genere, e del gruppo. La prima delle ballate del disco, It’s So Heavy, scritta da Trucks, ancora con Kitchell e Krasno, è un’altra meraviglia sonora, toccante ed emozionante, deep soul e melodia intrecciati, con i due solisti, Derek e Susan, in stato di grazia, lui alla chitarra e lei alla voce, a dimostrazione che la buona musica, quella genuina, è ancora viva e vegeta. All That I Need, con i suoi ritmi latini, vagamente santaneggianti, è nuovamente una collaborazione con Bramhall, brano forse (ma forse) minore, benché arrangiato sempre con precisione chirurgica, fiati, armonie vocali, tastiere, il tutto piazzato con cura nel tessuto sonoro del brano e le due “stelle” del gruppo che ricamano sull’insieme. Sweet And Low, l’altra ballata, è quasi più bella di It’s So heavy, malinconica e accorata, con la voce vellutata di Susan Tedeschi ancora una volta in spolvero, ma non c’è un brano dove non canti più che bene, quasi fosse un suo disco solista, accompagnata da una band da sogno e con una manciata (abbondante) di canzoni, tra i quattro e i cinque minuti, che rasentano la perfezione.

The Storm, scritta dai due con Leventhal, è l’unico pezzo che supera i sei minuti, e qui la coppia indulge nel proprio lato rock-blues e improvvisativo, dopo una lunga introduzione cantata da Susan, la parte strumentale imbocca anche percorsi jazz e jam, con le due soliste spesso all’unisono e Derek Trucks che fa i numeri di fino con la sua chitarra, sul solito tappeto di organo, fiati e una ritmica consistente, confermandosi uno dei migliori chitarristi attualmente in circolazione, come testimonia anche la sua militanza negli Allman Brothers. Qui c’è trippa per gli amanti della chitarra, dura 6 minuti e 35 ma dal vivo probabilmente si espanderà fino a quindici o venti. Finale minimale, acustico, solo la National steel di Derek, una seconda chitarra e la voce carezzevole e tenera di Susan per una dolce Calling Out To You. Per concludere, e anche questo non guasta, il disco è co-prodotto da Jim Scott (e non da Doyle Bramhall II, a parte un brano, come avevo erroneamente scritto nella anticipazione): è proprio quello di Wilco, Jayhawks, Court Yard Hounds, Crowded House e dei due dischi precedenti della band. Il sound è caldo, delineato, umano, respira con l’ascoltatore

Uno dei migliori dischi del 2013, fino ad ora, ma non ce ne saranno molti altri così belli.

Bruno Conti