Un Albergo “Restaurato” Per Il Cinquantenario. The Doors – Morrison Hotel

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The Doors – Morrison Hotel – Rhino/Warner 2CD/LP Box Set

Proseguono le edizioni deluxe per i cinquantesimi anniversari degli album dei Doors, una serie di cofanetti cominciata nel 2017 con il loro omonimo debut album e che inizialmente si è rivelata deludente per la presenza di poche bonus tracks (Strange Days non ne conteneva alcuna, solo le versioni mono e stereo del disco), ma che però è andata via via migliorando: infatti il box dedicato a The Soft Parade uscito lo scorso anno è stato il più soddisfacente finora in termini di inediti (ben due CD extra, con il secondo di essi quasi totalmente occupato dalla take finalmente completa della mitica Rock Is Dead), cosa abbastanza bizzarra in quanto stiamo parlando dell’album meno amato e più criticato tra quelli pubblicati da Jim Morrison e soci. Ciò avvenne soprattutto a causa di alcuni discussi arrangiamenti al limite del pop che avevano creato più di una frizione tra il produttore Paul Rothchild ed il presidente della Elektra Jac Holzman (insieme al tecnico del suono Bruce Botnick), che non condividevano la veste sonora del disco e per la quale incolpavano lo stesso Rothchild dato che in quel periodo Morrison era più interessato a scrivere poesie che a dedicarsi al gruppo. Per Morrison Hotel (che era il nome di un vero albergo di Los Angeles ed intitolava la seconda facciata del disco, mentre il lato A si chiamava Hard Rock Cafè, altro locale di L.A. che non aveva nulla a che vedere con la nota catena di ristoranti nata a Londra nel 1971) i nostri decisero invece per un ritorno alle atmosfere dirette, tra rock e blues, di inizio carriera, e questo diede loro ragione in quanto l’album ottenne vendite migliori rispetto a The Soft Parade pur in assenza di un singolo trainante.

Tanto per cominciare gran parte della sua fortuna il disco lo ebbe grazie al brano d’apertura, la trascinante ed adrenalinica Roadhouse Blues, che in breve diventerà la canzone più popolare dei Doors insieme a Light My Fire ed in generale un classico della musica rock internazionale, nonostante non fosse neppure uscita su 45 giri (ma solo come lato B). Nel brano partecipano anche John Sebastian all’armonica (con lo pseudonimo G. Puglese) ed il grande chitarrista Lonnie Mack “relegato” però al basso, strumento suonato in tutti gli altri brani da Ray Neapolitan, dato che com’è noto i nostri non avevano un bassista all’interno del gruppo. Il pezzo scelto all’epoca come singolo fu la diretta e rocknrollistica You Make Me Real, che risaliva ai famosi concerti del 1966 al London Fog ma non era mai stata incisa in studio fino a quel momento. Ma non è l’unico ripescaggio dell’album (a dimostrazione di una certa scarsità di materiale), in quanto troviamo anche Waiting For The Sun, registrata dai Doors per il loro terzo album dallo stesso titolo ma poi lasciata fuori, ed addirittura una outtake dal primo disco, Indian Summer: entrambe le canzoni sono ipnotiche e dense di misticismo, e si distaccano abbastanza dal resto dell’album.

Che Morrison Hotel sia infatti uno degli LP più immediati del quartetto lo dimostrano la robusta Peace Frog, con Ray Manzarek che lavora di fino al suo Vox Continental (brano che confluisce nella tenue Blue Sunday, una ballatona con Jim che si atteggia a crooner), la saltellante Ship Of Fools, ancora con Ray protagonista, la pimpante e gradevole Land Ho!, che vede invece la chitarra di Robby Krieger in gran spolvero, il bluesaccio cadenzato da taverna The Spy, la spedita Queen Of The Highway, puro stile Doors, per finire con il vibrante rock-blues Maggie M’Gill, cantato da Morrison con voce arrochita e con la band che segue come un treno guidata in maniera sicura dal drumming di John Densmore. Il cofanetto ripropone nel primo CD il disco originale rimasterizzato (ma non remixato) dallo stesso Botnick, un booklet formato LP di 16 pagine con le note del noto critico David Fricke, il solito inutile LP che serve solo a far salire il prezzo, ed infine un secondo CD con sessions inedite, interessante anche se per l’80% gira intorno a sole due canzoni.

La prima parte infatti è inerente a Queen Of The Highway, con più di dieci takes, alcune solo strumentali, nelle quali i nostri improvvisano alla grande e Jim gigioneggia da par suo (e c’è anche un breve accenno all’inedita I Will Never Be Untrue): il brano originale non durava neanche tre minuti, ma qui i Doors si divertono a rivoltarlo come un calzino (molto belle le takes 12 e 14, quasi un jazz- blues strumentale con Manzarek strepitoso al piano). Più aderenti alla versione conosciuta sono le nove tracce dedicate a Roadhouse Blues, qui proposte come un interessante work in progress: nel mezzo abbiamo due sanguigne e potenti riletture, mai sentite, delle classiche Money (That’s What I Want) di Barett Strong e Rock Me Baby, noto standard blues reso popolare da Muddy Waters e B.B. King. Chiusura con due versioni alternate di Peace Frog, la prima delle quali mixata con Blue Sunday come sul disco originale. Quindi una bella ristampa che getta nuova luce su un disco piacevole e riuscito ma che forse perde il confronto con i capolavori assoluti usciti nello stesso periodo, anche se i Doors si rifaranno nel 1971 con L.A. Woman, canto del cigno di Morrison e loro album migliore dopo l’esordio.

Marco Verdi

Arriva Il Blues, Con Una Valanga Di Amici! Joe Louis Walker – Blues Comin’ On

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Joe Louis Walker – Blues Comin’ On – Cleopatra Blues

Anche se nell’ambito del blues, causa sempre tardivi debutti, si viene spesso considerati “giovani” anche in età matura, è pur vero che Joe Louis Walker ormai i 70 anni li ha raggiunti e anzi il giorno di Natale del 2020 ne compie 71, per cui possiamo inserirlo a diritto nella categoria veterani. Nativo di San Francisco, era già attivo nella scena musicale della Bay Area negli anni ‘60, insieme al suo compagno di stanza ed amico Mike Bloomfield, suonando sin da allora sul palco con i grandi, John Lee Hooker, Willie Dixon, Muddy Waters, anche Jimi Hendrix, poi dopo una lunga parentesi seguita al conseguimento della laurea, si è dedicato ad altre attività, pur mantenendo una passione per il gospel, fino al suo ritorno con il primo lavoro solista del 1986, il notevole Cold Is The Night. Da allora non si è più fermato e attraverso una ventina di album, spesso ottimi e alcuni che sfioravano l’eccellenza assoluta, si è costruito la reputazione di uno dei migliori chitarristi e vocalist della “nuova” scena blues, diciamo la terza generazione, quella più elettrica ed influenzata profondamente anche dal rock.

Blues Comin’ On è il secondo album che esce per la Cleopatra Blues (uhm!) dopo il DVD+CD dello scorso anno Viva Las Vegas Live: come è usanza della etichetta californiana Walker è stato circondato da un impressionante numero di ospiti per questo nuovo disco e perfino i miei amici della Cleopatra non sono riusciti a fare troppi danni. Non è tutto oro che cola quello che esce dai dodici brani del CD, ma si tratta di un album consistente e che conferma l’eclettico approccio del nostro alle 12 battute, con ampie concessioni al rock, al soul, al R&B e al funky, e magari non si raggiungono i livelli di Everybody Wants A Piece nominato ai Grammy nel 2016 https://discoclub.myblog.it/2015/10/13/il-solito-joe-louis-walker-quindi-bello-everybody-wants-piece/  o dei due precedenti usciti per la Alligator, ma siamo di fronte ad una prova più che soddisfacente. Non è dato di sapere quando e dove è stato registrato il tutto, ma visto che i nomi dei musicisti che suonano nei brani sono abbastanza ricorrenti, in particolare il bassista John Bradford e il batterista Dorian Randolph, con Eric Finland alle tastiere, si ha l’impressione che non si tratti dal solito materiale raffazzonato che spesso la Cleopatra assembla, ma di un progetto definito.

Certo la pletora di ospiti difficilmente si sarà trovata insieme per incidere lìalbum, ma il risultato finale, come detto, è sovente di ottima qualità: Walker in alcune interviste ha detto che il testo del brano di apertura Feed The Poor, che tocca temi sociali, era di Jorma Kaukonen, ma leggendo i credits sul CD vengono riportati come autori Gabe Jagger e Joe Louis Walker, comunque questo non inficia il livello del brano, uno dei migliori, tra rock, soul e derive psych. con il vecchio Hot Tuna sempre gagliardo alla solista, spesso in modalità wah-wah. Molto bella anche la title track, firmata da Dion Dimucci, in pieno trip creativo dopo il suo recente album https://discoclub.myblog.it/2020/06/17/un-altro-giovanotto-pubblica-uno-dei-suoi-migliori-album-di-sempre-dion-blues-with-friends/ , che divide anche la parte vocale con Walker, mentre alla chitarra solista troviamo un ispirato e pungente Eric Gales, aiutato da Waddy Wachtel, senza dimenticare Tom Hambridge alla batteria; Someday, Someway è una gradevole e melliflua gospel soul ballad cantata in duetto con Carla Cooke, la figlia del grande Sam, niente per cui stracciarsi le vesti, benché Lee Oskar dei War fa del suo meglio all’armonica.

E anche il super funky The Thang firmato dallo stesso JLW, al di là di alcune gagliarde evoluzioni chitarristiche di Jesse Johnson, vecchio chitarrista dei Time di Prince, non resterà negli annali, decisamente meglio l’elettroacustica Old Time Used To Be, dove il nostro unisce le forze con Keb’ Mo’ alla slide e John Sebastian all’armonica, in blues che profuma di blues delle radici, grazie anche al contributo di Bruce Katz al piano (pard di Joe nel recente Journeys To The Heart Of The Blues https://discoclub.myblog.it/2020/06/17/un-altro-giovanotto-pubblica-uno-dei-suoi-migliori-album-di-sempre-dion-blues-with-friends/ ). Anche Come Back Home è l’occasione per riascoltare il vecchio leone di Detroit Mitch Ryder, ancora in gran forma in un ficcante brano tra errebì e rock, non male anche il Chicago Blues di Bobby Rush Bowlegged Woman, Knock-Kneed Man dove Walker ci dà dentro di gusto con i colleghi Waddy Watchel, Rick Estrin e Bruce Katz, mentre non resto convinto a fondo neppure dal secondo contributo di Carla Cooke, una Wake Me, Shake Me, cantata bene, ma a tratti troppo “leccata”, al di là di un ottimo solo di JLW.

Lonely Weekends, il classico di Charlie Rich, prevede la presenza di David Bromberg, un country blues got gospel molto godibile anche se irrisolto, non si capisce perché dopo tre minuti l’ultima parte viene sfumata per oltre un minuto, misteri della Cleopatra; Seven More Steps è l’occasione per ascoltare una inedita accoppiata con Albert Lee, in un buon pezzo di impronta rock, e anche la pur sanguigna Uptown To Harlem, l’ospitata con l’altro ex componente dei Time Jellybean Johnson, non brilla per originalità. Temevo il peggio per la cover finale di 7 & 7 Is il classico dei Love, vista la presenza come vocalist aggiunto di Charlie Harper, il vecchio cantante del gruppo punk UK Subs, che francamente mi chiedevo cosa c’entrasse, e invece risulta uno dei brani migliori del disco, grazie anche alla presenza come secondo solista del grande Arlen Roth, e che conferma il buon livello complessivo del CD, a parte quei pochi piccoli passi falsi, avvalorando la statura di artista di culto di Joe Louis Walker.

Bruno Conti

Una Splendida Celebrazione Di Un Grande Cantautore. Eric Andersen – Woodstock Under The Stars

eric andersen woodstock under the stars

Eric Andersen – Woodstock Under The Stars – Y&T 3CD

La storia della letteratura è piena di opere che narrano storie di personaggi il cui obiettivo ultimo è il ritorno a casa, dall’Odissea di Omero al Fu Mattia Pascal di Pirandello; anche un filosofo del calibro di Georg Friedrich von Hardenberg, più conosciuto come Novalis, scrisse una volta che “la filosofia è propriamente nostalgia, un impulso ad essere a casa propria ovunque”, citando non a caso la parola “nostalgia” che deriva dalle parole greche “nostos”, ritorno a casa, e “algos”, dolore. L’album di cui mi occupo oggi nasce in parte anche da questa nostalgia di casa e dall’obiettivo, più o meno inconscio, del farvi ritorno. Durante la sua lunga carriera iniziata negli anni sessanta Eric Andersen ha girovagato parecchio, arrivando per un certo periodo a vivere anche in Olanda, e solo in tempi recenti è tornato ad abitare a Woodstock, un posto da lui giudicato magico e fonte di continua ispirazione, con un’atmosfera capace di favorire la palingenesi artistica di chiunque, nonostante la scena musicale odierna della cittadina che sorge nello stato di New York non sia ceramente paragonabile a quella della seconda metà dei sixties.

Andersen ha dunque pensato di omaggiare il suo luogo di residenza pubblicando questo splendido triplo CD intitolato Woodstock Under The Stars, contenente una lunga serie di brani registrati perlopiù dal vivo nel periodo dal 2001 al 2011 in vari locali appunto di Woodstock, con l’aggiunta di due tracce risalenti al 1991 che sono anche le uniche che provengono da un’altra location. Un triplo album bellissimo, che oltre ad omaggiare la famosa cittadina del titolo è anche un regalo ai fans del grande cantautore di Pittsburgh (regalo si fa per dire, dato che il costo si aggira sui 40 euro), in quanto il 98% del materiale incluso è assolutamente inedito pur riguardando canzoni già note del songbook di Eric. Se aggiungiamo il fatto che l’incisione è praticamente perfetta, che le performance sono contraddistinte da un feeling molto alto e che tra i musicisti coinvolti abbiamo Garth Hudson e Rick Danko della Band, John Sebastian (ex leader dei Lovin’ Spoonful), i fratelli Happy ed Artie Traum e l’ex Hooters Eric Bazilian (oltre al fatto che le canzoni tendono dal bello allo splendido), l’acquisto di Woodstock Under The Stars è praticamente obbligatorio. Il primo CD comprende brani incisi live tra il 2001, 2003, 2004 e 2006, quindici canzoni tra le quali non mancano classici del grande folksinger (Wind And Sand, Violets Of Dawn, Blue River) uniti a pezzi magari meno noti ma di uguale bellezza, come la strepitosa Rain Falls Down In Amsterdam, la toccante Sudden Love, il puro folk della fulgida Lie With Me, la splendida Belgian Bar e la dylaniana Salt On Your Skin, ballata di notevole intensità. Ma potrei tranquillamente citarle tutte.

Ci sono anche due brani incisi in studio: una raffinata e limpida versione aggiornata di Liza Light The Candle, originariamente del 1975, ed una cover del classico di Fred Neil The Dolphins, uno dei soli tre pezzi già pubblicati ufficialmente essendo uscito nel 2018 all’interno di un album tributo allo stesso Neil; come bonus abbiamo le altre due canzoni già uscite in passato (nell’album One More Shot), e cioè due straordinarie riletture di Blue River e Come Runnin’ Like A Friend con Andersen insieme a Danko e Jonas Fjeld, registrate live in Norvegia nel 1991. Il secondo e terzo dischetto presentano 21 canzoni provenienti da un concerto (ovviamente ancora a Woodstock) del 2011 mandato in webcast, con Eric accompagnato da una band che comprende i già citati Happy Traum (chitarra e banjo) e John Sebastian (armonica), Joe Flood (violino e mandolino) e la moglie Inge Andersen alle armonie vocali. Ci sono tre pezzi in cui non è Eric a cantare, ma rispettivamente Traum (Buckets Of Rain, di Bob Dylan), Flood (Niagara) ed Inge (Betrayal, canzone decisamente bella scritta da lei), il resto è tutta farina del suo sacco: non mancano ovviamente brani che erano presenti anche nel primo CD (ma chiaramente in versione diversa dato che provengono da un altro concerto), specie nel finale, ma molte altre canzoni di grande bellezza come Dance Of Love And Death, Singin’ Man, Mary I’m Comin’ Back Home (uno splendore), Woman She Was Gentle e le trascinanti Before Everything Changed e Close The Door Lightly, per concludere con una struggente rilettura del superclassico Thirsty Boots.

Woodstock Under The Stars è quindi un’opera praticamente irrinunciabile per gli estimatori di Eric Andersen e nondimeno allettante per chiunque abbia a cuore qualunque espressione di songwriting di classe.

Marco Verdi

Replay. Succedeva Giusto 50 Anni Fa! La Rhino Ha Pubblicato Il 2 Agosto Il Mega Cofanetto Del Secolo: Edizione Limitata E Numerata in 38 CD Per Woodstock Back To The Garden The Definitive 50th Anniversary Archive

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Woodstock – Back To The Garden: The Definitive 50th Anniversary Archive – 38 CD + 1 Blu-ray – Rhino Tiratura Limitata E Numerata 1969 Copie!! – 02-08-2019

Quest’anno è il 50° Anniversario Dei Famosi “3 Giorni Di Pace E Musica” che si tennero in quel di Woodstock dal 15 al 18 agosto del 1969 (in effetti quattro perché alcune esibizioni, tra cui quella conclusiva di Jimi Hendrix, si tennero la mattina di lunedì 18 agosto, e per essere ancora più precisi il luogo esatto fu Bethel, una piccola località nei pressi di New York, vicina appunto alla cittadina di Woodstock). Come avrete letto o sentito era stata annunciata da Michael Lang, l’organizzatore della manifestazione originale, una edizione per festeggiare il 50° Anniversario Dell’Evento da tenersi a Watkins Glen tra il 16 ed il 18 agosto del 2019, ma poi il 29 aprile molti degli sponsors e degli investitori coinvolti nel finanziamento della produzione hanno annunciato che il Festival era stato cancellato. Ma Lang e gli altri organizzatori hanno cercato lungamente di tenere ugualmente lo spettacolo, ma poi all’inizio di agosto il “nuovo” Fesival è stato definitavamente cancellato. Tra i musicisti annunciati c’erano anche alcuni dei principali protagonisti della Woodstock originale: John Fogerty (dei Creedence Clearwater Revival), Carlos Santana (dei Santana), David Crosby (in rappresentanza di Crosby, Stills & Nash), Melanie, John Sebastian, Country Joe McDonald, 3 dei Grateful Dead sopravvissuti (come Dead & Company), i Canned Heat, e gli Hot Tuna (con due dei Jefferson Airplane originali). Alla fine però, come detto, non se ne è fatto nella, per cui occupiamoci della notizia certa.

La Rhino ha pubblicato il 2 agosto, con vendita solo sul proprio sito, questa mega versione “definitiva” che contiene le esibizioni complete di tutti gli artisti che si esibirono al Festival, quasi, perché mancano 2 brani di JImi Hendrix, la cui famiglia non ha dato l’autorizzazione alla pubblicazione, e uno degli Sha Na Na, per problemi tecnici: un totale di 432 brani, 267 mai pubblicati prima, divisi su 38 CD, più il Blu-ray della Director’s Cut ampliata del film, un libro rilegato con la storia del Festival raccontata da Michael Lang, la replica del poster e dei programmi originali, le stampe delle foto di Henry Diltz e una tracolla per chitarra. Il tutto inserito in una confezione di legno compensato e tela con copertina serigrafata, in tiratura limitata e numerata, manco a dirlo, di 1969 copie. Questa edizione costava, per quei pochi che se la sono potuta permettere in giro per il mondo, la modica cifra di 799.98 dollari (per noi europei ed italiani, tradotto e maggiorato con l’aggiunta di spese di spedizione, spese doganali, tasse e quant’altro, voleva dire circa 1000 euro presumo, ed è andata comunque completamente esaurita, ebbene sì! La lista completa dei brani non è stata annunciata (comunque si trovava facilmente in rete), ma gli artisti presenti, in rigoroso ordine cronologico di apparizione sono i seguenti.

 Richie Havens

Sweetwater

Bert Sommer

Tim Hardin

Ravi Shankar

Melanie

Arlo Guthrie

Joan Baez

Quill

Country Joe McDonald

Santana

John B. Sebastian

The Keef Hartley Band

The Incredible String Band

Canned Heat

Mountain

Grateful Dead

Creedence Clearwater Revival

Janis Joplin

Sly & The Family Stone

The Who

Jefferson Airplane

Joe Cocker

Country Joe & The Fish

Ten Years After

The Band

Johnny Winter

Blood, Sweat & Tears

Crosby, Stills & Nash

Crosby, Stills, Nash & Young

The Butterfield Blues Band

Sha Na Na

Jimi Hendrix

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Per fortuna la Rhino per i più poveri ha pubblicato anche due versioni (tre con il vinile quintuplo) “normali” con degli estratti dalla edizione completa. In uscita il 28 giugno abbiamo quindi avuto un cofanetto da 10 CD, definito Experience, con 162 brani a rappresentare con almeno un pezzo, anche in questo caso per la prima volta, tutti i gruppi e i solisti che si esibirono nei tre giorni. Questa versione costa “solo” circa 125 dollari o euro, mentre quella da 3 CD, definita Collection, con 42 delle più belle canzoni estratte dall’integrale, intorno ai 20 euro; “stranamente” sempre senza Jimi Hendrix in quella tripla, mi è cascato subito l’occhio leggendo la lista dei contenuti, che comunque trovate qui sotto, prima quella da 10 CD.

Disc One

Richie Havens

1. Hello!

2. “From The Prison>Get Together>From The Prison”

3. “High Flying Bird”

4. “With A Little Help From My Friends”

5. “Handsome Johnny”

6. “Freedom”

7. It seems there are a few cars blocking the road – John Morris

Sweetwater

8. “Look Out”

9. “Day Song”

10. “Two Worlds”

Bert Sommer

11. “Jennifer”

12. “And When It’s Over”

13. “America”

14. “Smile”

15. Let’s see how bright it can be – John Morris

Tim Hardin

16. “How Can We Hang On To A Dream”

17. “If I Were A Carpenter”

18. “Reason To Believe”

19. “Misty Roses”

20. We’re a pretty big city right now– John Morris

 

Disc Two

1. Somebody, somewhere is giving out some flat blue acid – John Morris

Ravi Shankar

2. “Raga Manj Kmahaj”

Melanie

3. “Momma Momma”

4. “Beautiful People”

5. “Mr. Tambourine Man”

6. “Birthday Of The Sun”

7. It’s a free concert from now on – John Morris

Arlo Guthrie

8. “Coming Into Los Angeles”

9. Lotta freaks!

10. “Wheel Of Fortune”

11. “Walking Down The Line”

12. “Every Hand In The Land”

13. Let’s just make the festival, not the other stuff – John Morris

Joan Baez

14. “The Last Thing On My Mind”

15. “I Shall Be Released”

16. He already had a very, very good hunger strike going

17. “Joe Hill”

18. “Drug Store Truck Drivin’ Man” – featuring Jeffrey Shurtleff

19. That brings us fairly close to the dawn – John Morris

20. I guess the reason we’re here is music – John Morris

Quill

21. “They Live The Life”

22. “That’s How I Eat”

 

Disc Three

1. Can those of you in the back hear well? – Chip Monck

Country Joe McDonald

2. “Janis”

3. “Donovan’s Reef”

4. “The “Fish” Cheer/I-Feel-Like-I’m-Fixin’-To-Die Rag”

5. Those wishing to be lost, those wishing to be found – Chip Monck

Santana

6. “Savor”

7. “Jingo”

8. “Persuasion”

9. “Soul Sacrifice”

10. An exciting set is understandable – Chip Monck

John B. Sebastian

11. “How Have You Been”

12. “Rainbows All Over Your Blues”

13. “I Had A Dream”

14. “Darling Be Home Soon”

The Keef Hartley Band

15. Halfbreed Medley: “Sinning For You>Leaving Trunk>Just To Cry>Sinning For You”

16. Bring Jerry’s nitroglycerin pills to the Indian Pavilion – Chip Monck

 

Disc Four

1. Go to Mr. Lang’s office right away – Chip Monck

The Incredible String Band

2. “Invocation”

3. “The Letter”

4. “Gather ‘Round”

5. “When You Find Out Who You Are”

6. If things aren’t going well for you or whatever – Chip Monck & Hugh Romney

Canned Heat

7. “Going Up The Country”

8. “Woodstock Boogie”

9. Can we have a little juice on this other microphone, please? – Bob Hite & Chip Monck

10. “On The Road Again”

11. It’s your own trip – Chip Monck

 

Disc Five

1. We’ll take care of that right away – Chip Monck

Mountain

2. “Theme For An Imaginary Western”

3. “Long Red”

4. “Who Am I But You And The Sun (For Yasgur’s Farm)”

5. “Southbound Train”

6. Open your eyes wide – Chip Monck & Joshua White

7. So many people have been able to participate in such a debacle – Ken Babbs

Grateful Dead

8. “Mama Tried”

9. It’s a sinister plot! – Ken Babbs, Country Joe McDonald, et al

10. “Dark Star”

11. “High Time”

12. You’re carrying Janis’s wah-wah pedals – John Morris

Creedence Clearwater Revival

13. “Green River”

14. “Bad Moon Rising”

15. “I Put A Spell On You”

16. It’s going to be a very long evening – Chip Monck

 

Disc Six

Janis Joplin

1. “To Love Somebody”

2. “Kozmic Blues”

3. “Piece Of My Heart”

4. Music’s for grooving, man

5. “Ball And Chain”

6. Just in case you should get any ideas about leaving – Chip Monck

Sly & The Family Stone

7. Medley: “Everyday People>Dance To The Music>Music Lover>I Want To Take You Higher”

8. Are you supposed to be up there rapping? No, man. – Abbie Hoffman & stagehand

The Who

9. “I Can’t Explain”

10. “Pinball Wizard”

11. I can dig it – Abbie Hoffman & Pete Townshend

12. “We’re Not Gonna Take It”

13. “Shakin’ All Over”

14. “My Generation”

15. Welcome this new day – Chip Monck

 

Disc Seven

Jefferson Airplane

1. “The Other Side Of This Life”

2. “Somebody To Love”

3. Let’s play it out of tune – Grace Slick

4. “3/5 Of A Mile In 10 Seconds”

5. “Won’t You Try/Saturday Afternoon”

6. We got a whole lot of orange and it was fine – Grace Slick

7. “Plastic Fantastic Lover”

8. “Volunteers”

9. If you’re too tired to chew, pass it on – Hugh Romney

10. The roads are fairly clear now – John Morris

11. This is the largest group of people ever assembled in one place – Max Yasgur

Joe Cocker

12. “Dear Landlord”

13. “Feelin’ Alright”

14. “Let’s Go Get Stoned”

15. “Hitchcock Railway”

16. “With A Little Help From My Friends”

17. Isn’t the rain beautiful? – John Morris, Barry Melton, rainstorm & audience

 

Disc Eight

Country Joe & The Fish

1. “Rock And Soul Music”

2. “Love”

3. “Silver And Gold”

4. “Rock And Soul Music” (Reprise)

Ten Years After

5. “Help Me”

6. “I’m Going Home”

7. Come down and say hello to us – Chip Monck

The Band

8. “Chest Fever”

9. “Tears Of Rage”

10. “This Wheel’s On Fire”

11. “I Shall Be Released”

12. “The Weight”

13. We’ve just had a slight change in running order – Chip Monck

 

Disc Nine

1. It’s really a drag – Chip Monck

Johnny Winter

2. “Leland Mississippi Blues”

3. “Mean Town Blues”

4. “Johnny B. Goode”

5. It just doesn’t seem to be necessary – Chip Monck

Blood, Sweat & Tears

6. “More And More”

7. “Spinning Wheel”

8. “Smiling Phases”

9. “You’ve Made Me So Very Happy”

Crosby, Stills & Nash

10. Tell ‘em who we are, man

11. “Suite: Judy Blue Eyes”

12. “Blackbird”

13. “Marrakesh Express”

Crosby, Stills, Nash & Young

14. “Sea Of Madness”

15. “Wooden Ships”

16. Bummer!

17. “49 Bye-Byes”

 

Disc Ten

The Butterfield Blues Band

1. “No Amount Of Loving”

2. “Love March”

3. “Everything’s Gonna Be Alright”

Sha Na Na

4. Test – Chip Monck & Sha Na Na

5. “Get A Job”

6. “Come Go With Me”

7. “Silhouettes”

8. “At The Hop”

9. “Duke Of Earl”

10. “Get A Job” (Reprise)

11. Thank you for making all this possible – Chip Monck

Jimi Hendrix

12. “Hear My Train A Comin’”

13. “Izabella”

14. “The Star Spangled Banner>Purple Haze”

15. Good wishes, good day, and a good life – Chip Monck

E poi, quella da 3 CD:

Disc One

1. “Handsome Johnny” – Richie Havens

2. “Freedom (Motherless Child)” – Richie Havens

3. Everybody’s ground getting comfortable? – John Morris

4. “Reason To Believe” – Tim Hardin

5. It’s deadly serious, man – John Morris

6. “Coming Into Los Angeles” – Arlo Guthrie

7. Lotta Freaks! – Arlo Guthrie

8. “Drug Store Truck Drivin’ Man” – Joan Baez With Jeffrey Shurtleff

9. Please come down – Chip Monck

10. “The “Fish” Cheer/I-Feel-Like-I’m-Fixin’-To-Die Rag” – Country Joe McDonald

11. “Jingo” – Santana

12. “Soul Sacrifice” – Santana

13. Helen Savage, please call your father – Chip Monck

14. “Darling Be Home Soon” – John B. Sebastian

15. It’s not poison! – Hugh Romney

16. “Going Up The Country” – Canned Heat

17. “On The Road Again” – Canned Heat

 

Disc Two

1. Country common sense! – Chip Monck, Country Joe Mcdonald, Ken Babbs

2. “Dark Star” – Grateful Dead

3. We’ve got the keys to your house – John Morris

4. “Bad Moon Rising” – Creedence Clearwater Revival

5. “I Put A Spell On You” – Creedence Clearwater Revival

6. “Kozmic Blues” – Janis Joplin

7. “Piece Of My Heart” – Janis Joplin

8. Medley: “Dance To The Music>Music Lover>I Want To Take You Higher” – Sly & The Family Stone

9. “We’re Not Gonna Take It” – The Who

10. “My Generation” – The Who

11. “Somebody To Love” – Jefferson Airplane

12. “Volunteers” – Jefferson Airplane

13. We must be in heaven, man! – Hugh Romney

 

Disc Three

1. I think you people have proven something to the world – Max Yasgur

2. “With A Little Help From My Friends” – Joe Cocker

3. Looks like we’re gonna get a little bit of rain – John Morris

4. “I’m Going Home” – Ten Years After

5. “The Weight” – The Band

6. “Spinning Wheel” – Blood, Sweat & Tears

7. “Suite: Judy Blue Eyes” – Crosby, Stills & Nash

8. “Sea Of Madness” – Crosby, Stills, Nash & Young

9. “Wooden Ships” – Crosby, Stills, Nash & Young

10. “Love March” – The Butterfield Blues Band

11. “At The Hop” – Sha Na Na

12. It’s been a delight seeing you – Chip Monck

Come avrebbe detto Totò “Alla faccia del bicarbonato di sodio”! Non male per una manifestazione che era nata contro il consumismo.

Bruno Conti

Sì, No, Forse! Phil Gates – Live At The Hermosa Saloon

phil gates live at the hermosa saloon

Phil Gates – Live At The Hermosa Saloon – Self released

Per mettere subito i puntini sulle “I”, come direbbe qualcuno di nostra conoscenza, Phil Gates è un tipo “abbronzato”, fa del Blues, con un piglio contemporaneo non privo di un certo rispetto della tradizione (nato a Chicago ma residente a Los Angeles, unisce le due culture musicali); questo Live At The Hermosa Saloon, registrato in uno dei tanti piccoli locali che costellano L.A (e finanziato dai fans con il sistema del Kickstarter Campaign Fundraising), è una sorta di summa dal vivo del meglio dei suoi cinque album di studio (compresa una colonna sonora), pubblicato nell’estate dello scorso anno https://www.youtube.com/watch?v=chT0k-FA1Kk . La prima cosa che mi ha colpito è la voce (ma quella che usa per parlare, nella introduzione dei brani, che ricorda vagamente il timbro di Jimi Hendrix, solo quello), mentre musicalmente viene presentato come “Buddy Guy incontra John Mayer” e anche se forse è una forzatura promozionale ci può stare (più il secondo).

gossau 1

Il suono, forgiato in anni di collaborazioni a dischi di musicisti del giro soul e funky attuale, inevitabilmente ha assunto un po’ di quelle caratteristiche, quindi niente selvaggio blues urbano di Chicago o dell’area del Delta, quanto piuttosto un contemporary blues, anche un filino “leccato”, di tanto in tanto, bel suono di chitarra, un organo, nelle mani di Morris Beeks, che dà un tocco leggermente jazzy e una sezione ritmica fin troppo precisa, anche se indubbiamente efficace, quindi, per continuare il parallelo hendrixiano più Band Of Gypsys che Experience (con i dovuti distinguo, come si dice in politichese, ma là eravamo su un altro pianeta https://www.youtube.com/watch?v=ipli5mQR3rc ). I duetti chitarra-organo, che partono nell’iniziale Addicted To The Blues, vengono ripresi in Used Me Up, dove la chitarra, in modalità slide, ha una maggiore grinta, si diversificano nel soul/R&B di Old School e nel funky di Away I Go, passano per le cover di Messin’ The Kid, un classico ripreso da migliaia di bluesmen, in tutte le salse e con la piacevolissima Summer in the City, proprio quella di John Sebastian e dei suoi Lovin’ Spoonful, trasformata in uno slow blues, sulla falsariga di quello che si faceva in SuperSession, dove organo e chitarra si scambiavano licks con piacevole abbandono https://www.youtube.com/watch?v=584fJ66urEI .

phil gates 2

Ogni tanto Phil Gates si ricorda dei paragoni con Buddy Guy e alza la quota blues, come nella grintosa End Of Time, anche se il suono after hours dell’organo, peraltro piacevolissimo, spezza un po’ i ritmi. Evening Train ricorda qualcosa dei suoi trascorsi in quel di Chicago. Take It Out si tinge di nuovo di quel sound R&B o neo soul alquanto blando, pure se la chitarra viaggia sempre spedita, ben sostenuta dall’organo. Per sentire un bel blues, di quelli tosti, bisogna arrivare quasi in finale di concerto, quando il crescendo della notevole I’m Lost mostra quello che avrebbe potuto essere, quasi nove minuti di ottima musica dove Gates finalmente estrae dalla sua solista un torrente di note, giustificando la sua meritata (?) reputazione di guitar slinger. Poi si ricade in un funky vagamente alla George Benson, nella conclusiva Get Around To Me, rispettabile ma assolutamente fuori contesto (o forse no, era il precedente brano quello “strano”?). Avrà anche vinto molti premi nei vari concorsi blues che si tengono ovunque negli States, ma non mi sembra questo fulmine di guerra, molto bravo tecnicamente, come ce ne sono tanti in giro per gli States (forse esagero), se vi bastano gli assolo quelli sono notevoli, per il resto, come dice il titolo del post: sì, no, forse, ma anche un bel mah!

Bruno Conti   

Recuperi Di Fine Anno – Parte 1: David Bromberg Band – Only Slightly Mad

david bromberg only slightly mad

David Bromberg Band – Only Slightly Mad – Appleseed/Ird CD

(NDM: nel pubblicare qualche giorno fa la mia scelta dei migliori del 2013, Bruno mi ha fatto notare che un paio di dischi molto importanti dell’elenco non erano stati recensiti sul blog al momento dell’uscita, e quindi, come si faceva a scuola con le materie insufficienti, abbiamo concordato di recuperare, prima della fine dell’anno, questi arretrati. Oggi mi dedico all’ultimo, bellissimo, album della David Bromberg Band, mentre nei prossimi giorni parlerò di Jonathan Wilson, per me disco dell’anno, ed anche dell’ultimo di Mavis Staples, primo degli “esclusi”, e di una new entry fuori tempo massimo, cioè del CD del duo Norah Jones/Billy Joe Armstrong.

Ma adesso sotto con Bromberg.)

Un po’ come con Ry Cooder, negli anni novanta e nei primi anni duemila avevo ormai perso le speranze che David Bromberg tornasse a fare dischi come negli anni settanta, ma se il musicista californiano ogni tanto la sua chitarra sui lavori di qualcuno la faceva sentire, oltre a legare il suo nome a tutta una serie di progetti collaterali (tipo il mitico Buena Vista Social Club, il disco con Ali Farka Touré o, nel 1992, l’album con John Hiatt, Nick Lowe e Jim Keltner a nome Little Village), di Bromberg pensavo si fossero perse le tracce dal 1989 (anno dell’ottimo Sideman Serenade). Il nostro infatti si era ritirato a Wilmington, nel Delaware, ad esercitare la professione di liutaio, e solo occasionalmente si ritrovava con qualche amico per deliziare pochi fortunati fans con rari concerti http://www.youtube.com/watch?v=bItEpUE9XdE

Poi, quasi in sordina, nel 2007 (quindi due anni dopo il “ritorno” di Cooder con Chavez Ravine), David pubblicò Try Me One More Time, un album completamente acustico di vecchi traditionals folk e blues (ed un brano nuovo), che però sembrava più un esercizio isolato, quasi un regalo ai propri estimatori, piuttosto che un ritorno vero e proprio. Due anni fa, invece, Bromberg fece il botto in grande stile con il sontuoso Use Me, un album stavolta elettrico con una serie di ospiti da fare invidia a chiunque (tra i tanti: John Hiatt, Los Lobos, Linda Ronstadt, Vince Gill, Levon Helm e Dr. John), un lavoro splendido che ci riconsegnava definitivamente uno dei migliori musicisti e musicologi contemporanei, tra l’altro in gran forma.

david bromberg use me

Ebbene, Only Slightly Mad, il nuovissimo CD di Bromberg, è persino meglio: intanto avrete notato come il nostro abbia aggiunto la parola Band al proprio nome, un chiaro aggancio al suo miglior periodo (gli anni settanta), ed infatti il disco può a mio parere stare tranquillamente allo stesso livello di capolavori come Demon In Disguise e Midnight On The Water, e solo un gradino sotto a Wanted Dead Or Alive, che per il sottoscritto è in assoluto il suo album migliore (ed uno dei più belli di tutta la decade). David riforma completamente la sua band (lo affiancano in questa fatica Mark Cosgrove, Nate Grower, Butch Amiot, John Kanusky, John Firmin e Peter Ecklund) e, con l’aiuto anche di qualche amico (tra cui John Sebastian, l’ex Nitty Gritty John McEuen, Amy Helm e la moglie Nancy Josephson), ci regala un disco proprio come negli anni settanta, una miscela di cover di brani altrui e vecchi traditionals, completati da tre brani nuovi.

david bromberg wanted

La produzione è nelle sapienti mani di Larry Campbell (che aveva prodotto anche due brani su Use Me), ormai un esperto in questo tipo di sonorità, e l’album è una gioiosa miscela di blues, folk, country, rock e persino gospel (cosa non scontata per un ebreo), un mix perfetto che nelle mani di David e dei suoi compari fa di Only Slightly Mad uno dei più bei lavori dell’anno (con l’unico pollice verso per la ridicola copertina, abbastanza fuori contesto).

E poi suonano, cacchio se suonano!

Si inizia all’insegna del blues con la nota Nobody’s Fault But Mine http://www.youtube.com/watch?v=og49MxQbaRA di Blind Willie Johnson (ma resa celebre dai Led Zeppelin), che David personalizza con la sua particolare voce all’apparenza fragile ma capace di sfumature impreviste: una versione tosta, elettrica, chitarristica, con la slide di Bromberg e l’organo di Brian Mitchell a tirare le fila. E poi il suono, mai così pieno e rotondo in un disco del nostro: grande inizio. Ancora blues con Keep On Drinkin’ (Big Bill Broonzy), ma l’arrangiamento è più acustico http://www.youtube.com/watch?v=-dtRrrweeGQ , anche se la sezione ritmica pesta che è un piacere: grande duetto tra la slide acustica di David e l’armonica di Sebastian.

Drivin’ Wheel, il brano più famoso di David Wiffen, è il masterpiece del disco, una rilettura da urlo di una canzone già bellissima di suo, arrangiata in maniera classica, da rock ballad anni settanta, ma con gli strumenti che scorrono fluidi ed un suono spettacolare (Campbell ha fatto un lavoro egregio), oltre ad un feeling enorme, da brividi lungo la schiena. E poi David canta bene come non mai: forse la cover dell’anno!

I’ll Take You Back (un oscuro pezzo di Little Charlie & The Nightcats) è di nuovo blues, un blues elettrico afterhours, quasi jazzato, con splendidi interventi di organo e David che giganteggia per gli otto minuti di durata: che classe http://www.youtube.com/watch?v=dBc3ahM1cyM ! Con The Strongest Man Alive/Maydelle’s Reel/Jenny’s Chickens si cambia totalmente registro: è infatti un medley di tre diverse melodie tradizionali irlandesi, con David (e coro) che canta la prima parte a cappella, per poi lanciarsi insieme al gruppo in una jam irresistibile per chitarra, mandolino, violino e sezione ritmica, quasi fossero un combo di irlandesi purosangue: puro godimento. Last Date è una meravigliosa country ballad di Floyd Cramer e Conway Twitty (ricordo anche una bella versione di Emmylou Harris su un live dallo stesso titolo), e David risulta pienamente credibile anche nei panni del cowboy. Se facesse un intero disco country sarebbe sicuramente un capolavoro.

david bromberg live

Nobody Knows The Way I Feel This Mornin’ (un brano inciso negli anni venti da Alberta Hunter, ma in seguito anche da Louis Armstrong, Dinah Washington ed Aretha Franklin) è l’ultimo tributo al blues del disco, acustica, cadenzata, piacevole e suonata in punta di dita, con i fiati sullo sfondo a dare al pezzo un sapore quasi dixieland. The Fields Have Turned Brown è un classico degli Stanley Brothers, un altro splendido country d’altri tempi, suonato alla grande e cantata anche meglio (ribadisco, non ho mai sentito Bromberg cantare bene come in questo disco). Cattle In The Cane/Forked Deer/Monroe’s Hornpipe è ancora un medley strumentale (due traditionals ed il terzo di Bill Monroe), dove il violino di Grower domina incontrastato, seguito a ruota da David e Cosgrove al mandolino: intrattenimento e cultura allo stesso tempo.

Chiudono l’album tre brani scritti da Bromberg, I’ll Rise Again, World Of Fools e You’ve Got To Mean It Too: se la seconda e la terza sono rispettivamente una rock song di buon livello (ma leggermente inferiore alla media del disco) ed un ottimo slow country romantico dedicato alla moglie Nancy, la prima è uno strepitoso gospel-rock che sembra quasi un brano tradizionale, proposto con una sicurezza ed un feeling tale che sembra che David non abbia mai fatto altro in carriera.

In definitiva, un album semplicemente imperdibile: dischi così fanno bene alla salute.

Marco Verdi

Grande Musica Rock 70’s Style! Tedeschi Trucks Band – Everybody’s Talkin’ Live

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Tedeschi Trucks Band – Live Everybody’s Talkin’ – Sony Music – 2 CD

Se uniamo la Derek Trucks Band e il gruppo di Susan Tedeschi cosa otteniamo? Beh, a parte una valanga di gente, undici persone! Scusate un attimo…vado a cercare l’ispirazione per la risposta nella serra delle orchidee di Nero Wolfe! Ah, ecco…otteniamo la Tedeschi Trucks Band! Facezie a parte, ci ritroviamo di fronte uno degli ensemble più eccitanti di questa nuova decade degli anni 2000. Nati appunto nel 2010 dalla fusione dei gruppi dei due coniugi Derek & Susan (tempo fa mi ero iscritto alla mailing list del loro sito e poi non ci avevo più pensato, ma quando ho cominciato a ricevere le prime mail mi chiedevo sempre cosa volessero questi Derek e Susan da me, chi sono e che cacchio vogliono?). Era arrivata anche la richiesta di partecipare al mini referendum per scegliere i brani da inserire nel loro doppio album dal vivo, ma già gli artisti spesso non sanno bene quali brani inserire nei loro dischi, quindi perché complicare le cose con liste chilometriche di pezzi, peraltro in versioni mai sentite (se non in rete e in qualche filmato di YouTube), visto che dalle nostre parti non si sono ancora visti. E considerando i costi di portare in giro una Revue di 11 elementi difficilmente vedremo, ma mai dire mai.

I prodromi di questa formazione nascono comunque dalla Derek Trucks & Susan Tedeschi’s Soul Stew Revival che già dal 2007 portava in giro questo carrozzone itinerante costruito sulla falsariga dei grandi gruppi anni ’70 che si erano occupati di fondere rock, blues, soul, R&B sulla falsariga di quelle stupende formazioni come Delaney & Bonnie, la band di Joe Cocker del tour di Mad Dogs & Englishmen, Ike & Tina Turner, tanto per non fare nomi, che in quel periodo avevano costituito uno dei modi più eccitanti di ascoltare e “vedere” musica. L’unione del virtuosismo e dell’ecclettismo di Derek Trucks, uno dei più grandi virtuosi della chitarra elettrica in stile slide e della voce di Susan Tedeschi, una delle “negre-bianche” della scena attuale (novella Bonnie Raitt), capace anche di suonare la chitarra meglio dell’80% dei colleghi in circolazione, ci aggiungiamo le armonie vocali di Mark Rivers e soprattutto di Mike Mattison, poderoso cantante della Derek Trucks Band e dei suoi Scrapomatic, qui un po’ sacrificato nel ruolo di background vocalist, ma è anche autore di molti brani. Che altro? La sezione ritmica di Oteil Burbridge al basso più il doppio batterista immancabile nelle formazioni “southern”, nelle persone di J.J. Johnson e Tyler Greenville (lasciando libero per il momento Yonrico Scott che si è subito fiondato nel progetto Royal Southern Brotherhood). E ancora “fratello” Kofi Burbridge alle tastiere e flauto nonché una sezione fiati composta da Kebbi Williams, Maurice Brown e Saunders Sermons.

Il risultato finale che otteniamo è un disco ottimo come Revelator che si aggiudica il Grammy come miglior album Blues del 2011 ed ora questo Everybody’s Talkin’ che, se possibile (ma lo è), è pure superiore. Il classico doppio album dal vivo coi fiocchi, i controfiocchi e il pappafico, quando ci vuole ci vuole, mi scappava di dirlo. Un misto di brani originali e cover che ti danno una sensazione di godimento sublime all’ascolto e che, se posso aggiungere, aveva avuto anche un piccolo antecedente poco conosciuto ma assai consigliato in un disco intitolato Soul Summit, uscito nel 2008 per la Shanachie, e che vedeva uniti sullo stesso palco, tra gli altri, gente come Richard Elliot dei Tower Of Power (altra band che conosce l’argomento in questione), Steve Ferrone dell’Average White Band, Karl Denson, Maysa e appunto Mike Mattison e Susan Tedeschi. In questo nuovo doppio CD la quota rock ed improvvisativa è naturalmente molto più accentuata: sette brani intorno e oltre ai 10 minuti non lasciano dubbi. Ma anche quando ci sono brani di “soli” 5 minuti, come la carnale trasformazione soul della celeberrima title-track tratta dal film Midnight Cowboy, cantata con voce rauca e vissuta da una grandissima Susan Tedeschi, con i fiati impazziti della band che ruotano intorno alla slide di Trucks, ragazzi, si gode come ricci (peraltro, mi sono sempre chiesto cos’avranno da godere questi simpatici animaletti?).

Poi una versione sontuosa di Midnight In Harlem, forse il brano più bello di Revelator, preceduto da una Swamp Raga Intro To Little Martha che è quello che dice il titolo, una improvvisazione orientaleggiante sul famoso brano di Duane Allman con la chitarra di Derek che ripercorre le tracce dell’antico maestro, brano che poi si trasforma in una stupenda ballata soul tra le migliori ascoltate nelle ultime decadi. Learn How To Love è un brano blues straordinario che fa capire perché hanno “dovuto” assegnarli quel Grammy nella categoria. Bound For Glory, firmata dal magico trio, Mattison/Tedeschi/Trucks, in rigoroso ordine alfabetico, sono tredici minuti che rinverdiscono i fasti dell’Allman Brothers band più gloriosa, a cui aggiungete una voce femminile e una sezione fiati ma “l’anima” è quella. Rollin’ And Tumblin’, l’unico brano sotto i cinque minuti, non ha bisogno di lunghe improvvisazioni per sprigionare lo spirito senza tempo di uno dei classici della musica Blues, bella versione comunque, tirata e rabbiosa.

Nobody’s Free, una composizione di Tedeschi/Trucks che non era sull’album di esordio, è uno dei brani che meglio esemplifica la grande empatia della coppia, con la vocalità calda di Susan e le improvvise esplosioni chitarristiche di Derek con la band che li segue sui terreni dell’improvvisazione più serrata, per una versione da annali del rock, incredibile! Il primo dischetto si conclude con una versione stupenda di Darling Be Home Soon il brano dei Lovin’ Spoonful di John Sebastian che era uno dei cavalli di battaglia dal vivo di Joe Cocker, peccato che non ci sia Space Captain, se no l’album sarebbe stato pefetto, ma questo brano con una coda strumentale fenomenale di Derek Trucks non lo fa rimpiangere troppo. Il secondo CD riparte subito con una cover di That Did It un grande blues&soul che era nel repertorio di Bobby “Blue” Bland, interpretato con grande intensità da Susan Tedeschi, che si destreggia con classe anche alla chitarra.

Mancano tre brani alla fine. Uptight è il celebre brano del giovane Stevie Wonder ed è l’occasione per una improvvisazione monstre di tutta la band (oltre i 15 minuti), che sulle gioiose note di questo vecchio inno Motown ci mostra ancora una volta perché è considerata una delle formazioni più straordinarie dal vivo attualmente in circolazione. Love Has Something Else To Stay è un lungo funky-rock con wah-wah che ha la carica del Jimi Hendrix della Band Of Gypsys potenziata da una sezione fiati mentre Wade In The Water è un’altra blues ballad dalle atmosfere cariche che conclude il concerto in gloria spirituale a tempo di gospel con Mattison e Rivers ad affiancare Susan Tedeschi in una grande interpretazione vocale.

Se non è un capolavoro poco ci manca, diciamo un piccolo capolavoro! Tra i dischi dell’anno di sicuro.

Bruno Conti