“Heartland Rock” Persino Nella Valle Dell’Eden! Joe Grushecky – Somewhere East Of Eden

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Joe Grushecky – Somewhere East Of Eden – Schoolhouse Records/Warner Music 2013

Con una carriera musicale iniziata alla fine degli anni ’70, con il suo gruppo iniziale gli Iron City Houserockers (poi in seguito mutato solo in The Houserockers), Joe Grushecky (grande amico del Boss), per oltre tre decenni, è stato un degno alfiere (a fianco di John Mellencamp, Bob Seger, Tom Petty e naturalmente Springsteen), di quel genere etichettato come “Heartland Rock”, poi in seguito collocato anche come “Blue Collar Rock”. Questo diciassettesimo album solista del rocker di Pittsburgh, finanziato dai fans e che arriva dopo lo splendido live We’re Not Dead Yet (ne avevo parlato su queste pagine virtuali circa due anni fa discepoli-preferiti-di-springsteen-joe-grushecky-we-re-not-d.html), prende il titolo dal romanzo di John Steinbeck East Of Eden, lo trasporta ai giorni nostri e confeziona dodici canzoni sincere e genuine, coerenti con la sua carriera di “working class hero”, sempre a difesa degli emarginati e dei più deboli.

Lasciati a casa (in parte) i fedeli Houserockers, presenti solo Joe Pelesky alle tastiere e il batterista storico Joffo Simmons, Joe si avvale di musicisti di valore, a partire dal co-produttore Rick Witkowski alle chitarre e percussioni, Jeff Garrison al basso, Nat Kerr al piano, Rick Geragi alle percussioni, il figlio Johnny Grushecky al basso, con Bonnie Bishop e Vanessa Compagna alle armonie vocali, per dare vita (a sessant’anni suonati) ad un nuovo capitolo della sua copiosa discografia.

La partenza è fulminante con l’iniziale boogie-rock di I Can Hear The Devil Knocking e la ballata “blue collar” di Who Cares About Those Kids, con le chitarre elettriche in primo piano (specialità della casa), seguita dal tradizionale John The Revelator (brano reso popolare da Blind Willie Johnson nel lontano 1930), cantato da Joe in versione “a cappella” in forma gospel, mentre la title track Somewhere East Of Eden, che racconta le vicende di un veterano della guerra in Iraq, richiama lo stile “mainstream” di American Babylon (tutto muscoli e chitarre). Si riparte con la splendida When Castro Came Down From The Hills, (una canzone che mi ricorda i migliori Black Sorrows di Joe Camilleri ) accompagnata dalla magica tromba di Joe Herndon, a cui fanno seguito il quasi blues di I Still Look Good (For Sixty) e la ballata elettro-acustica Magnolia, dove si risentono piacevolmente armonie vocali anni ’70 (periodo Bob Seger).

Inaspettato, arriva il momento di Save The Last Dance For Me, famosissimo brano di Doc Pomus e Mort Shuman (portato al successo dai Drifters di Ben E. King) che viene rivisitato in modo onesto e intimo da Joe, per poi cambiare ritmo con il suono “garage” di I Was Born To Rock e il funky di Prices Going Up. Si chiude con la potente Changing Of The Guard (con il valido apporto del figlio Johnny al basso) e la ninna nanna acustica The First Day Of School, eseguita solo con chitarra e voce.

Somewhere East Of Eden nella lunga carriera discografica di Grushecky, merita un posto di primo piano, dopo American Babylon (95), Coming Home (97) e il più recente A Good Life (2006), un lavoro di rock urbano ed elettrico, pulsante e romantico, cantato con la consueta passione e fierezza, con un forte senso d’appartenenza, che permette a Joe Grushecky ancora oggi, di suonare con il suo stile da “bar boogie band”, in molti club della sterminata provincia americana. Niente di nuovo sotto il cielo, ma una garanzia per chi ama il buon rock’n’roll!

Tino Montanari