Canzoni Amare, Ma Suono Texano Al 100%! Josh Abbott Band – Until My Voice Goes Out

josh abbott band until my voice goes out

Josh Abbott Band – Until My Voice Goes Out – Pretty Damn Tough CD

Ormai la Josh Abbott Band è una realtà consolidata, e non solo in Texas (sono di Lubbock), ma in tutti gli States, dato che i loro ultimi due lavori sono entrati entrambi nella Top Ten country. Gruppo numeroso, sono in sette (oltre ad Abbott, voce e chitarra acustica, abbiamo Austin Davis, banjo, Preston Wait, violino, steel e chitarra elettrica, Eddie Villanueva, batteria, Caleb Keeter, chitarra solista, James Hertless, basso, e David Fralin, tastiere varie), la JAB è attiva dal 2008 e fino ad oggi ha pubblicato dischi con una regolarità invidiabile: uno ogni due anni, con l’eccezione del precedente, Front Row Seat, che era uscito nel 2015 http://discoclub.myblog.it/2015/12/17/concept-autobiografico-forse-si-pur-sempre-ottimo-country-rock-texano-josh-abbott-band-front-row-seat/  a tre anni di distanza da Small Town Family Dream. Ma questa quantità nel numero di album non ha mai messo in discussione la qualità, in quanto i nostri hanno continuato a proporre vero country-rock texano, elettrico e chitarristico, ricco dal punto di vista strumentale (non sono in sette per pettinare le bambole) e, cosa che li distingue da molti altri, profondo dal punto di vista dei testi. Abbott infatti è uno che nelle sue canzoni parla spesso di esperienze private e di vita vissuta in prima persona.

Front Row Seat era addirittura un concept album, ispirato dal fallimento del suo matrimonio (il suo Blood On The Tracks, facendo le dovute proporzioni), mentre questo nuovo Until My Voice Goes Out, quinto lavoro della band, è influenzato dalla scomparsa del padre di Josh, Charles David Abbott, figura evidentemente di grande riferimento per lui, ed è un altro concept con tanto di preludio ed epilogo. In mezzo, però, la solita musica elettrica ben costruita dei nostri, che, così come in Front Row Seat, contrappongono un suono vigoroso a liriche spesso tristi. Il disco è prodotto da Dwight Baker, ed oltre alla solita strumentazione abbiamo in diversi pezzi la partecipazione di una sezione fiati, e addirittura di un quartetto d’archi, che è il primo ad entrare in scena con il breve strumentale che apre il CD, An Appreciation Of Life, un intro quasi cameristica. A seguire arriva la title track, una country song elettrica molto distesa, con chitarre e banjo a guidare la band ed un motivo non banale, che rivela la maturità di Josh nel songwriting. La vivace Heartbeatin’ inizia come un traditional bluegrass, poi entrano basso, batteria ed i fiati, creando un cocktail decisamente stimolante e creativo. Un piano elettrico introduce Texas Women, Tennessee Whiskey, un delizioso brano tra country, southern e swamp, con un motivo che rivela l’influenza di John Fogerty ed ancora i fiati a colorare il suono, mentre I’m Your Only Flaw inizia come una squisita ballad acustica e, con l’ingresso degli altri strumenti, diventa una country tune vibrante ed intensa, con una menzione per l’uso della steel.

Hope & Hesitance è un piccolo intermezzo per solo banjo, che confluisce in Girl Down In Texas, altra ballata elettrica toccante nella melodia ma energica nel suono; la mossa Whiskey Tango Foxtrot è molto texana e perfetta da suonare nei bar di Austin (o di dove volete voi), Kinda Missing You tiene alto il ritmo, un rockin’ country diretto e limpido, di nuovo con i fiati nel ruolo di piacevole incomodo, Heartbeat And A Melody è tersa, fluida, solare, tra le più immediate. Non male neanche The Night Is Ours, puro country’n’roll, con fiati e chitarre che creano un intrigante muro del suono, mentre Dance With You All Night Long, nonostante il titolo, è uno struggente lento per voce, chitarra e quartetto d’archi; il CD termina con Ain’t My Daddy’s Town, altro lento con Josh in compagnia solo della sua chitarra e del violino di Wait, toccante pezzo che narra della morte del padre, e con l’epilogo dal titolo eloquente di Farewell Father, di nuovo con gli archi che chiudono così come avevano cominciato. La Josh Abbott Band matura disco dopo disco, la qualità rimane alta e le vendite sembrano dare loro ragione: speriamo solo che lo spunto per il prossimo lavoro sia inerente ad un argomento più allegro degli ultimi due.

Marco Verdi

Un Concept Autobiografico? Forse Sì, Ma Pur Sempre Ottimo Country-Rock Texano! Josh Abbott Band – Front Row Seat

josh abbott band front row seat

Josh Abbott Band – Front Row Seat – Pretty Damn Tough/Thirty Tigers CD

Josh Abbott è la quintessenza del country-rocker texano. Proveniente da Lubbock, Josh e la sua solida band (Preston Wait, chitarre e violino, Austin Davis, banjo, Caleb Keeter, chitarra solista, Eddie Villanueva, batteria e James Hertless, basso) sono attivi dal 2008, periodo nel quale non hanno pubblicato molto, solo tre album, ma con un livello qualitativo medio-alto. In particolare l’ultimo Small Town Family Dream ha saputo coniugare buona musica ed ottime vendite, arrivando fino al numero 5 della Hot 100 country di Billboard, quasi un miracolo per un gruppo che non ha un contratto con una major.Questo a dimostrazione che la qualità ed il duro lavoro (sono abituati a suonare parecchie date durante l’anno) ogni tanto pagano: Josh e i suoi non hanno mai avuto la tentazione di arrotondare il suono per fare l’ultimo salto in alto nelle vendite, ma sono rimasti fedeli al loro country-rock duro e puro, chitarristico e vibrante, un suono perfetto per i brani scritti dal leader, canzoni che narrano della vita di tutti i giorni delle persone normali, con i suoi alti e bassi ed i suoi problemi.

Front Row Seat è il nuovo album della JAB, ed è certamente il disco più personale a livello di testi, in quanto è una sorta di concept che narra dei problemi coniugali di Josh, culminati con la separazione dalla moglie: ma non abbiate paura, non è il classico disco intimista, ed alla lunga noioso, del cantautore depresso per la fine di una storia sentimentale, in quanto il suono non è cambiato di una virgola, cioè pura e sana country music texana elettrica e roccata. L’album è abbastanza lungo (sedici brani, una cinquantina di minuti) ed è diviso in cinque atti, come se fosse un’opera teatrale, in cui Abbott è lo spettatore privilegiato (seduto metaforicamente sul Front Row Seat del titolo). I dubbi che Josh e i suoi potessero avere un calo sono subito fugati da While I’m Young, un country-rock potente e vigoroso, con chitarre e banjo sugli scudi ed un refrain molto godibile, al quale fa subito seguito I’ve Been Known, un saltellante brano elettroacustico con tripudio di steel, banjo e violini.

Live It While You Got It, ancora elettrica, è puro rockin’ country texano: se i testi possono essere tristi la musica non lo è di certo; Wasn’t That Drunk vede Josh duettare con Carly Pearce, ed il brano non ha cedimenti di ritmo, anche se i toni sono appena un filo più malinconici. La fluida e limpida Kiss You Good è un altro esempio dello stile del nostro, country elettrico suonato con grinta da rock’n’roll band, mentre If It Makes You Feel Good rallenta un po’ il ritmo, anche se il ritornello non perde un’oncia della sua potenza emotiva, il tutto corredato da un breve ma incisivo assolo di Keeter. Crazy Things è puro country, mentre Front Row Seat è una solida ballata dal retrogusto amaro, sempre sostenuta da una strumentazione potente; Kisses We Steal è una delle migliori del disco, una rock ballad aperta e sinuosa, con un bel riff di violino ed un motivo particolarmente riuscto.Born to Break Your Heart è lenta ma sempre intensa, mentre la cupa Ghosts ha uno sviluppo attendista ed arpeggi chitarristici di valore; This Isn’t Easy è un’oasi particolarmente gradita, anche se dopo un minuto si elettrifica e diventa una rock ballad a tutto tondo. La strana A Loss Of Memory è piena di effetti sonori poco immediati, ma subito corretti dalla bella Amnesia, una delle più scorrevoli del CD, per chiudere con la dolce Autumn e la malinconica Anonymity.

Josh Abbott in questo disco dimostra di essere un texano dalla pelle dura, che neppure le vicissitudini personali riescono a scalfire, e porta a termine un altro buon disco di sano rockin’ country d’autore.

Marco Verdi

I Nuovi Outlaws. Brandon Rhyder That’s Just Me

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Brandon Rhyder – That’s Just Me – Brandon Rhyder.com Self-released

Qual è la differenza tra la Red Dirt Music che viene dall’Alabama e quella che viene dal Texas? Mai capita. Forse gli interpreti di Red Dirt potrebbero essere i nuovi Outlaws (nel senso di Waylon’n’Willie)? Qui mi sentirei di rispondere affermativamente. Tra il country Red Dirt e quello di Nashville (e non solo), oggi c’è la stessa differenza che c’era un tempo tra il country commerciale che veniva dalla capitale del Tennessee (non tutto ovviamente) e l’outlaw country, quello di Bakersfield (mi viene sempre da scrivere Baskerville, ma quello era il mastino di Sherlock Holmes) o la musica di gente come Merle Haggard che da lì veniva. Poi i limiti che dividono un genere dall’altro sono molto labili, c’è sicuramente del country-rock, perfino del pop, ma di qualità, southern rock, perché molti vengono dal Texas, una giusta dose di bluegrass e country acustico et voilà, i giochi sono fatti.

Brandon Rhyder, attraverso sette album (due live), pubblicati in una dozzina di anni di carriera, ha dimostrato di conoscere questa arte di fondere gustosamente tutte queste influenze, unite ad una indubbia capacità di scrivere belle canzoni, e con questo nuovo That’s Just Me si dimostra ancora cantante ed autore affidabile, magari non farà mai il capolavoro, mai i suoi dischi sono solidi e godibili. Nel precedente Head Above Water si era fatto aiutare alla produzione da Walt Wilkins, questa volta si affida a Matt Powell, autore anche di un paio di brani del CD, e già chitarrista nel precedente ottimo Live At Billy Bob’s Texas. Tra i co-autori di Rhyder ci sono anche Wade Bowen e Josh Abbott (leader della band omonima), che di Red Dirt, Southern e country se ne intendono.

Il risultato è un buon album, le canoniche dodici canzoni, equamente divise tra rockers, ballate e mid-tempo, con l’apertura affidata a Haggard, un brano dall’andatura ondeggiante che oscilla tra gli Yippie-Yi-Ya del country tradizionale e un violino insinuante suonato da Marian Brackney, che ci rimanda alle atmosfere di Desire di Dylan, quando Scarlet Rivera ci deliziava con i suoi interventi strumentali, ottimo il lavoro di Powell alla solista e godibilissimo il cantato di Rhyder, in possesso di una voce calda e insinuante. La title-track That’s Just Me replica la formula, ancora con il violino sugli scudi, mentre il banjo e la solista di Powell sono un piacere per le orecchie e le armonie vocali di Andrea Whaley aggiungono fascino a questa bella canzone country, perché di questo si tratta, e diciamolo! Se la country music è fatta bene si ascolta con piacere e anche Leave, che aggiunge una pedal steel alla formula musicale, mantenendo le armonie vocali femminili, il violino che cambia mano e passa a Tahmineh Guarany e gli interventi puliti e concisi della solista di Matt Powell, lo conferma. Love Red è un gradevole mid-tempo dalle melodie semplici mentre Pray The Night scritta con il “collega” Wade Bowen è un ballatone mosso da classifiche country (dove l’album nonostante la distribuzione indipendente è regolarmente entrato), con qualche aggancio con il sound country-rock californiano, vagamente alla Jackson Browne.

Scat Kitty è più vicina agli stilemi della bluegrass song, energica e con retrogusti elettrici, ma con violino, banjo e mandolino in primo piano. Richest Poor People ha un’aria alla Mr.Bojangles, dolce e scanzonata, Don’t Rob Me Blin, viceversa, ha la slide di Powell, che è l’autore del brano, come strumento guida e un suono che vira verso un country-southern più grintoso. Undercover Lover, una collaborazione tra i due, dal ritmo scandito e bluesy è un altro buon esempio di country meticciato con il rock, quasi tendente al pop di buona fattura. Some People è un altro mid-tempo con violino e chitarra in evidenza, cantato con la consueta perizia, se vi piacciono i vari Bleu Edmonson, Pat Green, Cory Morrow, Randy Rogers e soci, qui c’è pane per i vostri denti. Hell’s Gate scritta in coppia con l’ottimo southern rocker Josh Abbott è un ulteriore energico tassello in questo affresco di buon country-rock. Ad inizio di recensione vi avevo parlato di ballate, in effetti se l’è tenuta per ultima, un bel duetto con l’autrice Marcia Ramirez, Let Him è una classica slow ballad texana di quelle perfette e conclude su una nota positiva un album che conferma Brandon Rhyder tra i nomi da tenere d’occhio, se amate il genere.

Bruno Conti  

Novità Di Aprile Parte V. Jon Cleary, Jerry Jeff Walker, Waco Brothers, Josh Abbott Band, Kevin Ayers, Of Monsters and Men,Oli Brown, Kip Moore, Doug Paisley, Eccetera.

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Ultima lista di uscite discografiche per il mese di Aprile (forse), alcune in uscita oggi 24 aprile altre già disponibili.

Partiamo con il “nuovo” gruppo del momento, perché sapete che quasi ogni settimana ce n’è uno: questi Of Monsters And Men di cui è uscito il 3 aprile (ma non in Italia, dove uscirà il 15 maggio) l’album di debutto, questo My Head Is An Animal, sono una band islandese, ebbene sì, ma non c’entrano nulla con Sugarcubes o Sigur Ror, sono sotto contratto per la Universal Republic e lo scorso anno avevano pubblicato un EP. Al momento sono molto popolari in America dove hanno riscosso un significativo successo al South by Southwest ma anche le riviste specializzate inglesi ne hanno parlato bene e pure in Italia qualcosa si muove (lo sto ascoltando in questi giorni e conto di approfondire nei prossimi giorni). Per il momento diciamo che sono una formazione dove le voci di Nanna Bryndis Hilmarsdottir e Ragnar Porhalsson, quindi una femminile e una maschile, ben si amalgamano in uno stile che è stato paragonato a quello di Arcade Fire, Decemberists, Great Lake Swimmers, Death Cab For Cutie, Mumford and Sons, il filone del cosiddetto “nuovo folk-rock”, vogliamo dire retromani, così facciamo contenti i fans di Simon Reynolds (che mi ricorda un po’ il Catalano dei tempi di Arbore, viste le cose ovvie che dice).

Il pianista e sideman Jon Cleary contrariamente a quanto pensano tutti non è di New Orleans ma è originario del Kent in Inghilterra, comunque la musica della Crescent City è il suo pane quotidiano. Questo Occapella, edito la scorsa settimana dalla Fhq Records, lo vede alle prese con il repertorio di Allen Toussaint, con l’aiuto di Dr.John e della sua frequente datrice di lavoro Bonnie Raitt, entrambi presenti in questo CD. Per chi ama il funky-soul-R&B di New Orleans e il piano.

Doug Paisley è un eccellente cantautore canadese autore di due ottimi album tra cui Constant Companion di cui mi sono occupato per il Blog nell’Ottobre 2010, se volete verificare, temp-3507313775689154ecbe16f0fb3900d1.html. Questo Golden Embers è un mini album con 5 brani che conferma quanto di buono si era detto su di lui. Etichetta No Quarter.

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Tre ristampe interessanti.

La Emi inglese prosegue con la sua meritoria serie di cofanetti quintupli a special price dedicati ai nomi di “culto” che hanno fatto parte del proprio catalogo: Kevin Ayers The Harvest Years 1969-1974 raccoglie i cinque album incisi dall’ex Soft Machine per l’etichetta inglese, nelle versioni rimasterizzate e potenziate uscite qualche anno fa. Se non li avevate già acquistati si tratta di alcuni tra i migliori dischi della musica britannica di quel periodo: Joy Of A Toy, Shooting At The Moon (May I è uno dei brani più eleganti degli anni ’70) , Whatevershebringswesing, Bananamour e The Confessions of Dr.Dream che sono sicuro ai tempi (1974) era della Island, ma comunque è un bel disco e ci sta bene in questa antologia.

Dei T.Rex vi avevo già annunciato da mesi l’uscita di questo Electric Warrior, anche in versione SuperDeluxe oltre a quella canonica doppia distribuita dalla Universal. La settimana prossima riescono a special price anche tutti gli altri album della Band.

Jerry Jeff Walker rimarrà perennemente nella memoria degli appassionati per avere scritto Mr. Bojangles ma nel corso degli anni ha pubblicato anche un consistente (direi una quarantina) numero di album: questa ristampa doppia dell’australiana Raven raccoglie Walker’s Collectibles del 1974 e Ridin’ High del 1975, due tra i migliori, con sei tracce bonus + un raro singolo. Eccellente qualità sonora (anche il prezzo, purtroppo) e confezione molto curata come di consueti.

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Oli Brown, come già ricordato nel Post dedicato a Danny Bryant, fa parte di quella ondata di giovani bluesmen (Matt Schofield, Simon McBride, Ainsley Lister ed altri) che allietano le giornate degli appassionati del rock-blues britannico. Brown, poco più che ventenne, è il più giovane,ma con questo Here I Am è già al suo terzo album per la Ruf Records e conferma quanto di buono avevo scritto su di lui per il Buscadero.

Kip Moore è l’ultimo di una serie di cantanti che dai tempi di Springsteen fonde blue-collar rock e country (vogliamo dire Heartland Rock?). Questo Up All Night che esce in questi giorni per la MCA Nashville ne è un ulteriore esempio. Si aggiunge ad una lista di epigoni springsteeniani da Joe Eddie a Joe D’Urso passando per i molto più dotati Michael McDermott e Will T. Massey. Qui c’è più country ma non è malaccio.

Questo titolo non è pubblicato dalla Left Field Media ma il principio è sempre quello: prendere dei broadcast radiofonici classici e renderli disponibili in questi Live semiufficiali. Cowboy Angels di Emmylou Harris è l’ultimo della serie: con la Hot Band alla Boarding House di San Francisco questo è il periodo d’oro di Emmylou. Etichetta All Access, repertorio del primissimo periodo e molte cover, questi i titoli:

1. Cash on the Barrel Head
2. That s All It Took
3. Feelin Single, Seein Double
4. Coat of Many Colors
5. Amarillo
6. Together Again
7. Return of the Grievous Angel
8. Bluebird Wine
9. Tonight the Bottle Let Me Down
10. Boulder to Birmingham
11. Cry One More Time
12. Ooh Las Vegas
13. Shop Around
14. Hickory Wind
15. Jambalaya

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Tre album che girano tra Blues, roots, country-rock, southern e Americana.

The 44’s, nonostante il titolo del CD, Americana, fanno del blues-rock, con Kid Ramos che suona e produce, fondono i vecchi Canned Heat, Roomful Of Blues e Fabulous Thunderbirds, anche qualcosa dei primi Blasters. Etichetta Rip Cat Records, è il secondo album che fanno (ho come l’impressione che mi capiteranno tra le mani per il giornale)!

I Waco Brothers sono il side group di Jon Langford dei Mekons quando vuole fare del country-punk di qualità, incidono per l’etichetta Bloodshot, da cui il titolo Great Chicago Fire e questa volta è della partita anche l’ottimo Paul Burch dei Wpa Ballclub (ma ha suonato anche con Lambchop, Mark Knopfler, Vic Chesnutt, Exene Cervenka).

Cadenza biennale per gli album della Josh Abbott Band: questo Small Town Family Dreams è il terzo disco per il gruppo texano che fonde Red Dirt, Country e southern rock con ottimi risultati. Già il nome dell’etichetta è tutto un programma, Pretty Damn Tough Records.

E’ tutto, alla prossima.

Bruno Conti