Le CSN In Gonnella Degli Anni 2000? Forse, Ma Non Solo: Case/Lang/Veirs

case lang veirs

Case/Lang/Veirs – Case/Lag/Veirs – Anti/Epitaph

Quando alcuni mesi fa (ma ne parlavano da tempo tra loro, e nel 2013 su Warp And Theft della Veirs era già successo)) Neko Case, k.d. lang Laura Veirs, in stretto ordine alfabetico), hanno deciso di unire le loro forze per registrare un album insieme, la prima obiezione che era stata fatta a questo progetto era quella dell’equilibrio da raggiungere tra i tre diversi talenti impegnati in questa operazione. Va detto subito che mi pare ci siano riuscite, in quanto le tre cantanti hanno saputo realizzare comunque una serie di canzoni dove le loro voci si amalgamano alla perfezione, in uno stile che, come ricordo nel titolo del Post, può essere considerato una sorta di versione 2.0  e femminile dei gloriosi intrecci vocali dei Crosby Stills Nash dei tempi d’oro: ovvero, tutte e tre a turno mettono a disposizione le proprie canzoni e si alternano alla guida dei vari brani, ma poi armonizzano in modo splendido, praticamente in tutte le canzoni contenute in questo disco, prodotto in modo misurato e brillante dal marito di Laura Veirs, Tucker Martine, che ha registrato l’album nei propri studi casalinghi di Portland, Oregon, utilizzando anche una sezione archi e dei fiati, oltre ad una serie di musicisti non celeberrimi (probabilmente il più noto dei quali è Glenn Kotche, il batterista dei Wilco) ma assai efficaci nel ricavare il meglio dal materiale proposto dalle tre autrici.

Non tutti i 14 brani sono forse dei capolavori, ma l’album si ascolta con piacere e pur evidenziando l’indie-pop raffinato di Neko Case, il folk intellettuale e brillante di Laura Veirs (un po’ alla Suzanne Vega) e il jazzy pop sognante e brillante a livello vocale di k.d. lang, a tratti sorprende per le citazioni (certo non nuove, ma sempre gradite) di Best Kept Secret, un rock solare e californiano, mosso e di impronta rock, direi quasi alla Bangles, ed è inteso come un complimento, con le voci, guidate da Neko Case, che fluttuano con estrema godibilità sul tappeto di archi e fiati di stampo beatlesiano realizzato da Martine, mentre chitarre e tastiere e sezione ritmica confezionano un delizioso tourbillon di frizzante pop, nella accezione più brillante e nobile del termine. In alcuni brani, come nell’iniziale Atomic Number, l’intreccio delle voci rasenta la perfezione assoluta, con un’aria malinconica ma serena che esce dalle note di questa splendida canzone. O nella magnifica Song For Judee,dedicata ad una delle più geniali, brillanti e sfortunate cantautrici dell’epopea californiana, quella Judee Sill che fu grande almeno come le sue contemporanee Joni Mitchell, Laura Nyro Carole King, e in questo brano gli agganci con il country-pop west-coastiano di CSN ci sta tutto, tra viole sognanti, pianoforti e una batteria delicata che aggiungono tratti quasi barocchi a questo brano sempre malinconico, ma pervaso comunque da questa aurea serenità senza tempo.

I brani più riconoscibili sono indubbiamente quelli di k.d. lang., Blue Fires, Honey And Smoke 1.000 Miles Away ci rimandano a quell’allure tra jazz e pop dei migliori brani di Ingenue, il suo disco più conosciuto, impreziositi dalle armonie delle amiche Case e Veirs. Ma è nei momenti corali che le tre eccellono, in Delirium sembra di ascoltare quasi dei Mamas And Papas trasportati per incanto ai giorni nostri (senza Papas, solo Mamas) o qualche girl group d’antan che ci delizia con questo pop raffinato, dove una “scivolata” di organo Farfisa o un colpo di tamburello sono posizionati con incredibile precisione tra gli svolazzi vocali. Green Of June, fonde il folk-rock al pop più complesso, sempre tra archi, marimbe, vibrafoni, tastiere e chitarre acustiche, mentre le voci richiamano gruppi come  Renaissance, Fairport Convention o i californiani It’s A Beautiful Day e i Joy Of Cooking di Terry Garthwaite Tony Brown. Anche Behind The Armory si muove in quello spettro sonoro tra la Annie Haslam più folk e qualche tocco di Suzanne Vega Laura Marling, meno intellettuali e più “popolari”.

Supermoon potrebbe uscire proprio dal primo album della Vega, anche se le voce di Laura Veirs è meno monocorde e gli intrecci armonici e l’uso degli archi aggiungono un tocco di “dream folk”. Però è quando le voci si sommano, come nella corale I Want To Be Here, che le tre ragazze ricordano gli intrecci vorticosi dei CSN citati all’inizio, in versione femminile e con un’altra prospettiva sonora, ma l’idea di base è quella. Niente male pure Down o la sognante e morbida Why Do We Fight, dominata dalla splendida voce della canadese k.d. lang, con le altre che le fanno da damigelle d’onore, per poi affidare la conclusione ad un altro dei pezzi forti di questo album, una Georgia Stars dove la Case (o è la Veirs?) rievoca di nuovo questa specie di folk futuribile, discendente lontano di quello cerebrale della Mitchell, figlio di quello indie alternative della Vega e sempre graziato dai brillanti florilegi di voci e strumenti che interagiscono in modo perfettamente calibrato. Forse, anzi sicuramente, si tratta di musica già sentita, ma confezionata così come non la si ascoltava da tempo, quindi merita la vostra attenzione.

Bruno Conti

Una Voce Magica Per Cuori Sensibili! Sarah Gillespie – Glory Days

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Sarah Gillespie – Glory Days – Pastiche Records

Stalking Juliet (09), l’esordio di Sarah Gillespie, è stato uno dei tanti miei innamoramenti musicali, bissato poi dal seguente In The Current Climate (11) e da un’introvabile EP The War On Trevor  (12). Per quelli che (purtroppo) non la conoscono, dovete sapere che Sarah è nata a Londra da madre americana e padre inglese, e sballottata tra Inghilterra e Stati Uniti, qui si è trasferita al compimento dei diciotto anni, viaggiando molto e assimilando le influenze musicali di grandi nomi come Bessie Smith, Bob Dylan, Cole Porter e molti altri bluesmen e jazzisti. Tornata a Londra la Gillespie (in occasione di un suo concerto al famoso Ronnie Scott’s), incontra il sassofonista Gilad Atzmon (che poi diventerà suo produttore), che la porta a suonare in tutti i locali, jazz club e pub dell’Inghilterra, con la critica che finalmente si accorge di questo talento, che nella sua musica mischia jazz, folk ed elementi mediorientali in un mix di poesia, con testi intensi ed immediati.

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Questo nuovo lavoro Glory Days http://www.youtube.com/watch?v=DueiVNLx7T4 , prodotto dal polistrumentista di origine israeliana Gilad Atzmon al sassofono, fisarmonica, clarinetto e chitarre elettriche, oltre a Sarah chitarra e voce, si avvale di musicisti di grande valore  come Enzo Zirilli (che risiede e lavora stabilmente a Londra da anni) alla batteria e percussioni, il fido Ben Bastin al contrabbasso, Kit Downes al pianoforte e Marcus Bates al corno francese, alle prese con una serie di canzoni tutte scritte dalla penna di Sarah Gillespie (eccetto il famoso conclusivo traditional St.James Infirmary).

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Una chitarra acustica introduce Postcards To Outer Space, il brano di apertura dell’album, una performance per voce e chitarra, di impronta “mitchelliana” http://www.youtube.com/watch?v=u0XiTjLEmYo ,seguita dalla title track Glory Days (nessuna relazione con il brano di Springsteen), dedicata alla defunta madre Susan Ann Broyden, una perfetta folk-song, con fisarmonica e corno francese a dettare il ritmo, mentre Sugar Sugar è un altro esempio di melodia folk jazz, che valorizza le capacità della band http://www.youtube.com/watch?v=1icYP1xs5ng .Oh Mary è il secondo brano per chitarra e voce, dove si dimostra la bravura di strumentista di Sarah http://www.youtube.com/watch?v=8AAc4Yl2px4 , mentre il valzer Signal Failure viene ripescato dall’EP The War On Trevor http://www.youtube.com/watch?v=CFWRPrBsR-g , per poi passare all’arrangiamento esotico e sensuale di The Bees And The  Seas, con la fisa di Atzmon e gli strumenti di Bastin e Zirilli sugli scudi. Si riparte con una canzone politica The Soldier Song (storia di un disoccupato, che si arruola nell’esercito per avere una retribuzione), cui fanno seguito le atmosfere “jazzate” di Babies And All That Shit, per  poi chiudere con St.James Infirmary, rifatta in una chiave New Orleans, dove il clarinetto di Gilad e la voce languida di Sarah, valorizzano un brano immortale.

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Sono sempre più convinto che per trovare dei talenti come Sarah Gillespie bisogna rivolgersi nei circuiti indipendenti (e non nei contesti televisivi di successo sopravvalutati come X Factor), e la dimostrazione è questo Glory Days, dove la Gillespie confeziona piacevoli e raffinate ballate acustiche, accompagnate dalla chitarra, mischiando blues e jazz, gypsy swing e una spruzzata di “vaudeville”, con qualità che l’assimilano a quella nobile tradizione di cantautrici storiche, per volare alto, come Judee Sill, Karen Dalton e la già menzionata Joni Mitchell. Per chi scrive, un talento da tenere d’occhio (quindi non solo Laura Marling)!

Tino Montanari  

*NDB Anche questo album è uscito a giugno dello scorso anno e fa parte dei “recuperi” del Blog di dischi interessanti di cui non si era parlato per vari motivi. Come ha detto qualcuno, la buona musica non ha una data di scadenza, come il latte e lo yogurt, quindi buon ascolto, se vorrete e la ricerca prosegue!