Non Sparate Sulla Pianista! Deanna Bogart – Pianoland

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Deanna Bogart – Pianoland – Blind Pig 2012

L’etichetta dalla quale viene pubblicato il CD, la Blind Pig, potrebbe fare erroneamente ritenere che questo sia un CD solo di Blues ed in effetti ce n’è, anche se non moltissimo. Ma troviamo anche e soprattutto, jazz, pop, boogie woogie e altri generi. Potremmo dire “non sparate sulla pianista”, perché lo strumento principale è proprio il pianoforte, ma Deanna Bogart è anche una ottima cantante, nella equazione voce-strumento il suo virtuosismo potrebbe essere equivalente a quello di una Bonnie Raitt o di una Susan Tedeschi alla chitarra. Questo è già il suo nono disco, escludendo un CD natalizio, e per la prima volta non si cimenta anche al sax, che è il suo secondo strumento.

Il repertorio è molto eclettico, si passa dal pop molto jazzato dell’iniziale In The Rain che potrebbe ricordare il Billy Joel delle origini, quello di Piano Man per intenderci, con le mani che volano sulla tastiera, contrabbasso e batteria che agilmente la seguono e un continuo susseguirsi di assolo che sottolineano le brevi parti cantate, ma On And On And con il suo groove funky potrebbe essere uno swamp di Tony Joe White o dei Creedence in trasferta a New Orleans e con il piano che sostituisce la chitarra come strumento dominante, il tutto cantato con una voce sicura e ispirata. Boogie Woogie Boogie come il titolo lascia intuire è un boogie strumentale, anzi “il boogie”, proprio quello celeberrimo di Errol Garner e permette di gustare la sua assoluta padronanza allo strumento. Couldn’t Love You More è una deliziosa ballata quasi westcoastiana, melodica e delicata, solo voce e piano nello stile della Carole King più intimista. Where The Well Runs Dry è una altra bella ballata, con un ritmo più robusto, un po’ country got soul, come usavano quelle belle voci femminili anni ’70, con in più ottimi florilegi pianistici di grande spessore qualitativo.

I Love The Life I Live molti la associano a Mose Allison, del quale era uno dei cavalli di battaglia, ma è stata scritta dall’autore Blues per antonomasia, Willie Dixon, anche se la versione della Bogart è più vicina allo spirito jazzy di Allison. Death Ray Boogie è di Pete Johnson, uno dei maestri del boogie woogie ed è un altro strumentale dai ritmi vorticosi mentre Over The Rainbow è proprio il classico di Harold Arlen reso celebre nel Mago di Oz da Judy Garland, che qui perde il Somewhere per strada, ma non il fascino del brano, in una versione solo voce e piano cantata benissimo da Deanna Bogart. Pianoland, è una canzone originale firmata dalla stessa Deanna, oltre sette minuti epici, tra rock pianistico e virtuosismo complesso, cantata con raffinata bravura da una musicista di gran classe che si muove tra vari stili con assoluta padronanza delle proprie qualità vocali e strumentali, anche questo brano, per certi versi, mi ha ricordato il Billy Joel dei tempi migliori. L’unica concessione al blues puro è un’altra composizione della Bogart, il terzo brano strumentale del disco, Blues At 11.  Conclude Close Your Eyes che, anche in questo caso, curiosamente, è il celebre brano di James Taylor che si è perso il You Can che appariva nella versione originale di Mud Slide Slim, solo voce e piano nuovamente, per una versione che rivaleggia con il repertorio di Carole King e Laura Nyro. Disco raffinato, difficile da etichettare, che salta da un genere all’altro e quindi, forse, non riesce a trovare un pubblico ben definito, però la signora è molto brava e chi ama la buona musica avrà motivo di essere soddisfatto!

La ricerca continua, sempre!

Bruno Conti  

Che Storia! Audra Mae – The Happiest Lamb

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Audra Mae – The Happiest Lamb – Side One Dummy Records – 18-05-2010

Il titolo non fa riferimento ad eventuali problemi di tossicodipendenza di questa giovane donzella, semplicemente mi sembrava simpatico.

Già, la storia: Audra Mae nasce ventincinque anni fa in quel di Oklahoma City, figlia maggiore di una famiglia numerosa e fin da piccola rivela velleità artistiche. D’altronde per la bisnipote (se ho fatto i conti bene, è la figlia della sorella di Frances Ethel Gumm, mentre la sorella Virginia era la mamma di sua nonna, che casino!) di Judy Garland, nome d’arte di Frances, quindi Liza Minnelli sarebbe la prozia.

Ma bando alle genealogie: verso i diciassette anni, avendo imparato da autodidatta a suonare piano e chitarra, comincia a comporre le prime canzoni e inizia il solito percorso dei veri musicisti, quindi concerti, concerti, concerti, nastri, nastri, nastri, tutta la trafila di chi non vuole passare per i cosiddetti talent show o reality che dir si voglia (anche se… ma lo vediamo fra poco). A questo punto va a studiare alla Middle Tennessee State University, ma ci rimane poco visto che invece di studiare le sue priorità erano scrivere canzoni e fare festa (un bel programmino). Molla tutto e, secondo la sua biografia, arriva in California l’8 gennaio 2004, il giorno del compleanno di Elvis con venti dollari in tasca e questi sono i racconti che alzano l’audience. Da lì inizia il classico peregrinare tra le varie etichette discografiche, ma secondo le sue parole, tutti volevano cambiare il suo modo di cantare e fare musica.

Nel frattempo firma un contratto per la Warner Chappell come autrice e, tramite questo contatto, viene chiamata dagli autori di una serie televisiva americana “Sons of Anarchy” per cantare una cover di Forever Young di Dylan watch?v=VDzJbmZe2rw e con la voce che si ritrova (ne parliamo subito) viene notata da molti. In particolare dai boss di una etichetta indipendente americana, la Side One Dummy (la stessa di Gaslight Anthem, Flogging Molly, Gogol Bordello e altri), che le propongono un contratto. Per farla breve, la nostra amica ha pubblicato nel 2009, due Ep digitali, in particolare uno intitolato Haunt è uscito anche in CD; tramite la casa discografica e la Warner Chappell è stata contattata da un team di autori musicali svedesi, Play Productions per comporre un brano da proporre ad una cantante esordiente. Fin qua niente di strano, se non che la cantante esordiente è tale Susan Boyle (da qui l’aggancio con i talent), il brano Who I Was Born To Be, l’unica composizione originale in un disco di cover viene accettato e inciso e ora, Audra Mae, dopo nove milioni di dischi venduti (e non è finita), potrebbe fare una vita da “ricca” e vivere di rendita. Invece ha deciso di capitalizzare il successo e pubblicare questo The Happiest Lamb il 18 maggio.

Un’ultima curiosità carina raccontata da lei stessa in una intervista. Qualche tempo fa Rufus Wainwright ha fatto un tour e poi inciso un disco dove reinterpreta Judy At Carnegie Hall. La nostra amica Audra, che è una fan di Rufus, è andata ad una manifestazione dove il giovine Wainwright firmava autografi e, porgendogli il suo notebook, gli ha detto “Un giorno farò da spalla ai tuoi concerti”, beccandosi un “really” tra l’ironico il rassegnato. Due particolari, il notebook in questione, oltre a contenere i testi delle sue canzoni era tutto dedicato a Harry Potter di cui la Mae si definisce una scatenata fan 25enne e quindi ha fatto un po’ la figura della cretina e, secondo, non gli detto di essere la pronipote di Judy Garland, di sicuro avrebbe vinto molti punti!

Ma due parole sul disco non le vogliamo dire? Certo che sì. Una Meraviglia! Sono due parole.

Prodotto da Ted Hutt (come già detto per Jesse Malin, il produttore di Gaslight Anthem, Lucero, Flogging Molly e molti altri) il disco ci presenta una deliziosa cantante dalla voce forte e sicura, molto “old Wave” se vogliamo ma meglio direi “senza tempo”, quei talenti naturali che ogni tanto appaiono dal nulla e ci regalano dei bellissimi dischi e poi non sempre si ripetono. Dico questo perché la Audra Mae, tra le altre voci è stata paragonata anche a Mary Margaret O’Hara autrice di quell’unico stupendo disco e poi scomparsa, purtroppo, nel nulla (più o meno).

Qui il sound è volutamente minimale: chitarre acustiche e qualche raro sprazzo elettrico, piano, mandolino, qualche tocco fatato di fisarmonica, una sezione ritmica discreta ma anche swingante, nel senso di leggermente jazzata (ma giusto un tocco). Ma soprattutto tante belle canzoni: dall’iniziale The Happiest Lamb che potrebbe ricordare una Duffy infinitamente più sofisticata ma sempre molto sixties e piacevole passando per la riverberata The Millionaire dove la voce sexy e leggermente rauca della Mae, aiutata da un tappeto di voci di supporto ci regala un piccolo classico di pop music senza tempo. The River è il singolo dell’album, una ritmica vagamente sincopata, una voce pura e vagamente ammiccante e voilà, una Norah Jones meno ingessata nel suo stile. The Snake Bite addirittura ci riporta agli anni ’50, sempre in bilico tra jazz, folk e canzone d’autore e sempre delicatamente fuori moda ma allo stesso tempo attuale. My Lonely Worry è una stupenda ballatona che avrebbe fatto la gioia della K.d. Lang di Ingenue ( e dei suoi ascoltatori); The Fable, con una fisarmonica malandrina, ci porta in quei territori raffinati e rarefatti tanto cari alla O’Hara ma anche alla stessa k.d. Lang, la nostra amica canta con un trasporto fantastico, raggiungendo momenti strepitosi nel ritornello dove la voce si libra verso vette vocali da brivido e goduria estreme, che meraviglia!

Ma è tutto un tripudio di belle canzoni: Lightning in A Bottle, ancora arricchita dalla fisarmonica e da questa voce incredibile, ma anche Sulliivan’s Letter e Smoke sono brani decisamente superiori a quello che si ascolta in giro. Come il folk quasi puro di Bandida con mandolino e atmosfere celtiche e la voce che trova nuove sfumature. La conclusione è affidata a Little Sparrow, solo voce e piano, il brano più “difficile” del disco e altra occasione per ascoltare questa voce in piena libertà.

Segnatevi il nome e ricordate dove lo avete letto una delle prime volte, almeno in Italia. Ormai nella ricerca di “nomi strani” mi mancherebbe un bel disco di musica dei Boscimani del Kalahari ma ho deciso di risparmiarvi.

Bruno Conti