Ebbene Sì E’ Proprio Lui, Si E’ Dato Al Funky-Soul Con Profitto! Paul Stanley’s Soul Station – Now And Then

paul stanley soul station now and then

Paul Stanley’s Soul Station – Now And Then – Universal

Chi sia Paul Stanley è cosa abbastanza nota: per i più distratti ricordiamo che è uno dei quattro Kiss, membro fondatore, chitarra ritmica e voce solista. E allora perché ne stiamo parlando? Già il nome della formazione aiuta, Paul Stanley’s Soul Station, ad indicare che il musicista di New York City per certi versi è uno dei “nostri”, inteso come amante della soul music, ma quella più genuina, non incrociata e contaminata da altri generi musicali, come lascia intendere il titolo del disco Now And Then, canzoni pescate sia da nuove composizioni firmate dallo stesso Stanley, cinque, quanto da una serie di classici del repertorio Motown e Philly Sound. E a scanso di equivoci, diciamolo subito, il disco è piuttosto riuscito, secondo il sottoscritto anche meglio di gran parte del cosidetto “nu soul” che circola al momento (per esempio, per non fare nomi, è meglio di quello del quasi osannatao dalla critica Aaron Frazer). Accompagnato appunto dai suoi Soul Station, una band con cui girava per piccoli club e locali di NYC prima del Covid, spargendo il verbo della musica nera, come ricorda lui stesso quella appresa in gioventù ascoltando le canzoni del Philly Soul e della Motown, e, non essendo un giovinetto, per avere visto dal vivo gente come Otis Redding e Solomon Burke (beato lui!).

paul stanley soul station now and then 1Paul-Stanley

Poi come abbiamo visto è stato “traviato” da altri generi più rutilanti, ma evidentemente la vecchia passione non sì è spenta. Come evidenzia la foto di copertina, insieme ad un elegante Paul, ci sono ben dieci altri musicisti nel gruppo: il chitarrista e corista Rafael “Hoffa” Moreira, il bassista Sean Hurley, il tastierista Alex Alessandroni, la tastierista Ely Rise, il batterista e corista Eric Singer (sempre dei Kiss), il percussionista RayYslas, i coristi Gavyn Rhone, Crystal Starr e Laurhan Beato, il trombettista Pappenbrook, e anche una piccola sezione archi ed altri due fiatisti, quindi suono ricco mi ci ficco! Could It Be I’m Falling In Love, brano del 1973 degli Spinners, registrato ai Sigma Sound Studios di Philadelphia, indica subito la direzione della musica, quel soul/R&B che poi verrà definito Philly Sound, più morbido e mellifluo del suono della Stax e della prima Motown, cionondimeno molto godibile e piacevole, anche se anticipa l’avvento della Disco Music, archi, cori e fiati imperversano, Stanley ha una bella voce che può spaziare da un sicuro timbro tenorile al falsetto, non manca la tipica chitarrina maliziosa ingrediente immancabile di questo stile. I Do, cantata in un falsetto non esagerato, dimostra che il sound lussurioso è replicabile anche nei brani “originali” di Stanley, come nella successiva mossa I Oh I, tipico brano da dancefloor, con la sezione fiati che si prende i suoi spazi, ma quando è applicata alle cover risplende maggiormente https://www.youtube.com/watch?v=40gsFY0fnu0 .

Paul Stanley @ The Roxy (9.11.2015)

Paul Stanley @ The Roxy
(9.11.2015)

Per esempio nella malinconica ballata Ooh Baby Baby, brano di Smokey Robinson, anche nel repertorio di Linda Ronstadt, dove il nostro può indulgere di nuovo nell’amato falsetto, e il tasso zuccherino potrebbe essere pericoloso per i diabetici, ma si evita nella frizzante ed estiva O-o-h Child, pezzo di Chicago Soul del 1970 dei Five Stairsteps, anticipatori dei Jackson 5 https://www.youtube.com/watch?v=sBEULgmjnWk . Tra i brani migliori del CD, che forse ogni tanto esagera nel dancefloor sound, anche una ottima Just My Imagination (Running Away With Me), cavallo di battaglia del classico Motown sound dei Temptations, dove Stanley si conferma eccellente soul singer https://www.youtube.com/watch?v=2CKWxln5kgE , come ribadisce in The Tracks Of My Tears del maestro Smokey Robinson, e anche in una notevole Let’s Stay Together del grande Al Green https://www.youtube.com/watch?v=yXUBqc1qGuI . Eccellente pure la ripresa di La-La – Means I Love You dei Delfonics, alfieri di quel soul più morbido e sognante, niente male anche l’originale di Stanley Lorelei, spensierato scacciapensieri in questi tempi bui e tempestosi, ma anche la ballatona strappalacrime You Are Everything degli Stylistics, per non dire della splendida ed euforica Baby I Need Your Loving, uno dei capolavori scritti da Holland/Dozier/Holland per i Four Tops. Non un capolavoro quindi, ma tutto estremamente godibile e piacevole https://www.youtube.com/watch?v=kX8KUF6BPk8 . File under Soul Music.

Bruno Conti

Più Che Un Tributo, Una Goduria! The Art Of McCartney

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The Art Of McCartney – Arctic Poppy 2CD – Deluxe 2CD/DVD – Super Deluxe 4CD/DVD/4LP/USB

E’ solo negli ultimi anni che la critica “intelligente” ha riabilitato e sdoganato Paul McCartney. Infatti, per decenni il buon Paul era considerato l’anima poppettara e commerciale dei Beatles, a lui si preferiva di gran lunga John Lennon, che rappresentava alla perfezione l’essenza di artista radical-chic, con cuore a sinistra e portafoglio a destra (e lussuoso appartamento nell’Upper West Side di New York), o anche George Harrison (da sempre il Beatle preferito da chi scrive), per la sua riservatezza, la sua spiritualità, il suo sarcasmo e la sua elegante e raffinata tecnica chitarristica (Ringo Starr è invece sempre stato visto come il simpaticone del gruppo e basta).

art of mccartney super deluxe

A concorrere all’opera di riabilitazione artistica di McCartney un posto di primo piano lo occupa questo sontuoso tributo appena uscito, The Art Of McCartney, nel quale le canzoni dell’ex scarafaggio vengono rivisitate da una serie impressionante di artisti.

Il curatore e produttore del progetto, Ralph Sall, è un esperto del settore, avendo in passato pubblicato lo splendido Deadicated, che omaggiava i brani dei Grateful Dead, ed il popolarissimo Common Thread, dedicato agli Eagles (Stoned Immaculate, che riguardava le canzoni dei Doors, è meno conosciuto). Sall ha impiegato ben undici anni per mettere insieme il cast presente su questo tributo (non faccio nomi per ora per non ripetermi dopo), ma il risultato finale lo premia oltremodo: The Art Of McCartney è un lavoro splendido, nel quale tutti gli artisti coinvolti hanno dato il meglio, con esiti quasi sempre eccellenti, specie nel primo CD, che sfiora a mio parere il massimo dei voti.

art of mccartney paul mccartney

Certo, ci sono dei brani sottotono, qualche assenza importante (la più clamorosa quella di Ringo, ma aggiungerei anche quella di Elvis Costello, che alla fine degli anni ottanta collaborò con Paul alla stesura di varie canzoni), ma è il classico pelo nell’uovo: The Art Of McCartney è senza dubbio il tributo dell’anno, ed uno dei più belli degli ultimi anni.

Merito anche dell’idea di Sall di usare come house band, tranne pochi casi, il gruppo che da anni accompagna Paul dal vivo, e che quindi conosce le canzoni a menadito: Brian Ray, Rusty Anderson, Paul “Wix” Wickens ed Abe Laboriel Jr.

E poi ci sono, naturalmente, le canzoni, molte delle quali sono tra i capolavori degli ultimi cinquant’anni. L’album esce in versione standard doppia con 34 canzoni, doppia con un DVD che presenta un documentario sulla realizzazione (che al momento non ho ancora visto), ed una Super Deluxe Edition con un CD aggiuntivo con otto brani extra, un altro CD che però è la parte audio del documentario, il DVD, quattro LP colorati con tutte le 42 canzoni ed una chiavetta USB a forma di basso Hofner con i pezzi dei primi due dischetti (oltre ad uno splendido libro, vari poster, ecc.).

Ed è proprio questa versione che vado ad esaminare.

art of mccartney billy joel maybe

Il tributo si apre con il redivivo Billy Joel che rifà alla grande Maybe I’m Amazed, la prima grande canzone del Paul solista: Billy è in ottima forma, è ancora in possesso di una gran voce, e la band fornisce un background lucido e potente. Non male come inizio https://www.youtube.com/watch?v=8nJZwRIy8G8 .

art of mccartney dylan

Il fiore all’occhiello del lavoro è senza dubbio la presenza di Bob Dylan: il Vate rifà alla sua maniera Things We Said Today, uno dei brani simbolo del periodo noto come Beatlemania, la band lo segue con discrezione e Bob dylaneggia alla grande, secondo me divertendosi non poco https://www.youtube.com/watch?v=efr5XyMd-sw .

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Mi sono sempre piaciute le Heart (soprattutto Nancy Wilson, e non solo musicalmente), e con Band On The Run, una delle grandi canzoni di Paul, hanno gioco facile: il brano si impenna come al solito con l’arrivo del tema centrale ed Ann Wilson si dimostra una cantante di peso (battuta scontata, lo so) https://www.youtube.com/watch?v=mXBLUmAo0j8 .

Steve Miller negli ultimi anni ne ha azzeccate poche, ma Junior’s Farm è una pop song gradevole e Steve non delude; di primo acchito The Long And Winding Road non è il primo pezzo che assocerei a Cat Stevens (o Yusuf che dir si voglia), ma il Gatto è ancora un grande e la sua versione, pianistica e senza l’overdose di archi dell’originale dei Beatles, è ben fatta.

Quel piacione di Harry Connick Jr. se la vede con My Love, un brano che mi ha sempre lasciato indeciso: melodia bellissima ma arrangiamento troppo zuccheroso nell’originale di Paul (anzi, dei Wings), e qui il dubbio rimane perché Harry non cambia una virgola, anche se la voce non è male.

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Ed ecco uno degli highlights del triplo CD: Brian Wilson si porta la sua band da casa e ci regala una versione scintillante di Wanderlust https://www.youtube.com/watch?v=kG9tXM_x_1o , uno dei brani di punta di quel grande disco che era Tug Of War. L’ex leader dei Beach Boys è in forma smagliante, e se non fosse per il “giovanotto” che incontreremo tra due brani, la palma del migliore se la aggiudicherebbe lui. Bluebird, per contro, è un pezzo che non ho mai amato, e Colinne Bailey Rae non fa molto per farmi cambiare idea.

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Non pensavo di dover arrivare nel 2014 per ascoltare la versione definitiva di Yesterday, un brano che vanta circa 315.600 riletture, eppure Willie Nelson riesce, con il solo ausilio della sua voce, di tre strumenti in croce e di tonnellate di feeling, a regalarci qualcosa di meraviglioso, al limite del commovente: a 81 anni Willie è ancora uno dei numeri uno, e che voce… https://www.youtube.com/watch?v=0KZYBvkVq0M

Da brividi.

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Il mio amico Jeff Lynne non ha mai fatto mistero di essere un grande fan di McCartney, e la sua versione della bella Junk ha il suo tocco tipico (oltre ad un suo intervento in sede di produzione) e si rivela godibilissima, come peraltro anche l’ex leader dei Bee Gees (e purtroppo l’unico in vita), Barry Gibb, con una divertente e scanzonata rivisitazione di When I’m 64.

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Confesso di non conoscere Jamie Cullum, ma la sua Every Night è fatta con gusto e misura, mentre un altro momento clou è la riproposizione di Venus And Mars/Rock Show da parte dei KISS: Gene Simmons e Paul Stanley (gli altri due non ci sono) fanno quello che sanno fare meglio, cioè rock’n’roll, e la canzone ne esce rivitalizzata, addirittura non di tanto inferiore all’originale.

Paul Rodgers è ancora in possesso di una gran voce, e Let Me Roll It è una grande canzone: il risultato non può che essere esplosivo, meglio di quanto faccia Roger Daltrey con Helter Skelter, ma forse solo perché il brano mi piace di meno. Perfino i Def Leppard si ricordano di essere una rock band che quando vuole sa suonare, e la loro Helen Wheels ha un sapore boogie che l’originale non aveva; viceversa, i Cure non mi sono mai piaciuti, anche se alle prese con Hello Goddbye (insieme al figlio di Paul, James McCartney) riescono a non deludere https://www.youtube.com/watch?v=uDxDW9jEjHg .

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Billy Joel apre anche il secondo CD, stavolta con la potente Live And Let Die; stesso discorso fatto prima; non pensavo che Let It Be, un capolavoro ma comunque una ballata, potesse riuscire bene nelle mani di Chrissie Hynde, che è essenzialmente una rockeuse, ma la bruna leader dei Pretenders fornisce un’interpretazione di gran classe https://www.youtube.com/watch?v=0egprfEy6yM .

Robin Zander e Rick Nielsen dei Cheap Trick si occupano di Jet, e qui più che in altri momenti affiora l’effetto karaoke, in quanto il brano è proposto pari pari; meno male che c’è Joe Elliott, in ottima forma anche senza i Leppard, che rocka e rolla da par suo con la trascinante Hi Hi Hi.

Ancora le Heart, ancora brave con l’ottima Letting Go, mentre meno bene la seconda chance di Steve Miller: Hey Jude, grandissima canzone, non è secondo me assolutamente tagliata per lui (una provocazione: e chiamare a cantarla Julian Lennon, primogenito di John, dato che Paul l’aveva dedicata a lui?).

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I peggiori del lotto sono però gli Owl City, una band di pop elettronico senza alcun talento (ma che ci fanno qui?), che provano a rovinare Listen To What The Man Said e non ci riescono del tutto solo perché la canzone è bella; Perry Farrell invece si dimentica di essere il leader dei Jane’s Addiction e mi stupisce con una versione decisamente in parte di Got To Get You Into My Life, mentre mi aspettavo di più da Dion: il rocker del Bronx, alle prese con Drive My Car, sembra infatti avere il freno a mano tirato.

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Allen Toussaint è un grandissimo arrangiatore, un ottimo pianista ma come cantante non è mai stato il massimo, e pertanto alla sua Lady Madonna manca qualcosa (peccato), ed anche Dr. John, solitamente una sicurezza, arranca non poco con Let ‘em In, a causa anche della pochezza del brano.

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Per fortuna termina questo piccolo momento di crisi con il grande Smokey Robinson: So Bad è una bella canzone romantica, con il tasso zuccherino tenuto a bada, e poi il vecchio Smokey ha ancora una grande voce. I poco noti Airborne Toxic Event rilasciano un’ottima No More Lonely Nights in versione ballata acustica, una piccola perla, mentre Alice Cooper è una delle migliori sorprese del tributo: non pensavo che un giorno avrei trovato il suo nome nella stessa frase con la parola “classe”, ma provate ad ascoltare la sua Eleanor Rigby e poi mi direte. Da non credere https://www.youtube.com/watch?v=sdsevtSO_FU .

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Non amo molto il reggae, ma Toots Hibbert, insieme con Sly & Robbie, rilascia una versione divertente e solare di Come And Get It (un brano a suo tempo ceduto da Paul ai Badfinger), l’enorme (in tutti i sensi) B.B. King bluesa da par suo con On The Way (alzi la mano che si ricorda la versione di Paul, era su McCartney II), mentre chiude il doppio CD “regolare” il rossocrinito Sammy Hagar, che alle prese con Birthday ci regala una versione un po’ sguaiata e sopra le righe.

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Il terzo dischetto vede ancora sotto i riflettori Robert Smith, stavolta senza i Cure: C Moon non è mai stata una gran canzone, e Smith non è certo quello che può migliorarla; Booker T. Jones invece personalizza alla grande Can’t Buy Me Love, sostituendo la parte cantata con il magico suono del suo organo: eccellente. Ma il top il CD lo raggiunge con Ronnie Spector, che fornisce una grande interpretazione di P.S: I Love You: con alle spalle un wall of sound che avrebbe fatto felice l’ex marito Phil Spector, l’ex leader delle Ronettes tira fuori una voce modificata dagli anni e dai vizi, ma profonda e carismatica come poche (alla Marianne Faithfull per intenderci). Meritava di stare nei primi due CD. Sempre scuderia Spector con Darlene Love: qui la voce è ancora purissima, e All My Loving è sempre bella; Ian McCulloch, ex frontman di Echo & The Bunnymen, non è un granché, e così anche For No One risulta un po’ piatta.

La band indie svedese Peter, Bjorn & John rifà molto bene Put It There, una delle ballate acustiche di Paul che preferisco (complimenti anche per la scelta), mentre la “nonna del rock” Wanda Jackson mostra grinta e feeling nella mossa Run Devil Run, nonostante la voce da cartone animato. Chiude ancora Alice Cooper, che dimostra di essere in stato di grazia roccando con finezza e misura con la coinvolgente Smile Away.

Un opera importante quindi, nonostante qualche episodio di livello inferiore: so che questo tributo ha ricevuto critiche controverse da più parti, ma per quanto mi riguarda rientra nella categoria imperdibili.

Marco Verdi

*NDB Come forse sapete anche il titolare del Blog, cioè il sottoscritto è un fan dei Beatles, e di conseguenza di Paul McCartney, anzi alla famose domande: preferisci i Beatles o i Rolling Stones? Ami di più Paul McCartney o John Lennon? Ho sempre risposto: entrambi (ma con una leggerissima preferenza per i primi in entrambi i quesiti, anche se non era politically correct)! Quindi mi unisco agli elogi di Marco per questa operazione, ma secondo me ci si può “accontentare” anche della versione in doppio CD!

Un Po’ Di “Piaceri Proibiti”, Ovvero, Hard Rock Post! Aerosmith, Kiss, Motorhead, Meat Loaf, Deep Purple.

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Un Po’ Di Piaceri Proibiti!

Aerosmith – Music From Another Dimension – Columbia/Sony 2CD+DVD

Kiss – Monster – Simstan/Universal CD

Motorhead – The World Is Ours Vol. 2 – UDR/EMI 2CD+DVD

Meat Loaf – Guilty Pleasure Tour/Live From Sydney – SFM CD+DVD

Deep Purple – Machine Head 40th Anniversary Edition – 4CD+DVD

Prima di cominciare vorrei ringraziare il democratico titolare di questo blog per avermi concesso questa escursione in territori non proprio “tipici”, ed in secondo luogo desidero rispedire al mittente tutti gli sguardi perplessi dei lettori: tutti (e dico tutti) abbiamo dei “piaceri proibiti”, ed il mio è il classico hard rock anni settanta/ottanta, in tutte le sue sfaccettature e deviazioni (beh, quasi tutte), e quindi, con oggi, desidero fare una breve disamina di alcune interessanti cose uscite di recente, sicuro di non essere l’unico ad apprezzare un certo tipo di musica (dopotutto non sto parlando di One Direction o Taylor Swift).

*NDB. Ma In futuro non si può mai dire, dai “piaceri proibiti hard” dove si può arrivare?

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Gli Aerosmith, ovvero la più famosa hard rock band d’America (ma Kiss, Van Halen e Guns’n’Roses potrebbero obiettare), erano dati per morti, artisticamente parlando: troppi i litigi e le incomprensioni recenti tra Steven Tyler e Joe Perry, unite al fatto che erano undici anni che non pubblicavano album con materiale nuovo (l’ottimo Honkin’ On Bobo, il loro ultimo disco di studio, era composto da cover di blues). Ora invece ho tra le mani il nuovo Music From Another Dimension, annunciato da tempo ed anche rimandato una prima volta (cosa che non faceva ben sperare), e devo dire che il quintetto di Boston non ha tradito le attese.

I Toxic Twins sono in gran forma, e nei quindici brani del CD (diciotto nella bellissima confezione deluxe) offrono la consueta dose di rock’n’roll di matrice stonesiana, riffs granitici e gran ritmo, però unite ad una buona qualità di canzoni che rende questo disco migliore delle ultime prove di studio (Nine Lives e Just Push Play), e non mancano anche le classiche ballate che tanta fortuna hanno avuto ed avranno nelle radio. Un bel ritorno, con una menzione speciale per la coinvolgente Oh Yeah, la fluida Tell Me, la tosta Freedom Fighter (con Perry voce solista) ed il duetto sorprendentemente riuscito (avevo paura) con Carrie Underwood, Can’t Stop Loving You, una ballata elettrica e potente. Non tutto è riuscito (l’iniziale Luv XXX e Lover Alot sono due passaggi a vuoto), ma un buon disco di sano hard rock classico, che venderà probabilmente moltissimo ed entusiasmerà i fans.

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Sonic Boom era stato il disco del ritorno dei riformati Kiss (con Tommy Thayer ed Eric Singer a fianco degli inossidabili Paul Stanley e Gene Simmons), un disco di rock potente che non sempre era servito da canzoni di prima qualità: il nuovo Monster prosegue il discorso, ma migliorandolo.

I quattro sembrano infatti più convinti, e ci danno dentro di brutto: dodici brani di puro rock’n’roll duro, niente ballate, con ritornelli decisamente accessibili, adatti per essere eseguiti dal vivo per la gioia dei fans (in America certi brani li chiamano crowd pleasers). Anche Simmons, solitamente in secondo piano rispetto a Stanley, è in gran forma e canta parecchio, ed i titoli migliori del lavoro rispondono al nome di Freak, Long Way Down, Outta This World, Take Me Down Below, mentre il singolo Hell Or Hallelujah non è tra le mie preferite (e comunque il brano migliore è cantato da Singer, e cioè All For The Love Of Rock’n’Roll).

Tra gli episodi migliori della loro discografia, insieme a Destroyer, Rock’n’Roll Over e Revenge.

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Vedo già le bocche storte e le sopracciglia alzate ora che mi accingo a parlare dei Motorhead, ma, se ascoltate con attenzione, il trio capitanato da Lemmy Kilmister non fa musica molto diversa da quella degli ZZ Top (anche con la voce siamo lì), anche se rispetto al trio texano manca totalmente l’elemento blues (hai detto niente, direte voi…).

The World Is Ours, Vol. 2 segue il primo volume a meno di un anno di distanza, per un doppio CD (più DVD) registrato al Wacken Festival 2011, più estratti dal Rock in Rio e Sonisphere sempre dello stesso anno.

Il risultato è a mio parere superiore al volume uno, Lemmy e soci suonano più grintosi e convinti: certo, i loro concerti (e quindi, anche i dischi live) non sono mai molto diversi tra loro, e dunque sarebbe bastato anche un CD singolo. Comunque due ore di pura adrenalina, di riffs sparati a mille e ritmo forsennato, con tutti i classici presenti, da Iron Fist a The Chase Is Better Than The Catch a Bomber alla nota Ace Of Spades, fino alla granitica Overkill.

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Piacere Proibito è anche il titolo dell’ultimo live di Marvin Lee Aday, in arte Meat Loaf, uno che ancora vive di rendita con il suo primo, leggendario disco, cioè Bat Out Of Hell (un po’ quello che Mike Oldfield ha fatto con le sue campane tubolari), un disco epocale, pieno di grandi brani e con grandi musicisti (c’era mezza E Street Band), con l’unico difetto di un suono un po’ tronfio.

Il nostro Polpettone non ha poi più saputo ripetere quel successo, né di pubblico né di critica (anche se il secondo volume aveva qualche buon momento), ma dal vivo ha sempre una gran voce ed è un vero animale da palcoscenico. Chiaramente la parte del leone la fanno i brani di Bat Out Of Hell, con una particolare menzione per la title track e per la splendida You Took The Words, mentre anche la lunga Anything For Love, che nel 1992 apriva il seguito di quell’album epocale, fa la sua bella figura, e tra i brani più recenti non è affatto male Los Angeloser (e, proprio all’inizio del concerto, c’è spazio anche per un accenno del famosissimo tema The Time Warp, tratto dal musical The Rocky Horror Picture Show, al quale Meat prese parte).

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E per finire, due parole su quello che rischia di vincere per distacco il premio (per dirla alla romana) “sòla 2012”: la versione per il quarantennale del capolavoro dei Deep Purple, Machine Head.

Il disco viene infatti riproposto, con l’aggiunta della b-side When A Blind Man Cries (comunque reperibilissima in altre antologie della band) in ben tre CD più un DVD, in vari remix e remasters, ma pur sempre lo stesso disco ripetuto quattro volte! In aggiunta, sul quarto CD, troviamo In Concert ’72, che dovrebbe essere il fiore all’occhiello di questo box ma che in realtà era già uscito nel 1980 in doppio LP (e poi ristampato in CD): un concerto registrato al Paris Theatre di Londra che ora ci viene propinato, udite udite, con la setlist nel corretto ordine (capirai…).

Un’operazione discografica che si commenta da sola.

Non vi dico buon ascolto perché in molti di voi non condivideranno le mie scelte, ma come diceva il povero Ronnie James Dio…long live rock’n’roll!

Marco Verdi