Una Sorprendente Dinamo Rock-Blues Nera. Skykar Rogers – Firebreather

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Skylar Rogers – Firebreather – Self-released CD/Download

Viene da Chicago, ma opera con la sua band, i Blue Diamonds, nell’area di St. Louis, dove è stato registrato questo Firebreather, che è il suo esordio, a parte un EP uscito nel 2019 Insecurities: stiamo parlando di Skylar Rogers, cantante nera che mescola orgogliosamente blues, soul, funky e molto rock, non per nulla tra le sue influenze cita Tina Turner, Etta James, Billy Joel, e Koko Taylor, tutte abbastanza comprensibili, a parte forse Billy Joel. Il disco consta di 10 tracce originali, niente cover, la band che la accompagna, un quintetto con due chitarre, basso, batteria e un tastierista, nomi poco conosciuti, ma comunque validi e tosti, anche se tutto ovviamente ruota intorno alla voce gagliarda e duttile della Rogers. Si parte subito forte con il rock-blues tirato di Hard Headed Woman, chitarra incisiva e ricorrente, organo scivolante, il resto della band ci dà dentro di gusto, il timbro vocale una via di mezzo tra Janis Joplin (o se preferite le sue epigone Beth Hart e Dana Fuchs, anche se non siamo per ora a quei livelli), Koko Taylor e la Tina Turner più rockeggiante https://www.youtube.com/watch?v=YtW5bE_Rmig , come ribadisce la robusta Back To Memphis, ancora potente e con la chitarra di Steven Hill sempre in bella evidenza https://www.youtube.com/watch?v=qPGItqPBkuc  .

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Work è più funky, anche se i ritmi rock sono sempre prevalenti, con l’organo che cerca di farsi largo, Like Father Like Daughter il singolo estratto dall’album è sempre molto riffata, addirittura con elementi southern nella struttura del brano e la solista che imperversa sempre https://www.youtube.com/watch?v=m7kj_qZ7cnU , ma la “ragazza” ha classe e quando i tempi rallentano come nella bellissima soul ballad Failure, le influenze di James e Taylor hanno modo di essere evidenziate e la vocalità si arricchisce di pathos, con l’organo che si spinge dalle parti di Memphis https://www.youtube.com/watch?v=bQeUxLGSsCc . Però il genere che si predilige nell’album è sempre abbastanza duretto, come ribadisce la tirata title track, sempre in odore di blues-rock, con chitarra quasi hard e organo ad inseguirsi, mentre basso e batteria pompano energicamente e Skykar canta con grande forza https://www.youtube.com/watch?v=NKMOc4glugs , con Movin’ On che viceversa ha retrogusti gospel su un tempo scandito, coretti e battiti di mano accattivanti per un call and response godurioso, mentre la melodia è affidata all’organo https://www.youtube.com/watch?v=encBYeZcv28 .

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Thankful è una blues ballad pianistica, sempre con le linee fluide e sinuose della solista a fare da contrappunto alla energica interpretazione della Rogers che poi lascia il proscenio a un drammatico e vibrante assolo della chitarra, atmosfera che si ripete nello slow blues Drowning, altro brano che ruota attorno al dualismo tra la voce accorata di Skylar e la parte strumentale con chitarra e organo sempre sugli scudi https://www.youtube.com/watch?v=m7kj_qZ7cnU . E per concludere non manca anche un tuffo nel rock and soul di marca Motown di Insecuties, molto piacevole e disimpegnato, che comunque conferma il talento di questa nuova promessa che potrebbe diventare un ancora maggior concentrato di potenza in futuro, magari affidata ad un produttore di pregio in grado di orientarla più verso le sonorità più raffinate espresse in Failure. Per ora da tenere d’occhio, anche se, manco a dirlo, la versione in CD dell’album è costosa e di difficile reperibilità.

Bruno Conti

Un’Altra “Scoperta” Dell’Infaticabile Mike Zito! Kat Riggins – Cry Out

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Kat Riggins – Cry Out – Gulf Coast Records

Anche in questo caso garantisce Mike Zito, che la produce e pubblica il disco per la propria etichetta: non è il primo album di Kat Riggins, ne ha già pubblicati almeno altri tre, più un EP e uno solo in streaming, ma la cantante nera (lo so che in tempi di politically correct qualcuno storce il naso, ma non è una offesa razzista, semplice constatazione che nella nostra musica si usa normalmente) si conferma una delle voci più interessanti delle nuove generazioni, benché la cantante della Florida abbia ormai compiuto 40 anni nel 2020, peraltro in ambito blues, soul e gospel, quelli che lei frequenta, direi quasi una giovinetta. Lo stile l’ho appena svelato, ma la Riggins ha quella che si suole definire “una voce della Madonna”, con inflessioni che rimandano a Koko Taylor, Etta James e Tina Turner, non esattamente le prime che passano per strada, ma in questo nuovo album prodotto da Zito, che ama le robuste sonorità rock, ci sono analogie pure con Dana Fuchs, Beth Hart e altre paladine del blues rock’n’soul moderno.

Prendiamo l’iniziale Son Of A Gun, ritmica rock gagliarda, riff di chitarra come piovesse, e la voce di devastante potenza della Riggins, Cry Out è un grande Texas blues, con Johnny Sansone all’armonica, brano che ricorda molto l’approccio della citata Koko Taylor, chitarra in primo piano, un organo vintage e la voce profonda e risonante sbattuta in faccia di Kat, che si trova a proprio agio anche nel funky fiatistico e sincopato di una brillante Meet Your Maker, voce che sale e scende, un tocco di raucedine che la rende sensuale, e grande controllo pure nel rock-blues tirato e cattivo di Catching Up, chiaramente farina del sacco di Zito che in questo tipo di brani ci sguazza e lascia andare la sua chitarra con libidine in un vibrante assolo, e anche l’heavy blues di Truth trasuda grinta e personalità, soprattutto quando si “incazza”, va beh diciamo si inquieta, e alza la voce. Dopo l’interludio a cappella di Hand In The Hand, non manca neppure il deep soul venato di gospel della splendida ballata Heavy dove si toccano profondità quasi alla Mavis Staples, fortificato dal ricercato lavoro alla slide di Zito e con un coro di voci di bambini ad aumentare nel finale il pathos del brano.

Nella di nuovo riffatissima Wicked Tongue arriva anche Albert Castiglia a dare una mano con la sua tagliente chitarra, che aumenta ulteriormente il tasso rock del pezzo con un assolo da sballo, mentre la band picchia di brutto e il testo cita anche la “maestra” Koko Taylor. Tornano i fiati e l’organo per la vibrante Can You See Me Now, sempre con chitarre fiammeggianti, che poi scatenano un pandemonio, come direbbe il buon Dan Peterson, nel robusto heavy blues della tirata Burn It All Down con il batterista Brian Zeilie che scandisce il tempo in modo granitico, ben spalleggiato dal bassista Doug Byrkit e dall’organo di Lewis Stephens spesso protagonista nell’album (in pratica la band di Mike), mentre Zito imperversa una volta di più. Molto bella anche la spumeggiante e con un groove quasi da revue alla Ike & Tina Turner On It’s Way, fiati in spolvero e un dinamico assolo di sax nella parte centrale, ma è un attimo e siamo al classico incrocio del blues, in un altro ottimo esempio di 12 battute con lo shuffle No Sale, dove ancora una volta non si prendono prigionieri e Mike Zito estrae il suo bottleneck per un’altra sfuriata delle sue e anche Sansone all’armonica si fa sentire, mentre la voce mi ha ricordato la Beth Hart più infoiata.

In chiusura un altro “lentone” intenso e ad alta intensità rock come The Storm, dove sembra che l’ottima Kat Riggins sia accompagnata dai Led Zeppelin per una scampagnata nei territori cari a Janis Joplin. Ottimo ed abbondante, assolutamente consigliato se amate le emozioni forti e la conferma che Zito raramente ne sbaglia una.

Bruno Conti

Nuovi Talenti Da Scoprire! Annika Chambers – Wild And Free

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Annika Chambers – Wild And Free – Oarfin Records

Per quanto si cerchi di tenerci sempre informati su eventuali nuovi talenti da “scoprire” (uno dei piaceri dell’appassionato della buona musica), ogni tanto sbucano fuori dal nulla dei nomi mai sentiti, soprattutto nell’immenso panorama della scena indipendente americana. In Texas in particolare ce ne sono moltissimi: l’ultimo arrivo, almeno per me, è Annika Chambers, giovane blues woman nera da Houston https://www.youtube.com/watch?v=WtKzcfz788M  (non a caso il gruppo che l’accompagnava nel primo CD del 2014, Making My Mark, era quello delle Houston All-Stars). Il termine giovane nell’ambito blues è sempre opinabile, visto che si esordisce spesso abbastanza avanti negli anni, ma a occhio, a giudicare dalla copertina, dovrebbe avere una trentina di anni (la biografia, essendo una signora, non lo dice): già una vita ricca di eventi, una passione giovanile per la musica, ma anche il desiderio di entrare nell’Esercito, dove ha passato 7 anni e mezzo prima di tornare al suo primo amore, il blues, che come sapete non lo richiede espressamente, ma se succede è meglio, narra di grandi e piccoli disastri, e in effetti la nostra amica qualche vicissitudine l’ha passata. Prima una lunga separazione dal padre, poi qualche guaio durante il periodo nell’esercito, che, proprio recentemente, l’ha portata a passare sei mesi in prigione per corruzione (una storia di mazzette quando aveva 23 anni) e anche problemi di dipendenza, ora pare risolti.

E quindi dopo il disco del 2014 che le aveva fatto vincere vari riconoscimenti come Talento Emergente, e la sparizione improvvisa per qualche mese, ora Annika Chambers è pronta a lanciare questo nuovo Wild And Free, dove con lei collaborano, sia come autori che come musicisti, alcuni ottimi talenti locali, a partire dal bassista e co-produttore Larry Fulcher, a lungo con Taj Mahal e nella Phantom Blues Band e Richard Cagle, l’altro produttore e ingegnere del suono, tra i nomi coinvolti i più noti sono il batterista Tony Braunagel e il tastierista David Delagarza, ma anche gli altri contribuiscono alla riuscita di questo solido album di blues elettrico, con qualche venatura funky e anche molto soul, siamo dalle parti di Shemekia Copeland, Joanna Connor, senza dimenticare grandi del passato come Koko Taylor, Tina Turner, Etta James o “sorelle bianche” come Beth Hart e Dana Fuchs. Lo stile è abbastanza grintoso e chitarristico, almeno nella parte iniziale dell’album, come evidenzia la poderosa apertura di Ragged And Dirty, anche basata sulla sua vicenda personale, le soliste e l’organo viaggiano, il basso pompa e la batteria è precisa e pulita, tutto al proprio posto come si conviene, la voce è duttile e vissuta, insomma il talento c’è. City In The Sky è un notevole mid-tempo corposo, dove si apprezzano anche gli ottimi interventi delle voci di supporto e una bella slide d’atmosfera.

Better Things To Do accelera di nuovo i tempi, il suono ha anche una decisa connotazione rock contemporanea, come pure Give Up Myself, sempre vivace e pulsante, mentre Six Nights And Day è un funky blues gagliardo che ricorda appunto le citate Copeland e Koko Taylor, con la voce che ha qualche lontana parentela con la grande Aretha Franklin, grazie all’arrangiamento gospel con tanto di call and response con i vocalist aggiunti. Put The Sugar To Bed è la prima ballata dell’album, un bel brano dagli evidenti spunti soul, sempre con la voce in evidenza, e anche Reality evidenzia il lato più riflessivo della musica della Chambers, con piano elettrico e organo a guidare le danze. Don’t Try And Stop The Rain è  ottimo deep soul di pura matrice sudista, con il basso sinuoso di Fulcher a dettare I tempi e la voce che è tutta da gustare anche in questa versione più morbida e meno grintosa. Why Me, di nuovo tra blues e soul, è più attendista e sospesa, ma si apre a piacevoli inserti ricchi di melodia, dove la voce scivola naturale per il puro piacere dell’ascoltatore. I Prefer You ricorda ancora la prima Aretha (quella dei vecchi tempi) o Etta James, sempre fatte le dovute proporzioni, con Piece By Piece, notturna, jazzy e raffinata, con il piano e una chitarra acustica a sottolineare il bel timbro vocale sfoggiato dalla brava Annika Chambers per l’occasione. Love God, posta in conclusione, è uno splendido gospel cantato a piena ugola da questa giovane cantante che si rivela come uno dei nomi da tenere d’occhio nel panorama della musica nera, ma anche in generale.

Gran voce.

Bruno Conti

Ritorno Al Passato! John & Sylvia Embry – Troubles

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John & Sylvia Embry – Troubles – Delmark/IRD

CD veramente strano questo Troubles, l’esordio in digitale per due musicisti, marito e moglie, John e Sylvia Embry, che non sono più sulla faccia della terra da lunga pezza. Lui John ci ha lasciato nel lontano 1987, lei, Sylvia, è morta di cancro nel 1992, ma ora, dalle nebbie del tempo, emerge questo disco che raccoglie l’unico LP, After Work, pubblicato a livello locale dalla Razor Records nel 1979. La Delmark lo rende disponibile nuovamente, integrato da un 45 giri d’epoca e da alcuni brani presi qui è là, in studio e dal vivo. La registrazione è nuda e cruda, ma ci presenta due talenti misconosciuti della scena musicale blues di Chicago. John Embry, chitarrista elegante, in possesso anche di un solismo spesso tagliente e lancinante, non dissimile da quello di altri grandi della scena locale, da Jimmy Dawkins a Magic Sam, passando per il primo Buddy Guy http://www.youtube.com/watch?v=kKiAM_FdtLo . Queen Sylvia Embry, nata Sylvia Lee Burton, cantante (e bassista) dalla voce poderosa, intrisa di sapori gospel e soul, una shouter potentissima in grado di rivaleggiare con gente come Koko Taylor, Big Mama Thornton o cantanti soul come Irma Thomas, Etta James e le altre grandi dell’epoca.

sylvia embry

Sentitevi la cover di I Found A Love, un classico dei Falcons prima e di Wilson Pickett poi (sempre lui era!), proposto qui in medley con Rainbow, un brano della coppia Chandler/Mayfield, in duetto con il batterista del disco Woody Williams, che la stimola nel classico call and response della migliore soul music. Ma la Embry è a suo agio anche nel boogie blues alla Hound Dog Taylor di I’m Hurtin dove John si cimenta anche alla slide o nei tirati blues iniziali, Wonder Why e Troubles, uno slow “spaziale” dove l’interazione voce-chitarra è vicina alla perfezione http://www.youtube.com/watch?v=_1OxP1ZnJ5o , tipico Chicago blues elettrico di ottima fattura, che portano entrambi la sua firma. Il “Wicked Pickett” viene nuovamente omaggiato in una versione super funky di Mustang Sally, dove Woody Williams guida la prima parte sul basso pompatissimo della Embry e Sylvia lo “attizza” nella seconda parte, in una perfetta esemplificazione dei manuali del soul e del blues più sanguigni (anche John ci mette del suo).

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Gonna Find My Way è un blues dalla chitarra tintinnante e con la voce fantastica della Embry in grande evidenza, come la seguente Early Time Blues. Avrebbero fatto la loro bella figura a fianco del materiale originale della Chess anni ’60 e ’70. La registrazione è volutamente “primitiva” ma ha una freschezza invidiabile, il duetto con il secondo chitarrista Riler Robinson nello strumentale Razor Sharp ha una vitalità che risalta anche dopo tutti questi anni. In Keeps Your Hands Off Her sembra che il tecnico sia facendo delle prove con i livelli della voce mentre il brano viene registrato in presa diretta. Blues This Morning conclude questa sezione di cinque brani che non era stata pubblicata in precedenza ma non ha nulla da invidiare al resto del disco. After Work che dava il titolo al LP originale è un sinuoso strumentale che ci permette di gustare la grande tecnica alla solista di John Embry http://www.youtube.com/watch?v=WpsuE4Gd_rs , come pure la seguente Worry Worry cantata benissimo da Riler Robinson, un brano che non ha nulla di meno a livello qualitativo di alcune perle del repertorio dei grandi citati prima, Dawkins, Guy e Magic Sam. Gli ultimi due brani come il breve frammento strumentale 62nd St. Lau sono registrati dal vivo. Poste in conclusione ci sono I Love The Woman e Johnny’s Bounce che erano i due lati del 45 giri pubblicato sempre per la Razor nel 1979. Una preziosa “scoperta” per gli amanti del buon Blues, caldamente consigliato, meglio dell’80% dei dischi di blues elettrico che escono ai giorni nostri!

Bruno Conti  

Di Padre In Figlio, Sempre Blues Ma…Bernard Allison – Live At The Jazzhaus

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Bernard Allison Group – Live At The Jazzhaus – 2CD o DVD Jazzhaus Records

Torna Bernard Allison, a distanza di pochi mesi dal precedente The Otherside bernard%20allison  e lo fa con un bel doppio CD dal vivo (o DVD) che risolleva le sue quotazioni un po’ appannate da un paio di dischi non all’altezza della sua fama. Per chiarirlo subito, Bernard non è ai livelli del babbo Luther Allison, uno dei migliori musicisti della seconda generazione del Blues elettrico, ma è comunque un musicista di notevole spessore, buon cantante, ottimo chitarrista, influenzato tanto dal blues classico dei vari King e di Muddy Waters quanto da Johnny Winter e Stevie Ray Vaughan oltre che dal padre. Non manca anche una notevole passione per il funky e la soul music più ritmata tra le influenze del nono figlio della famiglia Allison, che si è fatto la sua bella gavetta nella band di Koko Taylor e poi nel gruppo del babbo e dal 1990, anno dell’esordio con The Next Generation, ha già pubblicato una quindicina di album per diverse etichette.

Questo Live At The Jazzhouse si inserisce sicuramente tra i migliori della sua produzione: accompagnato da un solido quintetto dove spicca il sax di Jose James che è un po’ il secondo solista della band in alternativa al tastierista Toby Lee Marshall il concerto, nella classica guisa delle soul and blues revue parte con uno strumentale, Send It In che è il classico brano per rompere il ghiaccio con tutti i musicisti che scaldano il pubblico per la stella della show con assoli di sax, organo e chitarra.Stella, Bernard Allison che arriva e parte con una versione ricca di funky soul di I Wouldn’t Treat A Dog dal repertorio di Bobby “Blue” Bland che forse in omaggio al nome del suo interprete originale è un po’ “blanda” (lo so, battuta scarsa)! L’altra cover del CD è una versione decisamente più vigorosa di quello che viene considerato il primo brano della storia del R&R, Rocket 88 attribuita a Jackie Brenston ma che proviene dalla fertile inventiva del primo Ike Turner. Quando con Tired Of Tryin’ i ritmi si fanno più funky-rock sembra di ascoltare una versione dei Band Of Gypsys con sax e tastiere aggiunti anche se più all’acqua di rose ma la chitarra con e senza wah-wah viaggia che è un piacere.

So Devine è una sorta di slow soul alla Robert Cray con la bella voce di Allison in evidenza mentre Black and White alza ritmi ed intensità mantenendo quel filone funky con basso slappato che appartiene allo stile del nostro amico. Life Goes On è uno di quei bei pezzi blues che avrebbero fatto la gioia di babbo Luther, Allison Way addirittura batte territori reggae-blues che è un filone non molto frequentato, peculiare ma non malvagio. Il secondo CD parte con una Groove me sempre funky ma con quei richiami alla SRV mentre The Otherside conferma la non eccessiva validità della versione di studio tratta dall’ultimo album, non memorabile per usare un eufemismo. Decisamente meglio la lunga Just My Guitar and me dove il contemporaneo uso di slide e wah-wah conferisce sonorità particolari alla chitarra di Bernard Allison che finalmente dà sfogo alle sue notevoli doti di solista e non per nulla il brano era firmato anche da Luther Allison.

Tobys B3 come da titolo è una improvvisazione di organo di Marshall mentre Serious era uno dei cavalli di battaglia di Allison Sr. e Bernard Allison e la sua band gli rendono giustizia con una versione monstre di oltre 15 minuti con tutti i solisti di volta in volta al proscenio e il leader del gruppo che ci regala un assolo di quelli magistrali per questo slow blues in crescendo. Si poteva anche finire qui ma Chills and Thrills tra Hendrix e Stevie Ray non è male pure nella sua eccessiva funkytudine, anche se l’assolo di chitarra è micidiale come di consueto e anche il sax si difende.

Bravo anche se non fondamentale, sempre Blues ma…il babbo Luther era molto più bravo.

Bruno Conti

Basta Cercarle! Un’Altra “Bella Voce” – E.G. Kight – Lip Service

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E.G. KIGHT – Lip Service – Vizztone Records                 

Di belle voci in America ce ne sono in giro parecchie (ma meno di quello che si possa credere): di quelle che hanno quel “quid” inesprimibile che le fa svettare sul gruppone ancora meno. E.G. Kight è sicuramente una di queste: un paio di anni fa concludevo la mia recensione per il Busca del disco precedente It’s Hot In here con queste testuali parole – “Per gli amanti delle brave cantanti non è affatto male, la voce c’è per il repertorio vedremo! –

Questo nuovo album realizza i miei desideri (e quelli degli amanti della buona musica); al settimo album la signora, conosciuta come The Georgia Songbird, in quanto nativa di Dublin, Georgia, mi sembra che abbia fatto centro. Già da alcuni album Eugenia Keil se le scrive e se le canta, nel senso che i brani sono frutto della sua opera, lei si accompagna anche alla chitarra ritmica e sceglie fior di collaboratori per i suoi dischi, sudisti come lei. La produzione di questo Lip Service è affidata completamente al veterano Paul Hornsby (uno degli “inventori” del southern rock) che si adopera da par suo anche all’organo, la chitarra è nelle abili mani di Tommy Talton il leader storico dei Cowboy una delle migliori formazioni southern famosa, oltre che per un’ottima e lunga serie di album, per essere stata la backing band di Gregg Allman quando non suonava con il suo gruppo. Dalla stessa formazione proviene anche il batterista Bill Stewart e, sempre dai paraggi, proviene anche il tastierista e sassofonista Randall Bramblett. I nomi sono importanti, non è una questione di nozionismo: se sai chi suona spesso (ma non sempre) saprai anche cosa ascolti.

In questo caso del sano blues con venature southern per iniziare, ma poi tanto soul, per inventarsi un sottogenere direi “soul got soul”, favorito dalla presenza di una ottima sezione di fiati e da un ottimo repertorio che favorisce le doti vocali della Kight: la voce, lo ribadisco, è molto bella e mi ricorda molto quella stupenda di Phoebe Snow (che non è più tra noi), quindi notevole estensione e quella piccola vena “drammatica” che affiorava anche tra le pieghe del cantato della Snow. Ma per ingolosirvi potrei citare anche Kelley Hunt, Susan Tedeschi, Bonnie Raitt e, perché no, anche Koko Taylor che è il punto vocale di riferimento della Kight.

Le dodici canzoni scorrono tra ritmi serrati errebi e fiati in libertà come nell’iniziale Sugar Daddies o ancora più sincopati con retrogusti funky alla Stax nella vivace I’m In It To Win It con la chitarra di Talton che comincia a mettersi in evidenza ( e proseguirà per tutto l’album). Non manca il deep soul del Sud nella emozionante That’s How A Woman Love dove organo hammond, wurlitzer e chitarra mettono la voce della Kight in grado di esprimere tutto il notevole potenziale con una interpretazione da manuale del perfetto soul singer, l’assolo di sax è la ciliegina sulla torta. Sempre di gran classe anche la bluesata Lip Service con un pianino a districarsi tra gli immancabili fiati e la slide di Talton in evidenza. Savannah è un brano particolare, dalle atmosfere sospese con una slide acustica che gli fornisce una patina sonora molto ricercata. Koko’s Song, lo dice già il titolo, è il sentito omaggio alla grande Koko Taylor, una delle più grandi cantanti blues di tutti i tempi, bella canzone, dal sound classico, con un pungente intervento della solista di Talton, mentre Somewhere Down Deep è un bel duetto con l’emergente John Nemeth un altro vocalist che sa coniugare blues e soul come pochi, sentito recentemente nel live di Bishop. Anche senza fiati, come nella piacevole I Can’t Turn Him Off, l’esplosiva combinazione di rock, blues e soul con una bella voce funziona alla grande. E anche sfrondando ulteriormente, solo il piano e l’organo di Paul Hornsby e una sezione ritmica, magari un sax, come in It’s Gonna Rain All Night scritta dallo stesso Hornsby,  in territori quasi jazz da crooner, ebbene anche così la qualità non cala di una virgola, anzi. Certo i ritmi che fanno muovere il piedino come nella vigorosa Goodbye forse le se addicono di più ma anche il country-flavored southern-fried blues (c’è scritto nel retro della copertina, giuro) alla Tony Joe White dell’ottima Married Man non dispiace. E anche nel Blues puro della conclusiva I’m Happy With The The One I Got Now se la cava alla grande.

Per gli amanti del genere direi che è un disco da tre stellette e mezzo, ma mi sento di consigliarlo a tutti quelli che vogliono ascoltare delle musica di qualità da una cantante di gran pregio.

Bruno Conti

It’s Blues Time! Bernard Allison – The Otherside

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Bernard Allison – The Otherside – CC Entertainment/Jazzhaus Records

Sono parecchi anni che Bernard Allison ha idealmente raccolto il testimone del Blues dal padre Luther ma la lunga ombra del genitore continua a distendersi attraverso pubblicazioni postume (tipo il CD+DVD Live Songs From The Road di cui vi parlavo non tanti mesi orsono). Ma già prima del 1997, anno della scomparsa di Luther,  le loro carriere si erano intrecciate in vari modi e non sempre in modo favorevole a Bernard. Ultimo di nove figli aveva incominciato ad accompagnare il padre per concerti e festival blues già negli anni ’70 ereditando questa insana passione per la musica blues. Poi negli anni ’80 ha iniziato la gavetta facendo il chitarrista nella band di Koko Taylor e poi come direttore musicale nella Touring band del babbo. Il suo esordio risale al 1990 con il profetico The Next Generation e da allora ha pubblicato, tra dischi di studio e live, qualcosa come 15 dischi.

Entrambi sono molto influenzati dal sound e dallo stile di Albert Collins quindi bisogna dire che certi tratti comuni nella loro musica discendono dallo stesso ceppo. Non sempre gli album di Bernard mi hanno entusiasmato ma Keepin’ The Blues Alive del 1997 e il disco (con DVD) dal vivo Energized-Live In Europe sono esempi più che rispettabili di blues elettrico nella sua migliore accezione. Spesso influenzato anche da soul, funky e R&B questo ultimo capitolo della saga, The Otherside devo dire che non rientra tra i suoi dischi più memorabili. Forse anche la produzione di David Z. c’entra qualcosa.

Il tocco chitarristico e la voce sono sempre più che buoni: dall’iniziale strumentale Send It In, veloce e concisa ma ricca di spunti della solista di Bernard ci si aspetta di essere di fronte a un disco notevole. Ma poi già da I Wouldn’t Treat A Dog (The Way You Treated Me), si insinua quel funky-soul-blues un po’ di maniera alla Robert Cray più svogliato con il sax piuttosto risaputo di Jose Ned James che sostituisce (spesso) la chitarra pungente di Allison a favore di un sound “smooth and mellow” che non rende piena giustizia al brano di Bobby Bland! Anche la vagamente jazzata Tired Of Tryin’ non è particolarmente eccitante. E pure Simple As That si muove su traiettorie limitrofe al blues, più soul ma nella sua immediatezza e con la bella voce di Bernard in evidenza non è malaccio nonostante quel sassofono invadente e zero chitarre in vista.

The Otherside è decisamente più pimpante, con la solista in primo piano e un suono incisivo funky-blues ereditato da Collins e Luther. Slide Master, un titolo, un programma prosegue in questa serie positiva come la successiva Allison Way che illustra il sound di “famiglia”, mentre Still Rainin’ scritta e cantata dal tastierista Bruce McCabe ricade nei soliti difetti con sax e piano e iosa ma poca sostanza.

Leavin’ The Bayou, viceversa, è insinuante e vagamente voodoo nelle sue sonorità dalla Louisiana, sicuramente aiutano la voce e la chitarra dell’ospite Lonnie Brooks che attizzano il gruppo di Bernard Allison che piazza anche un assolo dei suoi in risposta a Brooks. Life Goes On è un pimpante Chicago Blues con piano e fiati che finalmente non rompono le balle (nel senso che ci sono ma usati con migliori risultati).  Fire è proprio quella di Jimi Hendrix e finalmente ci ricorda perché Bernard Allison è considerato uno dei più eccitanti performer dal vivo. Clear Vision ha il cuore nel groove blues giusto ma è un po’ moscetta mentre lo slow blues Let’s Try It Again finalmente ci regala la giusta intensità vocale e strumentale anche se un colpo di pistola al sassofonista mi sarebbe scappato ma poi Bernard Allison si fa abbondamente perdonare con l’assolo finale, intenso e scoppiettante.

Nel frattempo, sta uscendo/è uscito (dipende da quando leggerete questa recensione) un nuovo doppio CD (o DVD) dal vivo, Live At The Jazzhaus che mi sembra superiore a questo The Otherside che pure, tutto sommato, non è un disco disprezzabile per gli amanti del Blues.

Bruno Conti

Non Conoscevo. Per Chi Ama L’Armonica Blues. Come Da Titolo. Bob Corritore And Friends

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Bob Corritore and Friends – Harmonica Blues – Delta Groove Music

Quando uno pensa a un armonicista blues bianco oggi i primi nomi che ti vengono in mente sono Charlie Musselwhite, Kim Wilson, Rod Piazza se frughi nella memoria Paul Butterfield e John Mayall ma ce ne sono decine di altri. Ho citato questi non perché siano necessariamente i più bravi ma sicuramente sono i più conosciuti. Viceversa se pensi all’Armonicista per antonomasia il primo nome è sicuramente Little Walter, poi in base a conoscenze e preferenze pensi a Big Walter Horton, Junior Wells, James Cotton, Carey Bell, Howlin’ Wolf, cito a caso i primi che mi vengono in mente, ma sicuramente il nome Bob Corritore non è il primo e forse nemmeno il secondo che pensiamo e invece… Devo dire di non essere mai stato particolarmente attento alla sua vicenda musicale, sì mi è capitato di vedere il suo nome nei credits di molti dischi di blues e quindi l’ho sicuramente sentito ma distrattamente senza prestare una particolare attenzione.

A giudicare da questo album ho sbagliato, c’è sempre da imparare, Bob Corritore è una sorta di eminenza grigia del Blues, un cardinale Richeliu che ordisce le sue oscure trame (visto che non lo conoscono in molti), come musicista, deejay radiofonico, produttore e però si è creato una reputazione di musician’s musician, molto rispettato tra i colleghi Bluesmen che sono pronti ad accorrere al suo richiamo. La sua carriera solista non è molto prolifica, un disco nel 1999, registrato dopo oltre venti anni di carriera per la scomparsa Hightone, anche il quel caso era un summit di amici e poi, in anni più recenti, un paio di dischi con Dave Riley. Ma ha partecipato anche a moltissimi dischi come musicista e produttore ed è anche proprietario di un club dove si suona soprattutto Chicago Blues, città dove è nato nel lontano 1956.

Ho iniziato ad ascoltare distrattamente il CD ma subito la mia attenzione è stata attirata, ma questa la conosco? La voce di Koko Taylor è inconfondibile, What Kind of Man is This ci regala subito dell’ottimo blues con Corritore all’armonica, presenza costante nell’album, ci sono Bob Margolin alla chitarra e Willie “Big Eyes” Smith alla batteria, il brano è registrato nel 2005 (questa è una caratteristica di questo disco che raccoglie materiale registrato in un arco temporale che va dal 1989 al 2009, 20 anni della vita di Corritore che scorrono sotto i vostri occhi). Il classico suono alla Muddy Waters di Tell me ‘bout it ci introduce alla voce e alla chitarra di Louisiana Red registrato giusto lo scorso anno. Non ci sono Grandi Nomi ma nomi che hanno fatto grande il Blues.

Things You Do con l’amico Dave Riley a menare le danze sa un po’ di conflitto di interessi ma è buona musica, quindi perdonato. Nappy Brown registrato nel 1998 con Baby Don’t You Tear my Clothes ha sempre una voce profonda ed espressiva che è un piacere ascoltare, Kid Ramos alla chitarra. 1815 West Rosevelt è il brano più vecchio, quello del 1989, uno strumentale firmato da Bob Corritore che ci permette di gustare le sue qualità tecniche contrapposte al sax di Eddie Shaw e alla chitarra di Buddy Reed anche se non lo inserirei nel novero dei brani straordinari, dell’onesto blues di mestiere. Robert Lockwood Jr. è uno dei grandi Vecchi del Blues e That’s All Right è un perfetto esempio delle classiche 12 battute del blues, Chicago Blues per la precisione, registrato nel 2001 con il piano di Henry Gray che regala qualche emoxione. Tin Pan Alley è un ottimo slow blues dove la combinazione della voce di Big Pete Pearson e l’armonica di Corritore messe assieme stranamente mi hanno riportato alla memoria il John Mayall dei tempi d’oro e le sua atmosfere sonore. Tomcat Courtney non mi è familiare ma questa Sundown San Diego è bella tosta. Eddy Clearwater è ancora in gran forma vocale e That’s My Baby dello scorso anno lo testimonia. Henry Gray è uno degli ultimi grandi pianisti della scena di Chicago e nella sua Things have changed dimostra che nel 1997 aveva ancora anche una grande grinta vocale.

Pinetop Perkins a 97 anni è il decano dei musicisti blues e probabilmente il più vecchio musicista in assoluto in attività attualmente ma le mani volano sulla tastiera come sempre e la voce è ancora pimpante, Big fat mama ne è l’esempio lampante. Chief Schabuttie Gilliame è un incredibile personaggio con una voce alla Howlin’ Wolf che fa ancora un bel “casino” in No More Doggin’! Honeboy Edwards ci regala una onesta Bumble Bee in versione acustica mentre Carol Fran è in grandissima forma vocale in una trascinante e maliziosa I Need To Be Bed’d With, che voce ragazzi. La conclusione è affidata alla voce e alla chitarra di Little Milton in una eccellente e tirata versione di 6 Bits In Your Dollar. Corritore soffia nell’armonica di gusto e coordina le operazioni e alla fine ci lascia soddisfatti, un nome “nuovo”, tanto per cambiare.

Bruno Conti