Divertimento Assicurato! Paul Burch – Fevers

paul burch fevers

Paul Burch -Fevers – Plowboy CD

Paul Burch, musicista nativo di Washington ma trapiantato a Nashville, è in giro da quasi vent’anni, ma è uno dei segreti meglio custoditi del panorama musicale Americano.

Ha esordito nel 1996 con l’album Pan-American Flash, e da allora ha pubblicato una decina di album, sempre ottimamente bilanciati tra musica country (la sua base di partenza), folk, rock’n’roll e qualche puntata nel blues. Vera American music quindi: Paul non ha mai conosciuto il successo, non è mai andato oltre uno status di cult artist, ma ha sempre fatto quello che voleva, come voleva e quando voleva. Lo scorso anno ci aveva piacevolmente stupito con l’ottimo Great Chicago Fire, uscito per la Bloodshot http://www.youtube.com/watch?v=OVPG-TOv_UI e nel quale Burch si faceva accompagnare dai Waco Brothers, che come sappiamo è una delle migliori e più longeve band di alternative country, un disco che alternava mirabilmente un country molto vigoroso ad episodi decisamente rock, con l’influenza dei Rolling Stones ben presente.

waco brothers paul burch

Con questo nuovo album, intitolato Fevers, Paul cambia le carte in tavola, richiama la sua band WPA Ballclub (il cui leader, il noto polistrumentista Fats Kaplin, è anche co-produttore del disco), e ci regala un godibilissimo lavoro di pura Americana, con deliziosi arrangiamenti vintage che fanno lo fanno sembrare un vecchio LP di qualche oscuro musicista degli anni 50/60. C’è di tutto in Fevers (country, folk, blues, rock’n’roll, pop, swing), http://www.youtube.com/watch?v=3b2OQHs2b2A ma l’insieme non suona assolutamente dispersivo, ma anzi dimostra che Burch è un musicista di grande talento che non ha mai avuto l’attenzione che avrebbe meritato. I suoni sono semplici, diretti, nulla a che vedere con le produzioni cromate di Nashville, ma da questi solchi viene fuori l’amore del nostro per le tradizioni (anche se dieci canzoni su tredici sono opera sua), e la varietà di stili non è un segnale di dispersività, ma ,al contrario, di compattezza.

paul burch 1

L’iniziale Cluck Old Hen è un traditional folk, e Paul lo ripropone proprio come se fosse uscito dall’Anthology Of Folk Music: voce, violino, mandolino e poco altro. Couldn’t Get A Witness è un rockabilly d’altri tempi, diretto, godibile ed essenziale nei suoni: violino, basso e batteria, con una chitarra mixata talmente bassa che quasi non si sente http://www.youtube.com/watch?v=1gDQ7AaaLsk . Ma il brano funziona lo stesso. La splendida Straight Tears, No Chaser è uno scintillante honky-tonk suonato alla maniera classica, con la doppia voce di Kristi Rose ad impreziosire una gemma già lucente di suo: la steel di Kaplin ed il pianoforte della brava Jen Gunderman (in passato anche con i  Jayhawks al momento nei Last Train Home) fanno il resto.

Two Trains Pullin’ è una classica pop ballad, gradevolissima e molto anni ’50 (mi ricorda certe cose di Nick Lowe), mentre Ocean Of Tears (cover di un classico del grande Tennesse Ernie Ford) http://www.youtube.com/watch?v=CkigmANGaco è uno slow jazzato, sempre a due voci (stavolta con Kelly Hogan), quasi un brano afterhours, di gran classe: sentire per credere. Con Luck Ran Out si cambia decisamente genere: un pezzo con sonorità quasi low-fi, un bluesaccio sudista con accenni swamp, alla Tony Joe White, mentre con il pop-rock Breaking In A Brand New Heartache torniamo decisamente dalle parti di Lowe, anzi quasi mi stupisco di non trovare nei credits del brano il nome del geniale musicista inglese.

paul burch 2

Con la deliziosa (I Love) A Melancholy Baby torniamo negli anni a cavallo tra i cinquanta ed i sessanta, ed anche l’arrangiamento vintage fa la sua parte; Give It Away è invece un rock’n’roll venato di country e dominato dal piano (chi ha detto Jerry Lee?). Sac Au Lait ci porta in territori cajun, non c’è la batteria ma il piedino si muove lo stesso, mentre Sagrada è un pezzo che mi ricorda certe cose dei Los Lobos, non quelli folk tradizionali ma quelli contaminati con il rock un po’ obliquo, come se ci fosse Mitchell Froom dietro alla consolle (è chiaro che qui la produzione è moooolto più artigianale!).

Chiudono un album fresco e stimolante una bella cover di Going To Memphis (un classico di Johnny Cash, era sul mitico Ride This Train), con ospite Richard Bennett al mandolino e Paul che prova a tenere il passo del Man in Black (ma non ne ha la voce, chiaramente), e Saturday Night Jamboree, un gustoso western swing ancora molto vintage.

Date una chance a Paul Burch, non vi deluderà, e probabilmente vi divertirà pure.

Marco Verdi