The Best Of 2016, Il Meglio Delle Riviste Internazionali: Mojo E Uncut

MOJO-278-cover-Kate-Bush-595

Ed eccoci come di consueto alla panoramica sulle classifiche di fine anno espresse da riviste cartacee, mensili e quotidiani,  più alcuni siti scelti tra quelli che reputo, secondo un giudizio insindacabile (scherzo!) i più interessanti, ma anche qualcuna di cui non condivido praticamente nulla, prossimamente. Quest’anno mi sembra, seguendo i gusti del Blog, che la qualità delle scelte sia migliorata, ovvero meno rap, hip-hop, musica elettronica ed altre delizie del genere, ma poi rimangono alcuni irriducibili che indicano solo quei tipi di album “irricevibili”, secondo chi scrive (meno degli anni scorsi, ripeto). Partiamo con le scelte di Mojo Uncut, nel caso in cui ne abbiamo parlato sul blog, trovate anche il link del Post relativo al disco in questione, e a seguire anche i link di alcuni video degli album in classifica.

MOJO – Best LPs of 2016
43569-blackstar
01 David Bowie – Blackstar
52824-love-hate
02 Michael Kiwanuka – Love & Hate
55907-skeleton-tree
03 Nick Cave & The Bad Seeds – Skeleton Tree
59540-flotus
04 Lambchop – Flotus
62251-you-want-it-darker
05 Leonard Cohen – You Want It Darker
48726-post-pop-depression
06 Iggy Pop – Post Pop Depression
58949-blonde
07 Frank Ocean – Blonde
53308-stranger-to-stranger
08 Paul Simon – Stranger To Stranger
48714-the-hope-six-demolition-project
09 PJ Harvey – The Hope Six Demolition Project
49489-heron-oblivion
10 Heron Oblivion – Heron Oblivion
54767-a-moon-shaped-pool
11 Radiohead – A Moon Shaped Pool
54075-lemonade
12 Beyonce – Lemonade
56931-here
13 Teenage Fanclub – Here
48024-changes-1
14 Charles Bradley – Changes
44768-hidden-city
15 The Cult – Hidden City
uncut-2016
Uncut‘s Top 15 Albums of 2016
43569-blackstar
01 David Bowie – Blackstar
54767-a-moon-shaped-pool
02 Radiohead – A Moon Shaped Pool
55907-skeleton-tree
03 Nick Cave & The Bad Seeds – Skeleton Tree
62251-you-want-it-darker
04 Leonard Cohen – You Want It Darker
55796-golden-sings-that-have-been-sung
05 Ryley Walker – Golden Sings That Have Been Sung
51297-a-sailors-guide-to-earth
07 Sturgill Simpson – A Sailor’s Guide To Earth
51671-hopelessness
08 Anohni – Hopelessness
09 Teenage Fanclub – Here
55397-a-weird-exits
11 Thee Oh Sees – A Weird Exits
50606-the-ship
12 Brian Eno – The Ship
56912-american-band
13 Drive-By Truckers – American Band
59737-22-a-million
14 Bon Iver – 22, A Million
58086-schmilco
15 Wilco – Schmilco
Per oggi è tutto, alla prossima,

Lasciateli Entrare! I Am Kloot – Let It All In

i am kloot let it all in.jpg

 

 

 

 

 

 

 I Am Kloot – Let It All In – Shepherd Moon 2013

Per chi non li conoscesse, gli I Am Kloot sono un trio mancuniano composto da John Bramwell (il vero talentuoso del gruppo), Pete Jobson e Andy Hargreaves, e dopo un decennio trascorso quasi sempre ai margini delle classifiche inglesi, finalmente con Sky At Night (è stato premiato nel 2010 ai Mercury Prize) la band di Manchester ha cominciato a raccogliere in proporzione alle proprie qualità. Indubbiamente meno, molto meno “vendibili” di realtà quali i Coldplay (per fare l’esempio più eclatante) gli I Am Kloot, denotano radici non prettamente anglosassoni, che fanno della loro musica un interessante crossover di influenze. Assodato che il loro appeal rimane fortemente di scuola inglese, l’utilizzo di alcune soluzioni armoniche e di una impostazione molto americana, li rende forse più “appetibili” al di fuori del Regno Unito. Infatti,mischiando ballate up-tempo, pop chitarristico d’autore, melodie Beatlesiane ed arpeggi d’effetto, in questo nuovo lavoro, il loro sesto disco Let It All In (per la prima volta arrivato, al momento, fino al 10° posto delle classiche inglesi citate prima), ottimamente prodotto e arrangiato in maniera semplice ed incisiva dai concittadini Guy Garvey e Craig Potter (Elbow), gli IAK dimostrano che nelle loro canzoni non c’è nulla di scontato.

Il disco si apre con Bullets, che inizia acustica per poi esplodere con lampi di chitarra elettrici, si prosegue con la bellezza cristallina di Let Them All In e la pianistica struggente Hold Back The Night con fiati e archi, da suonare in vecchi e fumosi piano bar. Si riparte con l’incedere pop di Mouth On Me e la cadenzata Shoeless, mentre Even The Stars (da lungo tempo nel loro repertorio) è sublime, ricorda echi lontani dei migliori Lambchop, ma anche dei Waterboys più rock ed epici. Masquerade è un brano dal ritornello orecchiabile, mentre una tromba introduce Some Better Day, dalla semplice ma affascinante linea melodica, cui fa seguito These Days Are Mine dove ritornano fiati e archi su un tessuto molto ritmico, per cedere poi il passo alla dolcezza di Forgive Me These Reminders, brano intenso e profondo, che può portare alla mente artisti introspettivi come David Gray e Lloyd Cole.

John Bramwell e soci sono un’ottima pop-rock band, niente di meno e nulla di più, capaci però di  scrivere belle canzoni, varie, dalle melodie efficaci e dall’ottimo “sound” elettrico (riconducibile anche ai Doves e agli stessi Elbow), e meriterebbero decisamente più fortuna dalle nostre parti, perché qui la qualità non manca di certo. Per gli amanti del rock inglese una formazione da scoprire.

Tino Montanari

La Meglio Gioventù “Indie” Americana. Mountain Goats – Transcendental Youth

mountain goats transcendental.jpg

 

 

 

 

 

 

The Mountain Goats – Transcendental Youth – Merge Records 2012

Considero John Darnielle uno dei migliori songwriter della scena indie Americana. Il leader dei Mountain Goats , si è costruito in vent’anni di attività un catalogo impressionante, dove sia per la forza dei testi che per le sonorità, alle sue canzoni,spesso bastano pochi accordi di pianoforte e chitarra per arrivare al cuore dell’ascoltatore. La band di Darnielle è stata una delle prime a potersi davvero fregiare della categoria “indie band”, fin da quando nel lontano 1991 hanno incominciato a pubblicare dischi in continuazione, partendo dai primi lavori in formato audiocassetta. Da allora tenere il conto non è facilissimo, questo dovrebbe essere il 14° album, più 6 cassette pubblicate tra il ‘91 e il ’94, 23 EP o singoli con inediti e 3 CD di materiale di recupero. Come vedete un “songbook” imponente e difficilmente consigliabile nella sua totalità, se non siete in sintonia con il “genio” musicale del leader dei Mountain Goats (comunque se volete iniziare vi consiglio The Sunset Tree (2005) e Get Lonely (2006). La forma dei brani si è sempre sviluppata in un folk scarno, ballate crepuscolari, dai toni sommessi, con poche variazioni, ma in questo nuovo disco che vede ancora in azione i fedeli Peter Hughes al basso e John Wurster alla batteria, le varie composizioni sono attraversate da una allegra sezione fiati, che sembra dare una marcia in più al classico suono acustico della Band.

I territori restano quelli di un folk-rock elettro-acustico, ma il tono spigliato delle melodie e i tempi svelti a partire dall’iniziale Amy aka Spent Gladiator 1, forniscono una bella ventata fresca nel rock introverso del gruppo. Un pianoforte introduce Lakeside View Apartments Suite una bella e struggente ballata del miglior Darnielle, mentre il singolo Cry For Judas si sviluppa spedito con il sottofondo dei fiati e un tromba che mi ricorda il Chuck Mangione di Children Of Sanchez.  Harem Roulette è più ritmata, mentre White Cedar è un’altra ballata guidata dal pianoforte e cantata in modo quasi recitativo da John, come pure la seguente, magnifica, Until I Am Whole. Si cambia registro con brani freschi e tambureggianti per Night Light e The Diaz Brothers, mentre in chiave acustica viene proposta Counterfeit Florida Plates, cui fa seguito una In Memory Of Satan in stile Lambchop.

Si chiude con una sincopata Spent Gladiator 2 che rimanda al brano d’apertura e con il jazz sommesso di Transcendental Youth, dove fiati e batteria spazzolata dimostrano che i Mountain Goats sono usciti dalla loro “nicchia”.

 Avviso ai naviganti: sappiate che se doveste scoprire la band di John Darnielle solo dopo l’ascolto di questo CD (di cui vi potreste innamorare in molti), quello che purtroppo vi aspetta è di recuperare un ventennio di onesta e copiosa carriera, giusta (ma dolce) punizione per conoscere un gruppo che è stato colpevolmente sottovalutato. Per chi ama il genere fortunatamente si può rimediare.

Tino Montanari

“Altre Storie” Da (East) Nashville! Kevin Gordon – Gloryland

kevin gordon glorycover.72.350-150x150.jpg

 

 

 

 

 

 

 Kevin Gordon – Gloryland – Crowville Media Self-released 2012

Mi ero quasi dimenticato di Kevin Gordon cantautore e letterato nato a West Monroe in Louisiana, autore di ottimi album nella sua quasi ventennale carriera. Kevin non è un novizio nell’ambiente discografico, nonostante il suo nome ai più dica poco, è un tipo che si è laureato in letteratura all’Università dell’Iowa, e la sua vena di scrittore gli ha permesso di pubblicare molti poemi sulle migliori riviste del settore. Come “songwriter” debutta nel 1993 con Carnival Time un album edito dalla Taxim Records, mentre Cadillac Jack’s # 1 Son (1998) si può considerare il lavoro più compiuto di Gordon, seguito dall’ottimo Down To The Well (2000), entrambi  distribuiti dalla Shanachie Records. Dopo qualche problema con la casa discografica, incide O Come  Look At The Burning (2005) un omaggio alla sua terra (Lousiana), un disco profondamente influenzato da atmosfere cupe, tipiche di New Orleans e di uno dei suoi figli prediletti Tony Joe White.

Validamente coadiuvato dal “braccio destro” produttore e musicista Joe McMahan, Kevin in questo disco si avvale della sua attuale band, composta da ottimi musicisti, Paul Griffith, Ron Eoff, Steve Poulton, Dave Jacques, e ospiti speciali come Sarah Siskind, due componenti dei Lambchop (Scott Martin  e Ryan Norris) e le sorelle McCrary (Regina e Ann coriste di gospel con Mike Farris), proponendo una manciata di canzoni con la sua voce soul,  per un “sound” che spazia tra rock and roll, folk e blues e che coinvolge l’ascoltatore.

Si parte con il blues di Gloryland e le chitarre in spolvero sulla voce di Kevin, e si prosegue con una Don’t Stop Me This Time dalla sezione ritmica importante, con un ritornello che entra subito in circolo. Colfax/Step In Time è una delle più belle del disco, inizia dolcemente, poi si sviluppa nei suoi 10 minuti su un testo bellissimo e con il crescendo “soul” delle sorelle McCrary. Pecolia’s Star è una ballata maestosa su un tessuto sonoro con il mandolino in evidenza, mentre Black Dog è uno svamp rock, uno di quei brani che ricorda il Fogerty d’annata. Si torna alla ballata malinconica con Trying To Get To Memphis, con Gordon  vocalmente molto vicino a John Hiatt, mentre la seguente Bus To Shreveport è un mid-tempo senza infamia e senza lode. Il livello del disco torna alto con Nine Bells, atmosfera notturna creata dalla chitarre slide, batteria low-fi e voce rancorosa di Kevin. Splendida! Side of the Road inizia con un arrangiamento “desertico”, poi diventa sudista fino al midollo con l’apporto delle “sisters” al controcanto, mentre Tearing It Down molto “bluesata”,  è sporca e cattiva quanto basta. Si chiude alla grande con One I love che sembra toltada Guitar Town di Steve Earle, e la bonus track Don’t Take It All, ammaliante ballata quasi recitativa, composta su qualche palafitta sul Mississippi, sorseggiando un buon Southern Comfort.

Kevin Gordon è un autore con una certa “verve” descrittiva (basta leggere i testi), liriche, ritmo e voce vanno a braccetto e nessuno prevale sull’altro, è una sorta di Sonny Landreth con meno virtù chitarristica e più senso di narrazione, e in questo lavoro mostra tutte le sue qualità e ci regala quasi sessanta minuti di musica gustosa e genuina, e suonata come Dio comanda. Bravo Kevin, un bel ritorno, un disco sofferto, difficile, ma se riuscite a penetrare nella sua musica, non potete esimervi dal farlo vostro. Adesso spero solo di non dover aspettare altri sette anni per ricordarmi del suo talento.

Tino Montanari

Novità Di Febbraio Parte III. Nanci Griffith, Tindersticks, Lambchop, Sinead O’Connor, Cranberries, Damien Jurado, Field Music, Kevn Kinney, Eccetera

nancy griffith.jpgtindersticks.jpglambchop m deluxe.jpg

 

 

 

 

 

 

 Questa settimana sono in ritardo per l’aggiornamento delle news, pensavo che uscisse poco materiale e invece quando ho controllato la lista ho visto che stanno per essere pubblicati parecchi titoli interessanti, per cui, mentre mi sparo il nuovo Springsteen (di cui avrete letto sui quotidiani, non so, per ora mi riservo il giudizio, anche se l’amore per la sua musica è imperituro e un paio di ballate, Jack Of All Trades in primis, ricordano gli splendori del passato e il suono del disco per la presenza costante del violino ha degli agganci con le Seeger Sessions, pure fisarmonica e fiati fanno sentire la loro presenza, anche se il breve intermezzo rap uhm, non volevo parlarne ma vengo risucchiato dalla passione, basta!), vi aggiorno sulle novità di martedì 21 febbraio.

Partiamo con Nanci Griffith che approda anche lei a casa Proper con questo nuovo Intersection, il 20° della sua carriera, dodici brani di cui 5 cover e sette originali. Registrato come al solito in quel di Nashville, Pete & Maura Kennedy co-producono, suonano e cantano con l’aiuto di Pat McInerney alle percussioni e con alcuni ospiti come Eric Brace e Peter Cooper alle armonie vocali in una ripresa di Just Another Morning Here, tratta da uno dei suoi dischi più belli Late Night Grand Hotel. Richard Bailey degli Steeldrivers al banjo in High On A Mountain Top che è una delle cover, dal repertorio di Loretta Lynn, così come ce n’è una scritta da Blaze Foley, If I Could Only Fly. Mi sembra bello.

Nuova casa discografica per i Tindersticks che approdano alla Lucky Dog/City Slang con questo The Something Rain ma, niente paura, lo stile musicale è sempre quello e Stuart Staples non ha perso l’abitudine di scrivere belle canzoni anche se in effetti il video non è il massimo.

Anche i Lambchop incidono per la City Slang e il nuovo album è un po’ meno Alt Country del solito per la band di Nashville. Comunque questo Mr. M mi piace e la versione con DVD contiene 5 brani registrati dal vivo e una presentazione track by track del disco da parte di Kurt Wagner.

sinead o'connor.jpgsinead o'connor.jpg cover 2.jpgcranberries.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Il nuovo disco di Sinead O’Connor, il titolo una scioglilingua How About I Be Me And You Be You?, esce con due copertine ( e due date) diverse in Europa e negli Stati Uniti. Etichetta One Little Indian, prodotto dal “solito” John Reynolds, nove canzoni nuove e una cover di Queen Of Denmark di John Grant. Ma allora le piace la buona musica?

Dolores O’Riordan ha deciso di ritornare al vecchio marchio di fabbrica Cranberries che da solo garantisce vendite doppie rispetto ai dischi solisti e a 11 anni dall’ultimo album di studio Wake Up And Smell The Coffee arriva questo Roses, il primo per la Cooking Vinyl, prodotto da Stephen Street, quello di Smiths, Blur e Cranberries appunto. C’è l’immancabile versione Limited doppia (ma al prezzo di uno) con il secondo CD che contiene 16 brani registrati ad un concerto del 2010 a Madrid.

field music plumb.jpgjosh ritter bring in the darlings.jpgjim white where it hits you.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Plumb dei Field Music, ad essere sinceri, è già uscito la scorsa settimana per la Memphis Industries ma lo avevo “saltato” nelle mie liste. Invece sono andato a sentirlo ed è molto bello, sembrano gli Xtc del periodo d’oro, pop music di quelle con arrangiamenti e suoni scintillanti e raffinati, la musica buona inglese degli anni ’80 con richiami anche ai sixties (qualcuno ha detto Beatles?).

Josh Ritter esce con un nuovo EP intitolato Bringing In The Darlings. Pare che il mini album, come evidenziato anche da quello di Amos Lee, sempre 6 brani, sia tornato di moda. Registrato in coppia con il produttore Josh Kaufman che suona tutti gli altri strumenti, “esce” per la Pytheas Recordings.

Esordio di Jim White per la Yep Rock Where It Hits You, dopo tanti anni con la Luaka Bop di David Byrne, cinque anni di silenzio e quella strana collaborazione nei Mama Lucky con Linda Delgado e Tucker Martine. Non ho  ancora capito che genere faccia (penso neanche lui) però lo fa bene. Vogliamo dire Alternative Country?

blood sweat and tears in concert.jpgphil everly star spangled springer.jpgmichael martin murphey campfire on the road.jpg

 

 

 

 

 

 

Un paio di nuove ristampe della Wounded Bird. Il primo è il classico In Concert dei Blood Sweat and Tears uscito come doppio vinile per la Columbia nel 1976, con David Clayton Thomas rientrato in formazione è l’occasione per risentire il loro pop rock funky jazz esplosivo e una delle più belle voci della musica americana.

Phil Everly era il meno bravo degli Everly Brothers, o meglio, era quello che cantava meno parti soliste rispetto a Don. Questo Star Spangled Springler è uno dei suoi rari album solisti pubblicato in origine nel 1973, con la partecipazione di Warren Zevon, James Burton, Duane Eddy, Buddy Emmons e Victor Feldman. Curiosità nella curiosità o “non tutti sanno che”, contiene The Air That I Breathe che l’anno successivo sarebbe diventato un mega successo per gli Hollies in tutto il mondo. Questa di Phil Everly si pensa che fosse la prima versione del brano ma in effetti lo aveva già registrato nel 1972 il suo autore Albert Hammond quello di It Never Rains In Southern California che non era americano ma nativo di Londra e per continuare la serie degli intrecci è il babbo di Albert Hammond Jr. quello degli Strokes. Aggiungo altro? L’ingegnere del suono nella versione di The Air That I Breathe degli Hollies era Alan Parsons. Esagero? Albert Hammond e Mike Hazlewood appaiono anche come co-autori di Creep dei Radiohead in quanto fu riscontrato che il brano aveva più di un punto in contatto con la loro canzone.

Michael Martin Murphey è uno dei re delle Cowboy Songs ma questo Campfire Songs, sottotitolo Live And Alone ce lo propone in concerto e in solitaria alle prese con alcuni classici del suo repertorio. Varrebbe la pena solo perché canta Geronimo’s Cadillac, una delle più belle canzoni degli anni ’70. Etichetta Western Jubilee.

kevn kinney & golden palominos.jpgtommy womack now what.jpgdamien jurado maraqopa.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Un trio di cantanti americani di quelli “giusti”. Kevn (senza la i, mi raccomando) Kinney è uno dei migliori rocker americani nonchè leader dei Drivin’n’Cryin’, e questo A Good Country Mile registrato con i Golden Palominos (che poi sarebbero la sigla che usa il batterista Anton Fier) è uno dei dischi di rock classico più belli che ho sentito in questi primi mesi del 2012 (ma per il download e distribuito sul suo sito e ai concerti circolava già dall’estate scorsa). Con chitarre fumanti, ritmi tirati e belle canzoni, tutti gli ingredienti immancabili per un disco di culto. Dimenticavo, e una bella voce, caratteristica. Prodotto autogestito, quindi auguri, però cercare perchè ne vale la pena, uno dei migliori della sua carriera solista e non.

Anche Tommy Womack è un country-rocker di culto spesso in coppia con Will Kimbrough. Ha registrato una manciata di album, questo Now What! dovrebbe essere il quinto. Non dimenticate che i suoi brani sono stati cantati da Jimmy Buffett, Todd Snider, Jason Ringenberg, Dan Baird, Scott Kempner, tutti spiriti affini. E poi uno che ha anche scritto un libro intitolato Cheese Story: The True Story Of A Rock’n’Roll Band You’ve Never Heard Of è bravo a prescindere. Etichetta Cedar Creek Music. Il video è geniale.

Di Damien Jurado avevo parlato su questo Blog in termini più che lusinghieri del precedente album damien-jurado-saint-bartlett.html, questo nuovo Maraqopa, sempre pubblicato dalla Secretly Canadian ha tutte le carte in regola per ripetere lo stesso successo di culto del precedente. Stesso produttore Richard Swift stesse atmosfere rarefatte e raffinate, se amate i cantautori questo fa per voi.

Direi che anche per oggi di carne al fuoco ne abbiamo messa parecchia. Alla prossima!

Bruno Conti

Kurt And Cortney, Ma Non “Quelli”! – Kurt Wagner & Cortney Tidwell Present…Kort – Invariable Heartache

kort invariable heartache.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Kurt Wagner & Cortney Tidwell Present …Kort – Invariable Heartache – City Slang/Self 16-11-2010

Come i più attenti avranno sicuramente notato subito lei si chiama Cortney (senza la u) e quindi il giochetto è presto scoperto. In ogni caso lui Kurt Wagner è il leader degli ottimi Lambchop (Nixon e Is A Woman sono delle vere delizie sonore del cosiddetto alternative country, dovendo scegliere, ma tutti i loro album sono molto belli), lei Cortney Tidwell nei suoi due dischi da solista ha mescolato Bjork, Joy Division e Depeche Mode con la musica della Grand Ole Opry di Nashville, Tennessee.

Questo disco di duetti è un sentito omaggio alla musica “minore” prodotta da una etichetta, la Chart Records, fondata dal nonno di Cortney Slim Williamson, mentre anche la mamma era una cantante di country sul finire degli anni ’60 (tutti i brani sono cover degli artisti della Chart Records meno un pezzo della mamma della Tidwell pubblicato dalla ABC Dunhill). Il disco è prodotto da Kurt Wagner, registrato da Todd Tidwell (il marito) e mixato da Mark Nevers (un altro dei Lambchop): quindi quasi un affare di famiglia ma il risultato finale è assolutamente delizioso e delicato, azzarderei un deliziosamente delicato.

I dischi di duetti, da Robert Plant e Allison Krauss a Isobel Campbell e Mark Lanegan, sono tornati assolutamente di moda e questo disco conferma la bontà della formula in un ambito più di nicchia ma altrettanto valido. Pensate a Emmylou e Gram anche se qui il repertorio è “minore” e più tradizionale, le due voci si amalgano alla perfezione, quella maschia e scarna di Wagner con quella più squillante e pimpante della Tidwell. Il sound con pedal steel, violino, chitarre acustiche e tanto pianoforte ricorda i Lambchop più tradizionali ma anche il country di Nashville degli anni ’60, prima della svolta country-rock quando imperavano Patsy Cline e Loretta Lynn ma senza cadere nella trappola del kitsch di molta musica di quegli anni, solo il meglio.

Si parte con la meravigliosa ballata Incredibly Lonely che è una meraviglia di intrecci vocali dei due protagonisti, malinconica e triste senza cadere nella depressione di certi “alternativi” molto osannati che non nominerò neanche sotto tortura, intrigante anche nelle nuances sonore della chitarra elettrica che disegna arabeschi sonori nel tessuto della canzone e nell’insieme del brano che suona vicino alla perfezione. Si prosegue con Eyes Look Away un brano cantato da Kurt Wagner che ci riporta allo splendore dei Lambchop più ispirati con chitarre e violino che cesellano note su note mentre la Tidwell si inventa delle background vocals angeliche. A Special Day inizia come una outtake dalla colonna sonora di Pat Garrett & Billy The Kid con una weeping pedal steel che dà l’abbrivio ad una interpretazione “adolescenziale” di Cortney che quasi “cinquetta” amabilmente nella parte centrale del brano mentre i musicisti ricreano le atmosfere dorate degli anni ’60 del girl sound rivisitato in stile country (se ci fate caso anche gli She & Him sia pure con un impatto più pop e rock abitano questi territori). Picking Wild Mountain Berries è un brano decisamente più vivace, mosso, con una chitarrina funky che propelle le voci dei Kort verso momenti di pura goduria aurale (se si può dire, ma si può, si può!), non per niente è il singolo dell’album (country got soul?).

Yours forever non avrebbe sfigurato nel repertorio di Patsy Cline e anche se la Tidwell non ha la perfezione vocale della grande Patsy è sicuramente in grado di convogliare le emozioni del brano aiutata abilmente da piano, elettrica e steel guitar, atmosfere già testate nella precedente Yours Forever e qui portate a compimento. Proseguendo si incontra un altro duetto memorabile, She Came Around Last Night che se l’avessero scritta Felice & Boudleaux Bryant sarebbe lì tra Love Hurts e Sleepless Nights nel repertorio di Gram Parsons e Emmylou Harris. Una strana introduzione strumentale quasi atonale ci porta alla vivace Penetration un altro duetto che mi ha ricordato il sound pop ma estremamente raffinato dei Lovin’ Spoonful di John Sebastian, musica pop ma di notevole spessore, l’unica deviazione dalle sonorità prettamente country del CD. April’s Fool è un perfetto veicolo per la voce dolce e sussurrata di Kurt Wagner quasi alla Lee Hazlewood con dei bei vocalizzi della Tidwell in sottofondo.

I can’t Sleep With You ancora con la voce fragile e sofferta, qui raddoppiata, della Tidwell è un altro esempio di come si può fare buona musica con poco, mentre Let’s Think About Where We’re Going, in duetto, è un bel valzerone tipicamente country con fiddle d’ordinanza (sarebbe il violino ma visto il tipo di brano il termine è più consono alla bisogna). Conclude questo catalogo di “delusioni amorose” Who’s Gonna Love Me Now un’altro slow con pedal steel e piano sugli scudi mentre la brava Cortney Tidwell “soffre” (in modo figurato) con grande passione.

La musica country di Nashville come si faceva una volta, artigianale ma con sprazzi di genio (piccolo ma genio!).

Bruno Co(u)nt(r)i.