Cantautrice Di “Culto” E Di Sostanza! Chris Pureka – Back In The Ring

chris pureka back in the ring

Chris Pureka – Back In The Ring – Sad Rabbit Records 

Anche Chris Pureka a livello discografico era ferma da parecchi anni: l’ultimo album (a parte un Live autogestito pubblicato nel 2012 e l’EP Chimera II dell’anno successivo) risale al 2010, How I Learned To Sing In The Dark, che a detta di molti era il suo migliore in assoluto http://discoclub.myblog.it/2010/11/01/tutto-vero-quello-che-si-dice-su-di-lei-chris-pureka-how-i-l/ . Proprio in quegli anni la Pureka si era trasferita a vivere a Portland, Oregon, dove aveva iniziato a scrivere le prime canzoni che poi avrebbero fatto parte del suo album successivo, tra cui la title-track Back In The Ring, che raccontava di conflitti, periodi bui e fine di relazioni, anche se col tempo gli angoli si sono smussati. Poi però nel panorama musicale attuale bisogna trovare i fondi per incidere gli album e anche Chris si è rivolta al sistema del crowdfunding attraverso Pledge Music per finanziare il nuovo album e grazie ai suoi fans ha potuto registrare quello che a chi scrive sembra un album molto interessante, autoprodotto da lei stessa La Pureka in passato è stata accostata, musicalmente, a gente come Patty Griffin, Neko Case, Dar Williams, i Cowboy Junkies (comunque tutte più brave, per essere onesti fino in fondo) quindi non solo una semplice folksinger acustica, ma una cantautrice dagli arrangiamenti ricchi e complessi, con una bella voce in grado di fare vivere le sue storie attraverso una musica molto raffinata ed intrigante, che la aveva fatta molto amare dallo scomparso promoter italiano Carlo Carlini.

Direi che questo album conferma quelle impressioni, dalla risonante chitarra elettrica che si schiude nelle prime note di Back In The Ring (la canzone) si capisce che ancora una volta siamo a bordo per un viaggio sonoro, dove le storie cupe e frammentate si accompagnano ad un tessuto sonoro ricco e sfaccettato, la voce avvolta in una leggera eco che la moltiplica, ma sempre con questa aria di vulnerabilità pur nel sicuro timbro sonoro della nostra amica. Le canzoni sono scritte quasi tutte attorno al suono di una chitarra elettrica, discreta ma quasi sempre presente, un po’ come è stato anche in tempi recenti per Laura Marling, lo strumento non prevarica mai il suono, ma è comunque una delle costanti dei brani, con tocchi di tastiere, una sezione ritmica discreta, comunque ben evidente, volendo c’è qualche similitudine con le band o i solisti che vengono dalla scena di Portland, penso a Laura Veirs o alle cose più quiete dei Decemberists, oltre naturalmente ai nomi citati prima: Holy è una folk song arricchita da una melodia melanconica, con un ritornello che si può persino canticchiare, in modo sommesso e la presenza dell’unico nome “celebre” Gregory Alan Isakov, alle armonie vocali https://www.youtube.com/watch?v=Vi-NpKTbSG4 , Betting On The Races è addirittura l’idea di una canzone pop nelle intenzioni della Pureka, un brano gentile me coinvolgente che può ricordare certe cose meno mainstream di Brandi Carlile (con cui condivide l’orientamento sessuale, anche se non è importante nell’ambito musicale).

Silent Movie ha un’urgenza elettrica, con le chitarre ben delineate e la voce più in primo piano che nel passato, per un sound quasi indie-rock, mentre Blind Man’s Waltz, fin dal titolo, potrebbe essere una canzone à la Cowboy Junkies, con le sue atmosfere sospese, la voce che si impenna leggermente ma poi rientra nel corpo della canzone, anche se l’approccio vocale è meno “sussurrato” rispetto a quello di Margo Timmins. Bell Jar ritorna all’approccio acustico e folk dei primi album, almeno nella parte iniziale, poi entrano una elettrica, la sezione ritmica e un violino lancinante (Max Voltage) e la canzone prende corpo, con Crossfire (The Matador) di nuovo sofferta e più ricca di grinta, che si avvolge intorno all’interpretazione vocale della Pureka, molto partecipe e intensa. Tinder, più oscura e misteriosa è forse la più folk del lotto, indie-folk ok, ma pur sempre prettamente acustica, ed anche Cabin Fever mi sembra si possa avvicinare di nuovo alla Brandi Carlile più intimista e raffinata. Pure in Midwest ricorre questo approccio del piano/forte, tipico della musica indie, con la musica che sale improvvisamente e poi si quieta, con picchi e valli continui che si alternano spesso, come è caratteristica comune anche nel resto dell’album, tra violini, chitarre acustiche, forse un cello o una viola (Nathan Crockett) che rivestono la voce della Pureka. A concludere il tutto Crossfire II (The Dirge), brano che , come altri, potrebbe avere punti di contatto anche con la musica e la vocalità di Sinead O’Connor, quella meno trasgressiva e più strutturata. Una buona prova per Chris Pureka che si conferma cantautrice di “culto” e sostanza, da tenere d’occhio e a portata di orecchio.

Bruno Conti