“Alternativa” Ma Non Troppo, Anzi Sofisticata Ed Elegante. Neko Case – Hell-On

neko case hell-on

Neko Case – Hell-On – Anti-

Neko Case non è più una “giovanotta”, 47 anni compiuti (sempre dire l’età delle signore), una carriera iniziata nel 1994, ma il primo disco da solista è del 1997: all’inizio, per quanto valgano le etichette, era più alternative country, nel primo album appunto del 1997 The Virginian, e pure nel successivo Furnace Room Lullaby, ma già Blacklist virava verso lidi più rock, anche se poi l’esibizione all’Austin City Limits del 2003 era ancora in un ambito “Americana” con tanto di cover di Buckets Of Rain di Dylan.

Poi da Fox Confessor… del 2006 il suono si fa più “lavorato”, ma a tratti anche spensierato, visto che Neko Case aveva anche una sorta di carriera parallela con i New Pornographers, più orientati verso un sound power-pop, definirlo commerciale forse è una esagerazione, ma i dischi in Canada vendono in modo rispettabile. Whiteout Condition è l’ultimo disco del 2017 in cui canta Neko, e l’album in trio del 2016 con Laura Veirs e KD Lang il penultimo uscito https://discoclub.myblog.it/2016/06/29/le-csn-degli-anni-2000-caselangveirs/ . E proprio la Lang appare come voce di supporto in Last Lion Of Albion, il delizioso secondo brano di raffinato stampo pop di questo nuovo Hell-On, -co-prodotto, come altri sei del CD, da Bjorn Ytlling di Peter, Bjorn And John, che ha curato la quota svedese dell’album e il mixaggio complessivo del disco. La title track Hell-On è stata scritta con Paul Rigby, chitarrista e collaboratore abituale della Case, mentre Doug Gillard è l’altro chitarrista, e nella parte americana dell’album collaborano anche Joey Burns dei Calexico, Steve Berlin e Sebastian Steinberg, un brano “lunare” e soffuso, dove Neko suona la kalimba, e ci sono anche cello e autoharp.

Da Stoccolma arriva pure Halls Of Sarah, delicata e complessa, con la base strumentale incisa in Arizona, come le voci di Laura Veirs e Kelly Hogan. A questo punto facciamo un piccolo salto nel passato: siamo nel settembre del 2017, quando alle tre del mattino Neko Case riceve una chiamata dagli Stati Uniti in cui le viene comunicato che la sua casa nel Vermont sta bruciando e non ci sono speranze di salvare nulla, tutti i suoi possedimenti vanno in fumo, si salvano solo i cani e le persone care. Ma la nostra amica, che a dispetto dell’aspetto esteriore tranquillo è una tipa tosta, decide di completare comunque l’album, infatti nei contenuti appaiono vari richiami a questa vicenda, a partire dal titolo e dalla copertina, dove la Case appare con il capo ricoperto di sigarette e con la sua strana acconciatura che prende fuoco. Si sa che spesso dalle disgrazie nascono spunti di resilienza ed in effetti l’album nel complesso risulta una dei suoi migliori https://www.youtube.com/watch?v=j5MPRCf2M9U , con una clamorosa eccezione in Bad Luck (altro riferimento) che sembra quasi un brano della futura reunion degli Abba, e che francamente, esprimo un parere personale, a qualcuno piacerà, ci poteva risparmiare, tra ritmi disco-pop e coretti insulsi molto kitsch https://www.youtube.com/watch?v=MnCRbKyn1KY .

Invece molto meglio, sempre prodotta da Ytlling, la lunga e maestosa ballata Curse Of The I-5 Corridor che vale quasi da sola l’album, e in cui la Case duetta con Mark Lanegan, e con le voci, quella chiara e cristallina di Neko e quella bassa e profonda di Lanegan che si intrecciano con risultati assolutamente affascinanti, a tratti anche solari,  grazie alle tastiere di Burns e alla batteria di Matt Chamberlain. Molto bella Gumball Blue, scritta con Carl A.C. Newman dei New Pornographers, che aggiunge la sua voce a quella della Hogan, della Lang e di vari altri vocalist per una pop song raffinata e composita, dove si apprezzano il violino di Simi Stone e pure il synth di John Collins, vogliamo chiamarlo, parafrasando Nick Lowe, “pure pop for now people” https://www.youtube.com/watch?v=ccNWxAB8hk8 ? Anche la sognante Dirty Diamond ha complessi arrangiamenti, con  doppia chitarra e batteria, altro “alt-pop” elegante dove spicca la voce sicura e brillante della nostra amica https://www.youtube.com/watch?v=Ki7wQbTGPXI .

Oracle Of The Maritimes, scritta con Laura Veirs, suono avvolgente, molte chitarre acustiche ed elettriche, cello, piano, clavicembalo e la voce che quasi galleggia sulla base strumentale, con un ottimo crescendo finale. Winnie, dove tra le altre appare anche Beth Ditto, buona ma nulla di memorabile, mentre più interessanti Sleep All Summer, scritta e cantata a due voci con Erich Bachmann, da tempo anche nella sua touring band e ancora My Uncle’s Navy, di nuovo con Newman, che grazie anche alla stessa Case a piano e chitarre ed alla pedal steel di Jon Rauhouse rimanda in parte alle sonorità del passato, tra wave e alt-country https://www.youtube.com/watch?v=cPkr54tl1gw . Pitch Or Honey, con un misto di strumenti tradizionali e drum machines e synth incombenti mi piace meno, ma non inficia il giudizio complessivamente più che positivo dell’album.

Bruno Conti

Quello Bravo Dei My Morning Jacket E’ L’Altro, Anche Se… Carl Broemel – 4th Of July

carl broemel 4th of july

Carl Broemel – 4th Of July – Stocks In Asia/Thirty Tigers

Ovviamente quello bravo, o meglio, quello più bravo, dei My Morning Jacket, è Jim James Yim Yames, a seconda di come si sveglia alla mattina, lider maximo della band, voce solista, autore di tutte le canzoni e una delle due chitarre soliste del gruppo. Di Carl Broemel si potrebbe dire che dal 2004 è il suo fedele Kit Carson, “seconda pistola” nelle epiche cavalcate chitarristiche della band di St. Louis e spalla ideale per le derive extra -rock di James, vista la sua passione anche per folk, soft-rock e comunque per un approccio più da singer-songwriter che applica ai suoi dischi solisti. L’anche se…l’ho aggiunto dopo il secondo o il terzo ascolto, perché ammetto che dopo il primo ero rimasto abbastanza deluso nel complesso dall’album, anche se, appunto, non avevo particolari aspettative, sapendo che quello bravo e più completo era l’altro. Broemel ha realizzato altri due album solisti, il primo, Lose What’s Left, realizzato nel 2004 primo di entrare nei MMJ, è una prova prettamente acustica, neanche l’ombra delle epiche cavalcate elettriche per cui poi è diventato famoso, ma anche neppure l’ombra di una chitarra elettrica, una mezz’oretta di folk da cantautore, forse piacevole, ma che non lo avrebbe certo reso una celebrità. Il secondo disco, All Birds Say, sono andato a risentirlo perché non lo ricordavo proprio, meglio ma neppure quello memorabile, sembra una via di mezzo tra un disco di George Harrison e uno di James Taylor, con steel, slide e acustiche, dove Broemel eccelle, spesso in evidenza, ma ripeto, niente per cui stracciarsi le vesti.

E invece 4th Of July mi sembra comunque migliore, non imprescindibile neppure questo, ma un disco dove le otto canzoni, di cui tre molte lunghe, quasi sei, oltre i sette e la title-track che supera di poco i dieci, sono decisamente più varie e ben concepite rispetto al passato: Carl ci ha lavorato con calma, in quasi tre anni e mezzo, nelle pause del lavoro dei My Morning Jacket, dei quali, il tastierista Bo Koster e il bassista Tom Blankenship hanno partecipato alle registrazioni del disco, insieme ad altri ospiti di pregio, in primis Laura Veirs Neko Case. Broemel questa volta non si esibisce al sax, almeno fino al finale, uno strumento che ogni tanto suona con i MMJ; ma le chitarre elettriche, la pedal steel e la slide sono spesso protagoniste di ottime incursioni strumentali. In particolare nella lunga 4th Of July, che nella parte centrale e conclusiva della canzone, ci regala due vere scariche di chitarra elettrica, furiosa, acida e psichedelica, come nei migliori brani della band, due assoli veramente fantastici che alzano il tasso qualitativo del disco. e se tutto il contenuto fosse stato di questa pasta saremmo a parlare di un mezzo capolavoro. Il brano parte in un leggero crescendo, sognante e pigro, poi entrano le voci di Neko Case Shelly Colvin, segue una pausa più riflessiva dove entra una chitarra acustica arpeggiata con valentia e poi il sound si anima sempre di più fino al climax dei ripetuti interventi della solista.

Anche il primo brano è molto valido e decisamente più complesso dei passati lavori di Broemel, una Sleepy Lagoon dal ritmo ondeggiante e molto laidback, tra pop e rock, con la chitarra sempre pronta ad animarsi in gradevoli interventi solisti, non dissimili da certe cose alla MMJ, con la voce di Broemel più convinta del solito. Non male puree la terza traccia, Rockingchair Dancer, quasi a tempo di valzer, con la seconda voce di Laura Veirs ad accompagnarsi a quella di Broemel, in un delizioso e delicato ondeggiare tra folk e morbido rock, che ricorda proprio quello gentile e poco mosso di un cavallo a dondolo. Il resto dell’album mi pare meno interessante dei primi tre brani. Anche se Snowflake, sulle ali di un piacevole groove della ritmica e una melodia molto seventies si dipana attraverso il fingerpicking dell’acustica e qualche intervento delle tastiere e dell’elettrica appena accennati e un cambio di tempo nel finale con fischiettata che forse ci potevano risparmiare. Landing Gear, l’altro brano che supera i cinque minuti, grazie alla pedal steel che l’attraversa, in congiunzione con la chitarra elettrica, ha un mood quasi Westcoastiano e pastorale, non dissimile da certi episodi meno movimentati di Jonathan Wilson, con un bell’intervento del piano di Koster e armonie vocali quasi beatlesiane.

In The Dark ritorna allo stile da cantautore folk, brano “carino” (in mancanza di termine migliore) ma poco incisivo, francamente succede veramente poco nel corso della canzone. E anche l’acustica e strumentale Crawkspace non rimarrà negli annali della musica. Rimane la conclusiva Best Of, dove Carl Broemel imbraccia il sax per l’unica volta nell’album, una ballata di nuovo sognante che rimanda, come ricordato all’inizio. a certe cose di George Harrison, citato per l’album precedente, mentre il timbro della voce del nostro amico mi ha ricordato per certi versi, non so perché, quella di Rufus Wainwright, una specie di vaudeville leggermente psichedelico e demodé, in virtù degli intermezzi strumentali sempre raffinati e gradevoli, ancorché un po’ fini a sé stessi, e tirati poi per  le lunghe negli oltre sette minuti del brano. Insomma, una buona prima parte e poi un graduale decadimento qualitativo, per un album che raggiunge la sufficienza a pieni voti ma non va oltre: magari l’aiuto di un produttore sarebbe stato importante in certi episodi,

Bruno Conti   

Le CSN In Gonnella Degli Anni 2000? Forse, Ma Non Solo: Case/Lang/Veirs

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Case/Lang/Veirs – Case/Lag/Veirs – Anti/Epitaph

Quando alcuni mesi fa (ma ne parlavano da tempo tra loro, e nel 2013 su Warp And Theft della Veirs era già successo)) Neko Case, k.d. lang Laura Veirs, in stretto ordine alfabetico), hanno deciso di unire le loro forze per registrare un album insieme, la prima obiezione che era stata fatta a questo progetto era quella dell’equilibrio da raggiungere tra i tre diversi talenti impegnati in questa operazione. Va detto subito che mi pare ci siano riuscite, in quanto le tre cantanti hanno saputo realizzare comunque una serie di canzoni dove le loro voci si amalgamano alla perfezione, in uno stile che, come ricordo nel titolo del Post, può essere considerato una sorta di versione 2.0  e femminile dei gloriosi intrecci vocali dei Crosby Stills Nash dei tempi d’oro: ovvero, tutte e tre a turno mettono a disposizione le proprie canzoni e si alternano alla guida dei vari brani, ma poi armonizzano in modo splendido, praticamente in tutte le canzoni contenute in questo disco, prodotto in modo misurato e brillante dal marito di Laura Veirs, Tucker Martine, che ha registrato l’album nei propri studi casalinghi di Portland, Oregon, utilizzando anche una sezione archi e dei fiati, oltre ad una serie di musicisti non celeberrimi (probabilmente il più noto dei quali è Glenn Kotche, il batterista dei Wilco) ma assai efficaci nel ricavare il meglio dal materiale proposto dalle tre autrici.

Non tutti i 14 brani sono forse dei capolavori, ma l’album si ascolta con piacere e pur evidenziando l’indie-pop raffinato di Neko Case, il folk intellettuale e brillante di Laura Veirs (un po’ alla Suzanne Vega) e il jazzy pop sognante e brillante a livello vocale di k.d. lang, a tratti sorprende per le citazioni (certo non nuove, ma sempre gradite) di Best Kept Secret, un rock solare e californiano, mosso e di impronta rock, direi quasi alla Bangles, ed è inteso come un complimento, con le voci, guidate da Neko Case, che fluttuano con estrema godibilità sul tappeto di archi e fiati di stampo beatlesiano realizzato da Martine, mentre chitarre e tastiere e sezione ritmica confezionano un delizioso tourbillon di frizzante pop, nella accezione più brillante e nobile del termine. In alcuni brani, come nell’iniziale Atomic Number, l’intreccio delle voci rasenta la perfezione assoluta, con un’aria malinconica ma serena che esce dalle note di questa splendida canzone. O nella magnifica Song For Judee,dedicata ad una delle più geniali, brillanti e sfortunate cantautrici dell’epopea californiana, quella Judee Sill che fu grande almeno come le sue contemporanee Joni Mitchell, Laura Nyro Carole King, e in questo brano gli agganci con il country-pop west-coastiano di CSN ci sta tutto, tra viole sognanti, pianoforti e una batteria delicata che aggiungono tratti quasi barocchi a questo brano sempre malinconico, ma pervaso comunque da questa aurea serenità senza tempo.

I brani più riconoscibili sono indubbiamente quelli di k.d. lang., Blue Fires, Honey And Smoke 1.000 Miles Away ci rimandano a quell’allure tra jazz e pop dei migliori brani di Ingenue, il suo disco più conosciuto, impreziositi dalle armonie delle amiche Case e Veirs. Ma è nei momenti corali che le tre eccellono, in Delirium sembra di ascoltare quasi dei Mamas And Papas trasportati per incanto ai giorni nostri (senza Papas, solo Mamas) o qualche girl group d’antan che ci delizia con questo pop raffinato, dove una “scivolata” di organo Farfisa o un colpo di tamburello sono posizionati con incredibile precisione tra gli svolazzi vocali. Green Of June, fonde il folk-rock al pop più complesso, sempre tra archi, marimbe, vibrafoni, tastiere e chitarre acustiche, mentre le voci richiamano gruppi come  Renaissance, Fairport Convention o i californiani It’s A Beautiful Day e i Joy Of Cooking di Terry Garthwaite Tony Brown. Anche Behind The Armory si muove in quello spettro sonoro tra la Annie Haslam più folk e qualche tocco di Suzanne Vega Laura Marling, meno intellettuali e più “popolari”.

Supermoon potrebbe uscire proprio dal primo album della Vega, anche se le voce di Laura Veirs è meno monocorde e gli intrecci armonici e l’uso degli archi aggiungono un tocco di “dream folk”. Però è quando le voci si sommano, come nella corale I Want To Be Here, che le tre ragazze ricordano gli intrecci vorticosi dei CSN citati all’inizio, in versione femminile e con un’altra prospettiva sonora, ma l’idea di base è quella. Niente male pure Down o la sognante e morbida Why Do We Fight, dominata dalla splendida voce della canadese k.d. lang, con le altre che le fanno da damigelle d’onore, per poi affidare la conclusione ad un altro dei pezzi forti di questo album, una Georgia Stars dove la Case (o è la Veirs?) rievoca di nuovo questa specie di folk futuribile, discendente lontano di quello cerebrale della Mitchell, figlio di quello indie alternative della Vega e sempre graziato dai brillanti florilegi di voci e strumenti che interagiscono in modo perfettamente calibrato. Forse, anzi sicuramente, si tratta di musica già sentita, ma confezionata così come non la si ascoltava da tempo, quindi merita la vostra attenzione.

Bruno Conti

Cantautrice Di “Culto” E Di Sostanza! Chris Pureka – Back In The Ring

chris pureka back in the ring

Chris Pureka – Back In The Ring – Sad Rabbit Records 

Anche Chris Pureka a livello discografico era ferma da parecchi anni: l’ultimo album (a parte un Live autogestito pubblicato nel 2012 e l’EP Chimera II dell’anno successivo) risale al 2010, How I Learned To Sing In The Dark, che a detta di molti era il suo migliore in assoluto http://discoclub.myblog.it/2010/11/01/tutto-vero-quello-che-si-dice-su-di-lei-chris-pureka-how-i-l/ . Proprio in quegli anni la Pureka si era trasferita a vivere a Portland, Oregon, dove aveva iniziato a scrivere le prime canzoni che poi avrebbero fatto parte del suo album successivo, tra cui la title-track Back In The Ring, che raccontava di conflitti, periodi bui e fine di relazioni, anche se col tempo gli angoli si sono smussati. Poi però nel panorama musicale attuale bisogna trovare i fondi per incidere gli album e anche Chris si è rivolta al sistema del crowdfunding attraverso Pledge Music per finanziare il nuovo album e grazie ai suoi fans ha potuto registrare quello che a chi scrive sembra un album molto interessante, autoprodotto da lei stessa La Pureka in passato è stata accostata, musicalmente, a gente come Patty Griffin, Neko Case, Dar Williams, i Cowboy Junkies (comunque tutte più brave, per essere onesti fino in fondo) quindi non solo una semplice folksinger acustica, ma una cantautrice dagli arrangiamenti ricchi e complessi, con una bella voce in grado di fare vivere le sue storie attraverso una musica molto raffinata ed intrigante, che la aveva fatta molto amare dallo scomparso promoter italiano Carlo Carlini.

Direi che questo album conferma quelle impressioni, dalla risonante chitarra elettrica che si schiude nelle prime note di Back In The Ring (la canzone) si capisce che ancora una volta siamo a bordo per un viaggio sonoro, dove le storie cupe e frammentate si accompagnano ad un tessuto sonoro ricco e sfaccettato, la voce avvolta in una leggera eco che la moltiplica, ma sempre con questa aria di vulnerabilità pur nel sicuro timbro sonoro della nostra amica. Le canzoni sono scritte quasi tutte attorno al suono di una chitarra elettrica, discreta ma quasi sempre presente, un po’ come è stato anche in tempi recenti per Laura Marling, lo strumento non prevarica mai il suono, ma è comunque una delle costanti dei brani, con tocchi di tastiere, una sezione ritmica discreta, comunque ben evidente, volendo c’è qualche similitudine con le band o i solisti che vengono dalla scena di Portland, penso a Laura Veirs o alle cose più quiete dei Decemberists, oltre naturalmente ai nomi citati prima: Holy è una folk song arricchita da una melodia melanconica, con un ritornello che si può persino canticchiare, in modo sommesso e la presenza dell’unico nome “celebre” Gregory Alan Isakov, alle armonie vocali https://www.youtube.com/watch?v=Vi-NpKTbSG4 , Betting On The Races è addirittura l’idea di una canzone pop nelle intenzioni della Pureka, un brano gentile me coinvolgente che può ricordare certe cose meno mainstream di Brandi Carlile (con cui condivide l’orientamento sessuale, anche se non è importante nell’ambito musicale).

Silent Movie ha un’urgenza elettrica, con le chitarre ben delineate e la voce più in primo piano che nel passato, per un sound quasi indie-rock, mentre Blind Man’s Waltz, fin dal titolo, potrebbe essere una canzone à la Cowboy Junkies, con le sue atmosfere sospese, la voce che si impenna leggermente ma poi rientra nel corpo della canzone, anche se l’approccio vocale è meno “sussurrato” rispetto a quello di Margo Timmins. Bell Jar ritorna all’approccio acustico e folk dei primi album, almeno nella parte iniziale, poi entrano una elettrica, la sezione ritmica e un violino lancinante (Max Voltage) e la canzone prende corpo, con Crossfire (The Matador) di nuovo sofferta e più ricca di grinta, che si avvolge intorno all’interpretazione vocale della Pureka, molto partecipe e intensa. Tinder, più oscura e misteriosa è forse la più folk del lotto, indie-folk ok, ma pur sempre prettamente acustica, ed anche Cabin Fever mi sembra si possa avvicinare di nuovo alla Brandi Carlile più intimista e raffinata. Pure in Midwest ricorre questo approccio del piano/forte, tipico della musica indie, con la musica che sale improvvisamente e poi si quieta, con picchi e valli continui che si alternano spesso, come è caratteristica comune anche nel resto dell’album, tra violini, chitarre acustiche, forse un cello o una viola (Nathan Crockett) che rivestono la voce della Pureka. A concludere il tutto Crossfire II (The Dirge), brano che , come altri, potrebbe avere punti di contatto anche con la musica e la vocalità di Sinead O’Connor, quella meno trasgressiva e più strutturata. Una buona prova per Chris Pureka che si conferma cantautrice di “culto” e sostanza, da tenere d’occhio e a portata di orecchio.

Bruno Conti

Novità Di Agosto Parte IIb. Jimmy Buffett, Laura Veirs, Ricky Skaggs & Bruce Hornsby, Blue October, The Big E Tribute To Buddy Emmons, Santana & McLaughlin Live At Montreux

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Seconda parte delle novità in uscita domani 20 agosto.

Pur essendo Jimmy Buffett da sempre legato allo stereotipo della musica solare, estiva, marinara perfino, era dall’estate del 2004, dai tempi di Licence To Chill uscito nel mese di luglio, con l’eccezione, forse di qualche disco dal vivo, che non pubblicava un disco nel pieno della stagione estiva. Questo nuovo Songs From St. Somewhere viene distribuito come è consuetudine da parecchi anni dall’etichetta dello stesso Buffett, la Mailboat Records (e questo non ha impedito peraltro al Live del 2010 Encores di andare nella Top Ten di Billboard. Accompagnato come al solito dai tipi della Coral Reefer Band, questo è il 29° disco di studio in quasi 45 anni di onorata carriera discografica e con i Live e le antologie probabilmente si superano i 40, ma il buon Jimmy che quest’anno compie i 67 anni (nato di tutti i posti degli States, non in Florida o California come si potrebbe pensare, ma a Pascagoula, Mississippi) contiene a deliziare i suoi ammiratori con quella miscela di country, rock, musica caraibica e belle ballate che da sempre lo contraddistingue. Non piace a tutti e i vecchi album degli anni ’70, secondo chi scrive, erano di un’altra categoria, in ogni caso in questo Songs From St. Somewhere presenta anche un duetto con Toby Keith, Too Drunk To Karaoke, una versione in spagnolo di I Want Back To Cartagena cantata in coppia con la cantante latina Fannie Lu (che non so chi diavolo sia, magari è consociutissima e bravissima!) e canzoni con titoli come Somethin’ ‘Bout a Boat, Einstein Was A Surfer, Oldest Surfer On The Beach che la dicono lunga sui passatempi preferiti di Buffett che però ci porta anche in Rue De La Guitare e il disco contiene anche un brano come Soulfully che è stato paragonato a quelli di Leonard Cohen. Sto sentendo, bel disco e bella vita! Tra una tournée e l’altra. Parrotheads all’erta.

Laura Veirs è una bravissima cantautrice basata in quel di Portland, Oregon, all’estremo lembo nord-ovest degli Stati Uniti, una delle nuove mecche della musica americana, patria di Decemberists, Shins, Dandy Warhols, M Ward, Modest Mouse e in passato anche di Ellliott Smith e di Paul Revere, nonché di Tucker Martine, che oltre ad essere un ottimo produttore (oltre ai citati Decemberists, Neko Case, Beth Orton, Laura Gibson, Jesse Sykes, Erin McKeown e moltissimi altri, con una preferenza, ma non solo, per le voci femminili) è anche il marito della Veirs, ed insieme sfornano figli, il secondo nato a maggio di quest’anno. Nel nuovo disco, Warp and Weft, che esce il 20 agosto negli USA per la Raven Marching Band Records e la settimana prossima in Europa per la Bella Union, ed è il decimo della sua carriera, dopo Tumble Bee, dedicato alle canzoni per bambini, molto piacevole comunque, appaiono componenti vari dei My Morning Jacket (altri clienti del marito), il batterista Brian Blade, Rob Burger del Tin Hat Trio a tastiere e fisarmonica, Nate Query dei Decemberists, il violinista Jeremy Kittel, Karl Blau a basso e chitarra e, dulcis in fundo, Kd Lang e Neko Case (tra un paio di settimane esce anche il suo disco nuovo, dal titolo chilometrico).

Ricky Skaggs e Bruce Hornsby avevano già fatto un disco omonimo nel 2007 con la crème de la crème della musica country/bluegrass americana e ora ci riprovano con questo Cluck Ol’ Hen che esce per l’etichetta personale di famiglia di Ricky, la Skaggs Family Record. Ovviamente è indirizzato a chi ama il genere.

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Un gruppo, un tributo e un DVD della inesauribile serie di Live at Montreux per completare la lista delle uscite “interessanti” (per il Blog) della settimana.

I Blue October sono un gruppo, non conosciutissimo, che viene dal Texas, ma non fa blues, southern o country, ma della buona alternative music. Sway se ho fatto bene i conti, dovrebbe essere il decimo album della loro discografia (penso compresi live, Ep e un disco per la Motown), viene pubblicato dalla Down Records/Up/Up/Down Records, un nome complicatissimo per una etichetta. L’ispirazione oltre che dall’indie e dall’alternative rock viene anche dai Cure e dalla musica inglese ex new wave anni ’80 con chitarre e tastiere in evidenza, qualche ballata e anche reminiscenze dei vecchi Cars o di Peter Gabriel mi sembra traspaiono dal disco. Niente di trascendentale ma piacevole.

Buddy Emmons è stato (si è ritirato) uno dei più grandi pedal steel guitarisr della storia della musica country americana e questo, The Big E: A Salute To Steel Guitarist Buddy Emmons, è un tributo di alcuni dei suoi colleghi chitarristi, Paul Franklin, Steve Fishell, Dan Dugmore, Jay Dee Maness, Mike Johnson, Duane Eddy e molti altri alla sua lunga storia musicale. Ma…nel disco ci sono altrifior di ospiti: da Vince Gill alla accoppiata Rodney Crowell/Emmylou Harris, Willie Nelson, John Anderson, Greg Leisz, Albert Lee, Raul Malo, tanto per citare i più noti e non fare l’elenco delle Pagine Gialle. Anche questo è un disco per “specialisti” ma si ascolta con piacere, distribuzione Warner Music in America,

La serie Live At Montreux si arricchisce di un nuovo DVD (o Blu-Ray), quello che contiene la reunion tra Carlos Santana e John McLaughlin, si intitola Invitation To Illumination Live 2011 e segna la prima volta insieme sul palco per i due musicisti a 40 anni dall’uscita del classico Love, Devotion & Surrender. Esce per la Eagle Rock e mi piacerebbe ascoltare i due, nel brano Montreux Boogie, citare all’interno dello, La Grange degli ZZ Top. Giuro!

Anche per oggi è tutto, alla prossima.

Bruno Conti

Novità Di Novembre Parte II. Sigur Ros, Thea Gilmore, Etta James, Rush, Scorpions, Cass McCombs, Judy Collins, Laura Veirs, Billy Joel

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Seconda “ondata” di uscite di Novembre, sempre in aggiunta a quanto “anticipato” a parte con Post ad uopo, tipo Pink Floyd Wish You Were Here nelle varie edizioni, Deep Purple BBC Sessions, il Carole King natalizio, Daryl Hall Laughing Down Crying.

Esce un nuovo doppio CD con DVD (o BluRay) dei Sigur Ros, si chiama Inni e si tratta della registrazione di un concerto tenuto nel novembre del 2008 all’Alexandra Palace di Londra (Ally Pally per gli inglesi). Girato in alta definizione dal regista Vincent Morisset è stato trasferito su pellicola 16 mm e ri-filmato di nuovo e “trattato” attraverso specchi e altri oggetti, per creare degli effetti unici, da Karl Lemieux che di solito collabora con i Godspeed You! Black Emperor. Sembra un interessante seguito di Heima. Poteva mancare una limited edition con cartoline? Etichetta Krunk.

Il progetto di Thea Gilmore (ma la conoscete?), musica e voce e Sandy Denny, parole, era in gestazione dal mese di agosto. Esce per la Island la settimana prossima, si chiama Don’t Stop Singing e non vedo l’ora di sentirlo visto che mi piacciono entrambe e la Gilmore è una delle nuove cantautrici più interessanti ed era stata scelta espressamente per dare vita a questo progetto. Sulla rivista Mojo di Dicembre l’hanno un po’ stroncato ma preferisco verificare applicando il famoso principio “San Tommaso”! (anche se il giornalista che ha scritto la recensione, Andy Fyfe, non è uno di quelli di cui di solito mi fido e la rivista aveva appena dato 5 stellette all’ultimo stupendo June Tabor). Quindi, provare per credere.

Questo The Dreamer dovrebbe essere l’ultimo disco di Etta James. Mi spiego meglio: non ultimo in senso di nuovo, ma, dopo questo ultimo CD la grande cantante soul ha annunciato il suo ritiro. Speriamo di no. Esce, a macchia di leopardo, l’8 novembre negli Stati Uniti, la settimana dopo in Europa e a fine mese in Italia, sempre per la Verve Forecast/Universal. Da quello che ho sentito mi sembra ottimo come sempre, voce un po’ “affaticata” ma sempre gran classe e ottima scelta di brani, Insomma, bella musica.

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Per la serie, ma non è che gli Scorpions ci stiano pigliando per i fondelli? Prima dell’uscita di Sting In The Tail avevano annunciato che sarebbe stato il loro ultimo album e poi hanno fatto anche un Farewell World Tour. Ed adesso esce questo Comeblack per la Sony/BMG! Tutte cover di classici: brani di Beatles, Kinks, Rolling Stones, T-Rex, Small Faces, Soft Cell (?!?) e già che c’erano nuove versioni di Wind Of Change, Still Loving You, Blackout, Rock You Like A Hurricane che evidentemente loro considerano dei “classici” alla stregua di Ruby Tuesday, Across The Universe, Children Of The Revolution, Tin Soldier, All Day And All Of The Night.

Era già qualche mesetto che i Rush non pubblicavano un bel Live, ero preoccupato! Time Machine 2011:Live In Cleveland esce per la Eagle Vision in DVD o Blu-Ray e in doppio CD per la Roadrunner Records. Preferibile la versione video che dura quasi tre ore. A fine mese sono annunciati tre cofanetti da 6 CD ciascuno, Sector 1 – 2 – 3 con la discografia raccolta in box e in questi giorni è uscito per la Left Field Media un disco dal vivo di quelli semi-uffiiciali ABC 1974 con un broadcast radiofonico di un concerto del 26 agosto del 1974 all’Agora Ballroom di Cleveland. Quindi mani ai portafogli e provvedere.

A proposito di Classici, Piano Man di Billy Joel è sempre stato il mio album preferito del cantautore di Long Island, ancora di più di The Stranger, quello dove meglio ha saputo fondere il suo stile pianistico al rock classico. Brani come Piano man, The Ballad Of Billy the Kid e Captain Jack sono fantastici. In questa doppia Legacy Edition che esce per la Columbia/Sony l’8 novembre in USA e un paio di settimane dopo in Europa è stato aggiunto un secondo CD che riporta uno spettacolo radiofonico registrato ai Sigma Sound Studios di Philadelphia (proprio quelli del mitico Philly Sound) nell’aprile del 1972 quando Joel era ancora senza contratto e proprio in base a questo concerto fu scelto dalla Columbia di allora. Ovviamente nel concerto ci sono anche molti brani mai sentiti prima.

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Altra uscita in tempi differenziati nei diversi continenti è quella del nuovo Judy Collins Bohemian che esce l’8 novembre in America e ai primi di dicembre in Europa, sempre la sua etichetta, la Wildflower Records. Un misto di brani nuovi, quattro e covers di grandi artisti, tra gli altri l’amata Joni Mitchell e Jimmy Webb. Per chi ama le belle voci è sempre un bel sentire.

Cass McCombs è uno dei cantautori americani emergenti più interessanti e questo Humor Risk dovrebbe essere il suo sesto album. Esce martedì 8 novembre per la Domino Records e oltre alle sue solite ballate tormentate e raffinate questa volta ci sono anche pezzi rock più vivaci. Sempre bella musica.

Laura Veirs è una delle cantanti più amate dalla critica e da suo marito, il famoso produttore Tucker Martine, quello di Decemberists, My Morning Jacket, Bill Frisell e molti altri. Insieme hanno realizzato questo Tumble Bee che sottotitola Sings Folk Songs For Children. Ed è un disco molto piacevole e ben suonato, se volete regalare ai vostri figli (e a voi stessi) un bel disco di musica folk diverso dal solito esce per la Bella Union il prossimo 8 novembre. Piacevolissimo e non palloso. La versione di Jamaica Farewell di Harry Belafonte è una piccola meraviglia.

Bruno Conti