Un Disco “Acquatico”! Lisa Hannigan – At Swim

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Lisa Hannigan – At Swim – PIAS/Play It Again Sam – ATO

Terzo album solista per la cantante irlandese, forse il suo migliore in assoluto, dopo i peraltro buoni Sea Sew Passenger. Nel titolo dell’album o dei brani ci sono comunque sempre alcuni rimandi all’acqua, da cui il titolo del Post, ma poi le canzoni si allargano sia tematicamente che a livello musicale in mille direzioni. La voce è sempre stata una delle carte vincenti di Lisa Hannigan, sin dai tempi in cui era la seconda voce nei primi dischi del conterraneo Damien Rice, ma nei suoi album solisti ha saputo sviluppare uno stile musicale e compositivo che se non è originale è sicuramente affascinante. In passato si erano fatti paralleli con Jesse Sykes, Vashty Bunyan, Bjork, Tori Amos, Kate Bush, Fiona Apple, Marissa Nadler e molte altre, io, dopo un attento’ascolto dei brani di questo album, oltre ai nomi appena ricordati mi sentirei di azzardare anche il folk delle Unthanks, o la musica delle Roches Kate & Anna McGarrigle, visto che spesso la Hannigan usa la voce sovraincisa con il double-tracking e quindi sembra di ascoltare diverse cantanti in azione in contemporanea, peraltro con eccellenti risultati, ed atmosfere sonore e vocali sempre differenti e complesse, quasi dark, lasciando da parte quasi totalmente anche quelle derive pop, sia pure eccentriche, presenti negli album precedenti.

Il disco, dopo il precedente Passenger prodotto da Joe Henry, vede in cabina di regia Aaron Dessner dei National. che si era offerto spontaneamente di collaborare con la Hannigan, e dopo un fruttuoso incontro preliminare in quel di Copenaghen, per scambiarsi idee e bozzetti. il tutto è stato registrato in quel di Hudson, New York. Le canzoni sono state concepite tra Dublino, Parigi, dove ha vissuto per qualche mese, e Londra, che per un breve periodo è stata la residenza di Lisa, che vi si era trasferita per superare un blocco dello scrittore (ma “writer’s block” suona meglio) che l’aveva colpita dopo la fine del lungo tour seguito al secondo album. Il trasferimento a Londra deve essere stato un mezzo shock perché le canzoni, almeno dai titoli, non suonano felicissime: Prayer For The Dying, We The Drowned (questa anche di carattere marino), Funeral Suit, mentre l’iniziale Fall porta pure la firma di Joe Henry, ed è anche uno dei brani più vicini come stile al passato, il testo si apre su un  desolato e criptico “Hold your horses, hold your tongue/ Hang the rich but spare the young.”  Con la sua solitaria acustica arpeggiata, una melodia fragile ma che si ravviva leggermente nel ritornello, la voce raddoppiata quasi sussurrata che inizia ad incantare con i suoi deliziosi svolazzi, e poco altro, una elettrica e delle tastiere sullo sfondo, il tutto con un leggero tempo di valzer che pare il ritmo predominante dell’album. Prayer For The Dying è splendida, una commovente canzone mistica, quasi religiosa, come suggerisce il titolo, una sorta di Ave Maria contemporanea, con la voce, di nuovo double-tracked, che sale e scende su una base di piano acustico, tastiere e chitarre slide trattate, una ritmica appena accennata e un’aria di sereno dolore che la pervade, veramente molto bella.

Snow, di nuovo intima e raccolta, ricorda certe cose di Bjork o Kate Bush, la voce a tratti finalmente in solitaria può rammentare anche quella della Dolores O’Riordan prima della svolta rock dei Cranberries o della Sinead O’Connor meno incasinata, con violino in evidenza e un mood irlandese che rafforza questa impressione, mentre Lo, scritta con Aaron Dessner, si appoggia su una cascata di strumenti a corda e tastiere, la solita leggera elettronica e le voci moltiplicate che possono avvicinarsi a quelle di altre cantautrici complesse come Tori Amos Sarah McLachlan, ma anche le Roches, le sottovalutate sorelle newyorkesi. Con Undertow, che grazie alla sua struttura complessa e fruibile ricorda la migliore Kate Bush, con la voce che fluttua su una melodia futuribile dove però fa capolino anche un banjo e Ora, di nuovo firmata con Dessner, che tenta un approccio più bucolico, avvicinandosi a certe splendide e acrobatiche ballate pianistiche delle sorelle McGarrigle, impressione ancora più percepita da chi scrive, nella meravigliosa Anahorish, meno di due minuti di sola voce a cappella raddoppiata e triplicata per musicare un poema del premio Nobel irlandese Seamus Heaney, da brividi.

Ma prima incontriamo le derive acquatiche e marittime della pianistica We, the drowned, dove una batteria quasi marziale sottolinea l’incedere appassionato della voce incredibile e emozionante della Hannigan, ancora una volta protagonista di quella che è comunque, volendo, anche una bella ballata tra classico e pop, raffinata ma “popolare”, con l’inizio che mi ha ricordato addirittura A Day In The Life dei Beatles (e credo sia un grande complimento). Tender, di nuovo pianistica, ma con un tocco mitteleuropeo grazie alla fisarmonica, mischia arie francesi (o canadesi, come facevano le più volte citate grandi sorelle McGarrigle) e la migliore tradizione delle cantautrici britanniche più raffinate in un tutt’uno che poi alla fine è unico ed esclusivo della musica della Hannigan, geniale artigiana creatrice, insieme a Dessner, di un sound di non facile ascolto ma che regala grandi soddisfazioni all’ascoltatore, come nella splendida ballata Funeral Suit, altra canzone gloriosa che riecheggia anche le ascensioni vocali di quella splendida cantante che è stata Mary Margaret O’Hara (chissà se vorrà ancora deliziarci prima o poi?). In conclusione l’ultimo brano scritto con Dessner, Barton, altra misteriosa e notturna composizione degna delle migliori cantautrici. Ripeto, musica non facile, ma che ascolto dopo ascolto si arricchisce di nuovi particolari e gratifica l’ascoltatore. Ovviamente se amate solo il riff e rock lasciate perdere, se i vostri gusti sono più eclettici potete provare. Esce oggi.

Bruno Conti

Un Caldo Abbraccio Di Dolce Malinconia! Damien Rice – My Favourite Faded Fantasy

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Damien Rice – My Favourite Faded Fantasy – Atlantic Records

Diciamo subito che Damien Rice non è un cantautore molto prolifico: questo nuovo lavoro, My Favourite Faded Fantasy, è il terzo disco in 12 anni, e contiene solo 8 brani, anche se ad un primo ascolto pare un piccolo gioiello, e conferma quindi il suo talento. L’attesa per questo album del cantautore irlandese era tanta, dopo il folgorante esordio di 0 del lontano 2002 (un disco che vendette due milioni di copie nel mondo), e da subito il nome del “dublinese”, abbastanza discreto come personaggio, si trovò catapultato nell’universo del “music business”, e la cosa, anche se appagava il suo commercialista, non lo riempiva, pare, di gioia. Deciso così a prendersi un periodo sabbatico e di staccare la spina, per comprendere se poteva stare lontano dalle luci del palcoscenico. Damien Rice si accorse presto che in fondo poteva fare a meno di quel mondo, e quando in molti erano già pronti a darlo per finito (nel cimitero degli artisti scomparsi), il “nostro” ritorna sulla scena del delitto incidendo il secondo album 9 nel 2006, un piccolo capolavoro (dove si sprecarono i paragoni con Leonard Cohen e Nick Cave), e dopo un altro ancora più lungo periodo di latitanza (l’esilio volontario in Islanda e la rottura personale e musicale con la brava Lisa Hannigan) vola a Los Angeles dal “santone” Rick Rubin (l’uomo che ha allungato la carriera del grande Johnny Cash) e gli affida la produzione del nuovo disco, e tornato in sala d’incisione con l’apporto della attuale band, composta da Shane Fitzsimons al basso, Brendan Buckley alla batteria, Joe Shearer alla chitarra e la brava musicista irlandese Vyvienne Long al violoncello e pianoforte, ha dato vita a questo notevole My Favourite Faded Fantasy https://www.youtube.com/watch?v=wJinIIFExT4 .

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La title-track My Favourite Faded Fantasy inizia con il tipico cantato in falsetto di Damien https://www.youtube.com/watch?v=Rh1C8qpODZs , poi entrano a poco a poco chitarre, tamburi, violino, un violoncello e un pianoforte con un crescendo importante, a seguire troviamo It Takes A Lot To Know A Man, quasi dieci minuti di musica che partono con vibrafono e tromboni, e terminano in una danza morbosa con pianoforte e archi https://www.youtube.com/watch?v=CkdjaxYSMZ4 . Pochi accordi di chitarra sono sufficienti a Rice per sussurrare una sorta di  romanza,The Greatest Bastard https://www.youtube.com/watch?v=hoIFYXOC9tU , per poi passare alla struggente e meravigliosa I Don’t Want To Change You  https://www.youtube.com/watch?v=FnzHOsiaJns (una canzone perfetta da ascoltare davanti ad un bel caminetto, in quello che sarà forse un freddo inverno), e alle note in crescendo di una malinconica Colour Me In, nonché al canto quasi declamato di una The Box, che nel finale orchestrale divampa in tutta la sua bellezza. Si chiude con gli otto minuti di una ballata commovente come Trusty And True, e con i vocalizzi ancora in falsetto di una straziante Long Long Way, una maestosa melodia dal finale sinfonico https://www.youtube.com/watch?v=K5yRKJ-gU48 .

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Damien Rice è un personaggio abbastanza atipico nel panorama musicale internazionale, la sua è una musica di un altro tempo, i suoi riferimenti sono facilmente individuabili nei Buckley (soprattutto il padre), e per certi aspetti nelle sonorità di David Gray, ma anche nella malinconia “classica” di Nick Drake, tutti elementi che puntualmente si ripropongono in questo My Favourite Faded Fantasy, distribuiti in otto brani per circa cinquanta minuti di musica e di parole (dove si sente dannatamente la mano di Rick Rubin), che chiudono in un certo senso il cerchio con i lavori precedenti, in attesa del prossimo, probabile, ennesimo piccolo capolavoro. Poco importa se Rice pubblica album a distanza di otto anni uno dall’altro, se sono così belli e intensi come questo lavoro, per i veri appassionati della buona musica e (per chi scrive), si può prendere tutto il tempo che gli compete. Consigliato!

Tino Montanari

Cantautore O Produttore? Joe Henry – Invisible Hour

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Joe Henry – Invisible Hour – Work Song/ Ear Music/Edel Records

Lo ammetto, sono un “fan” di lunga data di Joe Henry (cognato di Madonna, ha sposato la sorella Michelle, ma non è una colpa), dai tempi dell’esordio con Talk Of Heaven (86), e l’ho seguito negli anni, mentre uscivano Murder Of Crows (con Mick Taylor e Chuck Leavell) (89), lo splendido ma poco considerato Shuffletown (90) (andatevi a risentire la traccia iniziale Helena By The Avenue https://www.youtube.com/watch?v=l2nDnE4LQS8 ),  e poi ancora Short Man’s Room (92) accompagnato dai Jayhwaks, e Kindness Of The World (93), i due lavori più influenzati dal suono americana, la trilogia Trampoline (96), Fuse (99) e Scar (01); poi Joe ha firmato per la Anti Records e le cose sono cambiate, con un disco dal suono molto personale come il geniale Tiny Voices (03), e le raffinate incisioni dell’ultimo periodo con Civilians (07) con Bill Frisell e  Van Dyke Parks, Blood From The Stars (09), e infine le sfumature blues di Reverie (11). Nel contempo Joseph Lee Henry (il suo vero nome) ha imparato a fare il produttore iniziando con Bruce Cockburn (insieme a T-Bone Burnett), Teddy Thompson (figlio di Richard & Linda) , proseguendo con Solomon Burke (con cui ha vinto un grammy nel 2003), Ani DiFranco, Bonnie Raitt, Bettye Lavette, il suo amico Loudon Wainwright III e ultimamente, con uno dei miei gruppi preferiti, gli Over The Rhine, e  mille altri (anche Lisa Hannigan, che troviamo sotto, tra i collaboratori di questo album)…

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Mi viene da pensare che l’occasione di stare a contatto con musicisti di diverso genere ed estrazione musicale gli ha fatto certamente bene, lo ha stimolato ad apprendere tutte le mille sfumature che la musica offre, e ora tutto quello che ha appreso si certifica in questo nuovo Invisible Hour (che esce in questi giorni) uno dei suoi dischi migliori in assoluto, un lavoro intenso e maturo, musicalmente ineccepibile, curato sia negli arrangiamenti che nella stesura delle canzoni.  Registrato in una settimana nel suo studio di Pasadena, Joe come sempre si avvale di musicisti di grande qualità, tra i quali ricordiamo Greg Leisz e John Smith alle chitarre, David Piltch o Jennifer Condos al basso, Jay Bellerose alla batteria, il figlio Levon ai fiati, e tra gli ospiti la brava Lisa Hannigan (cantante e musicista irlandese, a sua volta, già collaboratrice di Damien Rice) e i Milk Carton Kids alle armonie vocali, e direi anche non trascurabile l’apporto del noto romanziere Colum McCann per la stesura dei testi.

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Pur non essendo un “concept album”, le canzoni di Invisible Hour girano attorno al concetto del matrimonio, come ha ricordato in alcune interviste lo stesso Henry, a partire dal trittico iniziale, con la magnifica Sparrow https://www.youtube.com/watch?v=f5nAIX1aM6w , Grave Angels https://www.youtube.com/watch?v=XSneRuPlN3I  e i nove minuti di una Sign dove è la voce di Joe a farla da padrona (tra Van Morrison e il miglior Dirk Hamilton), dialogando con il suono minimale degli strumenti https://www.youtube.com/watch?v=cRp1w8Zqr4g . Un tocco dolce di chitarra introduce la title track, Invisible Hour, composizione intensa e struggente https://www.youtube.com/watch?v=MTl25EQ9Zls , per poi passare alle trame più ricche e complesse di Swayed  e ai suoni quasi gospel di Plainspeak, con largo uso del sax da parte del figlio Levon, mentre nell’ottima Lead Me On troviamo Lisa Hannigan al controcanto.

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Lo spirito di Tom Waits aleggia nell’acustica Alice, mentre il ritmo si innalza con Every Sorrow, la canzone più “roots” dell’album, andando poi a chiudere con Water Between Us, una solida ballata melodica, introdotta dalle note del piano e accompagnata nello sviluppo da sax e clarinetto (ha tutte le qualità per entrare nel novero delle sue canzoni più belle), e nella conclusiva, lunga e intensa Slide, una di quelle composizioni che rimangono impresse nella memoria per lungo tempo.

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Anche se il suo “status” attuale di produttore supera quello dell’autore e cantante (ma non per chi scrive), Henry non rinuncia a pubblicare dischi, e dopo una lunga e importante carriera quasi trentennale https://www.youtube.com/watch?v=567GTsSgNtw , esce con questo lavoro raffinato e delicato, percorso da avvolgenti trame, acustiche e non, supportate dalla sua abituale voce calda e sinuosa, rendendo l’ascolto un esercizio di gusto e delicatezza. Per i pochi che ancora non lo conoscono, Joe Henry è un amante della musica, di quella vera, e Invisible Hour conferma la sua bravura di musicista e produttore, e quindi di essere ampiamente in grado di portare avanti entrambe le professioni. Tra i dischi dell’anno!

Tino Montanari

E I Chieftains Fanno “50” Con Un Gruppo Di Nuovi Amici – Voice Of Ages

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The Chieftains – Voice Of Ages – Hear Music/Concord CD o CD/DVD Usa 21/02/2012 Europa 23/04/2012

Perché quelle date diverse vi chiederete? Non so, chiedere alla Universal, mistero! Ma purtroppo è vero, in Europa uscirà 2 mesi dopo l’uscita americana. Come per Amnesty International, Bob Dylan e, più tardi nell’anno i Beatles, sono 50 anni di onorata carriera, 1962-2012 e quindi perché non festeggiarli con un nuovo gruppo di amici con un bell’album di duetti? Certo, eccolo qui: prodotto da Paddy Moloney e l’immancabile T-Bone Burnett arriva questo Voice Of Ages.

I Chieftains non sono nuovi a questo tipo di album; da quando nel 1988 hanno realizzato il bellissimo Irish Heartbeat con Van Morrison questa tradizione delle collaborazioni è stata coniugata in mille forme e con una infinità di artisti. Già, l’anno precedente, nel 1987 avevano realizzato un album con il flautista classico James Galway intitolato In Ireland e un altro, Celtic Wedding con un gruppo di musicisti bretoni, ma si trattava comunque di album strumentali con l’occasionale brano cantato, come era sempre stato nei primi 25 anni della loro carriera. Con irish heartbeat le cose cambiano, infatti nel 1991 arriverà The Bells Of Dublin con, tra gli altri, Costello, le sorelle McGarrigle, Nanci Griffith, Marianne Faithfull, Rickie Lee Jones e Jackson Browne. Nel 1992 Another Country, in trasferta in America con Willie Nelson, Emmylou Harris, la Nitty Gritty Dirt Band, Ricky Skaggs, Chet Atkins, Don Williams e altri, The Chieftains goes country. Sempre nel 1992 per il disco dal vivo An Irish Evening vengono invitati Roger Daltrey e di nuovo Nancy Griffith.

Nel 1995 con The Long Black Veil c’è l’apoteosi: Sting, Mick Jagger, Sinead O’Connor, Van Morrison, Mark Knopfler, Ry Cooder, Tom Jones e i Rolling Stones, cazzo! Se si può scrivere! Nel 1996 c’è Santiago il disco dell’incontro con la musica ispano-americana, tanto per non parlare solo dei dischi dei duetti e se volete risalire a risalire a ritroso nella loro discografia uno qualsiasi dei primi, numerati dall’1 al 7 e Bonaparte’s Retreat sono uno più bello dell’altro ma più per amanti e praticanti della musica celtica, mentre quelli con gli ospiti, per quanto sempre rigorosi nelle loro “radici musicali” sono più godibili anche dai novizi o dai fans degli ospiti. Long Journey Home un altro disco strepitoso vince il Grammy per miglior disco folk nel 1999 e vede tra gli ospiti Mary Black, Vince Gill, Liam O’Maonlai degli Hothouse Flowers e il ritorno di Elvis Costello e Van Morrison. Nel 1998 era uscito anche Fire In The Kitchen dove i Chieftains nel loro ecumenismo incontravano tutti musicisti canadesi.

E che dire di Tears Of Stone del 1999 un incontro tutto dedicato alle voci femminili? Una meraviglia, con Joni Mitchell, Natalie Merchant, Bonnie Raitt, Mary Chapin Carpenter, Joan Osborne, Loreena McKennitt, Corrs e molte altre.

Gli anni 2000 iniziano con Water From The Well che avrà anche una bella versione dal vivo su DVD. E il 2002 e il 2003 vedono l’uscita dei due dischi della trasferta a Nashville: Down The Old Plank Road e Further Down The Old Plank Road, con John Hiatt, Buddy & Julie Miller, Alison Krauss, Lyle Lovett, Patty Griffin, Gillian Welch e David Rawlings nel primo e John Prine, Joe Ely, Allison Moorer, Emmylou Harris, Carlene Carter, Patty Loveless, Rosanne Cash la Nitty Gritty e altri già presenti nel 1° volume. Uno più bello dell’altro!

Nel 2002 purtroppo muore Derek Bell, il loro leggendario arpista e tastierista, e quindi la loro produzione, anche per l’età (non dimentichiamo che Paddy Moloney è del 1938), si fa più rarefatta, ma un disco come San Patricio con Ry Cooder, uscito nel 2010 è un piccolo capolavoro e ha vinto molte poll di fine anno come miglior disco e non solo nella categoria folk-world music.

E alla fine arriviamo a questo Voice Of Ages che segna l’incontro dei Chieftains con un gruppo di “nuovi amici”, ovvero i rappresentanti di quel filone musicale neo folk-country-roots che si sta riaffermando proprio in questi ultimi anni.

Ad aprire le danze è la connazionale irlandese Imelda May, reginetta del neo rockabilly e della musica degli anni’50, una voce molto bella che ripropone Carolina Rua, cavallo di battaglia del repertorio di Mary Black e devo dire che pur facendo un ottimo lavoro non può competere con la voce pura e cristallina della Black. Molto brave anche le Pistol Annies, il trio americano country-roots reduce da un disco di esordio come Hell On Heels, tra le cose migliori sentite in quell’ambito musicale nel corso del 2011, propone una versione molto sentita (e ben cantata) di Come All Ye Fair And Tender Ladies, dove le voci di Miranda Lambert, Ashley Moore e Angaleena Presley si amalgano alla perfezione con il suono dei Chieftains. Ottima anche Pretty Little Girl dei Carolina Chocolate Drops e qui lo stile da string band si adatta alla perfezione al folk e il risultato finale ha anche screziature di old time music e cajun, ballabile e trascinante, ma suonando allo stesso tempo perfettamente Chieftains.

Bon Iver chiude un 2011 molto attivo con questa Down In The Willow Garden e anche Paddy Moloney ammette di essersi dovuto adattare al perfezionismo del musicista americano che ha preferito lavorare in proprio per mandare poi il suo lavoro ai musicisti irlandesi che scalpitavano in sala per completare il brano e l’album entro i tempi stabiliti. Altro gruppo (ma sono solo in due) assolutamente da scoprire se già non li conoscete sono i Civil Wars il cui debutto del 2011 Barton Hollow è tra gli esordi dell’anno più interessanti dell’anno appena finito. Tra country, folk e roots hanno scritto un brano appositamente per l’occasione, una Lily Love che ha tutte le caratteristiche di “un’aria irlandese” con le voci di Joy Williams e John Paul White che si intrecciano deliziosamente con flauti e flautini.

In Lark In The Clear Air il bluegrass dei Punch Brothers incontra l’antenato celtico e il risultato è tra i momenti più “tradizionali” e autentici dell’intero album. con i componenti del gruppo americano che potrebbero diventare Chieftains onorari tanto sono a loro agio in questa musica sia vocalmente che strumentalmente. Altra “aria celtica” struggente è quella cantata con passione e trasporto dalla bravissima Lisa Hannigan, la celeberrima My Lagan Love riceve un trattamento sontuoso in questa versione dove brillano le uillean pipes di Moloney. Finalmente, dopo 50 anni di carriera, la musica di Dylan e quella dei Chieftains si incontrano in una versione di When The Ship Comes In: a fare da tramite tra i due mondi i Decemberists che ancora una volta si confermano uno dei gruppi migliori attualmente in circolazione e con Colin Meloy che si trasforma nel Roger McGuinn della situazione per un brano che suona come un incrocio tra Band, Byrds e, naturalmente, Chieftains. 

Di pari livello è la partecipazione dei Low Anthem con una School Days Over introdotta da un coro di bambini e che poi si trasforma in una ulteriore “air” malinconica e di grande bellezza con la voce di Ben Knox Miller sostenuta da Joice Adams che trasforma l’indie folk del gruppo di Providence in perfetto folk irlandese. I Punch Brothers sono gli unici presenti con due brani: anche The Frost Is All Over con violini e flauti a duettare deliziosamente li conferma a perfetto agio con questa musica, con immagine non poetica ma efficace potrei dire che si trovano “come dei maiali a razzolare nel fango”. Le nuove regine dell’armonizzazione, ovvero le Secret Sisters (non a caso prodotte nel loro esordio da T-Bone Burnett) sono pressoché perfette nella dolce Peggy Gordon. Mentre mi ha sorpreso assai piacevolmente l’italo-scozzese Paolo Nutini  (peraltro i suoi dischi sono piacevoli e si ascoltano con gusto): Hard Times (Come Again No More) è uno dei brani migliori dell’intero progetto, cantato con voce maschia e sicura da Nutini è una bella ballata di stampo anglo-irlandese che non fa rimpiangere un Christy Moore della situazione.

Gli ultimi tre brani sono degli strumentali classici dei Chieftains, soprattutto il primo, la lunghissima (più di 11 minuti) The Chieftains Reunion rinnova i fasti dei loro anni migliori e, non accreditata (o meglio non lo so io perchè non ho il libretto del CD), appare anche una arpa celtica, se non mi sono sognato, oltre alle voci del gruppo (Kevin Conneff) e qualche ospite che armonizza nella parte centrale del brano caratterizzato da continui cambi di tempo e di atmosfere con violini, flauti, uillean pipes, arpa appunto e bodhran a duellare nella migliore tradizione del gruppo irlandese. E qui il piedino parte…Per concludere due curiosità: The Chieftains in Orbit è un brano registrato con la astronauta americana Cadie Coleman e il titolo dice tutto. L’ultimo brano rinnova l’incontro di cornamuse con il musicista spagnolo Carlos Nunez per una coinvolgente Lundu che conclude in gloria le danze.

Mi sa che anche questo entrerà nella lista dei migliori dell’anno. L’edizione Deluxe ha il video del brano con i Low Anthem e un making of.

Bruno Conti

P.s Il video di Lisa Hannigan che canta The Times They Are A-Changin’ accompagnata da Herbie Hancock e dai Chieftains è un omaggio ai 50 anni di carriera di Dylan e Chieftains, anche se non c’entra con il resto.

I Migliori Dischi Del 2011 – Quater: Outsiders E “Gravi” Dimenticanze!

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Pensa che ti ripensa mi sono accorto che l’avevo fatta grossa, avevo dimenticato alcuni dei dischi migliori di questo 2011 che si avvia alla conclusione, oltre a quegli “outsiders” personali che ogni anno vi propongo. Poi è bello, quater sembra dialetto milanese. Con questa lista arriviamo a quella cinquantina di titoli che tutte le “testate musicali” serie propongono ai propri lettori per meditare su quanto accadde nel 2011, musicalmente parlando, del resto ce ne siamo accorti purtroppo. Ecco i dischi e alcuni filmati esplicativi (mancano ancora i cofanetti, è una promessa non una minaccia):

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 Ry Cooder – Pull Up Some Dust And Sit Down – Nonesuch  Questa, in effetti, è una grossa dimenticanza, per molti sarà tra i Top 10 dell’anno. Grande disco, anche risentito oggi.

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The Black Keys – El Camino – Nonesuch Questo semplicemente è uscito all’ultimo momento, mi era sfuggito. Sarà un caso che sono della stessa etichetta? Little Black Submarines con il suo effetto quiet/loud alla Stairway To Heaven è un bellissimo brano.

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Gillian Welch – The Harrow And The Harvest – Acony Records Anche questo disco probabilmente doveva entrare nei Top Ten. Ma come ho detto in un altro Post sono solo 10, quindi dovrei inventarmi l’escamotage di una ventina di Ex Aequo per risolvere il problema. Ci penserò per l’anno prossimo. Diciamo il miglior disco acustico!

 

 

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The Blues Project – Projections – Sundazed  E questo? Migliore ristampa “singola” dell’anno. D’altronde gli ho dato pure 4 stellette sul Buscadero, Disco Consigliato, quasi una pagina di recensione e poi lo dimentico. Suono un po’ “datato”, ma che disco, ragazzi!

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Murray McLauchlan – Human Writes – True North  Uno dei migliori cantautori canadesi di sempre torna ai livelli degli anni ’70. Questi…

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Christy Moore – Folk Tale – Sony Music  Questo signore non ne sbaglia uno! Se non ci fosse stato il disco di June Tabor con la Oyster Band, miglior disco di folk britannico, irlandese per la precisione, dell’anno.

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Brian Wilson – In The Key Of The Disney – Walt Disney/EMI  Lo so che il mondo non è fatto di “se”, ma se non lo avessero fatto uscire a una settimana dalla ristampa di The Smile Sessions avrebbe avuto ben altro risalto. Moolto bello!

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Rita Chiarelli – Music From The Big House – Mad Iris Music  Miglior disco registrato in una prigione. Voi mi direte “ma non ne hanno fatti altri”! Non importa, anche se li avessero fatti sarebbe stato lo stesso il migliore nella categoria.

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Chuck Ragan – Covering Ground  L’hanno segnalato in molti tra le “sorprese dell’anno, mi accodo. Un vero “outsider”. In questo brano c’è anche Brian Fallon dei Gaslight Anthem, a proposito di solito non consiglio le uscite solo “digitali” ma iTunes Session dei Gaslight Anthem è veramente formidabile.

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 Lisa Hannigan – Passenger – Hoop Records  Altro disco preso sottogamba, una delle sorprese femminili dell’anno quasi alla pari con quello di Laura Marling. Come diceva Qualcuno, “se sbaglio mi corrigerete”!


 

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Waterboys – An Appointment With Mr. Yeats – Proper Records  Uno dei “ritorni” dell’anno. Non avrei detto!

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Johnny Winter – Roots – Megaforce  Il “vecchio” Leone del blues ruggisce ancora, da solo e in compagnia.

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Wilco – The Whole Love – dpBm/Anti  Altra “clamorosa” dimenticanza. Scusa Jeff.

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Lydia Loveless – Indestructible Machine – Bloodshot  La “promessa” femminile dell’anno. Se volete approfondire, nel Blog li trovate tutti, basta che usiate la funzione Cerca che funziona benissimo e vi si apre un mondo intero.

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Martin Simpson – Purpose + Grace – Topic  Secondo disco folk dell’anno, lì a uno zinzinello da Christy Moore, rappresentante per il Regno Unito.

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Horrible Crowes – Elsie – Side One Dummy Records  Altra gradita sorpresa. Un anno laborioso per Brian Fallon. Disco che cresce alla distanza

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Jeff Bridges – Jeff Bridges – Blue Note  Disco che ha diviso la critica. Osannato o trascurato. Propenderei per la prima ipotesi.

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Steve Cropper – Dedicated – Fontana  E il “Colonnello” come ho fatto a dimenticarlo? Boh!

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Romy Mayes – Lucky Tonight – Me And My Records  Miglior disco dal vivo dell’anno con sole canzoni nuove. Non ne hanno fatti altri? Vale lo stesso discorso di Rita Chiarelli.

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Josh T. Pearson – Last Of The Country Gentlemen – Mute  Last but not least, il prototipo del perfetto Outsider. E anche un gran bel disco.

Mi sono dilungato? Mi sono dilungato! E chi se ne frega, come disse Napoleone a Waterloo (licenza storica). Avrei potuto parlarvi dei nuovi dischi di Kathleen Edwards e Ringo Starr che sto ascoltando in questo periodo, ma se li recensisco con troppo anticipo poi mi sparano. E allora mi chiedo perché diavolo me li mandano?

Mancano i cofanetti. Promesso!

Bruno Conti

Novita Di Ottobre Parte II. Bjork, Evanescence, Lisa Hannigan, Joe Henry, Johnny Cash, Crosby & Nash, My Brightest Diamond, Rachael Yamagata, Peter Hammill, Eccetera

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Anche questa settimana, uscite dell’11 ottobre, una valanga di titoli per cui divido il Post in due parti, iniziamo.

Nuovo album omonimo per gli Evanescence, anche se della formazione originale è rimasta solo la cantante Amy Lee. Nuova casa disografica, Virgin/EMI, e solita versione Deluxe con 4 tracce in più, anche se questa volta c’è anche un DVD con materiale vario aggiunto.

Mentre per Biophilia di Bjork, abbiamo le due versioni, entrambe singole, ma una con 10 brani ed un’altra denominata Collector’s Edition con 3 brani in più che però sono “solo” versioni diverse da quelle contenute nell’album basico. Se non altro visto il maggior esborso che viene richiesto (circa 5 euro in più) la confezione è quella che viene definita con cartoncino a 6 ante. L’etichetta è la One Little Indian/Universal. Qualche tempo fa avevo visto nel sito della Nonesuch. che è l’etichetta che distribuisce il disco in America, anche una versione limitata denominata Ultimate Art Edition con 2 CD e vari extra, ma era disponibile solo in pre-ordine, “no longer available” recita il sito.

Lisa Hannigan per molti anni (sette per la precisione) è stata la seconda voce in tutti i dischi e i concerti di Damien Rice. Poi nel 2009 ha pubblicato il suo primo album solista See Saw, nominato per il Mercury Prize di quell’anno come miglior album. Questo nuovo Passenger, prodotto da Joe Henry (di cui tra breve), è anche più bello e contiene un “tradimento” di Lisa Hannigan che duetta con Ray LaMontagne in O Sleep. Etichetta Hoop Records (in America è già uscito da tre settimane).

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Ed eccoci al succitato Joe Henry, che tra una produzione e l’altra ha trovato anche il tempo per pubblicare un nuovo album Reverie, etichetta Anti come di consueto, capitolo dodici della sua discografia per il cognato di Madonna (chissà se gli fa piacere che lo ricordino, hum!). Quattordici nuovi brani per un album che sta avendo ottime recensioni e che vede tra gli ospiti Lisa Hannigan (strano!) in Piano Furnace e tra i musicisti i “soliti” bravissimi Jay Bellerose, David Piltch, Keefus Ciancia, Patrick Warren e Marc Ribot. Lui rimane tra i miei cantautori preferiti ma poi quando va a scovare i grandi del soul dimenticati come Ann Peebles, Irma Thomas, Bettye Lavette e tanti altri si guadagna decine di punti nella mia stima.

Continua la serie di pubblicazioni di materiale d’archivio della Sony dedicate a Johnny Cash, ora che sembra esaurito il materiale registrato per la American Recordings di Rick Rubin che nel frattempo è diventato presidente della Columbia (e quindi uscito dalla finestra rientra dal portone principale). Il doppio CD si intitola Bootleg 3: Live Around The World e come dice il titolo raccoglie 50 brani (di cui 39 inediti) registrati in giro per il mondo tra il 1956 della Jamboree Live in Dallas, Texas quando nessuno sapeva chi fosse fino ad arrivare a due brani registrati nel dicembre 1979 all’Exit Inn di Nashville, Tennessee passando per un concerto anche alla Casa Bianca, 12 brani nell’aprile 1970.

Crosby & Nash sono due che non sono rimasti molto soddisfatti (insieme a Stills) del lavoro che Rick Rubin avrebbe dovuto fare per il loro “mitico” album di Covers ormai annunciato da un paio di anni e che sembrava essere stato annullato definitivamente ma forse no. Certo i tempi di lavoro non sono quelli di una volta e anche David Crosby (meno celebrato di altri suoi coetanei) ha festeggiato i 70 anni il 14 di agosto. Nel frattempo con l’amico Graham Nash ha fatto un tour americano e il concerto al Palace Theatre di Stamford, Connecticut è stato registrato e viene ora pubblicato dalla loro nuova etichetta Blue Castle Records da domani per il mercato americano. Sono 90 minuti che vedono la luce in questo DVD che sarà pubblicato anche in Europa ai primi di novembre ad un prezzo molto più contenuto dei 30 euro che vengono richiesti ora e proprio in concomitanza con le 4 date del tour italiano

October 29 – Gran Teatro Geox – Padova, Italy
October 30 – Teatro Smeraldo – Milano, Italy
November 1 – Teatro Verdi – Firenze, Italy
November 2 – Teatro Sistina – Roma, Italy

Come riporta il loro sito 1078. Così, chi non può o non vuole pagare i soliti prezzi esagerati per il concerto, come il sottoscritto, se lo potrà comodamente vedere nella poltrona di casa sua per una quindicina di euro o poco più.

 

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My Brightest Diamond ovvero Shara Worden pubblica il suo terzo album da solista, All Thing Will Unwind sempre per la Ashmatic Kitty del suo mentore Sufjan Stevens e dopo le recenti collaborazioni con David Byrne e Fatboy Slim in Here Lies Love dove il suo brano era uno dei migliori e nel ciclo di canzoni Penelope di Sarah Kirkland Snider dove le parti vocali erano tutte sue. E si conferma una delle cantautrici più originali in circolazione, non per nulla anche Bon Iver, Decemberists e National l’hanno voluta nei loro dischi.

Anche Rachael Yamagata è una brava cantautrice americana e approda con questo Chesapeake al terzo album e anche lei è molto apprezzata dai colleghi e ha collaborato con Ryan Adams, Ray LaMontagne, Jason Mraz, Rhett Miller, i Bright Eyes e molti altri. Dopo due album con le majors, uno per la Sony/Bmg e uno per la Warner approda anche lei al fai da te indipendente su Frankenfish Records. Stile pianistico ma non solo, belle ballate ma anche folk o rock quando occorre, con molti elementi musicali in comune con i collaboratori citati qui sopra.

Peter Hammill prosegue la sua carriera solista parallela a quella con i Van Der Graaf con un ennesimo album dal vivo, registrato in solitaria come evidenziato dal titolo, PNO GTR VOX esce per la Fie Records ed è un doppio tratto dai concerti effettuati in Giappone e Regno Unito nel 2010. Un CD sono canzoni per piano e l’altro per chitarra.

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Tre nuove proposte di “giovani” promettenti: per cominciare, a sorpresa, esce un nuovo album dal vivo di uno dei miei cantautori preferiti, Elliott Murphy, reduce da un ottimo album di studio uscito un annetto fa elliott%20murphy (mi cito da solo), pubblica questo Just A Story From New York che parafrasa nel titolo uno dei suoi album migliori. Accompagnato dal suo gruppo, i Normandy All Stars rivisita con lunghe versioni alcuni dei suoi classici come Diamonds By the yard, oltre 10 minuti, ma anche i 7 minuti di Just A Story From America, Last Of the Rock Stars e Drive All Night senza tralasciare le recenti Rock and Roll, Rock And roll e Rain, Rain, Rain (questi titoli ripetuti così se li ricorda meglio, anche lui diventa vecchio). Scherzi a parte il disco è molto buono, etichetta improbabile Mri-Red di non facilissima reperibilità, ma si trova!

John Mayall continua a pescare nei suoi archivi e questa volta dal cilindro esce un eccellente In The Shadow Of Legends, registrato dal vivo nel giugno del 1982 al Capitol Theatre nel New Jersey con la formazione dei Bluesbreakers con Mick Taylor, John McVie e Colin Allen e degli ospiti strepitosi come Albert King, Buddy Guy, Junior Wells, Etta James e Sippie Wallace. Minchia! Anzi, accipicchia, scusate ma mi è venuto spontaneo, etichetta Blues Boulevard. (Anche se, per onestà, devo dire che era uscito in DVD come Jammin’ With The Blues Greats). Per chi non ama stare davanti al video e sono tanti, più di quello che si pensa. Forse è il motivo per il quale il DVD musicale, salvo rare eccezioni, non è mai decollato.

Un altro “giovane”, fresco di tinta (secondo me va dallo stesso parrucchiere di Paolo Limiti e Paul McCartney), Cliff Richard, anni 71 il 14 ottobre pubblica il suo 200° album (ho detto una cifra a caso, non so quanti ne ha fatti, da solo o con gli Shadows, una valanga). Comunque questo si chiama Soulicious The Soul Album e come dice il titolo Sir Cliff si cimenta con la musica nera. Io non lo vedrei benissimo nel genere ma si tratta di una serie di duetti con nomi mpressionanti della musica soul, mica scartine, ci sono: Freda Payne, Dennis Edwards dei Temptations, Brenda Holloway, Candi Staton, Roberta Flack, Deniece Williams, Valerie Simpson, Percy Sledge, Peabo Bryson e molti altri. Non vorrei ripetermi ma, min… accipicchia di nuovo! A questo punto sono curioso di sentirlo anche se immagino una versione molto blanda della soul music, come potete ascoltare nella preview qui sopra! Esce per la EMI Catalogue sempre in questi giorni, il 10 ottobre, cioè oggi.

Per oggi può bastare, domani altra copiosa messe di uscite, senza dimenticare tutte quelle già recensite con Post ad hoc, tipo Ryan Adams e il DVD di George Harrison, per citarne un paio che escono domani.

Bruno Conti

Dall’Irlanda: Cantautore E Scalpellino! Mick Flannery

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Visto che gli ultimi post erano sempre relativi a voci femminili e di questo signore era un po’ di tempo che volevo parlarvi, su suggerimento di un amico, mi sembra giunto il momento. Non si tratta di una notizia di stretta attualità ma questo signore di Cork (Blarney per la precisione), Irlanda assolutamente merita, si chiama Mick Flannery, tanto per mettere i puntini sulle i. Oltre a tutto mi sono documentato un poco su siti e riviste italiane ma mi sembra che non ne abbia mai parlato proprio nessuno. Male! Perché siamo di fronte ad un grande talento: intanto il titolo, “stonemason” in inglese fa più figo ma il senso è quello, trattasi di onesto lavoratore che lavora la pietra, ora per diletto e part-time, un tempo era la sua occupazione principale.

Una discografia di due album (entrambi per la EMI Irlanda, quindi auguri per la ricerca), più un EP autodistribuito: il primo Evening Train è del 2005, il secondo White Lies è del 2008 ed ha già avuto l’onore dell’edizione Deluxe doppia con un CD dal vivo alla Cork Opera House + bonus track del duetto con Kate Walsh (non l’attrice americana) Christmas Past aggiunti alla versione originale che è entrata nei Top Ten delle classifiche irlandesi, quindi non un carneade qualsiasi. Per aggiungere pepe alla sua vicenda artistica, ad inizio carriera, come racconta lui stesso per smentire la propria biografia ufficiale nel corso di un viaggio di tre mesi a New York (e non alcuni anni) inviò un modulo di partecipazione con allegati dei demos di alcuni suoi brani ad un concorso in quel di Nashville e con sua grande sorpresa ha vinto due premi, U.S. Songwrting Competition uno dei più importanti in America, in giuria c’era anche Tom Waits, il particolare divertente è che tutto è avvenuto per posta, niente trasmissioni televisive tipo X-Factor o American Idol, ragazzine in delirio, solo per meriti musicali.

Il nome Tom Waits non viene fatto a caso perché è uno degli idoli musicali di Flannery, insieme a Leonard Cohen, Dylan e i Nirvana del disco Unplugged, per non farsi mancare niente: voi inserite nel vostro lettore Evening Train, parte il primo brano Creak In The Door, un piano e il violino introducono la voce incredibile di Mick, pensate al Tom Waits più giovane, quello melodico degli anni ’70 o a David Gray, ma da vecchio, When I’ve Got A Dollar avrebbe fatto la sua porca figura su Small Change (il suo disco preferito, se siete anche voi della tribù dei nostalgici del Tom Waits pianistico, jazzato e malinconico della prima fase e non amate la fase “rumoristica” ma la rispettate, ma diciamolo! Come direbbe Villaggio/Fantozzi sulla Corrazzata Potemkin!), la voce è sempre più grave e glabra, entra una voce femminile a duettare, nel brano successivo Take It On The Chin c’è addirittura una seconda voce maschile ancora più vissuta di quella di Flannery, entra un’armonica, tra Dylan e Young. Perchè vi dico tutto ciò: fatevi due conti, il disco è del 2005, Mick Flannery è nato nel novembre del 1983 !?!, quindi ventuno anni, un uomo nel corpo di un ragazzo; se aggiungiamo che il disco è una sorta di concept-album su una settimana nella vita di due fratelli estremamente diversi tra loro, il bravo ragazzo e il “maledetto”, capite che qui ci troviamo di fronte ad un grande talento, letterario e musicale.

Il secondo disco, White Lies, del 2008, è anche meglio, il suono è ancora più corposo (anche se il primo album, tra pianoforti, violini e chitarre acustiche ed elettriche, aveva già una sua ragion d’essere), i brani sono sempre coinvolgenti, prevalentemente ballate, buie e malinconiche, spesso romantiche, con quel piano tra Waits, Cohen e il Nick Cave più raccolto, magnifiche, sentitevi Safety Rope che apre l’album, una meraviglia sonora di poco meno di quattro minuti, sempre presenti il violino di Karen O’Doherty che divide gli interventi vocali con l’altra vocalist Yvonne Daly: lui Flannery suona piano e chitarra, coadiuvato da un piccolo gruppo di musicisti in grado di regalare sensazioni importanti in brani come California e Tomorrow’s Paper, lo sto risentendo proprio ora e vi posso garantire che si tratta di grande musica.

Qui alla BalconyTv di Dublino x7h30l_mick-flannery_music, questo è il duetto con Lisa Hannigan (quella di Damien Rice, esatto!) in Christmas Past watch?v=vO4MqPQnTLs e questo dal Late Show della RTE.

Caldamente consigliato.

Bruno Conti