Un Po’ Di Blues Da New Orleans. Little Freddie King – Fried Rice & Chicken

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Little Freddie King – Fried Rice & Chicken – Orleans Records

Little Freddie King, nato Fread Eugene Martin, veleggia ormai verso I 78 anni, che compirà quest’anno e, come è noto non è parente del vero Freddie King, al limite è il cugino di Lightnin’ Hopkins, ma usa quel patronimico in virtù del fatto che il suo stile è ispirato da quello di Freddie King, per quanto abbondantemente immerso anche nel blues del Mississippi, dove in quel di McComb è nato negli anni ’40 dello scorso secolo, e soprattutto dai suoni di New Orleans, dove vive dal 1954 e svolge la sua attività musicale, tanto da essersi  meritato l’appellativo di Re del blues di New Orleans. Il nostro amico ogni tanto pubblica un album, l’ultimo Messin’ Around The Living Room del 2015, e il precedente ottimo Chasing The Blues del 2012 https://discoclub.myblog.it/2012/01/18/un-vecchietto-arzillo-e-gagliardo-little-freddie-king-chasin/ : però, a ben guardare, questo Fried Rice And Chicken non è un nuovo album, ma una antologia di pezzi estratti dai due CD pubblicati proprio dalla Orleans Records, rispettivamente nel 1996 e nel 2000, entrambi curati dall’ottimo Carlo Ditta, di cui avremo imperitura memoria per avere prodotto il leggendario Victory Mixture di Willy De Ville, e tra i tanti, dischi di Mighty Sam McClain e Coco Robicheaux.

Oltre ai due per Little Freddie King, che nella copertina di questo CD sfoggia una chitarra Flying V, di solito accostata all’altro King, Albert. Questo per dire che con le chitarre ci sa fare: le prime sei tracce vengono dall’album del 1996 Swamp Boogie, un titolo, un programma, e si aprono con una cover di Cleo’s Back, un vecchio brano di Junior Walker, il grande soulman della Motown, per cui l’autore Willie Woods aveva scritto anche altri brani (I’m a (Road Runner dice qualcosa?), classico strumentale funky dove si apprezzano la chitarra di King e l’organo di Crazy Rick Allen. Mean Little Woman firmata Freddie Martin (sempre lui) è decisamente più orientata verso il blues classico e se il “piccolo” Freddie non dimostra la stessa classe del vero Freddie, si difende con onore, anche dimostrando di essere in possesso di una voce intensa e vissuta; The Great Chinese è un altro breve strumentale non particolarmente memorabile, mentre la sua versione di What’d I Say non turberà il riposo eterno del grande Ray Charles lassù, ma ha un suo charme ed è piacevole e godibile, con la chitarra a fare le veci del piano del Genius. Kinky Cotton Fields mi sembra una sua breve divagazione sul famoso tema di Cottonfields, decisamente meglio I Used To Be Down, un blues old school ruvido e scarno il giusto.

Gli altri cinque brani vengono da Sing Sang Sung, un disco dal vivo registrato in due diverse date nel 1999: questa volta anziché un tastierista troviamo Bobby Lewis DiTullio aggiunto all’armonica. Qui c’è più brio e grinta, si parte con la voluttuosa title track, dove King e DiTullio si fronteggiano ai rispettivi strumenti mentre la sezione ritmica ci dà dentro di gusto, in un sound che non può non rimandare a quello dei vecchi juke Joints del Mississippi dove il nostro si era fatto le ossa. Il pubblico sparuto approva e Little Freddie King li accontenta con una gagliarda Do She Ever Think Of Me, questa volta cantata, e poi rende omaggio al vero titolare del nome con una robusta versione della classica HideAway, molto basica ma efficace, e poi si tuffa con passione in una intensa Honest I Do di mastro Jimmy Reed, la voce è perfino troppo vissuta, oltre i circa 60 anni che doveva avere all’epoca, ma la passione non manca. A chiudere la divertente Bad Chicken a cavallo tra blues e il R&R alla Bo Diddley., con tanto di “chicchirichi” ripetuti e chitarra in overdrive.

Bruno Conti

Un “Vecchietto” Arzillo E Gagliardo! Little Freddie King – Chasing Tha Blues.

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 Little Freddie King – Chasing Tha Blues – Madewright Records

Little Freddie King non è stato sicuramente uno dei “grandi” del Blues e neppure tra i più prolifici, ma un posticino tra gli onesti gregari sicuramente lo merita. Nato a McComb, Mississippi nella zona delle piantagioni nel luglio del 1940, cugino di Lightnin’ Hopkins, a 14 anni anni si trasferisce a New Orleans. Nel frattempo impara a suonare la chitarra sia acustica che elettrica dal padre, basando il suo stile su Freddie King (di cui, per onestà, non avvicina neppure lontanamente la perizia tecnica) ma con un approccio più country blues e suona soprattutto nei juke joints dove molti anni dopo si ritornerà con il sound dell’etichetta Fat Possum con la quale, casualmente o meno, Fred Eugene Martin (vero nome) ha inciso un album nel 2005. Ma prima, anche lui, ha avuto una vita travagliata e una carriera quantomeno ricca di alti e bassi (più i secondi direi a giudicare dai testi), il primo album con Harmonica Williams è del 1969 (a 29 anni, quindi un “giovane” per i parametri del Blues), per registrare il secondo Swamp Boogie in quel di New Orleans ne dovranno passare altri 27. Si dice il “difficult second album” ma qui abbiamo esagerato! Poi negli anni 2000 ha registrato abbastanza regolarmente pubblicando 5 dischi compreso questo Chasing The Blues.

Che è un disco onesto, sanguigno, quasi eroico, nel riprendere le 12 battute classiche per una dozzina di brani che ricordano molto i dischi della maturità di musicisti come Muddy Waters o John Lee Hooker.  Accompagnato dalla sua band questo arzillo signore sa ancora far vibrare le corde della chitarra e con una voce vissuta e malinconica ma ancora ricca di sfumature canta delle mille disgrazie della vita: l’infanzia nelle piantagioni, la perdita di tutti i suoi averi, casa compresa, nell’uragano Katrina e un ritorno a casa per scoprire una infezione nelle mura del nuovo appartamento, sangue, sudore e lacrime assortite, gli manca una bomba atomica in testa e qualche rapina a mano armata e le ha avute tutte. Nel disco, oltre all’armonicista Lewis Di Tullio si sente anche un pianista non identificato e il groove è perlopiù abbastanza rilassato, tipico di New Orleans, dove è stato registrato,  ma contiene molto classico Chicago Blues e anche quel boogie reiterato alla Hooker che fa muovere il piedino.

Si parte con Born Dead, un brano che non avrebbe sfigurato nel repertorio di Waters ed è un piccolo classico di suo, per passare alle trame più agili di Crackho Flo e al boogie primigenio di Lousiana Train Wreck introdotta dal fischio di un treno, sempre argomenti “allegri” nei testi come si diceva in sede di presentazione, niente virtuosismi particolari ma un suono molto curato nei particolari con armonica, piano e chitarra che si dividono gli spazi con la voce di Little Freddie King. Ci sono tutti gli ingredienti classici, lo slow blues di Got Tha Blues On My Back, nuovamente il boogie sapido alla John Lee Hooker di Pocket Full Of Money. I tempi pigri di Back In New Orleans e l’omaggio al titolare del nome, King Freddie’s Shuffle, uno strumentale dal sound volutamente arcaico ma non noioso come quello di molti bluesmen attuali dediti al recupero delle radici.

Great Great Bamboozle è un altro divertente strumentale più ritmato mentre Night Time In Treme è un omaggio alla sua città di adozione, nuovamente un brano strumentale con i tre solisti della band che si dividono equamente gli spazi. Bywater Crawl ha quel sound da juke joint delle produzioni della Fat Possum di R.L. Burnside o di Junior Kimbrough, un ulteriore pezzo strumentale dal ritmo incalzante dove sembra che accada poco ma c’è tutto un mondo alle spalle se sentita a volumi alti. Standin’ At Your Door è un altro sofferto blues di impianto classico mentre Mixed Bucket Of Flood presentata come special bonus track si avventura in sonorità moderne tra elettronica, hip hop e nu soul con risultati alterni e spiazzanti.

Scevro dalla bonus track un buon album di Blues indirizzato soprattutto agli appassionati del genere.

Bruno Conti