Anche Dopo La Sua Morte Prosegue Una Serie “Infinita”! Johnny Winter – Live Bootleg Series Vol.11

johnny winter live bootleg series vol.11

Johnny Winter – Live Bootleg Series Vol.11 – Friday Music

Johnny Winter ci ha lasciati il 16 luglio di questa estate non particolarmente calda, trovato senza vita nella sua camera d’albergo a Zurigo, in circostanze mai chiarite, due giorni dopo la sua ultima esibizione dal vivo http://discoclub.myblog.it/2014/07/17/ieri-oggi-sempre-fedele-true-to-the-blues-boxset-the-johnny-winter-story/ . Come sapete è uscito un nuovo (bellissimo) album di duetti, Step Back, la cui uscita era già comunque prevista, ma prima è stato pubblicato questo capitolo 11 delle Live Bootleg Series, croce e delizia degli appassionati della musica dello scomparso albino texano. Visto che caratteristica di questi album è sempre stata quella di non riportare nome dei musicisti impiegati e date e luoghi dei concerti da cui sono tratti i brani (e anche questo volume non fa eccezione), almeno ci si aspettava che Paul Nelson, curatore della serie, manager e factotum,  spesso secondo chitarrista nella sua band e “amico” di Winter, avrebbe almeno inserito sul CD un piccolo ricordo del musicista scomparso, ma evidentemente era troppo sperarlo. Qualcuno dirà che forse il disco era già pronto e non si potevano fare aggiunte, ma almeno un piccolo sticker avrebbe richiesto veramente poco, però da come è stata gestita la serie non dobbiamo poi meravigliarci troppo.

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I contenuti musicali di questo nuovo album sono i soliti: sei brani, sette se contiamo un Opening di pochi secondi, che a livello musicale vanno dal buono all’eccelso, anche se come qualità di registrazione, al solito, si fatica ad arrivare alla sufficienza, ma d’altronde di Bootleg si parla (anche se uno si chiede come mai i bootleg ufficiali di Dylan e di moltissimi altri si sentano benissimo, ma evidenetmente è una domanda retorica ). Ed in effetti il repertorio di questo disco, ribadisco, a livello musicale è eccellente: si va dall’introduzione fulminante di una poderosa E-Z Rider, quella incisa meglio, tratta dal repertorio di Taj Mahal, tra R&R e Blues, con la voce e la chitarra di Winter, anche con un wah-wah vagamente hendrixiano, subito in gran spolvero https://www.youtube.com/watch?v=8-XdsfGuZVw . Boot Hill, un traditional rivisitato che appariva sul disco Alligator del 1984, Guitar Slinger https://www.youtube.com/watch?v=hSY1MuA091A , non è tra i brani più eseguiti dal vivo nella discografia di Johnny Winter e quindi, in virtù di una ottima esecuzione, dove appare anche un pianista, naturalmente non accreditato (se siamo a metà anni ‘80, potrebbe essere Ken Saydak, ma tiro proprio a indovinare, potrebbe essere chiunque) si ascolta con piacere, anche se la qualità sonora subisce un drastico peggioramento. Notevole il festival slide in una versione fiume di Long Distance Call, uno dei tre brani provenienti dal repertorio del suo mito Muddy Waters.

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Ottima anche la versione di Baby What’s Wrong di un altro dei maestri indiscussi del Blues, Jimmy Reed, dove si sente anche un’armonica, sempre in base al periodo ipotizzo un Billy Branch, non sarà lui ma la butto lì. Non male, per usare un eufemismo, pure una calda e sentita rilettura di She Moves Me, sempre di Mastro Muddy e torrida ed entusiasmante la Rollin’ And Tumblin’ che va a concludere il dischetto, con la chitarra devastante di Winter ancora in modalità slide, come nel brano precedente, a duettare con la solita “timida” armonica sepolta nel mixaggio confuso del disco. Come dice un proverbio “chi si accontenta gode” e qui, almeno a livello vocale e chitarristico, c’è da godersi ancora una volta uno dei più grandi musicisti bianchi che abbia mai suonato il Blues!

Bruno Conti

Ma Allora E’ Un Vizio! Johnny Winter – Live Bootleg Series Volume 9

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Johnny Winter – Live Bootleg Series Vol.9 –Friday Music

Ormai le uscite discografiche relative a Johnny Winter sono inarrestabili, praticamente non passa mese che non esca qualcosa di nuovo. In particolare le Bootleg Series di Winter hanno raggiunto, con questo titolo, il nono volume, pareggiando il numero di quelle di Bob Dylan (di cui è peraltro atteso, a breve, il decimo titolo), ma in un arco di tempo molto più ristretto. Il grande Bob ha ottenuto questo risultato in 22 anni, considerando che i primi tre dischi erano raccolti in unico cofanetto, mentre quelli di Johnny sono usciti in soli 6 anni, dal 2007 al 2013, attingendo unicamente da materiale dal vivo, da qui il titolo Live Bootleg Series.

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Ormai è difficile dire qualcosa di nuovo su Johnny Winter, potrei dirvi alcune cose “vecchie”: l’ultima volta che ho controllato stazionava al numero 63 nella classifica di Rolling Stone dei 100 Più Grandi Chitarristi Di Tutti I Tempi, posizione più che meritata, magari anche qualche posizione più in alto e potrei aggiungere che oltre alla miriade di uscite più o meno ufficiali, ristampe delle ristampe e quant’altro, di recente la Sony nella sua benemerita serie The Essential, gli ha dedicato il solito doppio CD che raccoglie il meglio della sua produzione nel periodo 1969-1980, imperdibile per chi non ha nulla e che va ad aggiungersi all’altra raccolta Setlist: The Very Best Of Johnny Winter Live, uscita lo scorso anno e ai vari boxettini della serie Original Album Classics, per chi vuole esplorare il suo repertorio su Columbia/Blue Sky/Epic. Non sono mancate ristampe, più o meno potenziate, dei suoi album classici, ma manca un cofanetto “definitivo” dedicato all’albino di Beaumont, Texas. Speriamo che si possa rimediare al più presto e non ridurci all’omaggio postumo, viste le condizioni diciamo non floride della sua salute.

Ma veniamo a questo nuovo capitolo estratto dai suoi archivi personali: Paul Nelson è come al solito il produttore esecutivo, mentre nei credits, come d’uso ricchissimi (c’è dell’ironia!), del CD, è riportato Johnny Winter, Vocals, Guitars, e arrivederci e grazie. Niente nomi degli altri musicisti utilizzati, date di registrazione, è già tanto se appaiono i titoli dei brani, va bene che si parla di Bootleg, ma non prendiamo il termine troppo alla lettera. Anche se nel libretto le note sono curate da un altro che se ne intende di chitarre, slide in particolare, l’ottimo Sonny Landreth.

Rimane la musica, e non è poco. Sono sette brani, compresa una breve introduzione: si parte con una lunga, una decina di minuti, versione alternativa di Hideaway, il classico di Freddie King, torrenziale e di grande impatto, anche se la qualità, uhm, è da bootleg discreto. Segue un altro classico, suo, Mean Town Blues, a velocità da boogie supersonico e con una qualità sonora decisamente superiore, anche se la voce è un po’ in cantina, però l’esecuzione, specie nell’assolo centrale, è di quelle da manuale. 44 Blues, di Roosevelt Sykes, è di uno dei suoi preferiti, sia l’autore che il brano, breve e raccolta nell’esecuzione ma assai sentita, con un sound quasi alla Canned Heat, altri bianchi che hanno saputo sviscerare il blues come pochi, sembrerebbe essere una registrazione più vecchia ma è difficile capire.

You Done Lost Your Good Thing Now è di un altro dei suoi autori preferiti, B.B King, e si tratta di un classico slow blues che Johnny Winter eseguiva sin dai tempi di Woodstock, ottima versione, anche la voce è in grande spolvero. It’s My Life Now, inconsueta nel repertorio di Winter, viene dal sodale di BB King, Bobby “Blue” Bland, peccato per la qualità, nuovamente da bootleg, e neanche di quelli eccelsi. La conclusione è dedicata all’amatissimo Jimi Hendrix di cui Johnny riprende una tiratissima Manic Depression, versione lunga e ricca di fuochi di artificio chitarristico, audio accettabile.

Quindi le solite luci e ombre di questa “serie”, qualità ballerina dell’audio, con alti e bassi, ma ottima consistenza della musica, speriamo non diventi un vizio. Come al solito, “trippa per gatti” per gli appassionati!

Bruno Conti