Ecco Un Altro Che Migliora Disco Dopo Disco! Drew Holcomb & The Neighbors – Dragons

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Drew Holcomb & The Neighbors – Dragons – Magnolia/Thirty Tigers CD

A poco più di due anni dall’ottimo Souvenir https://discoclub.myblog.it/2017/03/30/saluti-da-nashville-il-meglio-nel-genere-americana-drew-holcomb-the-neighbors-souvenir/ , si rifà vivo con un lavoro nuovo di zecca Drew Holcomb, musicista originario di Memphis ma trapiantato a Nashville da diversi anni. Prolifico come pochi (Dragons è il suo tredicesimo album dal 2005 ad oggi, includendo però anche i live ed un paio di CD natalizi), Holcomb è un cantautore classico che fonde in maniera mirabile rock, country e Americana, ed è dotato di una facilità di scrittura che lo porta a costruire dischi pieni di canzoni belle e dirette, di quelle che piacciono al primo ascolto e che in maniera ciclica viene voglia di rimettere nel lettore (scusate se faccio riferimento a queste arcaiche azioni di fruizione della musica, è già tanto che non abbia detto “viene voglia di rimettere sul piatto del giradischi”).

Dragons vede il barbuto songwriter all’opera in dieci nuovi brani per una durata complessiva di 34 minuti, accompagnato come sempre dai fedeli Neighbors (Nathan Dugger, chitarre, piano, steel, tastiere ed quant’altro, Rich Brinsfield, basso, e Will Sayles, batteria, mentre Cason Cooley produce il disco e funge da membro aggiunto suonando il piano ed altre cosucce) e con l’aggiunta di qualche ospite perlopiù femminile che vedremo illustrando le canzoni. E l’album è davvero bellissimo, piacevole e ben fatto, un lavoro che conferma il talento compositivo di Drew e si pone sin dal primo ascolto come il suo lavoro più riuscito (almeno secondo il mio parere), a partire dall’iniziale Family, un pezzo allegro, gioioso e profondamente coinvolgente, uno sorta di folk-rock elettrificato e corale dal train sonoro irresistibile. End Of The World è una rock ballad ad ampio respiro, arrangiata in modo arioso e potente, cantata benissimo e caratterizzata da un motivo fluido e diretto, ancora influenzato dal folk (lo stile è simile a quello dei Lumineers, ma a livello compositivo siamo su un altro pianeta); But I’ll Never Forget The Way You Make Me Feel è il primo di cinque brani consecutivi con ospiti, nella fattispecie la moglie di Drew, Ellie Holcomb, per una deliziosa canzone dal tempo cadenzato e con un luccicante pianoforte alle spalle, il tutto suonato e cantato con estrema finezza: splendida.

La title track è un sontuoso slow di chiara matrice country, una melodia bellissima (ricorda un po’ Paradise di John Prine) ed un arrangiamento semplice basato su chitarra, piano e sulla partecipazione vocale dei Lone Bellow al completo (ed il pezzo è scritto insieme al leader del trio di Brooklyn Zach Williams): una delle più belle canzoni da me sentite ultimamente, e non esagero. See The World vede il ritorno di Ellie per un altro brano dallo sviluppo disteso e rilassato, con un songwriting classico che si rifà direttamente agli anni settanta ed un bell’assolo chitarristico, mentre You Want What You Can’t Have, in cui la partecipazione vocale è di Lori McKenna, è l’ennesima canzone splendida, una ballatona country-rock vibrante e dal ritmo acceso. In Maybe Drew viene raggiunto dalla brava Natalie Hemby (che con Brandi Carlile, Amanda Shires e Maren Morris ha appena pubblicato l’album d’esordio delle Highwomen, altro gran disco tra l’altro), la quale è anche co-autrice del brano, una rock song lenta ma dall’emozionante crescendo elettrico, mentre Make It Look So Easy ripresenta di nuovo Holcomb in compagnia esclusiva dei suoi “Vicini Di Casa”, per un pezzo dal ritmo sostenuto e contraddistinto dalla solita melodia vincente, puro rock chitarristico con ottimo assolo di Dugger.

Il CD termina con You Never Leave My Heart, toccante ballata pianistica dal pathos notevole, e con Bittersweet, unico pezzo del disco con sonorità moderne e leggermente “sintetizzate”, che però non va ad inficiare la qualità complessiva di un album che potremmo anche ritrovare nelle classifiche di fine anno.

Marco Verdi

The Best Of 2018: Una Panoramica Da Siti E Riviste Musicali Internazionali, Parte II

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Concludiamo, come promesso, la panoramica sui migliori album del 2018, estrapolati da una miriade di siti e riviste musicali, oltre che che da qualche celebre quotidiano internazionale. Come vi dicevo nel complesso anche quest’anno ho trovato queste classifiche sconcertanti, sempre per i miei gusti personali, visto che privilegiano certi tipi di musica che per il sottoscritto non sono entusiasmanti, e quindi ho preferito andare al contrario a pescare solo alcuni dei dischi presenti nelle varie liste, per segnalarveli. Per curiosità vi indico i tre dischi che in base alla somma dei punti delle suddette classifiche sono risultati i migliori dell’anno.

Al n°1 c’è il disco di Mitski Be A Cowboy, di cui fino a pochi giorni fa ignoravo l’esistenza, e che vedete effigiato all’inizio del Post. Si tratta di una cantautrice nippo-americana, nata in Giappone e che ha vissuto a lungo a New York, con altri quattro album al suo attivo, che incide per la etichetta indipendente Dead Oceans, casa anche, tra gli altri, di Phosphorescent, Tallest Man On Earth, Kevin Morby, Riley Walker Marlon Williams. Devo ammettere che il disco non è neppure male, forse nelle mie personali classifiche non rientrerebbe neppure nei primi cento posti, ma l’album è comunque molto piacevole, bella voce, arrangiamenti complessi ed eterei, canzoni che viaggiano sui milioni di visualizzazioni su YouTube, uno stile abbastanza particolare, presentato come Indie Rock, ma anche con riferimenti classici come Cat Stevens, i Kinks, Isao Tomita, la musica delle colonne sonore dei Toto, Nile Rodgers, I Massive Attack, oltre a colleghe come St. Vincent, o a icone del passato come Joni Mitchell e Stevie Nicks. O almeno questo è quanto dicono di lei. Giudicate voi. Al n°1 solo della classifica di Pitchfork, ma presente in ben 53 liste di fine anno.

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Al n°2 della classifica virtuale troviamo Janelle Monae Dirty Computer, e qui devo dire che fatico a trovare di mio gradimento questo nu soul (preferisco quello “vecchio” e classico) con elementi di art pop, dance, hip-hop, funky e R&B, oltre alla musica di Prince. Nell’album come ospiti appaiono Brian Wilson (?!?) e Stevie Wonder. Al n°1 nelle liste di NPR Music, Associated Press, oltre che nella classifica del critico del New York Times Jon Pareles, nonché in altre 69! Un bel mah mi sale sentito dal cuore!

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E al n°3 troviamo Kacey Musgraves Golden Hour, di cui avete letto la recensione del collega Marco Verdi https://discoclub.myblog.it/2018/05/22/dal-country-al-pop-senza-passare-dal-via-kacey-musgraves-golden-hour/. Piacevole e gradevole, come potete leggere, ma anche con qualche calo qualitativo e francamente nei primi tre dell’anno non mi pare ci rientri. Anche se è la n°1 di American Songwriter, Entertainment Weekly, Stereogum, People, e presente in una cinquantina di altre liste

E adesso ecco una carrellata di album apparsi nelle oltre 115 liste di fine anno, dischi che anche in base sempre ai gusti personali del sottoscritto mi sembra giusto segnalarvi, pescando tra decine di uscite francamente inutili: alcuni di questi titoli apparsi pure su questo Blog, altri comunque validi ed interessanti, il tutto rigorosamente alla rinfusa.

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Courtney Barnett – Tell Me How You Really Feel. La musicista australiana che nel corso dell’anno ha pubblicato anche un disco in coppia con Kurt Vile.

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Father John Misty – God’s Favorite Customer

https://discoclub.myblog.it/2018/05/30/un-altro-ottimo-lavoro-per-il-reverendo-josh-father-john-misty-gods-favorite-customer/

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Lucy Dacus – Historian Interessante secondo album per una nuova cantautrice americana, al primo posto nella classifica di fine anno di Paste.

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Paul Weller – True Meanings

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Kurt Vile – Bottle It In Oltre a quello con Courtney Barnett, anche un album da solo.

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Ben Howard – Noonday Dream

 

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Elvis Costello & The Imposters – Look Now

https://discoclub.myblog.it/2018/10/26/laltro-elvis-un-ritorno-alla-forma-migliore-per-mr-mcmanus-il-disco-pop-dellanno-elvis-costello-the-imposters-look-now/

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Lori McKenna – The Tree Uno dei dischi migliori dell’anno in ambito voci femminili, cantautrici classiche.

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Magpie Salute – High Water I

https://discoclub.myblog.it/2018/08/13/il-primo-disco-ufficiale-di-studio-ma-anche-il-precedente-non-era-per-niente-male-magpie-salute-heavy-water-i/

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Madisen Ward And The Mama Bear – The Radio Winners

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Kathryn Joseph – From When I Wake The Want Is Altra interessante voce femminile.

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Marianne Faithfull – Negative Capability

https://discoclub.myblog.it/2018/11/09/di-nuovo-questa-splendida-settantenne-che-non-ha-ancora-finito-di-stupire-marianne-faithfull-negative-capability/

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Lucero – Among The Ghosts

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Brandi Carlile – By The Way I Forgive You

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Nathalie Prass – The Future And The Past

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Nathan Salsburg – Third

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Mount Eerie – Now Only

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I’m With Her – See You Around Un piccolo dischetto veramente delizioso.

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Field Music – Open Here

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Damien Jurado – The Horizon Just Laughed

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https://discoclub.myblog.it/2018/11/05/per-contratto-dischi-brutti-non-ne-fa-anzi-e-vero-il-contrario-john-hiatt-the-eclipse-sessions/

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Ashley Monroe – Sparrow Oltre al disco con le Pistol Annies, due volte nelle classifiche di fine anno https://discoclub.myblog.it/2018/07/28/non-male-molto-raffinato-anche-se-di-country-se-ne-vede-poco-ashley-monroe-sparrow/

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Billy F. Gibbons – The Big Bad Blues E per finire una delle leggende del rock (blues)

https://discoclub.myblog.it/2018/10/10/bluesmen-a-tempo-determinato-parte-1-billy-f-gibbons-the-big-bad-blues/

Direi che per le classifiche internazionali di fine anno è tutto, magari qualcuno di questi dischi attirerà la vostra curiosità. Per concludere manca solo l’aggiunta finale alla mia lista dei preferiti e con il meglio del 2018 secondo Disco Club abbiamo finito.

Bruno Conti

Country (Rock) Dal Texas Via Nashville. Eli Young Band – Fingerprints

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Eli Young Band – Fingerprints – Big Machine Label Group/Universal           

Vengono presentati ancora come una “giovane band”, ma in effetti Mike Eli e James Young, ovvero la Eli Young Band dovrebbero essere intorno alla quarantina, e sono in pista dall’inizio anni ’00, avendo già pubblicato sei album di studio, oltre ad alcuni EP e un album dal vivo, a livello indipendente: vengono da Denton, nel nord della Texas, ma ormai da parecchi anni fanno parte della scena country(rock) di Nashville, e quindi anche loro ogni tanto sono soggetti alle sirene del suono più becero della Music City, di solito evitandolo, anche se nel precedente 10,000 Towns, come da loro ammesso, qualche segnale c’era stato, e, temo, anche in questo nuovo. Comunque per lunghi tratti il sound è quello giusto e le canzoni anche, collaborano come autori con gente come Shane McAnally (Miranda Lambert, Brandy Clark, e altri molto meno raccomandabili) e soprattutto in un pezzo, con la brava Lori McKenna; tutte le undici canzoni sono scritte ad hoc per questo progetto, niente cover.

I due co-produttori Ross Copperman (che suona anche un tot di strumenti aggiunti e firma cinque brani) e Jeremy Stover, sono due “professionisti” della scena di Nashville, e tra i sessionmen si segnala Dan Dugmore alla steel. Insomma un onesto e ben fatto album di country-rock, che cerca di mediare tra il sound texano e quello nashvilliano, buone armonie vocali, chitarre anche spiegate a tratti, un mix tra la musica radiofonica commerciale e quella più ruspante: la firma e voce solista principale con otto brani è Mike Eli, James Young è co-autore in tre. Salwater Gospel è una buona partenza, un moderato country-rock dei buoni sentimenti, con piacevoli intrecci vocali, un ritornello che resta facilmente in mente, anche radiofonico, ma nei limiti della decenza, uno di quei brani in equilibrio tra i due mondi sonori del gruppo. La title track è più grintosa, un riff “sudista”, chitarre più arrotate, anche slide, ritmo incalzante, con un sound più “old school”, come lo definiscono loro, rispetto al disco precedente, mentre Never Again, che va di groove, è decisamente più commerciale, niente di criminale tipo l’ultimo NEEDTOBREATHE, ma non entusiasma, per usare un eufemismo. Old Songs, con Young all’armonica e un bel uso di chitarre acustiche ed elettriche, armonie vocali a profusione (anche la voce femminile di Carolyn Dawn Johnson) e un insieme che ricorda molto il country rock classico, sia quello anni ’70, che quello anni ’90 di Jayhawks e Blue Rodeo.

Per rimanere nel tema decadi, Drive è un innocuo rockettino AOR anni ’80, Skin And Bones, scritta con Lori McKenna è uno di quelle morbide ballate midtempo che sono nel DNA della band,con la bella voce di Mike Eli in evidenza, una love song dedicata alla moglie che è anche il primo singolo tratto dall’album; ancora dal lato radiofonico, ma con giudizio, viene A Heart Needs A Break, quei pezzi vagamente antemici che sono croce e delizia di chi non ama troppo il sound dell’attuale country di Nashville. Once, ancora con un approccio più rock, è nuovamente un brano che probabilmente piacerà molto ai fans dal vivo, con un bel tiro delle chitarre, da sentire magari in macchina a volume elevato (se potete sulle Highway americane, se no vanno bene anche le nostre autostrade) e pure Never Land non si distacca di molto dal canovaccio, country poco, rock (un filo commerciale), anche troppo, insomma i tempi di Life At Best sembrano passati http://discoclub.myblog.it/2011/08/22/buon-country-rock-dal-texas-via-nashville-eli-young-band-lif/ , gli arrangiamenti mi sembrano fin troppo pompati.

In God Love The Rain, tornano le chitarre acustiche e i buoni sentimenti di Old Songs, di nuovo con la voce di supporto della Johnson e il tempo della ballata a prevalere, eseguita con diligenza ma senza quel quid che anche nell’ambito dei “revivalisti” distingue il compitino dalla canzone di classe, che è poi comunque anche la cifra di tutto il disco. Per esempio la conclusiva The Days I Feel Alone, che non è una brutta canzone, ricorda un po’ gli ultimi Coldplay con una steel aggiunta e se facessero country, che non so se è una offesa o un complimento, fate voi. Il titolo del Post è simile a quello di sei anni fa, ho solo aggiunto un paio di parentesi intorno a rock!

Bruno Conti

Recuperi Estivi. Un Gruppetto Di Voci Femminili 2: Lori McKenna – The Bird & The Rifle

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Lori McKenna – The Bird And The Rifle – CN Records/Thirty Tigers

Nel caso di questo disco ammetto di avere un poco ciurlato nel manico, perché in effetti non si tratta di un recupero, l’album è appena uscito il 29 luglio e non mi sembra che in Italia lo abbia già recensito qualcuno, ma anche se fosse, visto che non è una gara di velocità su chi arriva primo, vale assolutamente la pena di parlarne, in quanto si tratta di uno dei migliori dischi di una cantautrice che mi sia capitato di ascoltare da qualche tempo a questa parte. Lori McKenna non è una novellina, questo è già il suo decimo album, in una carriera iniziata nel lontano 2000 con Paper And Halo, proseguita con l’ottimo Pieces Of Me l’anno successivo, e che ha avuto delle punte qualitative (ma tutti i dischi sono piuttosto belli) con Bittertown del 2004, Unglamorous del 2007, l’unico ad entrare nelle classifiche di vendita, non ai primi posti, più o meno appena dopo il 100° posto, Lorraine del 2011 (quello con la tazzina da caffè in copertina) e ancora Massachusetts del 2013, dedicato al suo stato di origine, dove vive ancora, nei pressi di Boston, a Stoughton, una piccola cittadina, con il marito e cinque figli. Ma la McKenna è anche una delle più fortunate autrici di canzoni country per altri artisti, recente vincitrice del Grammy 2016 per la migliore canzone con Girl Crush, scritta insieme ai Little Big Town, e in passato le sue canzoni sono state cantate da Tim McGraw, per esempio Humble & Kind, numero uno nelle classifiche e qui presente nella sua versione, ma anche Faith Hill, Mandy Moore e altri artisti che magari non mi fanno impazzire.

Ma niente paura, se vi sembra una storia già sentita, al maschile, non avete le traveggole, è proprio la stessa trafila che ha fatto Chris Stapleton, prima di arrivare al grande successo. E vi pare che una così potesse sfuggire a Dave Cobb? Certo che no, e infatti il produttore è lui, con il suo classico sound naturale, privo di inutili orpelli, solo poche chitarre, una tastiera qui e là, l’immancabile mellotron che fa le veci di una sezione di archi, per un suono caldo, avvolgente, che evidenzia la voce, non straordinaria ma molto gradevole della McKenna, un leggero contralto quasi conversazionale, molto partecipe verso i protagonisti delle sue storie, spesso autobiografiche, piccole storie della provincia americana, con i suoi controversi aspetti, come evidenzia anche il disegno di copertina, con un uccellino posato sulla canna di un fucile, uomini e donne, spesso genitori ma anche sognatori all’inizio della loro vita (e molti sin dal suo apparire sulle scene hanno visto dei parallelismi con le canzoni del miglior Springsteen, quello della fase centrale di carriera, ma anche con Mary Gauthier, che l’ha incoraggiata ad inizio carriera), piccoli quadretti dove i protagonisti sono ben delineati da piccoli particolari; la coppia di We Were Cool, che sono la McKenna e il marito giovani (o forse no, un altro amore giovanile), con un  versetto degno del miglior Bruce “Duran Duran on the radio, those wild boys would never know we had a baby on the way the year our friends started school.” o ancora la donna sposata da tanti anni nella splendida iniziale Wreck You, “I get dressed in the dark each day/You used to think that was so sweet.”, tra rimpianti e la vita che prosegue. Ma anche più divertita e maliziosa come nella citata Girl Crush, “I want to taste her lips, because they taste like you”.

Ma quello che ci interessa è la musica, un country-folk-pop, in mancanza di un termine migliore, ho dimenticato rock, acustico magari, che scivola via con semplicità nella delicata ballata d’apertura Wreck You, dove gli arpeggi delle acustiche di Cobb, di Luke Laird e della stessa McKenna, si innesta sul tappeto sonoro provvisto dal mellotron dello stesso Cobb e di Mike Webb, sul gentile rollare della sezione ritmica affidata ai fedelissimi del produttore di Nashville, Brian Allen al basso e Chris Powell alla batteria. Sembra di ascoltare il suono dello Springteen meno bombastico di Born In The Usa, o di quello malinconico di Tunnel Of Love. Non so se l’album avrà lo stesso successo del disco di Stapleton (non credo, anche se glielo auguro) ma canzoni come la title track The Bird And The Rifle, giocata sempre sulla voce della McKenna e sull’impianto sonoro delizioso creato da Cobb, una sorta di asciutto blue collar folk-rock (se mi passate il termine), semplice e disadorno, ma efficace, lo meriterebbero. Sempre continuando il parallelo con il Boss, in questo caso nei testi, Giving Up On Your Hometown potrebbe essere una risposta indiretta ad uno dei pezzi più celebri di Bruce, anche su musicalmente siamo dalle parti di una splendida ballata country-roots, con la voce di Lori sempre partecipe e brillante, attorniata dalle chitarre tintinnanti confezionate da Cobb & Co. O le delusioni d’amore di una tenue e malinconica Halfway Home, delicato quadretto acustico folk con tocchi di chitarra d’acustica che rimandano quasi a Simon & Garfunkel. O ancora la hit Humble & Kind che racconta le raccomandazioni di una mamma al figlio (sii sempre umile e gentile), a tempo di leggero valzer e con una intro di nuovo springsteeniana che poi si apre su una bella melodia che fa capire perché la canzone sia stata un grande successo commerciale, ma in questa versione perde tutto il glamour del lato commerciale di Nashville a favore di quello che più ci piace, grazie alla produzione di Cobb, sempre attenta ai dettagli.

La già citata We Were Cool non perde il bandolo sonoro della matassa, con un sound che mi ricorda quello della prima Shawn Colvin o al limite anche di Mary Chapin Carpenter, Patty Loveless, la ricordata Mary Gauthier, tutte fautrici di un country non country, con elementi cantautorali e folk, ma anche una facilità di scrittura quasi disarmante per questa signora che ha iniziato la sua carriera quando aveva già 27 anni e tre figli. E tornando alla produzione, Dave Cobb non ha certo inventato l’acqua calda, perché in passato la McKenna aveva avuto ottimi produttori, come Lorne Entress in Bittertown, uno che ha lavorato con la brava e sottovalutata Catie Curtis e con Mark Erelli, per cui ha adattato il suo lavoro sonoro alle attitudini di Lori, ogni tanto magari eccedendo nell’uso del mellotron-sezione archi, come nella “lavorata” Old Men Young Women che si riprende però grazie ad una melodia cristallina ed accattivante ed alla bella voce dell’autrice. All These Things nell’attacco ci riporta al sound da Springsteen in gonnella, un pezzo heartland rock al femminile, una sorta di Badlands tra la provincia di Boston e le lusinghe della Music City per eccellenza, Nashville. Splendida Always Want You, un valzer di nuovo tenue e smorzato, degno delle canzoni più belle di Emmylou Harris Nancy Griffith, o, come controparte maschile, di John Prine. Per poi lasciarci con la metafora neppure troppo velata di If Whiskey Were A Woman, altro quadretto di tipica vita americana, che assume musicalmente una struttura country-blues quasi austera, ma sempre di grande pathos grazie all’interpretazione accorata di Lori McKenna, che conferma anche in questo brano la sua statura di autrice di vaglia.

Cosa aggiungere? Un bel disco, una piacevole sorpresa per chi già non lo conosceva, una conferma per tutti gli altri.

Bruno Conti

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“Texan Troubadour”! Walt Wilkins – Plenty

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Walt Wilkins – Plenty – Ride Records 2012

Se dovessi stilare una lista personale di songwriters texani, Walt Wilkins sarebbe il primo nome da inserire. Texano autentico, Walt è cresciuto tra Austin e San Antonio, ha suonato per anni la chitarra solista in bands di altri cantautori, influenzato da personaggi come Lowell George, Kevin Welch, l’idolo locale Pat Green, prima di iniziare una sua solida carriera solista. La mia conoscenza con Walt Wilkins avvenne grazie alla copertina (una foto del ponte del Nashville) del suo terzo disco Rivertown (2002), che completava un bel trittico iniziato con l’album d’esordio Bull Creek Souvenir (1994), seguito da Fire Honey & Angels (2000). Dopo l’interessante Mustang Island (2004), Walt da vita ai Mystiqueros (una specie di supergruppo), una formazione con ottimi musicisti della scena locale di Austin, modificando il suo “sound” tra reminiscenze country anni ’70 e l’anima più rock della West Coast, una simbiosi che si realizza nell’ottimo Diamonds In The Sun (2007).

In questo nuovo lavoro Plenty si presenta con una band tosta che si compone dei chitarristi Brett Danaher, Joe Newcomb, Marcus Eldridge, Ray Rodriguez alle percussioni e batteria, Ron Flynt al piano, Dick Gimble al basso, Lloyd Maines alla pedal-steel, le vocalist Lisa Morales, Kelly Mickwee,  la bella moglie Tina Mitchell Wilkins (con due album solisti al suo attivo Espiritu (2006) e Morning Glory (2011), e aiutato dal talento di validi autori come Monte Warden, Billy Montana, Liz Rose, e la brava cantautrice Lori McKenna.

L’iniziale Just Be è una country-ballad che gode dell’apporto di una pedal-steel, l’unica firmata da Wilkins in solitaria, le altre sono tutte collaborazioni con i nomi citati, ed è seguita da una acustica e romantica Hang On To Your Soul con il violino in evidenza. Ain’t It Just Like Love e Soft September Night sono due brani dalla ritmica intensa, dove brillano dobro, chitarre e nuovamente pedal-steel. Something Like Heaven firmata da Liz Rose ruba il cuore, una ballata notturna con un superba atmosfera, dove uno straordinario Walt Wilkins si cala nella parte, regalandoci la “perla” del CD, cui fa seguito un altro pezzo leggero e delicato come Rain All Night, sostenuto dalle armonie vocali dalle “ladies”. Si torna alle sfumature country con A Farm To Market Romance, mentre Maybe Everybody Quit Cheatin’ e Like Strother Martin sono piccoli gioielli, semplici, lineari, di pura musica texana, che evocano i grandi cantautori country-folk degli anni ’70 (uno su tutti il suo mentore Gram Parsons). Gray Hawk è scritta a quattro mani da Liz e Lori McKenna, un brano lento dalla melodia delicata, con il notevole supporto del controcanto di Lori, per la seconda “gemma” del disco. Chiudono una Under This Cottonwood Tree che parte lenta ma poi si sviluppa con l’aggiunta della ritmica e centrali interventi delle chitarre e della steel, mentre Between Midnight & Day è una delicata composizione per voce e chitarra, cantata da Walt con voce calda, dolce e penetrante.

Con Plenty, Walt Wilkins ci propone country-folk-ballads di buon spessore che canta molto  bene, con personalità e temperamento, storie che esprimono sentimenti semplici e comuni, capaci di emozioni intense che catturano inesorabilmente, ed arrivano al profondo del cuore. Wilkins è stato da molti accostato a gente come Kevin Welch, Chris Knight, Pat Green, Sam Baker (tra la crema dei songwriters texani), ma sarebbe ora che gli venissero riconosciute anche le sue qualità nell’ambito dell’attuale scena musicale americana.

Tino Montanari

Novità Di Gennaio Parte III – Wanda Jackson, Eric Andersen, Cold War Kids, Amos Lee, Lori McKenna, Vinicius Cantuaria & Bill Frisell, Eccetera

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Proseguiamo con il terzo elenco di novità di prossima pubblicazione in gennaio. Prima una precisazione o due: nel Blog di Repubblica c’è la lista dei migliori dell’anno 2010 fatta da Ernesto Assante e pensavo di pubblicarla come ho fatto per tante altre liste. Però quando ho letto nell’elenco tra i migliori del 2010 il disco degli Iron & Wine Kiss Each Other Clean che uscirà il 25 gennaio prossimo venturo (24 se abiti nel Regno Unito) mi sono girate un po’ le balle, perché inserire dischi non ancora pubblicati solo per fare i “fighi”?! Si chiamano forzature giornalistiche. Un po’ come quella che fecero i giornalisti americani ai tempi per inserire London Calling dei Clash tra i migliori dischi degli anni ’80 (anzi il migliore!) pur essendo uscito il 14 dicembre del 1979 (Ok, lo so che in America è uscito in ritardo a gennaio del 1980, ma non è un motivo valido). Tornando alla lista erano pure troppi, 30 titoli in ordine sparso come pure ha fatto il Mucchio Selvaggio che ne ha pubblicati 20, ma in ordine alfabetico e io non li pubblico. Potete sempre leggerli sulle riviste o in rete.

Per la serie “par condicio”, niente sconti, anche il Buscadero nella sua “mitica” rubrica New releases inserisce (già da un po’ di tempo, come altri titoli “eterni”, che non escono mai) un nuovo album di Chris Barber Memories of My Trips, uno dei luminari della musica inglese, disco dove partecipano, per la serie chi più ne ha più ne metta, Van Morrison, Eric Clapton, Mark Knopfler, Sonny Terry & Brownie McGhee, Rory Gallagher, Muddy Waters, James Cotton, Paul Jones. Lonnie Donegan, Jeff Healey e tanti altri. Incuriosito sono andato a controllare sul sito Proper che dovrebbe essere l’etichetta (sarà l’etichetta), ma non ho trovato nulla. Dopo vari giri finalmente ho trovato una data di pubblicazione: 5 settembre 2011! E allora, basta!!

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Un’ultima notizia in breve prima di passare alle novità. Martedì scorso, 4 gennaio 2011 è morto a Londra Mick Karn, mitico bassista dei Japan. Aveva 52 anni!

Torniamo alle novità e apriamo con il nuovo disco di Wanda Jackson, si chiama The Party Ain’t Over esce per la Nonesuch/Warner il 25 gennaio ed è prodotto da Jack White. Evidentemente dopo l’ottimo Van Lear Rose di Loretta Lynn, che all’epoca aveva 71 anni, la bella moglie di White, Karen Elson (che partecipa all’album) gli lascia solo produrre ultrasettantenni visto che Wanda Jackson di anni ne ha 73, ma non li dimostra, è sempre the Queen of Rockabilly o The Female Elvis. La grinta c’è sempre, le canzoni pure e non mancano neppure i buoni musicisti: oltre a White e la Elson, ci sono Carl Broemel dei My Morning Jacket, Patrick Keeler e Jack Lawrence (dei Greenhorses e Raconteurs) e, per tenere le cose in famiglia, Jackson Smith che è il marito di Meg White nonché il figlio di Patti Smith. La data è sempre il 25 gennaio.

Così pure per un altro disco che si preannuncia assai interessante, il nuovo album di Amos Lee Mission Bell, il quarto che pubblica per la Blue Note e che da quello che ho sentito mi pare il suo migliore. Partecipano Sam Bean degli Iron & Wine, Lucinda Williams, Willie Nelson, Priscilla Ahn, Pieta Brown e James Gadson.

I californiani Cold War Kids sono al terzo album, sempre per la V2/Coop/Universal, si chiama Mine Is Yours, più raffinato e complesso dei precedenti vede Jacquire King alla produzione. Vedo delle facce perplesse? E’ il produttore di Modest Mouse, Norah Jones, Kings Of Leon e collaboratore di Tom Waits!

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Questa storia è curiosa e la racconto: Eric Andersen è uno dei più grandi cantautori viventi e sta per pubblicare, in gennaio ma il giorno non lo so, per l’etichetta tedesca indipendente Meyer Records!!, The Cologne Concert. Il disco che vede la partecipazione dell’ottimo violinista italiano Michele Gazich e della moglie di Andersen Inge è gia stato recensito dal Buscadero ma temo che la reperibilità sarà tragica. Casualmente. girando in rete alla ricerca di notizie sul disco (e l’unico posto è il sito della casa da cui ho scaricato la copertina Recordings.htm), mi sono imbattuto non ricordo in quale sito ma mi ha colpito il fatto che l’altro Andersen quello bravo non veniva neppure citato mentre questo omonimo al suo esordio Eric Andersen,e il suo disco Plane Rides & Ocean Tides veniva paragonato a Piano Man di Billy Joel e a Goodbye Yellow Brick Road di Elton John, entrambi del 1973. Siccome a me queste cose intrigano e intrippano, mi sono cercato il CD che è uscito a novembre del 2010 a livello molto indipendente e me lo sono sentito. Altre influenze segnalate: per la serie voliamo basso, i Pink Floyd più melodici di Dark Side Of The Moon e Ben Folds. E volete sapere una cosa? Stranamente tutto vero, con le dovute simmetrie e gerarchie sonore ma vero.

Però rimango fedele all’altro Eric Andersen e attendo con piacere il suo disco. Una cantautrice non nuova, ma molto brava, è Lori McKenna, questo Lorraine che esce sempre il 25 gennaio (come tutti gli altri dischi citati in questo Post) per la Signature Sounds (quindi distribuzione IRD) è il suo quinto album (oltre ad una raccolta di demo The Kitchen Tapes).

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La Naive pubblica anche (oltre a Marianne Faithfull) il nuovo album di Vinicius Cantuaria e Bill Frisell, si chiama Lacrimas Mexicanas, sono loro due, le loro chitarre e la voce sognante di Cantuaria.

Per concludere un DVD, curioso ed interessante, già pubblicato in America nello scorso marzo 2010 in NTSC zona 1 e ora distribuito anche da noi dalla Universal sempre il 25 gennaio. Si tratta di The T.A.M.I. Show, che sta per Teenage Awards Music International ovvero un concerto tenuto nel 1964 e che è un formidabile documento di quegli anni: partecipano Rolling Stones, James Brown, Chuck Berry, Beach Boys, Marvin Gaye, Smokey Robinson & The Miracles, Supremes, Lesley Gore, Gerry And The Pacemakers, Jan & Dean, Billy J Kramer & The Dakotas, The Barbarians (questi non li ricordo). Il tutto in glorioso bianco e nero per un totale di quasi 2 ore.

E’ tutto, alla prossima!

Bruno Conti