Sempre Blues, Ma Di Quello Tosto! The Bob Lanza Blues Band – ‘Til The Pain Is Gone

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The Bob Lanza Blues Band – ‘Til The Pain Is Gone – Self Released

Bastano sei o sette secondi dal’inizio del primo brano, Maudie, per capire che Bob Lanza tiene fede al suo motto su come suonare il Blues: “dal profondo del cuore, con ferocia, come se la tua vita dipendesse da questo!”. Bravo, sottoscrivo! In un mondo dove ogni mese escono decine di dischi di blues, per emergere, oltre alla tecnica, contano la passione e il feeling, e in questo CD ce ne sono a tonnellate di entrambe.

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Lanza non è uno di quei musicisti che si risparmia, che viaggia in punta di fioretto (o di chitarra, se preferite), il suo stile e il suo approccio alla musica sono quasi sempre entusiasmanti, il suono è vigoroso e rigoroso al tempo stesso, si usa dire “blues with a feeling” e Lanza, con l’aiuto della propria band confeziona un album dove la materia è rivista in modo viscerale, un blues elettrico ad altra gradazione, dove i protagonisti sono la chitarra e la voce del nostro, ma anche gli altri solisti, l’armonicista David “Snakeman” Runyan e il tastierista Ed “Doc” Wall, hanno un ampio spazio (musicisti coi soprannomi, già sono bravi a prescindere) https://www.youtube.com/watch?v=78Xw5nXUP4I .

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Però poche balle, quello che conta è Bob Lanza, un chitarrista di quelli completi, come si desume proprio da Maudie, una cover di Mike Bloomfield, dove l’intensità dell’approccio chitarristico ricorda moltissimo quella dello scomparso musicista di Chicago, Illinois, un misto di furia e classe, note lunghe e rabbiose, precise, un “piccolo aiuto” dal figlio Jake, che si alterna nei soli di questo piccolo gioiellino che apre le danze dell’album, “Doc” Wall a piano e organo sottolinea con maestria e la famiglia Lanza illustra cosa voglia dire suonare il Blues, anche se vieni dal New Jersey, che non è uno dei “reami” delle 12 battute, ma tant’è! Lo slow blues I’ll Take care of you è anche meglio, David “Snakeman” Runyan con la sua armonica è perfetto nel supporto solistico, Wall ci delizia sempre con le sue tastiere e con questi assist, Lanza, anche ottimo vocalist, ci spiega ancora una volta cosa vuol dire suonare il Blues, sentimento e doti tecniche, fraseggio e tono esemplari, la solista che “punge”, il tutto unito in un sound senza tempo, sentito mille volte, per un rito che si rinnova sempre, ma che se gli interpreti sono di qualità, e qui ci siamo, non è mai stanco e risaputo, come succede viceversa in molti dischi di presunti novelli geni della chitarra https://www.youtube.com/watch?v=78Xw5nXUP4I .

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Questo è “solo” blues, poco rock (ma un qualche “estratto” c’è), se gente come Earl, Robillard, il citato Bloomfield, ma anche il Clapton più canonico, possono essere usati come pietre di paragone, non si può non risalire anche a “maestri” come Jimmy Dawkins, Luther Allison, Buddy Guy, tutta gente che ha sempre instillato una certa ferocia nel proprio approccio alla chitarra, la chiusura di ‘Til The Pain Is Gone quando Lanza quasi si trasfigura nel lungo assolo finale è un ottimo esempio di questo assunto. Lo strumentale Snakebyte offre ampio spazio all’armonica di Runyan ed è più classico, vicino agli stilemi del blues urbano, anche se il fluido divenire della chitarra è sempre un piacere da ascoltare. Il momento topico del disco è nella lunga Outskirts Of Town, ancorato dalla ritmica metronomica e precisa del batterista Noel Sagerman e del bassista Reverend Sandy Joren (ti pareva che non avesse anche lui un soprannome!), Bob Lanza rilascia un assolo di quelli da manuale del perfetto bluesman, un fiume di note, un crescendo irresistibile, da applauso a scena aperta, con l’ottimo Lee Delray, altro chitarrista di vaglia a dividersi il proscenio, alla seconda solista.

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I’m ready è proprio il brano di Willie Dixon, Southside Chicago Blues con armonica e chitarra alternate, in Every Night And Every Day fanno capolino anche dei fiati, per questo standard del repertorio di Magic Sam, più sanguigno e “cattivo” del precedente, con Runyan e Wall che tirano la volata al “solito” assolo di Lanza, che esplora ancora una volta il manico della sua chitarra con un vigore inusitato https://www.youtube.com/watch?v=s_cmfVUBhp4 . Build Me A Woman è uno shuffle texano più risaputo ma sempre gradevole, ma Sugar Sweet ci riporta immantinente in quel di Chicago con il florilegio pianistico di Wall a titillare i suoi pard nell’unico brano dove la chitarra “riposa”. Lonesome vede Lanza all’acustica per un intermezzo di pace in tanta elettricità, replicato anche nella successiva Our Life, una sorta di “boogie acustico”, solo voce, armonica e chitarra. Un trio di brani, che per quanto piacevoli spezzano il ritmo del resto dell’album e la conclusiva Mojo, cantata dal batterista Sagerman non riesce a recuperare completamente il drive della prima parte del disco, che il vecchio Muddy avrebbe sicuramente approvato. Un bel disco, con una parte finale più “selvaggia” sarebbe stato quasi perfetto, ciò nondimeno merita, anche se è uscito da qualche mese e non si trova con facilità!

Bruno Conti   

Chi E’ Costui? Non Un Carneade Qualsiasi! Paul Filipowicz – Saints And Sinners

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Paul Filipowicz – Saints And Sinners – Big Jake Records ***

In questo caso un bel “Ma chi è costui?” mi scappa proprio! Soprattutto nella scena americana del Blues e dintorni ci sono decine, centinaia, forse migliaia di musicisti che onestamente tirano la carretta con la loro musica e non più del 10%, a voler essere ottimisti, riesce a varcare, a livello di fama, i confini degli Stati Uniti. Localmente ci sono personaggi conosciuti nella regione dove operano quando non nella contea o nell’area metropolitana e, diciamocelo, francamente, di molti di questi bluesmen non è che sia imprescindibile avere contezza. Prendiamo questo Paul Filipowicz che ho appena finito di distruggere a livello virtuale, la sua area di azione è nella zona di Madison, la capitale del Wisconsin (anche se è nativo di Chicago, e questo gli fa guadagnare punti), che non pare avere regalato alla musica nomi che rimarranno imperituri nella storia: ricordo solo Ben Sidran e Clyde Stubblefield (il famoso “funky drummer” di James Brown, una bella foto dei due insieme c’è comunque), figuriamoci gli altri.

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In effetti in città operavano anche Butch Vig e i suoi Garbage che avevano pure un famoso studio di registrazione in loco, ma ha chiuso nel 2010. E quindi? Niente! Era solo per dire che questo ex giovanotto (è del 1950, 64 anni fra poco), pur non provenendo da zone geografiche dove il Blues vive e prospera, è un buon musicista, ottimo chitarrista, ben addentro al classico Chicago sound, ma con abbondanti spruzzate di rock, e se vince premi a raffica in ambito locale un motivo ci sarà. Con sei album alle spalle, più questo nuovo Saints And Sinners (ma non era di Johnny Winter?), il precedente Chickenwire, un Live del 2007, il migliore; il buon Paul ha iniziato la sua carriera discografica abbastanza tardi, nel 1996, ma era in pista e sui palchi già dagli anni ’70 http://www.youtube.com/watch?v=It2YDncd3-s .

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E tra l’altro, astutamente, alcuni brani, tre, che aveva inciso nel 1982, ma non erano mai stati pubblicati, vedono la luce come bonus del suo nuovo CD. Ma , questo è “repertorio” classico, una domanda sorge spontanea: è bravo? Sì, direi più della media di molti dischetti che ultimamente mi capita di recensire e mi sembrano indirizzati verso un pubblico di già convertiti alle 12 battute classiche, anche piuttosto stancamente. Nel caso di Filipowicz mi pare che ci sia qualcosa in più: la chitarra inizia a “imperversare” dall’apertura con l’ottimo strumentale Hound Dog Shuffle, dove la solista ha una grinta rock che si associa agli axemen più tosti, un sound che il suo vecchio datore di lavoro Luther Allison avrebbe sicuramente apprezzato, ma anche gente come Stevie Ray Vaughan o Buchanan e il Clapton più attizzato. Impressione confermata dall’ottima Bluesman, con la sezione ritmica che pompa di gusto, Jimmy Voegell a piano e organo supporta benissimo la chitarra che continua a fare sfracelli, peccato che il brano venga sfumato brutalmente. Devo dire che Paul Filipowicz, pur non essendo un cantante formidabile, a livello di foga e di grinta ci mette del suo, come conferma il tiratissimo slow blues Your True Lovin’ che potrebbe ricordare gente come il Bugs Henderson del periodo migliore o lo stesso SRV citato prima, Texas blues rock della più bell’acqua, veramente notevole. Hootin’ & Hollerin’ ha qualcosa del bayou rock dei Creedence, alla Suzie Q, ma anche degli Humble Pie dei tempi che furono, la chitarra viaggia alla grande nei quasi 6 minuti del brano e il pianino di Harris Lemberg, l’altro tastierista che si alterna con Voegell, fa il suo dovere pienamente http://www.youtube.com/watch?v=H9B_udZaH04 .

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Good Rockin’ ha uno spirito R&R mutuato dal Johnny Winter di And Live o dall’Alvin Lee delle esibizioni live; “Fat Richards Blues” è uno slow dedicato a Richard Drake, il sassofonista che suonava con lui ad inizio carriera (appare nei brani registrati nell’82) ed è uno strumentale degno del miglior Roy Buchanan, mentre Where The Blues Come From è un’altra “schioppettata” di pura energia chitarristica. Everyday, Everynight ci riporta al blues più sanguigno e genuino, meno di tre minuti ma vissuti intensamente e Hey Bossman, che conclude l’album ufficiale, è un boogie in tutto degno delle migliori cose di ZZ Top o Thorogood, micidiale. In conclusione le bonus del 1982, registrazione un po’ “primitiva”, sempre parecchia grinta ma senza la classe acquisita negli anni: una cover di un classico del funky come Back Door Santa di Clarence Carter http://www.youtube.com/watch?v=zaS3OeTdQ58  e una di How Many More Years di Chester Burnett a.k.a. Howlin’ Wolf, che se non ha la virulenza di quella dei Led Zeppelin, cionondimeno mostra un talento della chitarra già in fase di formazione. Non so dove sia stato “costui” per tutti questi anni, ma ora è veramente bravo, un “Carneade” assolutamente consigliato: il CD è in giro da un annetto, non si trova con facilità ma vale la pena di cercarlo!                

Bruno Conti

Tra Bluesmen Ci Si Intende! Walter Trout & His Band – Luther’s Blues A Tribute To Luther Allison

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Walter Trout And His Band – Luther’s Blues – Mascot/Provogue

Il “Walterone” da Ocean City, New Jersey, ma residente in California da illo tempore (da non confondere con quello della Littizzetto e dal nostro Walter “ma anche ” e mi chiedo se più di un californiano perplesso si starà chiedendo di cosa cacchio sto parlando), quel Walter Trout colpisce ancora.

Il nuovo album si chiama Luther’s Blues e come il titolo lascia intendere si tratta di un omaggio a Luther Allison, uno degli ultimi grandi chitarristi prodotti dal blues elettrico della seconda e terza generazione, forse appena sotto i tre King, Buddy Guy  e anche Otis Rush, ma con Jimmy Dawkins, Albert Collins, Magic Sam (forse nella prima fascia) e pochi altri di cui al momento non mi sovvengo, tra coloro che più hanno segnato l’ascesa della chitarra solista nel blues classico. Allison è stato uno dei chitarristi più “taglienti” e vigorosi della scena di Chicago, ma deve la sua fama soprattutto alle lunghe tournée europee e ai suoi concerti che rivaleggiavano con quelli di Springsteen per durata, spesso tra le tre e le quattro ore, vere e proprie maratone in cui regalava al pubblico un torrente di Blues come pochi altri performers hanno saputo fare. Ma Luther era anche un notevole autore di brani, spesso in coppia con il suo organista James Solberg e questo CD riprende alcuni dei migliori brani del suo repertorio nella rilettura di Walter Trout. Altro musicista, e chitarrista soprattutto, che ha fatto della potenza e della energia, unite ad una tecnica invidiabile, una delle armi più “letali” dell’attuale scena blues. Il sottoscritto si è occupato parecchie volte del nostro amico un-grande-chitarrista-in-tutti-i-sensi-walter-trout-common-g.html, che peraltro non delude mai, i suoi lavori sono una delle poche certezze per gli appassionati del rock-blues più ruspante e genuino, il capolavoro forse non è nelle sue corde ma i suoi dischi sono sempre solidi e ricchi di soddisfazione per chi ama il genere.

Anche questo Luther’s Blues non tradisce la fama dell’ex Bluesbreakers e Canned Heat (sicuramente non le migliori versioni di entrambe le band) e attraverso undici cover e un brano scritto appositamente da Trout per l’occasione è un genuino omaggio all’arte di un personaggio che forse, al di fuori dei canali specializzati, non ha goduto della fama e dell’apprezzamento che avrebbe meritato. E così scorrono brani come I’m Back, tirata allo spasimo, slow blues di grandissima intensità come la potente Cherry Red Wine, carrettate di note come la poderosa Move From The Hood, di nuovo lenti torrenziali come la lirica Bad Love. E ancora tirate versioni della hendrixiana, almeno nella versione di Trout, Big City, con l’organo di Sammy Avila in bella evidenza (ma in tutto l’organo le tastiere svolgono un ottimo lavoro di supporto).

Non mancano le atmosfere funky e cadenzate dell’ottima Chicago ma è nei brani lenti che il disco regala i momenti migliori, come nella malinconica Just As I Am, con Trout che si conferma ancora una volta anche buon vocalist. Forse lo spirito di Luther Allison rivive di più in brani come Low Down And Dirty dove il figlio Bernard regala al genitore una bella performance alla seconda voce e alla slide per un duetto che rinverdisce i tempi d’oro del babbo. Il sottoscritto comunque predilige quei lentoni blues in punta di chitarra dove la tecnica di Walter Trout ha modo di esplicarsi al meglio, come nella bellissima Pain In The Streets, ma anche in quelli più torrenziali come la rocciosa All The King’s Horses. Notevoli anche la lunga Freedom che ha delle derive quasi psichedeliche e il manifesto di una carriera, l’unico brano firmato dallo stesso Trout, When Luther Played The Blues, in sette minuti la storia di una vita per la musica, un ulteriore grande slow blues. Semplice e diretto, un bel disco, tra i migliori nel suo genere.

Bruno Conti

Nuovi Incroci Di Famiglie Blues. Allison Burnside – Express

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Allison Burnside – Express – Jazzhaus Records

Per la serie “Figli di…”, nelle varie combinazioni possibili, l’accoppiata nera tra Bernard Allison e Cedric Burnside ci mancava, ma ora arriva questa Express a colmare la lacuna. Bernard, neanche a dirlo, è il figlio del grande Luther, e con l’ultimo Live At the Jazzhaus, recensito dal sottoscritto, aveva dato segnali di risveglio, dopo un paio di dischi non memorabili di-padre-in-figlio-sempre-blues-ma-bernard-allison-live-at-t.html, Cedric, batteria, chitarra e voce, è il figlio del figlio (ovvero il nipote, ma serviva per il giochino dell’introduzione) di R.L. Burnside,  e oltre al proprio Cedric Burnside Project, ha collaborato con Lightnin’ Malcolm, con i vari fratelli Dickinson, con lo zio Garry e con componenti della famiglia Kimbrough, un casino di intrecci, e nel 2012 ha vinto anche il  premio come miglior batterista Blues ai premi che si tengono in quel di Memphis, Tennessee, ma nel disco ha voluto suonare anche la chitarra. Nelle note del CD, oltre a Dio e parenti vari, i due ringraziano Trenton Ayers, chitarra, Erick Ballard, batteria e Vic Jackson, basso, che hanno condiviso con loro le sessions di registrazione che si sono tenute lo scorso anno in quel di Minneapolis.

Accanto ad una serie di brani originali firmati dalla coppia, spicca un terzetto di cover di sicura presa: Nutbush City Limits, il classico di Ike & Tina Turner, viene riletto come un grintoso blues-rock, molto chitarristico (come gran parte del disco, peraltro), con le due voci che si alternano e si miscelano con successo, Hidden Charms, un brano di Willie Dixon di fine anni ’50, nel repertorio di Howlin’ Wolf, ma che fu anche il titolo del suo ultimo grande album, vincitore di un Grammy nel 1989 e che seguiva di poco le sue vittorie legali con i Led Zeppelin per le accuse di plagio ai suoi brani, ma questa è un’altra storia. Tornando a Hidden Charms, il brano, viene qui rivisitato in uno scoppiettante stile cajun rock, con tanto di fisarmonica, completamente differente dal sound del resto dell’album ma non per questo meno valido e molto trascinante e divertente. L’ultima cover è quella di Going Down, il celebre brano di Don Nix, che, per i misteri del Blues, anche gli Stones, che l’hanno eseguita nei recenti concerti a Newark e Londra con Jeff Beck e John Mayer & Gary Clark Jr.,  hanno presentato come un brano di Freddie King, che per l’amor di Dio l’ha incisa, ma lasciando, per l’ennesima volta, nel dimenticatoio Nix, che l’ha scritta, creando quel riff inconfondibile, che se dovessi scegliere, quasi tutti ricordano nella versione tiratissima di Beck, per la precisione. Bella la versione, in ogni caso, di Allison e Burnside, con doppia chitarra solista e tanta grinta.

Il resto è del sano blues elettrico, non particolarmente innovativo, ma neppure troppo routinario, in una fascia qualitativa medio alta, per bluesofili incalliti, ma che amano anche delle contaminazioni con il rock, senza per questo scadere in caciare esagerate. Dalla classica Backtrack, che si avvicina più allo stile di Allison senior, Chicago blues ad alta densità chitarristica quindi, che allo stile juke-joint sudista della famiglia Burnside. Il riff reiterato, ipnotico, con inserti di chitarra acustica di Do You Know What I Think, è più vicino all’altra scuola mentre Why Did I Do It, con un suono ispirato da Stones, ZZ Top e altri praticanti di uno stile più vicino al rock ma farcito di blues, soddisferà i palati di chi ama North Mississippi Allstars e Black Crowes, ma anche l’Hendrix dei Band of Gyspsys, sempre con quella bella alternanza delle due voci soliste che caratterizza tutto l’album. Anche Southshore Drive ha la giusta grinta rockistica, mentre Fire It Up, è molto più funky e con degli accenti vagamente rappati non particolarmente memorabili. Di Mississippi Blues basterebbe il titolo per capire che è una pausa acustica nel mood prevalentemente tirato di questo Express. Stanky Issues è un breve strumentale che ci permette di apprezzare la tecnica solista dei protagonisti di questo CD mentre That Thang è uno dei quei brani superfunky, francamente inutili, che ogni tanto scappano all’Allison junior, Bernard.

Bruno Conti

Di Padre In Figlio, Sempre Blues Ma…Bernard Allison – Live At The Jazzhaus

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Bernard Allison Group – Live At The Jazzhaus – 2CD o DVD Jazzhaus Records

Torna Bernard Allison, a distanza di pochi mesi dal precedente The Otherside bernard%20allison  e lo fa con un bel doppio CD dal vivo (o DVD) che risolleva le sue quotazioni un po’ appannate da un paio di dischi non all’altezza della sua fama. Per chiarirlo subito, Bernard non è ai livelli del babbo Luther Allison, uno dei migliori musicisti della seconda generazione del Blues elettrico, ma è comunque un musicista di notevole spessore, buon cantante, ottimo chitarrista, influenzato tanto dal blues classico dei vari King e di Muddy Waters quanto da Johnny Winter e Stevie Ray Vaughan oltre che dal padre. Non manca anche una notevole passione per il funky e la soul music più ritmata tra le influenze del nono figlio della famiglia Allison, che si è fatto la sua bella gavetta nella band di Koko Taylor e poi nel gruppo del babbo e dal 1990, anno dell’esordio con The Next Generation, ha già pubblicato una quindicina di album per diverse etichette.

Questo Live At The Jazzhouse si inserisce sicuramente tra i migliori della sua produzione: accompagnato da un solido quintetto dove spicca il sax di Jose James che è un po’ il secondo solista della band in alternativa al tastierista Toby Lee Marshall il concerto, nella classica guisa delle soul and blues revue parte con uno strumentale, Send It In che è il classico brano per rompere il ghiaccio con tutti i musicisti che scaldano il pubblico per la stella della show con assoli di sax, organo e chitarra.Stella, Bernard Allison che arriva e parte con una versione ricca di funky soul di I Wouldn’t Treat A Dog dal repertorio di Bobby “Blue” Bland che forse in omaggio al nome del suo interprete originale è un po’ “blanda” (lo so, battuta scarsa)! L’altra cover del CD è una versione decisamente più vigorosa di quello che viene considerato il primo brano della storia del R&R, Rocket 88 attribuita a Jackie Brenston ma che proviene dalla fertile inventiva del primo Ike Turner. Quando con Tired Of Tryin’ i ritmi si fanno più funky-rock sembra di ascoltare una versione dei Band Of Gypsys con sax e tastiere aggiunti anche se più all’acqua di rose ma la chitarra con e senza wah-wah viaggia che è un piacere.

So Devine è una sorta di slow soul alla Robert Cray con la bella voce di Allison in evidenza mentre Black and White alza ritmi ed intensità mantenendo quel filone funky con basso slappato che appartiene allo stile del nostro amico. Life Goes On è uno di quei bei pezzi blues che avrebbero fatto la gioia di babbo Luther, Allison Way addirittura batte territori reggae-blues che è un filone non molto frequentato, peculiare ma non malvagio. Il secondo CD parte con una Groove me sempre funky ma con quei richiami alla SRV mentre The Otherside conferma la non eccessiva validità della versione di studio tratta dall’ultimo album, non memorabile per usare un eufemismo. Decisamente meglio la lunga Just My Guitar and me dove il contemporaneo uso di slide e wah-wah conferisce sonorità particolari alla chitarra di Bernard Allison che finalmente dà sfogo alle sue notevoli doti di solista e non per nulla il brano era firmato anche da Luther Allison.

Tobys B3 come da titolo è una improvvisazione di organo di Marshall mentre Serious era uno dei cavalli di battaglia di Allison Sr. e Bernard Allison e la sua band gli rendono giustizia con una versione monstre di oltre 15 minuti con tutti i solisti di volta in volta al proscenio e il leader del gruppo che ci regala un assolo di quelli magistrali per questo slow blues in crescendo. Si poteva anche finire qui ma Chills and Thrills tra Hendrix e Stevie Ray non è male pure nella sua eccessiva funkytudine, anche se l’assolo di chitarra è micidiale come di consueto e anche il sax si difende.

Bravo anche se non fondamentale, sempre Blues ma…il babbo Luther era molto più bravo.

Bruno Conti

It’s Blues Time! Bernard Allison – The Otherside

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Bernard Allison – The Otherside – CC Entertainment/Jazzhaus Records

Sono parecchi anni che Bernard Allison ha idealmente raccolto il testimone del Blues dal padre Luther ma la lunga ombra del genitore continua a distendersi attraverso pubblicazioni postume (tipo il CD+DVD Live Songs From The Road di cui vi parlavo non tanti mesi orsono). Ma già prima del 1997, anno della scomparsa di Luther,  le loro carriere si erano intrecciate in vari modi e non sempre in modo favorevole a Bernard. Ultimo di nove figli aveva incominciato ad accompagnare il padre per concerti e festival blues già negli anni ’70 ereditando questa insana passione per la musica blues. Poi negli anni ’80 ha iniziato la gavetta facendo il chitarrista nella band di Koko Taylor e poi come direttore musicale nella Touring band del babbo. Il suo esordio risale al 1990 con il profetico The Next Generation e da allora ha pubblicato, tra dischi di studio e live, qualcosa come 15 dischi.

Entrambi sono molto influenzati dal sound e dallo stile di Albert Collins quindi bisogna dire che certi tratti comuni nella loro musica discendono dallo stesso ceppo. Non sempre gli album di Bernard mi hanno entusiasmato ma Keepin’ The Blues Alive del 1997 e il disco (con DVD) dal vivo Energized-Live In Europe sono esempi più che rispettabili di blues elettrico nella sua migliore accezione. Spesso influenzato anche da soul, funky e R&B questo ultimo capitolo della saga, The Otherside devo dire che non rientra tra i suoi dischi più memorabili. Forse anche la produzione di David Z. c’entra qualcosa.

Il tocco chitarristico e la voce sono sempre più che buoni: dall’iniziale strumentale Send It In, veloce e concisa ma ricca di spunti della solista di Bernard ci si aspetta di essere di fronte a un disco notevole. Ma poi già da I Wouldn’t Treat A Dog (The Way You Treated Me), si insinua quel funky-soul-blues un po’ di maniera alla Robert Cray più svogliato con il sax piuttosto risaputo di Jose Ned James che sostituisce (spesso) la chitarra pungente di Allison a favore di un sound “smooth and mellow” che non rende piena giustizia al brano di Bobby Bland! Anche la vagamente jazzata Tired Of Tryin’ non è particolarmente eccitante. E pure Simple As That si muove su traiettorie limitrofe al blues, più soul ma nella sua immediatezza e con la bella voce di Bernard in evidenza non è malaccio nonostante quel sassofono invadente e zero chitarre in vista.

The Otherside è decisamente più pimpante, con la solista in primo piano e un suono incisivo funky-blues ereditato da Collins e Luther. Slide Master, un titolo, un programma prosegue in questa serie positiva come la successiva Allison Way che illustra il sound di “famiglia”, mentre Still Rainin’ scritta e cantata dal tastierista Bruce McCabe ricade nei soliti difetti con sax e piano e iosa ma poca sostanza.

Leavin’ The Bayou, viceversa, è insinuante e vagamente voodoo nelle sue sonorità dalla Louisiana, sicuramente aiutano la voce e la chitarra dell’ospite Lonnie Brooks che attizzano il gruppo di Bernard Allison che piazza anche un assolo dei suoi in risposta a Brooks. Life Goes On è un pimpante Chicago Blues con piano e fiati che finalmente non rompono le balle (nel senso che ci sono ma usati con migliori risultati).  Fire è proprio quella di Jimi Hendrix e finalmente ci ricorda perché Bernard Allison è considerato uno dei più eccitanti performer dal vivo. Clear Vision ha il cuore nel groove blues giusto ma è un po’ moscetta mentre lo slow blues Let’s Try It Again finalmente ci regala la giusta intensità vocale e strumentale anche se un colpo di pistola al sassofonista mi sarebbe scappato ma poi Bernard Allison si fa abbondamente perdonare con l’assolo finale, intenso e scoppiettante.

Nel frattempo, sta uscendo/è uscito (dipende da quando leggerete questa recensione) un nuovo doppio CD (o DVD) dal vivo, Live At The Jazzhaus che mi sembra superiore a questo The Otherside che pure, tutto sommato, non è un disco disprezzabile per gli amanti del Blues.

Bruno Conti

L’Ultimo Ruggito (Postumo) di Un Grande Leone – Luther Allison Songs From The Road

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Concludiamo la trilogia dei “ruggiti” con uno straordinario album postumo di Luther Allison, questo Songs From The Road (un cd + dvd) è la documentazione postuma di uno degli ultimi concerti tenuti da questo grande bluesman nel luglio del 1997 (il 4 per la precisione) al Festival Jazz di Montreal (Canada, non quello svizzero di Montreux, da non confondere). Di lì a poco, gli sarebbe stato diagnosticato un tumore ai polmoni e il 12 agosto a 58 anni non ancora compiuti sarebbe scomparso stroncato da quel male incurabile.

Difficile da credere, vedendo e sentendo, questo disco dal vivo dall’intensità e dalla vitalita straripanti, una sorta di summa finale di uno degli unsung heroes del blues moderno: “scoperto” da Muddy Waters che lo invitò sul palco la prima volta nel 1957 a 18 anni, dopo una lunga gavetta approdò a registrare il suo primo album, per la Delmark, Love Me Mama nel 1967 e, a seguire, fu uno dei pochi bluesmen a registrare tre album per la Motown, negli anni ’70.

Ma la sua fama deriva soprattutto dalle torrenziali esibizioni dal vivo di cui questo Songs From The Road è prova inconfutabile: per la serie non capisco perché, il cd e il dvd venduti in una confezione unica sono diversi tra loro (queste sono le cose che mi fanno impazzire dei discografici, anche quelli indipendenti e benemeriti come Tomas Ruf, fondatore dell’omonima etichetta, perché cazzarola devi fare il cd e il dvd con dei brani diversificati, se uno è la copia del video o viceversa, e lo regali ma lascialo uguale! Fine dello sfogo).

Per la serie, per capire di chi stiamo parlando, il video che vedete qui sotto, tratto dal festival di Montreux (Svizzera) lo vede in jam session con Eric Clapton, Otis Rush e una miriade di altri chitarristi, vedere per godere!


Luther Allison Otis Rush Eric Clapton Mo
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Comunque il cd ha 10 brani, il dvd 7 (non commento per evitare il turpiloquio), ma almeno il contenuto è strepitoso: l’uno-due delle iniziali Cancel My Check, Living In The House Of The Blues è da manuali della musica. Accompagnato dalla solidissima James Solberg Band (un ensemble di bianchì tostissimi che fanno del blues ad alti ottani anche per i fatti loro), Luther Allison estrae dal cilindro, pardon, dalla chitarra una serie di assoli lancinanti e coinvolgenti nella migliore tradizione del blues di Chicago, il tutto condito dalla sua voce potente,una delle più interessanti del panorama blues degli ultimi decenni.

Se aggiungiamo delle versioni da antologia di It Hurts me Too, con una slide da brividi, del successo del momento Serious (solo sul cd), della venata di Rhythm and blues What I have done wrong con assolo devastante annesso o dello slow blues intenso (Watching You) Cherry Red Wine non si riesce a capire perchè questo concerto sia rimasto negli archivi della casa discografica per oltre una decade.

Comunque per chi ama il blues (ma anche per tutti gli altri) ora è disponibile, non lasciatevelo sfuggire!

Bruno Conti