Forse La Migliore Band Southern Dell’Ultima Decade, Veramente Bravi! Otis – Eyes Of The Sun

otis eyes of the sun

 Otis – Eyes Of The Sun – Purple Pyramid Records/Cleopatra

Ultimamente i “miei amici” della Cleopatra sembrano avere messo a segno qualche buon colpo: tra recuperi di vecchi gruppi metal imbolsiti, tributi un po’ raffazzonati, ristampe improbabili di dischi non memorabili di artisti del passato, nel loro catalogo spunta anche qualche gioiellino, tipo l’ultimo di Stills e della Collins (anche se l’etichetta è la Wildflower), quello dal vivo di Tom Killner, buon chitarrista inglese, e poco altro di interesse, almeno per il sottoscritto. Ma devo ammettere che questo nuovo album degli Otis (il loro secondo) è veramente buono: band “sudista” vecchio stampo, vengono dal Kentucky, il loro primo album Tough Times Tribute To John Brim, era un omaggio ad un oscuro bluesman, loro corregionale, noto per avere scritto Ice Cream Man, brano “coverizzato” da varie band hard, tra cui i Van Halen. Del gruppo è stato detto, sintetizzo: “Se c’è mai stata una nuova band che può ricoprire il gradino più alto nell’ambito Jam Blues Rock e il vuoto lasciato da gruppi come gli Allman Brothers, questi sono gli Otis!” Lusinghiero: ma chi lo ha detto? Paul  Nelson, vecchio pard di Johnny Winter, e curatore di tutte le recenti ristampe del texano. Come dite, è il produttore esecutivo di questo Eyes Of The Sun, e appare alla chitarra anche in un brano? Quindi il conflitto di interessi non lo abbiamo inventato noi.

Comunque il disco rimane molto buono e le parole sono veritiere: i quattro robusti giovanotti, a giudicare dalle foto almeno, che compongono la band sono veramente bravi, Boone Froggett, voce e chitarra solista, Steve Jewell, il secondo solista e John Seeley, basso e Andrew Gilpin, batteria, sono un quartetto solido e dalla buona tecnica, che pescano sia dalla tradizione blues, come dal southern degli Allman e anche dei Wet Willie, che aveva maggiori connotati anche errebì. Lo stile è energico e robusto, ma i nostri suonano veramente bene, mi sembrano persino superiori a Blackberry Smoke e Whiskey Myers, i paragoni con gli Allman Brothers non sono sparati a vuoto, l’iniziale Change, con le due soliste che lavorano di fino, una in modalità slide e l’altra normale, ha il piglio e il drive dei vecchi ABB, Froggett non avrà la voce di Gregg Allman o di Van Zant, ma è più che adeguata, il tocco delle due coriste Sandra Dye e Bianca Byrd, aggiunge altri profumi di profondo Sud al sound e il lavoro delle due chitarre è veramente lodevole.

Anche quando il suono si fa più “duretto”, alla Lynyrd Skynyrd per intenderci, ma quelli Doc, come nella successiva Blind Hawg, l’interplay tra le due chitarre è sempre godibilissimo, la ritmica picchia ma con costrutto, anche quello degli ZZ Top potrebbe essere un nome di riferimento, con Billy Gibbons che ha espresso i suoi riconoscimenti per il gruppo “ottime parti cantate, toni di chitarra deliziosi, nell’insieme un ascolto piacevolissimo”, sottoscrivo. Spesso le due chitarre lavorano anche all’unisono, ma il dualismo slide-solista è quello vincente: ribadito nella title track Eyes Of The Sun, che addirittura di slide ne presenta due, e alza la quota blues(rock) dell’insieme, sentito forse mille volte e “revivalista” quanto volete, ma quando è fatto così bene è veramente un piacere, southern rock della miglior grana. Ottima anche Home, tagliente e saltellante, con la slide sempre “piccante”, e poi quando entra anche l’organo Hammond dell’ospite Eddie Stone, il suono si fa ancora più “pieno” e corposo, anche con rimandi ai prima citati Whiskey Myers e Blackberry Smoke, ma comunque con le chitarre che ruggiscono sempre in modo inarrestabile nelle due lunghe Shake e Turn To Stone, la seconda una bella ballatona rock di quelle classiche sudiste, in crescendo, con Froggett che canta anche con impeto e classe.

Washed My Hands è nuovamente dura e tirata, a tutto riff, come degli ZZ Top con doppia chitarra solsita, mentre in Lovin’ Hand arriva anche Paul Nelson alla terza solista e qui due parole urgono, “Lynyrd Skynyrd”, e non si prendono ostaggi. Ma gli Otis sono capaci anche di un approccio più raffinato, con chitarre acustiche, un mandolino (Danny Williams), sonorità quasi orientali, per uno strumentale Relief In C dai profumi indiani, e non sono quelli dei pellirossa. Per le ultime due canzoni torna ancora l’organo di Stone e si prova anche la strada della hard ballad cadenzata, quasi alla Neil Young, con una eccellente Chasing The Sun dove le ennesime ed estese jam chitarristiche delle due soliste sono tutte da gustare. In chiusura con Let Your Love Shine Down sembra quasi di ascoltare la migliore Marshall Tucker Band, anche con piccoli elementi country e soul inseriti nel calderone sonoro, e sempre con quella slide insinuante che scalda i cuori, e occhio al finale. Veramente bravi!

Bruno Conti