Signore E Signori: Il Disco Dell’Estate 2020! Jimmy Buffett – Life On The Flip Side

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Jimmy Buffett – Life On The Flip Side – Mailboat CD

Jimmy Buffett è un personaggio abbastanza unico nel panorama musicale americano: originario dell’Alabama (ma nato in Mississippi), cantautore di stampo classico dichiaratamente ispirato a James Taylor, ha sviluppato fin dai primi anni una passione per i suoni ed i ritmi delle isole caraibiche, creando un sound gioioso e solare in cui le steel drums hanno una parte determinante e perfezionando una lunga serie di album perfetti da ascoltare durante i mesi estivi, con canzoni dai testi spesso ironici ispirati al dolce far niente ed alla fuga dalla dura realtà quotidiana. Il suo songbook è ricco di classici del calibro di Margaritaville, Volcano, One Particular Harbour, Cheeseburger In Paradise, Fins, Come Monday, Changes In Latitudes, Changes In Attitudes e molti altri, ed anche le sue esibizioni dal vivo sono famose, con decine di migliaia di fans presenti ad ogni concerto (noti come “Parrotheads”): tutto ciò ha reso il nostro molto più popolare in America che dalle nostre parti, ed infatti in Europa (Parigi a parte) non viene praticamente mai. Negli ultimi anni Buffett ha parecchio diradato la sua produzione discografica, con un solo album pubblicato nella decade appena trascorsa (a parte il natalizio ‘Tis The SeaSon del 2016 https://discoclub.myblog.it/2016/11/30/caraibi-tradizione-due-modi-diversi-celebrare-il-natale-jimmy-buffett-tis-the-seasonloretta-lynn-white-christmas-blue/ ), l’ottimo Songs From St. Somewhere che era il seguito dell’altrettanto valido Buffet Hotel del 2009.

Life On The Flip Side segna quindi il più che gradito ritorno di Jimmy, e fin dalla confezione esterna (un elegante slipcase che contiene il CD in digipak ed un libretto di ben 62 pagine con foto, testi ed esaurienti note brano per brano) si capisce che il nostro ha fatto le cose in grande. Il layout mi ricorda parecchio quello di Fruitcakes, disco del 1994 che non a caso è per il sottoscritto il suo migliore in assoluto (insieme a Last Mango In Paris del 1985 e License To Chill del 2004), e la cosa di cui però mi compiaccio maggiormente è che, una volta ascoltato l’album, posso affermare di avere tra le mani uno dei lavori più belli di Buffett, e di certo il suo migliore dallo stesso License To Chill in poi. Jimmy è accompagnato come sempre dalla Coral Reefer Band, un formidabile ensemble di ben 12 tra musicisti e coristi (tra i quali spiccano i chitarristi e songwriters per conto proprio Mac McAnally e Will Kimbrough, il tastierista e direttore musicale Michael Utley, lo steel drummer Robert Greenidge e la fantastica sezione ritmica formata da Jim Mayer al basso, Roger Guth alla batteria ed Eric Darken alle percussioni), ma quello che rende Life On The Flip Side un gradino sopra altri lavori di Buffett è proprio l’eccellente qualità delle 14 canzoni, con il nostro responsabile da solo o con altri (soprattutto Kimbrough e McAnally) di un buon 80% del totale; come ulteriore ciliegina abbiamo il coinvolgimento di Lukas Nelson in un pezzo e, in ben tre canzoni, del noto cantautore irlandese Paul Brady, il quale mostra un’insolita vena gioiosa e “vacanziera”.

Inizio splendido proprio con uno dei brani che vede Brady collaborare sia alla scrittura che ai cori: Down At The Lah De Dah è un irresistibile pezzo country caraibico e solare tra i più belli e diretti mai pubblicati da Jimmy, una vera gioia per le orecchie con uno di quei motivi che non escono più dalla testa. Avvio strepitoso, sentire per credere. Who Gets To Live Like This vede la partecipazione di Nelson alla stesura del pezzo (ed ai cori), per una gradevole canzone di stampo reggae e con una linea melodica rilassata e godibile tipica di Jimmy (non manca l’assolo di steel drums); con The Devil I Know “sconfiniamo” in una ballroom texana, per un country’n’roll tutto ritmo e godimento sonoro, con il leader che mostra di divertirsi non poco (e noi con lui), mentre The Slow Lane è un’ariosa ballata con la slide che dona un sapore southern anche se l’elemento reggae non tarda a manifestarsi, un cocktail da gustare tutto d’un fiato. Cussin’ Island non cambia registro, siamo sempre in spiaggia con un margarita in mano ed una palma a farci ombra, Oceans Of Time (secondo brano di Brady, già noto nella versione del suo autore) è invece una splendida ballata lenta di stampo country, suono pieno e melodia avvolgente, tra le più belle del CD. La cadenzata Hey, That’s My Wave, caratterizzata da un ottimo refrain corale, fa tornare la voglia di prendere un volo per le Bahamas (la canzone è dedicata alla memoria di Dick Dale, e non manca un assolo chitarristico di stampo surf).

The World Is What You Make It è il terzo brano di Brady (risalente al 1995), con Paul stesso che duetta assieme a Jimmy e la Coral Reefer Band a fornire un background decisamente rock con le chitarre in primo piano, mentre la divertente Half Drunk ha un raffinato arrangiamento laidback dal sapore dixieland, un tipo di sound in cui il nostro si muove con classe ed eleganza. Mailbox Money è un country-rock elettrico e coinvolgente con un altro di quei ritornelli che non si staccano dalle orecchie, al contrario di Slack Tide che è una deliziosa ballad guidata dalla chitarra acustica e dal pianoforte, un brano che fa emergere il Buffett cantautore “serio”, non di certo inferiore a quello festaiolo. Il CD volge al termine, ma c’è ancora tempo per una doppia full immersion nei ritmi e colori delle isole del Mar dei Caraibi (la bellissima Live, Like It’s Your Last Day, vero riassunto in un titolo della filosofia di vita buffettiana, e la spassosa e trascinante 15 Cuban Minutes) e per il finale intimo e toccante di Book On The Shelf, intensa ballata nobilitata da una fisarmonica sullo sfondo nella quale il nostro dichiara di non avere ancora voglia di appendere la chitarra al chiodo. E questa è una gran bella notizia, perché soprattutto in questi momenti difficili c’è sempre più bisogno di dischi come Life On The Flip Side, in grado di farci trascorrere un’oretta di piacevole spensieratezza.

Marco Verdi

Giù Lo Stetson Di Fronte A “The King Of Country”! George Strait – Honky Tonk Time Machine

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George Strait – Honky Tonk Time Machine – MCA Nashville/UMG CD

Non è facile recensire il nuovo lavoro di un artista che viene considerato quasi all’unanimità un mito vivente del genere musicale di sua competenza: sto parlando di George Strait, uno dei capisaldi mondiali della musica country, che a 66 anni di età ha ancora voglia di fare musica. George, musicalmente parlando erede diretto di Conway Twitty e George Jones, nella sua carriera ha infranto ogni tipo di primato, arrivando in cima alle classifiche 22 volte con gli album e ben 45 con i singoli (record assoluto, non solo country), e riuscendo a vendere più di cento milioni di album dal 1981 (anno del suo esordio): cifre impressionanti, ed il tutto senza scendere più di tanto a compromessi con sonorità pop e easy listening Da buon texano infatti, George ha continuato a fare vera musica country per non essendo mai stato un integralista alla Dwight Yoakam, ma non ha mai nemmeno venduto l’anima al diavolo come ha fatto ad esempio Kenny Rogers: certo, per avere così tanto successo un occhio alle sonorità radiofoniche lo ha sovente buttato, ma sempre con molta misura e senza perdere d’occhio la vera essenza della country music.

E Honky Tonk Time Machine, il nuovo album di George (trentesimo in studio) prosegue il discorso avviato 38 anni fa: puro country classico di matrice texana, con il giusto bilanciamento tra ballate e brani più mossi, una produzione super-professionale (Chuck Ainlay, uno che ha lavorato a lungo con Mark Knopfler, ma anche con Emmylou Harris, le Pistol Annies, Marty Stuart e Mary Chapin Carpenter) ed un manipolo di sessionmen che danno letteralmente del tu agli strumenti, con veri e propri “Nashville Cats” del calibro di Glenn Worf, Paul Franklin, Stuart Duncan, Greg Morrow e Mac McAnally. Il CD inizia con Every Little Honky Tonk Bar, che mantiene ciò che promette il titolo, un honky-tonk ritmato, terso e suonato alla grande, con melodia e refrain coinvolgenti e Strait che mostra di avere ancora una bella voce, chiara, limpida e decisamente giovanile. Two More Wishes (scritta da Jim Lauderdale) è un delizioso pezzo dal sapore anni sessanta e con un sentore di Messico, il tipo di brani che hanno fatto la fortuna dei Mavericks; Some Nights è una ballata dal suono sempre elettrico senza la benché minima deriva pop ed un ritornello evocativo, mentre God And Country Music è uno slow intimo e con un bel testo, punteggiato da steel e piano e con il supporto vocale del nipote di George, Harvey Strait, di appena sei anni!

Blue Water, country ballad limpida e solare, è eseguita con classe e misura, Sometimes Love è un lentone di quelli da suonare al crepuscolo quando i cavalli sono stanchi ed i cowboy si accampano per la notte, un brano che contrasta con la bella Codigo, frizzante honky-tonk texano al 100%, al quale il violino dona un tono swingato e la fisarmonica fornisce il tocco mexican. Old Violin è una cover di Johnny Paycheck, altro pezzo lento e toccante dal bel motivo centrale, cantato al solito con voce sicura; Take Me Away è un rockin’ country chitarristico e coinvolgente, tra le canzoni più immediate del CD, mentre The Weight Of The Badge riporta l’album dal lato delle ballate, un pezzo intenso e gentile allo stesso tempo. La trascinante title track, puro rock’n’roll with a country touch, e la soffusa What Goes Up, portano al gran finale del disco: Sing One With Willie, dove Willie è proprio Willie Nelson, che partecipa sia in veste di co-autore che di cantante, per una bella slow song di matrice texana in cui i due celebrano con orgoglio il fatto che, dopo aver duettato con mezzo mondo, finalmente sono riusciti ad incidere una canzone insieme. Altro bel disco, Mr. Strait.

Marco Verdi

Tra Caraibi E Tradizione, Due Modi Diversi Di Celebrare Il Natale! Jimmy Buffett – ‘Tis The SeaSon/Loretta Lynn – White Christmas Blue

jimmy buffett 'this the season

Jimmy Buffett – ‘Tis The SeaSon – Mailboat CD

Loretta Lynn – White Christmas Blue – Legacy/Sony CD

Da sempre, soprattutto in America, con l’avvicinarsi delle feste natalizie è prassi diffusa pubblicare dischi a carattere stagionale: ormai quasi tutti i big, ed anche i meno big, hanno nella loro discografia almeno un album od un singolo che celebra la festività più importante dell’anno. Anche in questo 2016 non mancano certo le uscite a tema, ed io ho scelto due lavori molto diversi tra di loro, ma con il comune denominatore della qualità.

Jimmy Buffett, cantautore molto popolare negli USA (un po’ meno da noi), già nel 1996 aveva pubblicato un disco natalizio, il riuscito Christmas Island, che mescolava classici e brani nuovi con il suo tipico stile solare e festoso, con versioni personali di celeberrimi standard, come una Jingle Bells decisamente caraibica ed una Run, Rudolph, Run di chiaro stampo rock’n’roll: a distanza di vent’anni Jimmy dà un seguito a quel disco, con questo ottimo ‘Tis The SeaSon (un gioco di parole tra il significato normale della frase, “questa è la stagione”, e “questo è il figlio del mare”), un lavoro assolutamente riuscito e che riesce ad intrattenere in maniera piacevole per quaranta minuti, nel più tipico stile del nostro: l’unica cosa brutta, anzi kitsch, è la copertina (non è la prima volta per lui, ma quei due poveri cagnolini con le corna di renna finte non si possono proprio vedere). Nelle dodici canzoni dell’album Jimmy è come al solito accompagnato dalla fedele Coral Reefer Band, un ensemble di musicisti strepitosi che ormai formano un tutt’uno con il musicista dell’Alabama (ma “adottato” dalla Florida), tra i quali spiccano il tastierista e direttore musicale Michael Utley, il chitarrista e cantautore a sua volta Mac McAnally e lo steel drummer Robert Greenidge, l’elemento che maggiormente caratterizza il suono del gruppo in chiave esotica. ‘Tis The SeaSon, che ha dalla sua anche un suono eccellente, è strutturato nello stesso modo di Christmas Island, cioè con classici assodati del periodo festivo, sia contemporanei che del passato, e brani scritti per l’occasione: il risultato è molto (ma molto) piacevole, direi anche in maniera maggiore rispetto al suo predecessore di vent’anni fa. Jimmy alterna sonorità caraibiche ad altre più vintage, ma mantenendo il livello alto e riuscendo a fare di questo album un qualcosa che va aldilà della pura celebrazione del Natale.

Tra gli evergreen troviamo una splendida Jingle Bell Rock, dalla deliziosa atmosfera tra il country e l’hawaiano, con il nostro decisamente rilassato e perfettamente a suo agio, così come bellissima è Rudolph The Red-Nosed Reindeer, rivisitazione che parte come un country tune degli anni trenta e termina come una irresistibile jam acustica da veri pickers. Tra i brani più o meno contemporanei abbiamo la scherzosa All I Want For Christmas Is My Two Front Teeth, portata al successo nel 1948 da quel pazzo scatenato di Spike Jones, con un arrangiamento d’altri tempi molto raffinato ma nel contempo scanzonato (e d’altronde Jimmy è un maestro nel coniugare ottima musica e divertimento), mentre Rockin’ Around The Christmas Tree (Brenda Lee) è ritmata, swingata e decisamente coinvolgente, una goduria per le orecchie; ho lasciato per ultimo tra i brani “attuali” la canzone che in realtà apre il CD, Wonderful Christmastime di Paul McCartney, in quanto è quella che mi convince meno, non per colpa di Buffett che anzi fa di tutto per darle un sapore solare ed “isolano”, ma perché il brano in sé non è certo tra i migliori del buon Macca. Poi ci sono quattro pezzi originali, a partire da Drivin’ The Pig, tipico Buffett-sound al 100%, ritmata, solare, fluida ed orecchiabile, ma nello stesso tempo suonata alla grande da una band formidabile; The Twelve Days Of Christmas (Parrothead Verison) è l’adattamento con parole attinenti al “mondo Buffett” di una nota filastrocca natalizia, forse più idonea per il pubblico americano, mentre What I Didn’t Get For Christmas (scritta da McAnally) è un rockin’ country/caraibico molto godibile e diretto, ancora una volta suonato splendidamente, e Santa Stole Thanksgiving è uno squisito swing “made in Buffett”, quindi solare, limpido e di grande piacevolezza. Il disco termina con quattro classici: Mele Kalikimaka (Merry Christmas in hawaiano, gli deve piacere proprio, era anche su Christmas Island, anche se qui è presente il virtuoso dell’ukulele Jake Shimabukuro), altro pezzo dall’arrangiamento delizioso, una Winter Wonderland fin troppo soave e leggera, il noto standard Baby, It’s Cold Outside, un duetto con Nadirah Shakoor in una versione country-pop molto gradevole, per finire con la famosissima White Christmas, soffusa e raffinata come da prassi ma con un tocco caraibico che le innumerevoli versioni precedenti non avevano mai avuto.

loretta lynn white christma blue

Loretta Lynn è indiscutibilmente la regina assoluta della musica country, forse più ancora di Patsy Cline (della quale è tra l’altro coetanea), in quanto la povera Patsy ci ha lasciato ormai da decenni, mentre Loretta, a 84 anni suonati, è ancora viva, vegeta e particolarmente attiva. E’ infatti suo uno dei migliori album country del 2016, quel Full Circle che l’ha vista ancora in grandissima forma nonostante l’età http://discoclub.myblog.it/2016/03/11/nuova-promettente-artista-talento-loretta-lynn-full-circle/ , una splendida cantante in possesso di una voce ancora formidabile e per nulla segnata dagli anni, un disco dalle sonorità classiche ma asciutte, con un gruppo di musicisti non numeroso e che ha rivestito le canzoni del disco con pochi orpelli, facendo risaltare al meglio la grande voce della Lynn, con la produzione attenta ed essenziale di John Carter Cash, figlio di Johnny e June. White Christmas Blue proviene dalle stesse sessions che hanno originato Full Circle e. come nel caso di Buffett, anche questo è il secondo album natalizio per Loretta, anche se il precedente, Country Christmas, risale al lontano 1966. E White Christmas Blue è un altro scintillante dischetto di pura country music come si usava fare una volta, cantata in maniera splendida (e qui non c’erano dubbi), ma suonata ancora in modo pulito e diretto, senza sovrincisioni e pesanti orchestrazioni, solo Loretta, qualche chitarra (tra cui i veterani Shawn Camp e Randy Scruggs), una steel (Paul Franklin), un paio di violini, basso e batteria. Musica pura, honky-tonk che più classico non si può e, ripeto, la voce ancora cristallina della “Coal Miner’s Daughter”.

White Christmas Blue comprende dodici brani, di cui nove sono standard e tre scritti da Loretta, il primo dei quali è la title track, che dà splendidamente avvio al CD, una country song limpida e purissima, suono spettacolare e melodia di grande impatto, subito seguita da un rifacimento della mossa e swingata Country Christmas, ancora bellissima e con Loretta che canta come se avesse ancora trent’anni; il trittico di brani originali si chiude con la saltellante To Heck With Ole Santa Claus (anche questa era sul disco di cinquant’anni fa), un pezzo di country come oggi non se ne fanno più (e che voce). Ma il disco è una goduria anche nei brani più famosi, tutti suonati, ripeto, in maniera fantastica: Winter Wonderland è riproposta con classe sopraffina (anche meglio di quella di Buffett), così come l’intensa Away In A Manger, suonata in punta di dita e cantata, tanto per cambiare, stupendamente; Blue Christmas è un honky-tonk scintillante, con ottimi interventi di piano e steel, Frosty The Snowman è un vivace swing d’altri tempi, mentre Oh Come, All Ye Faithful (che sarebbe il nostro Adeste Fideles), da sempre una delle più belle canzoni natalizie, brilla in uno strepitoso arrangiamento ancora honky-tonk, con un’interpretazione da pelle d’oca, Lascio a voi il piacere di scoprire le tre canzoni che seguono, un trittico che mette in fila i tre pezzi stagionali forse più conosciuti in assoluto (Jingle Bells, White Christmas e Silent Night), tutte rilette con classe e bravura immense, ma anche con una freschezza incredibile, per chiudere con ‘Twas The Night Before Christmas, un toccante talkin’ solo per voce e chitarra.

Non vi dico ancora Buon Natale dato che siamo ancora a Novembre, ma buon divertimento con la coppia Buffett/Lynn, questo sì.

Marco Verdi