“Nuovi” Dischi Live Dal Passato 4. Mike Bloomfield – Late At Night: McCabe’s January 1, 1977

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Mike Bloomfield – Late At Night: McCabe’s January 1, 1977 – RockBeat CD

A parte lo splendido cofanetto retrospettivo del 2014 From His Head To His Heart To His Hands, negli ultimi anni sono usciti numerosi concerti postumi del grande Mike Bloomfield, quasi tutti di ottima qualità anche se molti di essi dalla legalità dubbia, l’ultimo dei quali è questo Late At Night: McCabe’s January 1, 1977, pubblicato circa tre mesi fa. Se il nome del luogo vi suona familiare, è perché nel 2017 era uscito Live At McCabe’s Guitar Shop, January 1, 1977, che prendeva in esame un concerto pomeridiano che il grande chitarrista di Chicago aveva tenuto nel famoso negozio di strumenti musicali di Santa Monica (un sobborgo di Los Angeles), mentre quello di cui mi accingo a parlare documenta lo show serale (una volta era pratica comune per gli artisti suonare due spettacoli al giorno). C’è da dire che i due set non sono sovrapponibili, in quanto Bloomfield aveva suonato due scalette completamente diverse, e lo show pomeridiano era perlopiù elettrico, mentre questo Late At Night ha una prima parte acustica.

mike bloomfield i'm with you always

C’è però una magagna, e neanche tanto piccola: i musicofili più attenti, o i fans di Mike, avranno già sentito puzza di bruciato, e ciò è dovuto al fatto che questo spettacolo serale era già uscito ufficialmente alcuni anni fa con il titolo di I’m With You Always, stesse canzoni ma poste in ordine diverso, e la RockBeat (etichetta che spesso si muove ai confini della legalità, un po’ come la label preferita da Bruno, la Cleopatra) non ha fatto altro che ripubblicarlo cambiando il titolo, ma guardandosi bene da specificarlo nelle note del CD (*NDB Edizioni in CD della Demon o della americana Benchmark, ancora disponibile, per chi vuole l’originale). Per me non è un problema, dato che non possiedo I’m With You Always, ma per chi ce l’ha questo Late At Night è un acquisto perfettamente inutile, anche se sul retro di copertina viene annunciato in pompa magna che i nastri sono stati restaurati digitalmente (ho qualche dubbio, anche se il suono è comunque ottimo). Dal punto di vista artistico, il CD è comunque di quelli da non perdere (se non avete già I’m With You Always, ripeto), in quanto siamo di fronte ad uno dei migliori chitarristi di sempre, uno che suonava davvero con l’anima, e lo ha sempre fatto in tutte le sue configurazioni (The Paul Butterfield Blues Band, The Electric Flag, nelle collaborazioni con Al Kooper, Barry Goldberg ed altri, da solista e come sessionman), fino alla tragica scomparsa per overdose nel 1981 a soli 38 anni.

E tutto ciò viene confermato da questo breve concerto (tre quarti d’ora circa), nel quale Mike dimostra di non essere solo un grande della chitarra elettrica, ma anche abilissimo con l’acustica: la prima parte infatti vede Bloomfield da solo sul palco che fa vedere la sua maestria anche con la spina staccata, sette brani di stampo più folk che blues, con il pubblico che ascolta rapito ed in religioso silenzio. Basta sentire il brano d’apertura per rendersene conto: Hymn Tune (tradizionale come tutte le canzoni di questa parte “unplugged”, tranne una) è uno strumentale dal delizioso sapore folk, in cui Mike si mette sullo stesso piano di grandissimi della chitarra acustica come John Fahey e Leo Kottke, pura poesia musicale. La famosa Frankie And Johnny, un brano che hanno fatto in mille, è resa in maniera vivace anche se in “splendid isolation”, e Mike mostra di non essere male neanche come cantante (ma sentite le sue dita), I’m With You Always è un altro splendido pezzo tra folk e blues, sembra Mississippi John Hurt, mentre Some Of These Days ha il sentore di una canzone presa da un vecchio padellone degli anni trenta, con il nostro che sembra avere sei mani.

La parte acustica si chiude con l’antica Stagger Lee, rilettura pura, cristallina e dal feeling formidabile, il country-blues Darktown Strutter’s Ball e la divertente I’m Glad I’m Jewish, un brano autoironico scritto da Mike e accolto con risate e applausi. Nella seconda parte dello show Bloomfield viene raggiunto dal grande Mark Naftalin al pianoforte, da Buell Neidlinger (Frank Zappa, Gil Evans e Tony Bennett) al basso e Buddy Helm (Tim Buckley) alla batteria: quattro pezzi in totale, che iniziano con un medley tra Jockey Blues e Old Folks Boogie, solo Mike e Mark, chitarra elettrica in tiro e Naftalin che spolvera la tastiera del piano con classe sopraffina. La sezione rimica si unisce ai due a partire dalla nota Eyesight To The Blind (di Sonny Boy Williamson ma resa popolare dagli Who che l’avevano inclusa in Tommy), versione strepitosa, grandissimo blues con chitarra e piano ancora protagonisti indiscussi, una goduria. Il finale è appannaggio della gradevole Don’t You Lie To Me, blues di gran classe e dal mood quasi jazzato, con i quattro che suonano in scioltezza, e di una solida resa di A-Flat Boogaloo, puro Chicago blues elettrico ancora con un sontuoso Naftalin.

Nonostante la “furbata” della RockBeat di cui vi dicevo prima, Late At Night è un live imperdibile: ma controllate comunque di non possederlo già con un altro titolo.

Marco Verdi

Forse La Migliore Band Di Blues Elettrico “Bianca” Di Tutti I Tempi, Al Top Della Forma! Paul Butterfield Blues Band & Mike Bloomfield – Born In Chicago/Live 1966

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Paul Butterfield Blues Band & Mike Bloomfield – Born In Chicago/Live 1966 – Live Recordings

Il nome dell’etichetta (?!?) già vi fa capire a cosa ci troviamo di fronte, ma il contenuto, sottolineato dalla scritta “Classic Radio Broadcast”, è, viceversa, splendido. Per il resto stendiamo un velo pietoso: il CD riporta solo i titoli dei brani, non ci sono i nomi dei musicisti, né tanto meno la data e il luogo in cui è stato registrato, e pure l’immagine di copertina è fuorviante, perché nonostante il disco annunci la Paul Butterfield Blues Band & Mike Bloomfield, poi la foto ritrae in primo piano Elvin Bishop. Comunque niente paura, l’anno coincide, è il 1966, secondo alcune fonti siamo al Fillmore West, secondo gli archivi del Concert Vault di Bill Graham, la location è il Winterland Ballroom di San Francisco, visto che la data coincide, il 30 settembre. Il materiale era già uscito in un doppio bootleg giapponese intitolato Droppin’ In With The Paul Butterfield Blues Band, in cui gli ultimi otto brani del secondo CD riportavano questa performance. E’ una delle ultime uscite di Bloomfield con la band e nel concerto viene eseguita anche Work Song dal LP East/West: il materiale è anche abbastanza differente dal live “ufficiale” Got a Mind To Give Up Living: Live 1966, pubblicato dalla Real Gone nel 2016, e che avevo recensito su queste pagine http://discoclub.myblog.it/2016/07/09/ripescato-dalle-nebbie-del-tempo-suonavano-peccato-il-suono-the-paul-butterfield-blues-band-got-mind-to-give-up-living-live-1966/ , per me un eccellente documento anche se in quel caso la qualità del sonoro non era impeccabile, soprattutto la voce di Butterfield non svettava, ma il contenuto era fantastico.

Diciamo che qui la voce è molto più “presente”, anche se il suono è pur sempre quello di un broadcast registrato nel lontano 1966. I tre solisti, Butterfield, Bloomfield e Bishop, sono in gran forma, e Mark Naftalin alle tastiere, Jerome Arnold al basso e Billy Davenport alla batteria completano una line-up formidabile. Droppin’ Out, inedita su album all’epoca, uscirà solo su The Resurrection of Pigboy Crabshaw nel 1967, è un  impeccabile Chicago blues elettrico scritto da Butterfield, con qualche nuances psych-rock, vibrante e potente, con la voce “cattiva” del leader subito in bella evidenza, mentre Bloomfield e Bishop cominciano ad interagire con le loro soliste leggermente acide. La tracklist del CD riporta come secondo brano Baby, Please Don’t Go, il pezzo che quasi tutti ricordiamo nella versione dei Them di Van Morrison, ok scordiamocela, e anche quella originale di Big Joe Williams del 1935: nella tracklist del sito Concert Vault è riportata come Mother-In-Law Blues (sapete che nel blues i brani hanno mille vite e mille titoli diversi, ognuno piglia quello che può), direi che la versione della Butterfield Blues Band è ritagliata su quella di Muddy Waters per la Chess, primi anni ’50, con l’armonica di Paul pronta alla bisogna e in gran spolvero e la qualità sonora che, visto il periodo, ripeto, è più che buona, in tutto il CD, con la voce e gli strumenti bel delineati, grande blues elettrico di una band ai vertici del proprio rendimento.

(Our Love Is) Drifiting, dal primo album eponimo, è un blues lento magistrale con la chitarra di Mike Bloomfield limpida e cristallina, molto simile come timbro a come l’avremmo sentita nella Supersession con Stills e Al Kooper e nelle altre “avventure” di fine anni ’60, con la voce nera di Butterfield a guidare le danze. Born In Chicago è uno dei loro cavalli di battaglia, immancabile, e sul quale molti gruppi blues venuti dopo (anche in Italia) ci hanno costruito una carriera, sincopata e trascinante con un grande drive da parte di tutta la band e il call and response armonica, voce e le due pimpanti e swinganti chitarre, impeccabile; Willow Tree, inedita su album è un altro slow blues splendido, con le chitarre che centellinano note in risposta all’accorato cantato del leader, che soffia anche nell’armonica da par suo https://www.youtube.com/watch?v=1s5p2hfxywY . Anche My Babe, inedita su album, era uno dei punti di forza dei loro concerti, il classico brano di Willie Dixon scritto per Little Walter, uno dei brani più noti e più belli della storia del Chicago blues, grande versione. La cover di Kansas City è una rara occasione per sentire Mike Bloomfield alla voce solista, un pezzo che all’epoca faceva anche Jorma Kaukonen nei Jefferson Airplane, e l’approccio in entrambi i casi ha un che di psichedelico, come era tipico di quegli anni, un tocco che è presente in tutto il disco, blues va bene, ma anche rivisitato con classe e grinta. E per concludere in gloria, una versione fantasmagorica di Work Song, il brano di Cannonball Adderley che era uno dei punti di forza di East-West, 13 minuti di pura libidine sonora, con i solisti che improvvisano in modo libero ed incredibile (l’organo purtroppo si sente in lontananza), tra jazz, blues, rock e derive orientali, splendido, come tutto il CD: ritiro tutto quello che ho detto e pensato della etichetta Live Recordings. Da avere assolutamente.

Bruno Conti

Ripescato Dalle Nebbie Del Tempo, Questi Suonavano Come Pochi, Peccato Per Il Suono Non Perfetto! The Paul Butterfield Blues Band – Got A Mind To Give Up Living – Live 1966

paul butterfield blues band live 1966

The Paul Butterfield Blues Band – Got A Mind To Give Up Living – Live 1966 – Real Gone Music/Elektra/Rhino

Questo è un disco fantastico, ripescato dalle nebbie del tempo, ci mostra la Butterfield Blues Band all’apice della propria curva qualitativa, catturata in un concerto dal vivo all’Unicorn Coffee House di Boston nel maggio 1966, dopo l’uscita del primo omonimo album e due mesi prima della registrazione dello straordinario East-West, che poi verrà pubblicato nell’agosto sempre di quell’anno. Della formazione del primo album non c’è più il batterista Sam Lay, fuoriuscito dal gruppo per gravi problemi di salute e sostituito dall’ottimo Billy Davenport, ma gli altri ci sono tutti: Jerome Arnold al basso, Mark Naftalin alle tastiere, presente solo in alcuni brani del 1° album, e soprattutto i tre formidabili solisti; Elvin Bishop, che non era certo uno scarso e uno straordinario Mike Bloomfield alle chitarre, e il leader Paul Butterfield all’armonica e voce solista. L’anno prima al Festival di Newport alcuni di loro avevano accompagnato Dylan in una delle sue primissime esibizioni elettriche, ma soprattutto stavano per rivoluzionare l’apporto dei musicisti bianchi alla scena blues di Chicago, con una delle prime formazioni multirazziali della storia, dove gli elementi classici delle dodici battute si incontrano con il jazz, la libera improvvisazione, le derive modali ispirate dagli ascolti di musica indiana di Naftalin e Bloomfield e soprattutto la straordinaria tecnica dei solisti della band. Nel concerto ci sono già quattro brani che poi verranno inseriti in East-West, tra cui una fantastica versione di oltre 12 minuti del classico strumentale Work Song di Nat Adderley, dove prima Butterfield, poi Bloomfield, Naftalin e Bishop, in continua alternanza inanellano una serie di soli strepitosi che annunciano l’irrompere del rock nell’improvvisazione del jazz.

La qualità sonora è buona (si tratta di una pubblicazione ufficiale di un ex bootleg, quello qui sopra, con l’apporto della Elektra/Rhino che ha migliorato il suono nei limiti del possibile), ovviamente parliamo di una registrazione del 1966, forse solo la voce di Butterfield, presumo catturata dallo stesso microfono dell’armonica, a tratti, ma non sempre, è distorta, comunque sempre su livelli tecnici di discreta qualità: diciamo che gli costa una mezza stelletta in un disco che ne poteva valere quattro per importanza storica. Pero, per intenderci; siamo su livelli sonori nettamente superiori alle recenti pubblicazioni da moltii osannate dei Bluesbreakers di John Mayall con Peter Green (ma non dal sottoscritto che pure ne ha parlato bene http://discoclub.myblog.it/2016/05/10/chi-si-accontenta-gode-john-mayalls-bluesbreakers-live-1967-volume-two/), relative al 1967, non c’è paragone a livello tecnico. E il contenuto musicale è notevole: dalla breve Instrumental Intro, un omaggio alle introduzioni delle band di soul, R&B e musica nera dell’epoca, tipo quella di James Brown, poi si parte subito sparati con una poderosa Look Over Yonders Wall, seguita dal loro cavallo di battaglia Born In Chicago, firmata da Nick Gravenites, dal primo slow blues della serata, una torrida Love Her With A Feeling, dove Bloomfield comincia a scaldare l’attrezzo, e ancora la ritmata Get Out Of My Life, Woman, un brano di Allen Toussaint, che apparirà in East-West da lì a poco e che era un successo R&B per Lee Dorsey in quel periodo.

Anche Never Say No, un traditional, andrà nel nuovo album ed è un altro lento di grande intensità, tipico del revival del blues elettrico di quei tempi, mentre One More Heartache è di nuovo classico Chicago Blues elettrico, seguito dalla splendida Work Song, poc’anzi ricordata, e da una altrettanto vorticosa Comin’ Home Baby, sempre con i solisti assai impegnati e con un sound quasi psichedelico che anticipa nell’interscambio tra organo e chitarre acide quello che i Doors e altre band californiane metteranno sul piatto a breve, fantastica anche questa. Memory Pain di Percy Mayfield non era su nessuno dei due album, quindi una mezza rarità, un altro pezzo di taglio errebì, dove in effetti la voce è parecchio distorta, mentre I Got A Mind To Give Up Living, che dà il titolo al CD e che sarà pubblicata sull’imminente secondo album, è un altro slow blues da brividi con la solista di Mike Bloomfield che taglia l’aria a fettine, e Butterfield che canta e suona l’armonica da par suo; e pure Walking By Myself, la quintessenza del blues, firmata da Jimmy Rodgers, per usare un eufemismo non è male, Per finire in gloria una potentissima e sapida Got My Mojo Working. Disco da avere assolutamente, occhio al suono, ma  secondo me vale la pena di “rischiare”, anche perché le parti strumentali sono nettamente preponderanti!

Bruno Conti