Uno Strano Terzetto Allargato, Però Molto Efficace. Kacy & Clayton Marlon Williams – Plastic Bouquet

kacy & clayton + marlon williams

Kacy & Clayton Marlon Williams – Plastic Bouquet – New West Records

Kacy & Clayton, spesso pronunciati come una unica entità, sono in effetti una coppia di cugini canadesi, originari del Saskatchewan, che agiscono come duo sin dal 2011, all’inizio a livello indipendente, poi sono stati notati dalla New West che li ha messi sotto contratto, e anche da Jeff Tweedy , che ha prodotto i due album del 2017 e 2019, The Siren’s Song e Carrying On, entrambi premiati da ottimi riscontri della critica. Per completare, Kacy (Lee) Anderson è la vocalist ed autrice delle canzoni, mentre Clayton Linthicum è il chitarrista e strumentista tuttofare (che fa parte anche del giro degli ottimi Deep Dark Woods) che è il tessitore delle rarefatte ma raffinate costruzioni sonore del duo, che comunque ha anche una sezione ritmica fissa costituita da Mike Silverman alla batteria e Andy Beisel al basso, presente negli ultimi due album, mentre nel nuovo Plastic Bouquet si è aggiunto anche Dave Khan al violino.

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Ma la novità più importante, al di là della fine della collaborazione con Tweedy, è l’imprevisto arrivo di Marlon Williams, cantautore neozelandese autore di uno splendido omonimo album di debutto nel 2016 (ma già nel 2015 Down Under), poi non del tutto confermato con il pur eccellente successivo Make Way For Love del 2018, che qualcuno aveva trovato troppo ridondante: il “problema”, se così lo vogliamo chiamare, sta nelle voce, ora eterea ora possente di Marlon, che è stata paragonata di volta in volta a Nick Cave ed Elvis, Johnny Cash e Roy Orbison ( e pure l’epigono Chris Isaak) , creando grandi aspettative per questa sorta di crooner folk. L’unione delle forze del trio, in questo album registrato e concepito tra Canada, Nuova Zelanda e Nashville, magari non sempre funziona del tutto, ma confrontato con le uscite di molti nuovi “fenomeni” della canzone, spesso presentati come dei Messia, è comunque sempre un bel sentire: undici canzoni originali, a firma Anderson e Williams, che producono anche il disco, a cavallo tra languori folk-country-rock dai sapori canadesi di Kacy e Clayton e la vocalità esuberante di Marlon https://www.youtube.com/watch?v=BgHpTL5Gx3k .

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Quando i due mondi si intrecciano però scatta la magia: come nel primo singolo I Wonder Why , dove tra eteree slide e atmosfere sognanti i due gorgheggiano, come novelli Gram ed Emmylou https://www.youtube.com/watch?v=gp9s-2QjRWI , oppure come nel delizioso honky tonk con pedal steel d’ordinanza e violino in sottofondo di Old Fashioned Man, cantata da Kacy Lee con Williams che novello Elvis, canta il secondo verso https://www.youtube.com/watch?v=pAbxAVTnJ0A . I’m Gonna Break It è pura country music, di quella sublime, con i due che si alternano alla guida e poi armonizzano dolcemente, delicata anche la languida Last Burning Ember affidata alla Clayton, sempre con il supporto di Marlon, più in territori folk-roots, ma sempre con richiami a certo country cosmico. Light Of Love sembra uno di quei vecchi duetti alla Nancy Sinatra/Lee Hazlewood, con lui più celestiale Orbison o Buckley che austero Lee https://www.youtube.com/watch?v=cYjk3Bb2f00 , mentre Arahura, dal nome di uno sconosciuto (ma non a lui evidentemente) fiume della Nuova Zelanda, evidenzia la perfetta intesa tra la voce fragile ma assertiva e gorgheggiante di Kacy che si appoggia su quella maschia di Williams https://www.youtube.com/watch?v=UZZya84eusU   , e ottimo anche il simil bluegrass della ondeggiante title track, dove è sempre la voce femminile a guidare le danze.

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Sarà pur sempre musica magari poco innovativa, ma quando è eseguita con passione come in questo album, non si può fare a meno di apprezzarla e fregarsene dei giudizi: interessante anche I’m Unfamiliar con un organetto vintage in evidenza, dove magari si sarebbe apprezzato maggiormente il timbro di Margo Timmins rispetto alla Anderson, ma non si può avere tutto https://www.youtube.com/watch?v=SCbDcNeT_tM . In chiusura Devil’s Daughter, che nonostante il titolo è più angelica che diabolica https://www.youtube.com/watch?v=Au43In2Yklw , un sommesso duetto sulle ali di due chitarre acustiche che conferma la validità di un disco che magari non entusiasma ma ti conquista lentamente.

Bruno Conti

Benvenuta Nel “Club” Di MTV Unplugged ! Courtney Barnett – MTV Unplugged

courtney bartnett mtv unplugged

Courtney Barnett – MTV Unplugged Live In Melbourne – Milk! Records

C’è stato un periodo, agli inizi degli anni ’90, in cui i cantanti e i gruppi che allora andavano per la maggiore facevano a gara ad esibirsi nel programma televisivo MTV Unplugged, e i nomi erano veramente di alto livello a partire dai Bon Jovi, che hanno inaugurato il programma il 26 Novembre 1989, seguiti poi dai vari Aerosmith, Alice In Chains, Cranberries, Cure, Nirvana, Pearl Jam, R.E.M., per quanto concerne i gruppi, mostri sacri come Bob Dylan, Eric Clapton, Neil Young, Paul McCartney, Steve Ray Vaughan, artisti emergenti quali Alanis Morissette, Tori Amos, Shakira, Mariah Carey, Natalie Merchant e i suoi 10.000 Maniacs, Lauryn Hill, e purtroppo anche “mezze figure” ( una per tutte Miley Cyrus). Oggi che la trasmissione non ha certamente più il fascino del passato può comunque essere per i giovani cantanti un’opportunità per mettersi in mostra, con una “performance” acustica che riveli il lato più intimo dell’artista in questione.

Ed è quello che deve aver pensato questa giovane australiana emergente Courtney Barnett, quando la sera del 22 Ottobre 2019 è salita sul palco di Melbourne con la sua chitarra, accompagnata dalla sua “line-up” attuale, composta dal bassista Bones Sloane, dal batterista Dave Mudie, dalla pianista Evelyn Ida Morris, e di Lucy Waldron al cello, con il contributo come ospiti di Paul Kelly e Marlon Williams, per ripercorrere la sua breve ma intensa carriera, andando a pescare dai suoi album ufficiali, a partire dall’uscita dei primi due EP, poi raccolti in The Double EP: A Sea Of Split Peas (14), poi l’esordio ufficiale con Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit (15), il disco in coppia con Kurt Vile Lotta Sea Lice (17), e la definitiva consacrazione con l’ottimo Tell Me How You Really Feel (18), inserendo nella scaletta del “set” acustico anche due cover d’autore.

Il concerto inizia con la bellissima Depreston (diventata ormai un classico), inizialmente solo chitarra e voce, subito accompagnata dal resto dei musicisti, dove spicca la bravura di Lucy Waldron, a cui fa seguito una Sunday Rost dall’ultimo album, che viene rifatta in modo più informale e folk; per poi invitare sul palco il grande Paul Kelly (uno dei cantanti che ha ispirato la stessa Barnett), per eseguire la cover di un altro grande della musica australiana, il cantautore Archie Roach (assiduo ospite di queste pagine, e come sapete uno dei miei preferiti), con una delle sue canzoni simbolo la nota Charcoal Lane, rivista in una veste da “country-ballad” , impreziosita dall’armonica di Paul. Si prosegue, recuperando dai primi EP, Avant Gardener, che si avvale della collega Evelyn Ida Morris al pianoforte, che rimane protagonista anche nella seguente e recente Nameless, Faceless, in una versione appunto solo piano e voce, che valorizza la bravura di entrambe le signore, per poi presentare l’unico brano inedito Untitled (Play It On Repeat), eseguita in solitaria con chitarra e voce.

Dopo altri applausi convinti sale sul palco l’emergente cantautore neozelandese Marlon Williams (si è fatto notare con il consigliato https://discoclub.myblog.it/2016/02/11/vecchio-nuovo-debutto-bollino-blu-marlon-williams-marlon-williams/  album omonimo), per rivisitare un brano del supergruppo femminile australiano Seeker Lover Keeper, una frizzante Not Only I, con un bellissimo arrangiamento che valorizza le voci e le chitarre di Courtney e Marlon, e arrivare infine al “clou” finale del concerto, un omaggio al grande Leonard Cohen con una commovente So Long Marianne (dedicata come è noto alla musa Marianne Ihlen, morta nel 2016), e vedendo il video che circola in rete pare di notare una certa difficoltà nel cantarla, ma nello stesso tempo questo particolare serve a rendere la sua “performance” ancora più reale e meritevole. Applausi e sipario! Negli ultimi anni questa ragazza di Sydney è diventata rapidamente una figura di rilievo nel panorama del cantautorato australiano, i cui testi raccontano storie di vita personale con una semplicità disarmante, accompagnati spesso da una musica moderna che potremmo definire un incrocio tra “indie-rock” e parzialmente una certa forma “psichedelica” ispirata dai primi Nirvana. In definitiva una “signorina” di cui sentiremo ancora parlare, e questo MTV Unplugged certifica la qualità e il talento di Courtney Melba Barnett. Consigliato!

*NDT. Mi prendo una piccola licenza per una nota a margine: ascoltando e vedendo il video in rete di So Long Marianne mi sono venute in mente le parole di Cohen quando seppe che stava morendo la sua amata: “Cara Marianne, sono appena dietro di te, non ho mai dimenticato il tuo amore e la tua bellezza. Buon viaggio vecchia amica. Ci vediamo per strada”. Leonard mori tre mesi dopo, in questi duri tempi.

Tino Montanari

Vecchio Ma Nuovo: Un Debutto Da “Bollino Blu”! Marlon Williams – Marlon Williams

marlon williams

Marlon Williams – Marlon Williams – Dead Oceans Records

Come detto in altre occasioni non sempre è facile accostarsi ai nomi “minori” e nuovi, la tentazione (ed il desiderio insieme), è quello di scoprire a tutti i costi la nuova speranza, e sottoporla al pubblico degli appassionati per farne l’ennesimo oggetto di “culto”, oltretutto, spesso, la difficile reperibilità degli autori di volta in volta scoperti (ma con le piattaforme in Internet la situazione è migliorata), fa aumentare la curiosità ed il gioco di complicità che ne scaturisce. Fatta dunque questa onesta e doverosa precisazione, vorrei caldamente consigliare l’ascolto di tale Marlon Williams, nato nel 1990 in un incantevole paesino portuale della Nuova Zelanda (si chiama Lyttelton per la precisione, vicino a Christchurch) con una chiara influenza “Maori” da parte del padre musicista (e si vede). I primi passi musicali Marlon li muove come frontman degli Unfaithful Ways, e in seguito collaborando con il cantautore country neozelandese Delaney Davidson nella triade Sad But True Vol. 1-2-3 (costituita da bellissime cover), poi si è trasferito a Melbourne in cerca di quella visibilità che gli permettesse di esordire in proprio con questo lavoro omonimo, prodotto in coppia con il tastierista Ben Edwards, reclutando un cast di musicisti e amici tra i quali Ben Woolley al basso, AJ Park alla batteria, John Egenes alla pedal steel, Anita Clarke al violino, l’amico Delaney Davidson alle chitarre, con il contributo della sua anima gemella Aldous Harding (emergente cantautrice neozelandese, *NDB Bellissimo anche il suo esordio https://www.youtube.com/watch?v=B3Wds4gDGRc ) alle armonie vocali, tutti riuniti  negli studi Sitting Room della natia Lyttelton.

La partenza è folgorante con Hello Miss Lonesome, una galoppata musicale che rimanda ai film western epici di John Ford (Furore, Ombre Rosse, Sentieri Selvaggi), a cui fa seguito il moderno country di After All, per poi passare alla lenta e bellissima ballata “noir” Dark Child (la prenoto come canzone dell’anno), e ancora una cover di una canzone portata al successo da Billy Fury I’m Lost Without You, rifatta in chiave “sixties” con un importante arrangiamento di archi, e il folk inglese di una dolce e delicata Lonely Side Of Her. Si prosgue con la melodia “assassina” di Silent Passage, pescata dal repertorio del canadese Bob Carpenter (unico album, ma in seguito a lungo collaboratore della Nitty Gritty Dirt Band), il gioioso country un po’ “retrò” di Strange Things, una superba e drammatica versione del tradizionale When I Was A Young Girl (una triste storia di passione e desiderio), uno dei cavalli di battaglia della grande Nina Simone https://www.youtube.com/watch?v=UfSopHrT-m4 , andando a chiudere con la straziante bellezza (solo chitarra e voce) di Everyone’s Got Something To Say, con il coro finale (una magia) che la tramuta in una preghiera.

Comincio a pensare che il cognome Williams nell’ambito musicale sia sinonimo di qualità (come le banane Chiquita), a partire dai titolari del “logo” Hank Williams e Lucinda Williams, e altri tra cui Victoria Williams (ex moglie di Mark Olson dei Jayhawks e prima di Peter Case), o i più giovani Holly Williams (nipote di Hank Williams, sorella di Hank III e figlia di Hank jr.), e Hayward Williams. Nominato a ben cinque New Zealand Music Awards, con questo brillante esordio Marlon Williams dimostra di saper scrivere canzoni che spaziano dal rock al folk al country, valorizzate da una voce notevole, che lo accomuna a tratti ad artisti del calibro di Johnny Cash, Roy Orbison e il buon Elvis, ma anche a Tim Buckley https://www.youtube.com/watch?v=TB_jcFax5kM .

Marlon è giovane, bello, ma quello che più conta ha un talento speciale, e mi sembra difficile che a breve non possa diventare un artista di “prima fascia”, per saperlo non resta che attendere il seguito di questo esordio da “bollino blu”. Il disco esce il 19 febbraio in Europa e negli States per la Dead Oceans (la stessa di Ryley Walker), ma in Nuova Zelanda era già disponibile dalla primavera dello scorso anno. Da qui il titolo del Post!

NDT: A certificare il talento di Marlon Williams, girano su YouTube molti video che lo vedono eseguire cover impegnative tra cui The First Time Ever I Saw Your Face di Roberta Flack (scritta da Ewan MacColl), Bird On A Wire di Leonard Cohen, e una superba Portrait Of A Man di Screamin’ Jay Hawkins.

Tino Montanari