Un Grande Concerto, Tra I Primi In Assoluto Senza “Il Morto”. Jerry Garcia/Merl Saunders – Garcia Live Volume 15

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Jerry Garcia/Merl Saunders – Garcia Live Volume 15 – ATO 2CD

A pochi mesi dal bellissimo quattordicesimo volume acustico, riprende la fortunata serie Garcia Live dedicata appunto ai migliori concerti solisti del grande Jerry Garcia: l’episodio numero 15 vede di nuovo il nostro nella più abituale dimensione elettrica, anche se in uno show abbastanza unico rispetto ai precedenti. Intanto stiamo parlando di una delle prime serate in assoluto in cui Jerry si è esibito lontano dai Grateful Dead, il 21 maggio del 1971 al Keystone Korner di San Francisco, e poi il nostro divide il cartellone con il bravissimo tastierista/organista Merl Saunders, con il quale collaborerà parecchio nella prima metà degli anni settanta (famosi i loro concerti del ’73 al Keystone, che non è lo stesso locale del doppio CD di cui vi parlo oggi ma una location più grande aperta dallo stesso proprietario a poca distanza). Il fatto che questa uscita non sia accreditata solo a Garcia ha perfettamente senso, in quanto Saunders durante lo show assume spesso il ruolo di co-protagonista accanto a Jerry, deliziando i presenti con una performance assolutamente strepitosa in cui rock, jazz, blues e psichedelia si fondono alla grande, ed in cui la tendenza alla jam tipica del barbuto chitarrista dei Dead viene amplificata all’ennesima potenza.

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Infatti i concerti solisti di Garcia che abbiamo ascoltato negli anni sono sempre stati basati sulle canzoni (spesso più cover che originali), certo dilatate oltremodo nella lunghezza ma sempre mantenendo la struttura di base, mentre qui accanto a brani più canonici troviamo delle vere e proprie jam sessions in cui i nostri (coadiuvati solamente da Bill Vitt alla batteria e, in cinque pezzi, da Martin Fierro al sax) danno veramente il meglio di loro stessi. Dieci brani per due ore totali di musica (e questo la dice lunga sulla durata delle singole canzoni), manca stranamente solo Deal che era stata suonata come unico bis. Lo show parte alla grande con Man-Child, favolosa jam di 17 minuti in cui Jerry e Merl si destreggiano da veri maestri con i rispettivi strumenti, con Saunders forse addirittura un gradino più su del collega: il brano è un piacere per le orecchie, con la sua andatura insinuante e fluida che ricorda certe cose di Santana ed un finale quasi free jazz https://www.youtube.com/watch?v=UC_S1D6tnKs . Ma la serata è anche all’insegna del blues, dal momento che il secondo pezzo è una sinuosa rilettura di One Kind Favor di Blind Lemon Jefferson, con Jerry che mostra di essere anche in forma vocale più che buona (quella chitarristica non ve lo dico neanche) e Merl che ricama con sonorità clade, ed il terzo è una strepitosa I Know It’s A Sin di Jerry Reed, lenta, soffusa e di gran classe: Garcia non è mai stato un bluesman ma con quella chitarra poteva suonare qualsiasi cosa senza perdere un grammo del suo feeling.

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I Was Made To Love Her è un brano di Stevie Wonder, pretesto per un’altra straordinaria e vibrante jam di dieci minuti in cui anche Fierro fa la sua parte (sembra di sentire i primi Chicago); a proposito di improvvisazioni, che dire di Keystone Korner Jam? Più di sedici minuti tra rock, jazz e psichedelia, musica libera, creativa, di grande forza ma fruibile al tempo stesso, con Jerry che lascia a Merl i suoi spazi confermando che in questo concerto è meno solista e più “uomo-squadra” https://www.youtube.com/watch?v=G4YMdXfhVJw . Il primo dischetto termina con un’ottima versione di The Night They Drove Old Dixie Down di The Band, che nel 1971 è vecchia di due soli anni ma è già un classico (ed il nostro la manterrà in repertorio fino agli ultimi spettacoli con la Jerry Garcia Band negli anni novanta) https://www.youtube.com/watch?v=bMx4oRFMDiQ . Il secondo CD inizia con Save Mother Earth, altra superba prova di puro jazz-rock che di minuti ne dura 25 (ma la noia non affiora mai), con Jerry e Merl che riempiono alla grande gli spazi che uno lascia all’altro ed ai quali si aggiunge il contributo prezioso e quasi indispensabile di Fierro https://www.youtube.com/watch?v=2JqGY7os8q8 . Ed il bello è che il brano è completamente diverso da qualsiasi cosa proposta in carriera da Garcia, sia prima del ’71 che dopo. Ancora blues con una solida That’s All Right di Jimmy Rogers, con Jerry e Fierro in cattedra, seguita da una rarissima The Wall Song di David Crosby (proposta addirittura due anni prima dell’originale, che uscirà nel 1973 sul primo album di David in coppia con Graham Nash) https://www.youtube.com/watch?v=qJkZJH-Hn4E , in assoluto la più “deadiana” del lotto; chiusura con una scoppiettante Mystery Train di Elvis Presley, perfetta per chiudere la serata in quanto anch’essa dotata di una struttura decisamente blues.

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Uno dei migliori episodi della serie.

Marco Verdi

Forse Sarebbe Il Caso Di Rallentare Un Pochino! Jerry Garcia & Merl Saunders – GarciaLive Vol. 9: August 11th 1974, Keystone Berkeley

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Jerry Garcia & Merl Saunders – GarciaLive Vol. 9: August 11th 1974, Keystone Berkeley – ATO 2CD

Si sa che dalla morte di Jerry Garcia, avvenuta nell’estate del 1995, le pubblicazioni a nome Grateful Dead si sono moltiplicate a dismisura, ma anche per quanto riguarda la discografia solista del barbuto chitarrista non si scherza: tra la prima serie di concerti targata Pure Jerry, quella tutt’ora in corso con il nome di GarciaLive e gli album che non rientrano in nessuna delle due categorie (al 99% sempre dal vivo) abbiamo tranquillamente doppiato il numero di dischi che Jerry aveva pubblicato in vita. Proprio in questi giorni è uscito il nono episodio della già citata saga GarciaLive, e mi sento in dovere di fare qualche considerazione extra-musicale, prendendo come spunto la location ed il periodo scelti. Non è infatti la prima volta che viene documentato un concerto tenutosi al Keystone di Berkeley (sobborgo universitario di San Francisco) di Jerry insieme all’organista Merl Saunders: già negli anni settanta era uscito Live At Keystone, un doppio LP che prendeva in esame il meglio dei concerti del Luglio 1973 nella citata località californiana, album più volte ristampato fino alla versione definitiva del 2012, Keystone Companions, un box di quattro CD. Ma anche il quarto volume della serie Pure Jerry documentava una serata nello stesso teatro (del Settembre 1974 però), ed il Garcia Live Volume Six invece verteva su un concerto sempre con Saunders e sempre del Luglio 1973, anche se in una località diversa http://discoclub.myblog.it/2016/07/20/dite-la-verita-eravate-po-preoccupati-jerry-garcia-merl-saunders-garcia-live-vol-6-lions-share/ .

Quindi immaginerete il mio parziale disappunto quando ho visto che questo nono volume era ancora a proposito di uno show al Keystone, anche se di un anno dopo i concerti storici del 1973: disappunto in quanto penso che ormai si potesse anche passare oltre questa serie di spettacoli, dato che ci saranno certamente altri periodi di Jerry solista meno documentati, e parziale in quanto, a monte di tutto, è comunque sempre un bel sentire. La formazione, oltre a Garcia e Saunders, comprende l’abituale bassista John Kahn, Martin Fierro al sax e flauto (e non alla tromba, per fortuna) e, cosa rara, il compagno di Jerry nei Dead Bill Kreutzmann alla batteria: l’anno seguente la medesima formazione, ma con Ron Tutt al posto di Kreutzmann, prenderà il nome di Legion Of Mary, una lineup già anch’essa protagonista di diversi episodi delle serie dal vivo di Garcia. Jerry è in buona forma, una media tra l’ottimo della sua prestazione chitarristica ed il sufficiente di quella vocale, un po’ ad alti e bassi: il 1974 non è stata forse tra le migliori annate del nostro, ma quella sera si difende alla grande, grazie anche all’eccellente band che lo accompagna (per quanto Fierro forse andava limitato) e ad un repertorio eterogeneo che prende in esame soltanto brani altrui. Il CD stavolta è “soltanto” doppio, e le due ore di musica scorrono abbastanza in fretta. Apre la serata That’s What Love Will Make You Do, un blues di Little Milton affrontato da Garcia e soci in maniera molto fluida e rilassata, quasi come se si stessero scaldando i muscoli, ma già dal primo assolo di Jerry in poi la performance cresce (con grande spazio anche per Saunders e per il sax di Fierro) ed alla fine dei 13 minuti sono tutti belli pronti.

La La è uno strumentale di Fierro, ed è un pretesto per lanciarsi in una lunga jam di 17 minuti: il pezzo inizia come una bossa nova guidata dal flauto del suo autore, ma presto si trasforma in una session che alterna rock, psichedelia e momenti free, uno dei momenti più “deaddiani” dei concerti di Jerry solista. It Ain’t No Use è un vecchio pezzo dei Meters, proposto ancora con un arrangiamento blues, altri 11 minuti molto fluidi e con Jerry al top, supportato benissimo da Merl, mentre il primo CD si chiude con i 13 minuti di Mystery Train, il brano di Junior Parker reso popolare da Elvis Presley che è anche un classico nei concerti del nostro, al solito suonato in maniera impeccabile e con Kahn e Kreutzmann che non perdono un colpo. Il secondo dischetto comincia con una chilometrica versione (19 minuti) di The Harder They Come di Jimmy Cliff: arrangiamento pulito, classico e fedele all’originale (ma un po’ meno reggae) che risulta altamente godibile, anche se ci sarebbe voluto un supporto vocale per Jerry. Il flauto dona un sapore pop all’errebi Ain’t No Woman (Like The One I’ve Got) dei Four Tops, qui proposto in una rilettura strumentale, ma Jerry la riporta subito sui suoi territori, rilasciando alcuni tra gli assoli più lirici e fluidi della serata, anche se 17 minuti sono un tantino eccessivi, a causa anche dell’invadenza di Fierro. It’s Too Late (Chuck Willis) viene rifatta in maniera rigorosa, mantenendo intatto il mood d’altri tempi, e Garcia canta anche con buona impostazione, (I’m A) Road Runner, un classico di Junior Walker, è suonata con un delizioso feeling errebi, con l’impasto chitarra-organo-sax che funziona nel migliore dei modi; chiusura con una rallentata The Night They Drove Old Dixie Down di The Band (“solo” sei minuti e mezzo), sempre bella in qualsiasi modo la si suoni, anche se stasera Jerry, ahimè, la canta veramente male.

Un altro buon episodio della saga live di Jerry Garcia, anche se a lungo andare questi CD finiscono per sembrare tutti simili tra loro: forse, per ricollegarmi anche al titolo del post, occorrerebbe fermarsi un attimo e prendere il fiato, facendo passare almeno un paio d’anni prima del decimo volume. Tanto le uscite a nome Grateful Dead non mancheranno di certo.

Marco Verdi

*NDB. Questa settimana, il 1° agosto, sarebbe stato il 75° compleanno di Jerry Garcia.

Dite La Verità, Eravate Un Po’ Preoccupati ! Jerry Garcia & Merl Saunders – Garcia Live Vol. 6: Lion’s Share

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Jerry Garcia & Merl Saunders – Garcia Live Vol. 6: Lion’s Share, July 5th 1973 – ATO Records 3CD

Dite la verità, eravate preoccupati che da un po’ di tempo non ci si occupava dei Grateful Dead? Eccovi serviti: è infatti uscito da qualche settimana il sesto volume della serie Garcia Live, dedicato ai migliori concerti dell’ex leader del leggendario gruppo di San Francisco, Jerry Garcia, una collana di pubblicazioni che ha sostituito la precedente, denominata Pure Jerry (ma anche i Dead stanno per pubblicare l’ennesimo Dave’s Picks). Questa volta ci si è rivolti ad un concerto del 1973, annata molto attiva per il nostro, insieme al tastierista Merl Saunders, una serata tenutasi al Lion’s Share  (un piccolo club di San Anselmo, nella Bay Area) poco tempo prima dei mitici concerti che avrebbero poi dato vita al famoso Live At Keystone. La formazione è la stessa, con Jerry e Merl accompagnati dal fido John Kahn al basso e Bill Vitt alla batteria, ai quali nella seconda parte dell’esibizione si aggiungerà (ma, come vedremo, potevano anche farne a meno) un trombettista indicato sul libretto come “Mystery Guest”, ma che dovrebbe essere Martin Fierro, dato che poi si occuperà del medesimo strumento nei Legion Of Mary, futura backing band del Garcia solista. Il triplo CD, che presenta un suono decisamente spettacolare (come se fosse stato inciso la settimana scorsa) vede i due leader (ma Jerry lo è di più) spaziare come di consueto dal rock al blues all’errebi, fino al jazz ed alla jam pura, con brani al solito lunghi e dilatati, perlopiù cover di pezzi famosi ma anche oscuri, dato che Garcia senza i Dead amava sperimentare ed occuparsi ben raramente di canzoni scritte da lui.

La performance è scintillante, addirittura fantasmagorica nelle parti strumentali, con Jerry in forma assolutamente strepitosa e Saunders non da meno quando piazza le mani sui tasti dell’organo, lunghi brani suonati in maniera calda e liquida, che hanno l’unico tallone d’Achille nelle parti vocali; Garcia infatti, si sa, non è mai stato un grandissimo cantante, ma a seconda delle serate riusciva anche a cavarsela egregiamente: qui invece fa parecchia fatica, le stonature sono sempre in agguato, e Jerry questo lo capisce e cerca di non forzare più di tanto, con il risultato che le parti cantate abbassano di parecchio la tensione che si viene a creare quando il gruppo si limita a suonare. Altro tasto dolente, la presenza nella seconda metà del concerto di Fierro (o chi per esso), che con la sua tromba invadente e spesso fuori posto,  a mio parere, c’entra poco con il suono generale del quartetto, finisce per rischiare di rovinare delle parti strumentali che, con un cantante più in forma, avrebbero reso questo sesto volume uno dei più belli della serie. Ma anche così direi che l’acquisto può essere pienamente giustificato, in quanto di cantato complessivo non c’è poi molto, e lo stato di forma “chitarristico” di Garcia da solo può valere la spesa.

Il primo CD si apre con la nota After Midnight di J.J. Cale, più lenta di come la faceva Clapton e più nello stile del suo autore, e già si capisce che la serata è di quelle giuste, con Jerry che rilascia subito un assolo dei suoi, ben assecondato dall’organo “caldo” di Saunders, relegando quasi le strofe cantate ad un intermezzo obbligato. Someday Baby è un blues di Sam Hopkins (che Bob Dylan ha pubblicato su Modern Times cambiando solo qualche parola e firmandolo come suo), anch’esso rallentato, quasi spogliato delle sue caratteristiche originarie, ma con un’altra performance super del barbuto chitarrista, che riesce a far sua la canzone al 100%; She’s Got Charisma è un pezzo originale di Saunders, l’inizio è quasi bluesato, ma ben presto si trasforma in una sontuosa jam strumentale dove Jerry e Merl si affrontano ad armi pari, con momenti di psichedelia pura, diciotto minuti di godimento, che confluiscono in una That’s Alright Mama che di minuti ne dura tredici, in cui il noto successo scritto da Arthur Crudup (ma reso immortale da Elvis Presley) è solo un pretesto per le formidabili evoluzioni di Jerry. Il secondo dischetto si apre ancora con un brano di Merl, The System, un pezzo che non è certo un capolavoro (e Saunders come cantante non se la cava molto meglio di Jerry), ma l’abilità dei nostri nel trasformare in oro anche canzoni minori è impressionante, altri diciotto minuti di sballo strumentale. Il primo set di chiude con una concisa rilettura (“solo” sei minuti) di The Night They Drove Old Dixie Down di The Band, una delle grandi canzoni della nostra musica che nelle mani di Garcia e soci non può che scintillare luminosa, anche se Levon Helm la cantava cento volte meglio.

Dopo un break i nostri tornano sul palco insieme a Fierro (che si tratterrà fino alla fine), un’aggiunta che nelle intenzioni avrebbe dovuto dare più colore al suono, anche se a mio parere non ce n’era bisogno: I Second That Emotion (Smokey Robinson) è in versione decisamente calda e piena di ritmo, un suono corposo e denso e solita grande chitarra, mentre il classico di Rodgers & Hart My Funny Valentine è una scusa per altri venti minuti di suoni in totale libertà, al limite del free jazz, ma poi Jerry prende il sopravvento e stende tutti come al solito, anche se l’invadenza della tromba dopo un po’ diventa palese, mentre le cose vanno meglio con la più sintetica (ma sono pur sempre nove minuti) Finders Keepers, un classico nei concerti di Jerry e Merl (è dei Chairman Of The Board), con Jerry che sfodera un’altra prestazione da manuale in un brano che, se “de-trombizzato”, sarebbe stata ancora migliore. Il terzo CD inizia con l’ottima Money Honey di Jesse Stone, purtroppo inficiata dalla prova vocale insufficiente di Jerry, anche se la parte strumentale è come al solito sublime; Like A Road è una ballata delle meno note tra quelle scritte da Dan Penn (nello specifico insieme a Don Nix), un brano molto soulful e vibrante, anche per merito dell’organo, suonato con grande classe e pathos e cantato anche abbastanza bene (e la tromba qui tace). Poi, altri 27 minuti di jam che partono con un’improvvisazione chiamata Merl’s Tune, in cui si alternano momenti fantastici ad altri più cerebrali, e dove purtroppo Fierro fa il bello ed il cattivo tempo, per finire con la sempre splendida How Sweet It Is (To Be Loved By You) di Marvin Gaye, che Jerry ha spesso usato per chiudere i suoi concerti.

Un live dunque strumentalmente ineccepibile, con diversi momenti di pura poesia sonora, ma anche qualche difettuccio qua e là, che per fortuna però non compromette il giudizio finale che rimane assolutamente positivo.

Marco Verdi