Se Lo Dicono Tutti Sarà Veramente Così Bello? Questa Volta Direi Proprio Di Sì! Conor Oberst – Salutations

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Conor Oberst – Salutations – Nonensuch/Warner

Come sapete al sottoscritto non piace uniformarsi per forza ai giudizi critici (che comunque leggo per documentarmi) relativi ai nuovi dischi in uscita: preferisco sempre adottare l’infallibile metodo “San Tommaso”, o se preferite Guido Angeli, ovvero provare per credere, anzi meglio, ascoltare per credere. E quindi, se posso, compatibilmente con le qualità industriali di dischi che “devo” sentire ogni mese, cerco di ascoltare gli album che per vari motivi hanno stuzzicato la mia curiosità, anche se poi non sempre riesco a scrivere il resoconto delle mie impressioni: ma questa volta, come dico nel titolo, sì! Perché l’album in questione, nello specifico parliamo del nuovo Salutations, a firma Conor Oberst, mi pare proprio un ottimo album. Disco che nasce sulla scia della prova acustica Ruminations, pubblicata solo alcuni mesi or sono e che che conteneva dieci delle canzoni ora riproposte in versione elettrica nel CD, con l’aiuto del grande batterista Jim Keltner, che ha curato anche la co-produzione dell’album insieme a Oberst, e alla band roots-rock dei Felice Brothers, veri spiriti affini di Conor e di cui l’estate scorsa vi avevo segnalato l’eccellente Life In The Dark, un piccolo gioiellino http://discoclub.myblog.it/2016/07/06/antico-dylaniano-sempre-gradevole-felice-brothers-life-the-dark/, che si muoveva, come questo, su territori cari alla Band Bob Dylan, ma non solo. Quindi il solito retro-rock? Direi di sì, ma quando è fatto così bene è difficile resistere, e le 17 canzoni contenute in questo disco (le dieci di Ruminations più altre sette aggiunte per l’occasione) sono tutte veramente belle e non si riscontrano momenti di noia dovuti alla eccessiva lunghezza dell’album.

Oltre ai Felice Brothers e Keltner nell’album appaiono parecchi altri musicisti di pregio: dall’ottimo Jim James Blake Mills, Gillian Welch Maria Taylor alle armonie vocali, nonché M. Ward e il quasi immancabile, in un disco di questo tipo, Jonathan Wilson, a chitarre e tastiere in due dei brani più belli del disco, uno dei due, Anytime Soon, dove è anche coautore del pezzo, con lo stesso Oberst, Taylor Goldsmith dei Dawes, Johnathan Rice, frequente collaboratore di Jenny Lewis, in una sorta di meeting di alcuni dei “nuovi” talenti del suono westcoastiano, considerando pure che il tutto è stato registrato ai famosi Shangri-La Studios di Malibu. Quindi Dylan+Band+California, risultato: ottimo disco, che lo riporta ai fasti dei migliori album fatti con i Bright Eyes. Partiamo proprio con la citata Anytime Soon, un bel pezzo rock di impianto californiano, con la slide pungente di Wilson, che ricorda quella di David Lindley, a percorrerla e una melodia solare che si rifà al sound dei Dawes o del loro mentore Jackson Browne, ma anche con spunti beatlesiani.

Comunque fin dall’apertura deliziosa della valzerata Too Late For Fixate, con in evidenza il violino di Greg Farley e la fisarmonica di James Felice, che uniti all’armonica dello stesso Oberst, crea subito immediati rimandi alla musica del Dylan anni ’70 ( e anche la Band, ovviamente, grazie all’uso della doppia tastiera, affidata spesso a Felice); contribuiscono ampiamente alla riuscita anche i testi visionari e surreali, sentite che incipit: “Tried Some Bad Meditation/ Sittin’ Up In The Dark/They Say To Picture An Island/Cuz That’s One Place To Start/I Guess I Could Count My Blessings/I Don’t Sleep In The Park/With All My Earthly Possessions/In One Old Shopping Cart”, e ditemi chi vi ricorda. Anche la seconda canzone Gossamer Thin mantiene questa atmosfera sonora, con il riff circolare a tempo di valzer, sempre impreziosito dall’uso di violino, fisa ed armonica, oltre alle armonie vocali di Jim James, che rimane poi anche per la successiva Overdue, dove si apprezza il lavoro delle chitarre elettriche e quello di un piano Wurlitzer, molto alla Neil Young anni ’70, con il ritornello che ti rimane subito in testa.

Afterthought in veste full band acquisisce ulteriore fascino, anche grazie al lavoro preciso e variegato di Jim Keltner, uno dei più grandi batteristi della storia del rock, ancora splendide le armonie vocali corali dei Felice Brothers assortiti, il violino guizzante di Farley e l’armonica insinuante di Conor, sembra quasi di essere capitati in qualche outtake di Blonde On Blonde. Molto coinvolgente anche la delicata ballata Next Of Kin, già presente in Ruminations, che rimanda ai pezzi più belli di un altro cantautore che quando viene colto dall’ispirazione può regalare canzoni stupende, penso a Ryan Adams, e pure in questo testo ci sono deliziose citazioni d’epoca:  “Yeah I met Lou Reed and Patti Smith/It didn’t make me feel different/I guess I lost all my innocence/Way too long ago”. In Napalm il ritmo si fa più incalzante e bluesy, per continuare il parallelo con Dylan ci tuffiamo in Highway 61 con l’organo di Felice e le chitarre di Oberst a ricreare il sound dell’accoppiata Kooper/Bloomfield, con i dovuti distinguo, e senza dimenticare Farley che si dà sempre da fare con il suo violino.

Blake Mills aggiunge il suo guitaron e la baritone guitar per una intima e raccolta Mamah Borthwick (A Sketch), dove si apprezza anche la voce di Gillian Welch, splendida. Mentre nelle successive Till St. Dymphna Kicks Us Out e Barbary Coast (Later) appare anche un quartetto di archi e il pianoforte assurge a ruolo di protagonista, nel primo brano, a fianco degli immancabili violino, fisarmonica e armonica, senza dimenticare la chitarra elettrica di Ian Felice, sempre presente, con un lavoro sia di raccordo quanto solista; Barbary Coast addirittura mi ha ricordato certe cose del primo Van Morrison, quello californiano, con il prezioso apporto della voce di Maria Taylor. Tachycardia è un’altra ballata di ampio respiro, con doppia tastiera e armonica sempre in evidenza (ma è difficile trovare un brano non dico scarso, ma poco riuscito), mentre Conor Oberst canta sempre con grande trasporto e convinzione, mentre il violino e la chitarra di Mills ricamano sullo sfondo. Serena ed avvolgente anche la dolcissima Empty Hotel By The Sea, con mille particolari sonori gettati nel calderone sonoro di una ennesima riuscita canzone, con gli strumenti sempre usati con una precisione quasi matematica.

Del pezzo con Jonathan Wilson abbiamo detto. Counting Sheep è una ulteriore variazione sul tema sonoro dell’album, e nonostante il titolo è meno “sognante” di altri episodi, con le chitarre elettriche più graffianti e la bella voce della Taylor che ben supporta il nostro. Rain Follows The Plows, di nuovo con la presenza del quartetto di archi, assume un carattere quasi più barocco e complesso, grazie all’uso del piano elettrico e della chitarra elettrica di Blake Mills, presente per l’ultima volta, a fianco di violino,, armonica e tastiere, che, l’avrete ormai capito, sono gli strumenti più caratterizzanti dell’album. Di nuovo Gillian Welch a duettare con Oberst in You All Loved Him Once, altra love ballad di elevata qualità e delicatezza, con armonica e chitarra elettrica che deliziano i nostri padiglioni auricolari ancora una volta, una delle più belle canzoni del disco.

A Little Uncanny, con video prodotto dal bassista del disco (e dei Felice Brothers) Josh Rawson è uno dei pezzi più rock e mossi di questo Salutations, chitarristico ed incalzante, prima del commiato, Salutations appunto, dove ritornano il piano, la chitarra ed il synth di Jonathan Wilson, per un altro tuffo nel sound da singer songwriter californiano degli anni ’70, a conferma della qualità di questo lavoro che si candida fin d’ora tra le migliori prove di questo inizio 2017, e che vi consiglio caldamente!

Bruno Conti