Una Band Di “Culto”! The Men They Couldn’t Hang – Demo’s And Rarities Voll. 1&2

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The Men They Couldn’t Hang – Demo’s and Rarities Vol. 1-2 – Vinyl Stac Records – 2011

Gruppo sfortunato e simpatico questo dei The Men They Couldn’t Hang, che ha avuto solo un grande handicap, quello di trovarsi sulla strada dei Pogues, coloro che negli anni ottanta venivano ritenuti i migliori nel campo dell’alternative folk, e di non riuscire di conseguenza a trovare un proprio spazio “al sole” nell’immenso mercato del folk rock anglofilo e internazionale, anche se sinceramente la loro proposta musicale non possedeva l’inventiva della band dello “sdentato” Shane MacGowan. In ogni caso il gruppo inglese aveva fornito delle buone prove sin dall’esordio con Night of a Thousand Candles (1985), How Green Is The Valley (1986), Waiting For Bonaparte (1988), Silvertown (1989), Domino Club (1990), e lo splendido live Alive, Alive O (1991), che concludeva prematuramente la loro unione.

E sì che i presupposti c’erano: le chitarre e le voci stile Byrds, un notevole senso dell’armonia, brani piacevoli e scorrevoli, per un “sound” attraente e invitante, baldanzoso e vivace, a tratti irresistibile. Dopo alcuni anni di riflessione a causa di una separazione affrettata e poco convinta, i TMTCH tornano ad incidere dischi a partire da Never Born To Follow (1996), Big Six Pack (1997), The Cherry Red Jukebox (2003), Smugglers and Bounty Hunters (2005), per finire a Devil On The Wind (2009), abbandonando quasi completamente le contaminazioni dei primi lavori.

Ora, sono venuto in possesso di queste ristampe di due raccolte di “Demos & Rarities” (e molti album della discografia sono comunque ancora in produzione), che con merito e intelligenza spaziano nel periodo degli anni ’80, saccheggiando indubbiamente i lavori più significativi del gruppo, i già menzionati How Green Is The Valley, Silvertown e Domino Club. La formazione è quella originale con Stefan Cush alle chitarre elettriche, Philip “Swill” Odgers voce e chitarra acustica, Paul Simmonds al bouzouki e mandolino, Ricky McGuire al basso, Jon Odgers alla batteria, Nick Muir al piano e fisarmonica. Paul Simmonds che firma buona parte dei pezzi, in particolare è un piccolo genio. Fra i brani più popolari che compaiono in queste raccolte di piccoli tesori del “gaelic-punk”, figurano Rosettes, e Margaret Pie, del buon rock celtico, e ballate di ampio respiro come Australia, Billy Morgan, Family Way, che fanno rivivere storie e paesaggi d’ispirazione “anglofila”. La cosa più interessante del secondo volume riguarda i pezzi inediti che vengono ripescati dalle “sessions” di The Domino Club, e precisamente Broadway Melody, More Than Enough, e Walking To Wigan Casino, che a distanza di circa vent’anni, a confronto di quello che ci viene propinato da certi gruppi di oggi, rimangono attuali e di alto livello.

Mi auguro che l’uscita di queste “compilation” potrà servire a recuperare punti e credibilità verso una critica specializzata (musicale) che li aveva spesso snobbati, una band che attanaglia sempre l’attenzione dell’ascoltatore con tanta grinta  e una grande anima che caratterizza il loro “sound”, che nel tempo si è fatto più omogeneo e maturo. Un gruppo, quello dei The Men They Couldn’t Hang , che non merita assolutamente di essere dimenticato.

Tino Montanari

Se Li Scrive, Se Li Canta E Se Li Vende! Dall’Irlanda Pat Gallagher & Goats Don’t Shave

NDB: Anche il giorno di Natale doppia razione. Se vi interessano i dischi di cui leggete qui sotto li trovate solo a http://www.patgallagher.ie/. Buona lettura.

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Pat Gallagher – When I Grow Up – Pat Gallagher 2011
Goats Don’t Shave – The Collection – Pat Gallagher 2011

Per il mio immenso piacere personale ritorna con due lavori autoprodotti il cantautore del Donegal Pat Gallagher, ex barista e leader dei Goats Don’t Shave ( Le capre non si radono), l’ottima band irlandese che ha calcato le scene per sette anni dall’inizio degli anni novanta, proponendo una musica viva e attuale, con le basi ben radicate nella tradizione, che ha riscosso consenso e successo non solo in Europa, ma anche negli States (ha piazzato sia singoli che album nelle charts), e nel 1993 è stata votata dalla rivista “Time Out” quale miglior gruppo dell’anno. Dopo il debutto da solista con Tor del 1993, Pat con When I Grow Up ci regala una prova decisamente positiva, che ci consegna un personaggio che vive ancora un buon momento creativo, cha ha ancora diverse cose da dire, che canta canzoni che hanno un senso, una logica, che fanno pensare oltre che rilassare. Aiutato in studio (penso di casa sua) da John Mc Hugh alle tastiere e Charlie Arkins al violino, Gallagher (che suona tutti gli altri strumenti) propone 12 brani di cui solo il tradizionale The Master’s Hand non porta la sua firma.

L’iniziale When I Grow Up è una canzone dal ritornello piacevolissimo, mentre la seguente All Together è un eccellente ballata cantata con grande convinzione. Dopo il tradizionale The Master’s Hand, Half A Man è un motivo di atmosfera, mentre Down On My Knees e Symptoms Of Love sono in puro e godibilissimo stile “country”.  A questo punto Pat riprende due grandi canzoni del passato, la bellissima Closing Time, il brano forse più pop della sua produzione, con il violino di Arkins in grande spolvero, e Super Hero che sostanzialmente era un brano acustico, qui viene riproposto in versione accelerata. Little Hotel Room è una  delle più belle canzoni scritte da Pat, ballata di grande spessore ed intensità, cui fa seguito una Cant Live Without You motivo d’amore cantato alla Christy Moore, con una bella melodia intessuta da mandolino e armonica. La conclusiva If I Had You è un ottima “country bar song”.

Il secondo disco come fa notare lo stesso Pat nelle note del libretto, è una compilation dei suoi brani favoriti tratti dai lavori fatti con il gruppo, e precisamente The Rusty Razor del 1993 e Out In The Open del 1994. Tra i pezzi tutto ritmo e carica spiccano la scoppiettante Las Vegas, con il “whistle” in evidenza, il quasi furioso Mary, Mary dal grande impatto corale e il “fiddle” superveloce (con un belato finale per stare in tema con la denominazione del gruppo), e Let the World Keep on Turning, dove gli impasti del ritornello ricordano i Men They Could’n Hang. Molto belle e ovviamente più serie le ballate proposte, a cominciare da Eyes motivo d’amore, The Evictions dal tema sempre più attuale e con il violino suonato come nei primi dischi dei Saw Doctors , per citare un gruppo di riferimento.

La campestre strumentale Biddy From Sligo è ripresa  dal vivo, mentre Arranmore e Crooked Jack riportano alla mente certe cose  dei Pogues. You’re Great è una song delicata carica d’emozioni, mentre la potente Coming Home con la sezione ritmica che gira a mille, è parente stretta dei migliori Levellers (quelli di Levelling The Land per intenderci). Anche qui non poteva mancare Closing Time nella sua versione originale, e una Let It Go incisiva con frequenti cambi di ritmo, che mi ricorda i grandi Hothouse Flowers (i miei preferiti da sempre). Si segnala per originalità un brano dal ritmo africano John Cherokee, cantato quasi a cappella con supporto di sole percussioni e basso, mentre Claim e Gola sono due maestose ballate “folk rock”, per chiudere con A Returning Islander motivo praticamente parlato, che concentra l’attenzione sulle acque dell’Atlantico.

Van Morrison e Sinead O’Connor ai tempi non si perdevano i loro concerti, questo dimostra quanto Pat Gallagher e i suoi Goats Don’t Shave fossero considerati dagli addetti ai lavori, è ora che vengano riscoperti, se non li conoscete non perdete l’occasione per entrare in contatto con una delle migliori “Folk Bands” Irlandesi. Buone Feste !!!

Tino Montanari