“Liquido” Ma Anche Solido, Soprattutto Dal Vivo Un Vero Virtuoso Della 6 Corde. Michael Landau – Liquid Quartet Live

michael landau liquid quartet live

Michael Landau – Liquid Quartet Live – Players Club/Mascot Label Group

Altro album chiaramente indirizzato agli appassionati della chitarra, dopo quello recente, sempre dal vivo, pubblicato da David Grissom https://discoclub.myblog.it/2020/06/13/per-la-gioia-degli-appassionati-della-chitarra-se-riescono-a-trovarlo-david-grissom-trio-live-2020/ , o quello uscito alcuni mesi fa di Sonny Landreth https://discoclub.myblog.it/2020/02/23/e-intanto-sonny-landreth-non-sbaglia-un-disco-sonny-landreth-blacktop-run/ : tre virtuosi assoluti, perché anche Michael Landau ha un passato (e anche un presente, visto il recente Rock Bottom del 2018 https://discoclub.myblog.it/2018/02/23/sempre-a-proposito-di-chitarristi-michael-landau-rock-bottom/ ) di dischi dove l’utilizzo della chitarra elettrica è elevato a livelli quasi “sublimi”, ovviamente per chi ama questo tipo di approccio molto sofisticato alla musica, che per quanto abbia importanti sfumature jazz, però non manca di nerbo e di una varietà di tematiche musicali ispirate da tutta la lunga carriera musicale di Landau, che negli ultimi anni lo avevano portato anche a formare una band con Robben Ford, i Renegade Creation, dove i due stili convivevano appunto alla perfezione https://discoclub.myblog.it/2010/12/27/posso-solo-confermare-michael-landau-robben-ford-jimmy-hasli/ .

Come mi è capitato di dire in passato il buon Michael è una sorta di “chitarrista dei chitarristi” e nei suoi dischi come titolare ama mettere in mostra tutta la tecnica imparata in oltre 45 anni di onorata carriera, suonando di tutto, con tutti. Ma in questo disco dal vivo ha voluto privilegiare soprattutto la componente jazz(rock) della propria musica: nel disco troviamo, come nel precedente CD del 2018, il vecchio amico David Frazee, cantante e chitarrista aggiunto, già con lui nei Burning Water sin dagli anni ‘90, ma anche una nuova sezione ritmica con due pezzi da 90 come il batterista Abe Laboriel Jr (nella band di Paul McCartney da quasi 20 anni) e Jimmy Johnson, bassista nei dischi del compianto Allan Holdsworth da metà anni ‘80 in avanti. La presenza di questi musicisti naturalmente alza l’asticella dei contenuti tecnici della musica a livelli molto alti. Aiuta anche il fatto chi il CD sia stato registrato, lo scorso novembre, in un piccolo locale, il Baked Potato Jazz Club di Los Angeles, famoso per i suoi intimi concerti dove il pubblico presente può apprezzare nitidamente nei dettagli il fluire della musica che viene dispensata agli appassionati presenti.

La serata si apre con Can’t Buy My Way Home, un pezzo quasi after hours del repertorio dei Burning Water, dove rock, blues e jazz convivono mirabilmente nella “musicalità” dei vari componenti la band che si scambiano da subito acrobatici interscambi sonori con nonchalanche ma anche con impeto, interagendo tra loro in modo quasi telepatico, con Landau che lavora di fino su timbriche e sonorità quasi al limite dell’impossibile, per non parlare di Greedy Life un brano dei Renegade Creation dove Landau riproduce la sua parte e quella di Robben Ford in una vorticosa jam da power trio, dove Laboriel e Johnson creano un tappeto ritmico in crescendo da sentire per credere. Well Let’s Just See è uno dei brani nuovi, dove rock hendrixiano e sonorità alla Allan Holdsworth si intrecciano goduriosamente, con Killing Time che rivisita nuovamente il repertorio dei Burning Water in una ballata spaziale e delicata dove si apprezza una volta di più la tecnica prodigiosa del musicista californiano, un vero maestro della chitarra.

Bad Friend viene da Rock Bottom, un brano grintoso e tempestoso cantato a due voci da Michael e Frazee, sempre con la ritmica che imperversa e anche nell’altra canzone nuova Can’t Walk Away From It Now, più flessuosa e sinuosa, Landau esplora i toni e i vibrati della sua chitarra in maniera magistrale e in Renegade Creation quello più carnale e vicino al rock più “riffato” e tradizionale, si fa per dire visto che la chitarra viaggia a velocità supersoniche sostenibili per pochi. One Tear Away è l’altro pezzo estratto da Rock Bottom, un’altra ballata “astrale” di una raffinatezza e sciccheria nuovamente sublimi che mi ha ricordato certe cose dei King Crimson dell’epoca di Adrian Belew. Il concerto si chiude con due brani strumentali Tunnel 88 e Dust Bowl dove Michael Landau esplora sentieri quasi sperimentali con la chitarra in viaggio verso la stratosfera nel primo brano e nelle volute del jazz nel secondo. Che dire? “Cazzarola” se è bravo! Esce al 21 agosto.

Bruno Conti

Ancora A Proposito Di Chitarristi. Michael Landau – Rock Bottom

michael landau rock bottom

Michael Landau – Rock Bottom – Mascot/Provogue

Michael Landau è il classico “chitarrista dei chitarristi”, un musicista molto stimato dai colleghi, poco conosciuto direttamente dal grande pubblico, anche se il suo nome appare nei credits di almeno 800 album (forse anche di più!) dalla metà degli anni ’70 a oggi: quando qualcuno ha bisogno di un musicista nell’area di Los Angeles e dintorni, ma anche nel resto del mondo, il nome di Landau è uno dei più ricorrenti. Ha iniziato come chitarrista nella band di Boz Scaggs e poi si è subito tuffato nel remunerativo mondo dei sessionmen, negli anni ’80 e ’90 (insieme a Steve Lukather, Michael Thompson e Dan Huff) :era raro che ci fossero dischi di rock in quegli anni, soprattutto registrati in California, dove non suonasse il nostro amico. Non sempre, anzi raramente, in dischi che ci appartengono a livello di gusto (e tuttora alterna partecipazioni agli album di Ramazzotti e Tiziano Ferro, con quelle alla Steve Gadd Band,oppure  con James Taylor o Beth Hart), in passato però ha suonato anche con Joni Mitchell, Miles Davis, Pink Floyd, ma pure in una valanga di “tavanate galattiche” che vi risparmio. Il chitarrista però è uno di quelli bravi, come dimostrano i suoi rari album solisti, gli ultimi un Live del 2006 e un Organic Instrumentals del 2012, dove può indulgere anche alla sua passione per un jazz (rock) alla Allan Holdsworth e simili, oppure nei Renegade Creation, con Robben Ford, in cui viene praticato un rock-blues muscolare, comunque di eccellente fattura tecnica http://discoclub.myblog.it/2010/12/27/posso-solo-confermare-michael-landau-robben-ford-jimmy-hasli/ .

Tra i vari gruppi, poco noti, in cui aveva militato Landau in passato, c’erano stati ad inizio anni ’90 i Burning Water, autori di quattro album, band in cui c’erano anche il fratello Teddy Landau al basso, il cantante David Frazee, entrambi li ritroviamo ora in questo Rock Bottom, insieme al nuovo batterista Alan Hertz. Il disco è in uscita oggi 23 febbraio, ed è il classico album che unisce le varie passioni di Michael: c’è molto rock, ma anche brani dove spicca l’acrobatico stile jazzato di Landau, che in passato è stato definito una sorta di Jimi Hendrix per il 21° secolo, in quanto secondo qualche critico “estroso e visionario” potrebbe suonare la musica che il mancino di Seattle stava per intraprendere al tempo della sua scomparsa, una fusione di jazz e rock. Potrebbe essere, perché di “nuovi Jimi Hendrix” ce ne sono stati quanti i nuovi Dylan, ma l’originale era uno solo. Comunque il nuovo CD complessivamente è decisamente buono, con parecchi brani sopra la media, e altri meno eccitanti: l’iniziale Squirrels, dove si apprezza anche l’eccellente apporto dell’organo di Larry Goldings, che è il tastierista aggiunto in tutto l’album, ha quasi venature leggermente psichedeliche e sognanti, con l’ottima voce di Frazee in primo piano e le evoluzioni della solista di Landau, che subito si accompagnano all’eccellente lavoro ritmico del gruppo, dove spicca il basso del fratello Teddy Landau, partenza molto interessante.

Poi ribadita nella rocciosa Bad Friend, in effetti hendrixiana e roccata, ma anche raffinata, una specie, più o meno, di Red Hot Chili Peppers meno proni alle derive commerciali degli ultimi album, con la chitarra di Michael Landau, anche in modalità wah-wah, veramente dappertutto; Gettin’ Old, con i suoi tocchi jazz e atmosferici può rimandare ai lavori di Holdsworth con i Tempest o di Ollie Halsall con i Patto, grande tecnica ma anche spirito rock. We All Feel The Same è un blues futuribile nello stile dell’amico Robben Ford, sospeso e felpato, con le tastiere che scivolano sullo sfondo, mentre la chitarra pennella note ad effetto in grande souplesse e Frazee canta in modo davvero brillante, We’re Alright vira nuovamente verso un rock robusto e anche accattivante, con i suoi riff ripetuti e un groove molto coinvolgente, sempre nobilitato dalle scariche micidiali della solista di Landau . One Tear Away è una sorta di doom rock con vaghi retrogusti sabbathiani, senza violenze metal, ma con il gusto per un’improvvisazione raffinata ed elegante che riscopre il miglior rock progressivo degli anni ’70 https://www.youtube.com/watch?v=YHEtbAe46m4 ; Poor Dear è un solido rock-blues tra Cream e Steve Miller Band, mentre Freedom è una ballata jazz crepuscolare, da suonarsi in qualche nightclub d’elite di New York ed Heaven In the Alley un’altra pigra e ciondolante ballad fuori dagli schemi e alquanto irrisolta, ma con il solito assolo prodigioso. Chiude l’album Speak Now, Make Your Peace uno “strano” blues notturno parlato, molto minimale ma poco coinvolgente, al di là dell’immancabile assolo strabiliante della chitarra, doppiata dell’organo, che lo risveglia nel finale. Per chi ama i chitarristi, ma non solo.

Bruno Conti

Un “Eroe” Musicale Delle Due Coste? Michael McDonald – Wide Open

michael mcdonald wide open

Michael McDonald – Wide Open – BMG

Michael McDonald, da St. Louis, Missouri, è stato per certi versi, come Garibaldi fu “l’eroe dei due mondi”, una sorta di “eroe” musicale delle Due Coste, prima, ad inizio carriera, su quella orientale, come membro aggiunto degli Steely Dan, poi della West Coast, quando nel 1976 entrò nei Doobie Brothers come sostituto di Tom Johnson. In entrambe le band il suo stile si ispirava comunque alla soul music, se vogliamo il cosiddetto “blue eyed soul”, più raffinato e composito quello della band di Donald Fagen, più vicino al pop e al soft-rock nel gruppo californiano. Se devo essere sincero io ho sempre amato molto di più i Doobies quando facevano del sano rock misto a country e blues, quelli del primo periodo, ma anche nella fase a guida McDonald hanno regalato dei buoni album, più sofisticati e commerciali, ma con il baritono vellutato di Michael in grande spolvero. Poi il nostro ha intrapreso un carriera che attraverso undici album solisti (di cui due natalizi) ci porta ai giorni nostri. Non una produzione sterminata, ma Michael McDonald è anche stato l’uomo delle collaborazioni, e proprio in un paio di ensemble collettivi, come la New York Rock And Soul Revue (sempre con Fagen), e poi nei Dukes Of September, dove si aggiungeva anche Boz Scaggs, ha forse dato il meglio di sé http://discoclub.myblog.it/2014/03/26/band-tutte-le-stagioni-the-dukes-of-september-donald-fagen-michael-mcdonald-boz-scaggs-live-at-lincoln-center/ .

L’ultimo album, Wide Open, arriva dopo una pausa di nove anni dal precedente Soul Speak, e come i due che lo precedevano erano dischi di cover usciti per la rinnovata Motown, questo nuovo CD è il primo da vent’anni a questa parte a contenere materiale originale: nel disco, co-prodotto con Shannon Forrest, suonano uno stuolo di musicisti di pregio, tra cui spiccano Michael Landau, poi, li cito a caso, Larry Goldings, Willie Weeks, Steve Porcaro, Tom Scott, Michael Leonhart (storico collaboratore sempre di Fagen) che ha curato gli arrangiamenti dei fiati, insieme a Mark Douthit e, per non farsi mancare nulla, tra gli ospiti appaiono Robben Ford, Warren Haynes, Brandford Marsalis e Marcus Miller. Il disco, elaborato nel corso di vari anni, è buono, non possiamo negarlo, ma dovete forse, per apprezzarlo, essere estimatori dello stile comunque levigato e a tratti turgido del nostro, che ha sempre il suo classico vocione, scrive brani piacevoli, e se siete estimatori del blue-eyed soul lo apprezzerete sicuramente, ma anche gli ascoltatori “neutrali” troveranno motivi per godere della classe e dell’eleganza raffinata della musica contenuta in questo Wide Open. Dall’apertura classico groove tra le due coste di Hail Mary, che fonde il sound di Steely Dan e Doobie Brothers, con un suono vellutato come la musica del suo autore, tra voci femminili di supporto (la moglie Amy Holland), fiati, chitarre e tastiere accarezzate per ottenere quella versione bianca della soul music che McDonald ha sempre prediletto, e in questo disco ripropone con più vigore e rinnovata fiducia nei suoi mezzi, ottimo l’assolo di sax, di Mark Douthit, in un lungo brano che sfiora i sette minuti, mentre addirittura la successiva Just Strong Enough avvicina gli otto, per  una sorta di blues ballad con fiati e archi, sulla falsariga di certe cose di BB King, e che vede Warren Haynes e Robert Ford duettare brillantemente alle soliste in un pezzo molto cool, dove tutta la band lavora di fino.

L’album comunque contiene canzoni che superano regolarmente i cinque minuti (solo una è sotto questo minutaggio) e quindi i musicisti sono liberi di suonare al meglio delle loro possibilità: i due pezzi iniziali sono i migliori, ma anche la mossa Blessing In Disguise è eccellente, con un sound che richiama addirittura (con il dovuto rispetto) gli Steely Dan di Aja, funky-jazz soul music con Branford Marsalis al sax nel ruolo che fu di Wayne Shorter, notevole anche Shannon Forrest alla batteria, quasi un novello Steve Gadd. Find It In Your Heart si basa un sinuoso wah-wah a guidare le danze, mentre Marcus Miller pompa sul basso e l’assolo di sax è di Tom Scott è la classica ciliegina sulla torta; Half Truth, con lo stesso Michael McDonald all’armonica, è un avvolgente pezzo rock di grande impatto, con Ain’t No Good che ricade in certo easy listening che ogni tanto si insinua nei brani del nostro amico, e pure Honest Emotion, nonostante gli inserti acustici, fa sì che entrambe le canzoni siano meno valide, come pure Dark Side che però ha una bella melodia e qualche vago tocco alla Bacharach, grazie a fiati e archi. Anche If You Wanted To Hurt Me non mi piace molto, troppo simile al McDonald più leggerino del passato, meglio Beautiful Child dove si riprende il gusto per gli arrangiamenti complessi e raffinati al servizio della pop song, elementi che sono da sempre nel menu del buon Michael. Too Short ha sonorità Caraibiche e world miste all’errebì classico, quasi alla Paul Simon, con la conclusiva Free A Man, molto incalzante e ben suonata, che vira di nuovo verso una sorta di jazz-rock alla Steely Dan, grazie ad un liquido piano elettrico, al sax, ancora Scott e alla chitarra di Landau. Come per tutto il disco d’altronde, non parliamo di un capolavoro, ma di un album solido e molto piacevole, oltre che, come detto, assai raffinato.

Bruno Conti

Il Supplemento Della Domenica: Anteprima Beth Hart – Fire On The Floor, Il Disco Della Completa Maturità!

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Beth Hart – Fire On The Floor – Mascot/Provogue – 14-10-2016

Al sottoscritto il precedente album di Beth Hart Better Than Home era piaciuto parecchio http://discoclub.myblog.it/2015/04/24/bel-disco-forse-troppe-ballate-dal-vivo-beth-hart-better-than-home/ , forse inferiore ai due album con Joe Bonamassa, che però contenevano solo cover, ma superiore a Bang Bang Boom Boom, che pure era prodotto da Kevin Shirley e vedeva la partecipazione in fase di registrazione della band dello stesso Joe, ma le cui canzoni erano meno compiute e varie di quelle di Better Than Home. Che era comunque un album più intimista, ricco nell’ambito della ballate e di brani più bui e malinconici: poi si è scoperto, come ha confidato la stessa Beth, che durante la registrazione di quel disco, uno dei due produttori, Michael Stevens, era gravemente malato, nelle fasi terminali di un cancro che poi se lo sarebbe portato via da lì a poco. Quindi l’atmosfera in studio era decisamente tesa, ricca di emozioni particolari, anche se poi il risultato era stato più che buono, per quanto difficile per i partecipanti, con un suono comunque ben bilanciato e la partecipazione di alcuni musicisti di pregio, come Larry Campbell alle chitarre e Charlie Drayton alla batteria, oltre all’altro produttore Rob Mathes che suonava tastiere, chitarre e curava tutti gli arrangiamenti. Alcune delle canzoni sono diventate dei piccoli classici del repertorio live della nostra amica, anche se proprio dal lato concertistico, che pure è uno dei punti fermi di Beth Hart, una performer formidabile https://www.youtube.com/watch?v=XPyeqLRNoc4 (degna di tutte le grandi del passato, da Janis Joplin e Grace Slick, passando per Etta James, Aretha Franklin, Tina Turner, Bonnie Bramlett di Delaney & Bonnie)  https://www.youtube.com/watch?v=QTWxXG2NoKQ risiede anche uno dei piccoli punti deboli della sua musica: insomma, detto papale papale, la touring band che Beth Hart utilizza, non so se per fedeltà o per motivi economici, formata comunque da buoni professionisti https://www.youtube.com/watch?v=UNk2lMu2cuI , non è paragonabile ai musicisti che suonano nei dischi, la band di Bonamassa, quelli appena citati, oppure ancora quelli che suonano nel nuovo disco, Michael Landau e Waddy Wachtel alle chitarre, Rick Marotta alla batteria, Brian Allen al basso, Jim Cox al piano, Dean Parks all’acustica, Ivan Neville all’organo (più una sezione fiati).

Ca…spiterina, perché come ricorda lei stessa in una intervista, e lo lascio in inglese, perché rende perfettamente l’idea “If you don’t have great musicians, you’re not gonna have a very good record, are you?! Concordo del tutto ed è questo il motivo per cui mi ostino sempre a segnalare i nomi dei musicisti nelle recensioni. E a proposito della affermazione appena riportata, questo è un buon disco, a tratti ottimo. Anche il produttore Oliver Leiber (pure lui un nome che ricorda qualcosa, infatti è il figlio di Jerry Leiber,  di Leiber & Stoller, una delle coppie strategiche del periodo aureo del R&R, del R&B e del primo pop https://www.youtube.com/watch?v=kdWc-rtnHUE ) fa un ottimo lavoro: dodici brani che la stessa Beth dice essere tra i migliori scritti nella sua carriera, e poi da lei messi in una sequenza che ci porta ad una sorta di crescendo qualitativo. Mi sono sentito l’album più volte, visto che lo sto ascoltando due mesi prima dell’uscita e devo dire che è veramente ottimo: dall’abbrivio jazz e raffinato di una Jazzman che tiene fede al titolo, swing-jump anni ’40-‘50, con piano, contrabbasso, fiati, un assolo di chitarra in punta di dita e la voce felpata, ma che prende fuoco all’occorrenza. Love Gangster è un blues con licenza blue-eyed soul, ricco di melodia e di ritmo, con le improvvise fiammate della Hart, che con quella voce può fare ciò che vuole, e un notevole assolo di chitarra in chiusura, Coca Cola viceversa è cantata con la voce vulnerabile e miagolante che Beth sfodera quando vuole rendere omaggio a Billie Holiday, uno dei suoi miti, sexy e panterona, subito pronta a graffiare in questo intenso blues.

Let’s Get Together è una delle canzoni che mi piacciono di più, un soul/R&B fiatistico solare, molto sixties, tipo quelli che scrivevano proprio Leiber & Stoller, delizioso. Love Is A Lie è uno di quei pezzi potenti tra blues e rock in cui Beth Hart eccelle con la voce che sale e scende a comando e la band, soprattutto le chitarre, che suona alla grande, mentre Fat Man, un brano scritto con Glen Burtnik e poi accantonato per essere completato in tempi recenti, è uno dei pezzi più rock, tipico del suo lato più scatenato, Anche Fire On The Floor dovrebbe fare sfracelli dal vivo, una ballata blues potente ed intensa, di grande impatto emotivo, Woman You’ve Been Dreamig Of è un’altra delle sue tipiche ballate pianistiche, intima e raccolta, sempre ricca di pathos ma anche di melodia, quella che si chiama di solito una bella canzone; Baby Shot Me Down rialza i ritmi, un tocco latino qui, un waw-wah malandrino là, un’aria divertita e la solita voce splendida. Che poi raggiunge il suo vertice interpretativo in Good Day To Cry, una superlativa ballata soul degna di quelle che si ascoltavano in Pearl di Janis Joplin  https://www.youtube.com/watch?v=rZuGz2pNc5s, interpretazione da brividi, con picchi e vallate che si alternano nel corpo della canzone, e pure la successiva Picture In A Frame, inizialmente concepita come una testimonianza del suo amore per il marito, ma che poi si è trasformata in un omaggio allo scomparso Michael Stevens, praticamente quasi solo piano e voce all’inizio, ma poi entra la band e diventa un’altra meravigliosa ballata, come pure la splendida conclusiva No Place Like Home, che pur predicando il concetto opposto di Better Than Home, propone semplicemente l’altra faccia della stessa medaglia.

Sempre più brava, probabilmente il disco più bello della sua carriera, una voce come ormai se ne trovano poche in giro, esce venerdì 14 ottobre.

Bruno Conti

La Classe Non E’ Acqua! James Taylor – Before This World

james taylor before this world cd standard james taylor before this world

James Taylor – Before This World – Concord/Universal CD – Deluxe CD + DVD – Super Deluxe 2CD + DVD + Book

Pur non essendo mai stato un suo grandissimo fan (mi mancano anzi diversi suoi album) a me James Taylor è sempre stato simpatico. Sarà per il suo stile garbato, sarà per la sua espressione costantemente rilassata, ma l’ho sempre visto come il classico vecchio amico che, in caso di bisogno, per te c’è in ogni momento, ha sempre una birra in fresco da offrirti e non ti fa mai mancare una parola di conforto per farti sentire meglio nei momenti difficili. Magari non sarà mai l’amico con cui uscire a fare bisboccia, divertirsi un mondo ma anche rischiare di finire la serata al commissariato (per quello ci sono i Rolling Stones), ma un punto fermo della tua vita a cui rivolgerti quando hai bisogno di sicurezze. Nei paesi anglosassoni uno come Taylor è definito acquired taste, gusto acquisito, cioè appartenente a quella schiera di artisti che nella loro carriera non hanno mai cambiato di una virgola il proprio suono, difficilmente fanno il disco sotto la media e comunque sai esattamente cosa aspettarti da loro, ma se sono ispirati potrebbero anche regalare la classica zampata d’autore: un altro valido esempio potrebbe essere Van Morrison, il cui standard è però sempre stato molto più alto.

Before This World è il diciassettesimo album di studio di James, ed il primo di materiale originale a ben dodici anni di distanza da October Road (nel mezzo c’è stato un ottimo disco di covers + un EP), e giunge quasi a sorpresa, in quanto si pensava che Taylor si fosse praticamente ritirato, apparendo soltanto per qualche sporadica tournée. Invece, dopo un attento ascolto, devo dire che Before This World è meglio di October Road (che pure non era male), e si colloca senza fatica tra i lavori più riusciti del nostro: James si dimostra in forma, per nulla arrugginito, la voce sempre uguale, e la sua capacità di scrivere canzoni semplici ma non banali (il suo marchio di fabbrica) è rimasta intatta.

Oltre a James, che si accompagna come al solito alla chitarra, troviamo un piccolo gruppo di musicisti con la “m” maiuscola, che rispondono ai nomi di Michael Landau alle chitarre, Jimmy Johnson al basso, Steve Gadd alla batteria, Larry Goldings alle tastiere ed Andrea Zonn al violino, gente che ha suonato con chiunque e che è in grado di fornire un tappeto perfetto e di classe alle composizioni di James, con la ciliegina sulla torta della produzione di Dave O’Donnell (uno che ha lavorato con Ray Charles, Herbie Hancock ed Eric Clapton), che dona al disco un suono scintillante. Il pubblico americano ha apprezzato questo ritorno, mandandolo direttamente al primo posto della classifica di Billboard, prima volta che James ottiene un risultato simile, non male dopo più di 45 anni di onorata carriera.

Il CD si apre con Today Today Today, una ballata gentile e leggermente country sia nella melodia che nell’arrangiamento (il violino è protagonista), con la voce limpida ed ancora giovane del nostro a predisporre subito al meglio l’ascoltatore. La lenta e pianistica You And I Again (che si può leggere anche come James che torna a rivolgersi al suo pubblico) è un’altra canzone tipica, delicata, raffinata e molto piacevole, con accompagnamento perfetto ed un’atmosfera anni settanta; molto bella Angels Of Fenway, una sorta di tributo ai Boston Red Sox per i quali evidentemente James fa il tifo, un pezzo cadenzato e con un motivo decisamente orecchiabile.Stretch Of The Highway ha un delizioso sapore errebi, ed il ritornello solare richiama i brani più melodici di Jimmy Buffett (o forse è il contrario, dato che il buon Jimmy ha sempre indicato Taylor come una delle sue maggiori influenze) https://www.youtube.com/watch?v=5xyZhyyRZd0 , Montana è un’altra delicata ballad come solo James sa scrivere, pochi accordi, pochi strumenti, ma grande classe, un brano che rimanda a decenni fa, quando la California era il centro mondiale di un certo cantautorato (lo so che Taylor è nativo della East Coast, ma il suo stile si adattava benissimo al giro di songwriters che bazzicavano dalle parti di Los Angeles). La vivace Watchin’ Over Me è ancora spruzzata di country, con un bell’interplay vocale tra il nostro ed i suoi backing singers; Snowtime è una delle più riuscite, una ballata dal sapore tra il latino ed il caraibico, che avvicina ancora James a Buffett, specialmente nel refrain.

L’intensa e profonda Before This World vede la partecipazione di Sting come seconda voce, ed il brano si fonde in medley con la squisita Jolly Springtime, quasi dal gusto irish, mentre la solida Far Afghanistan, dall’incedere drammatico, è una delle rare escursioni di James nei temi di attualità https://www.youtube.com/watch?v=upw-ox3wkW0 . Chiude l’album una versione del classico traditional Wild Mountain Thyme (conosciuta anche come Will You Go, Lassie, Go), che Taylor rivolta come un guanto per adattarla al suo stile pacato, facendola diventare quasi una sua canzone.

Bentornato, vecchio amico.

Marco Verdi

P.S: l’album esce sia in versione “normale”, sia con accluso un DVD con il making of, sia con la classica edizione Super Deluxe (e super costosa) che aggiunge al tutto un secondo CD con cinque pezzi extra ed un librone da collezione.

P.S. del P.S: per confondere ancora un po’ le idee, la catena americana Target ha in esclusiva una versione del CD con tre brani aggiunti, che però non fanno parte dei cinque della Super Deluxe Edition. Allegria …

Un Paio Di “Supergruppi” Tanto Per Gradire: Spectrum Road & Renegade Creation

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Spectrum Road – Spectrum Road – Palmetto Records

Renegade Creation – Bullet – Mascot/Provogue

Martedì prossimo, 5 giugno, tra le miliardate di dischi in uscita, vi segnalo anche due “supergruppi” che faranno la gioia degli appassionati dei virtuosi degli strumenti.

Spectrum Road è la nuova band che vede insieme Jack Bruce, basso e voce, Vernon Reid, chitarra, John Medeski, tastiere e Cindy Blackman Santana, batteria: che in ordine sparso hanno fatto parte di Cream, Living Colour, Medeski, Martin & Wood, Lenny Kravitz Band & Santana ma, soprattutto, del Tony Williams Lifetime che era il gruppo del batterista di Miles Davis dove aveva suonato Bruce brevemente dopo i Cream, nel secondo album Turn It Over, con Larry Young e John McLaughlin. In effetti gli Spectrum Road erano nati come Tony Williams Lifetime Tribute Band perché c’era già stato un New Tony Williams Lifetime negli anni ’70 con lo strepitoso Allan Holdsworth alla chitarra, più orientato verso il jazz-rock meno cerebrale. Non essendoci più il grande batterista anche se molti dei musicisti che hanno militato nelle varie edizioni sono ancora in circolazione Jack Bruce & Co hanno optato per questo nuovo nome. Il disco è prevalentemente strumentale con qualche brano cantato da Bruce: se volete una piccola anticipazione questo è il brano di apertura dell’album! 

 

I Renegade Creation sono la band di Robben Ford e Michael Landau e questo Bullet è il loro secondo album, questo è quanto ho scritto sul Blog riguardo al primo, se volete rinfrescarvi le idee posso-solo-confermare-michael-landau-robben-ford-jimmy-hasli.html. Appena avrò occasione di ascoltare questo nuovo Bullet vi renderò edotti. La produzione è di Ed Cherney (Dylan, Stones, Clapton, Raitt), nell’attesa…

 

Una “bella lotta”! Alla prossima.

Bruno Conti

Posso Solo Confermare! Michael Landau Robben Ford Jimmy Haslip Gary Novak – Renegade Creation

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Michael Landau Robben Ford Jimmy Haslip Gary Novak – Renegade Creation – Shrapnel/Mascot/Provogue

Ogni tanto semino per il Blog delle “incompiute” o delle promesse non mantenute. Il 4 maggio promettevo un resoconto più approfondito di questo disco poi, travolto dagli eventi, me ne sono completamente dimenticato. In questo fine anno di bilanci mi sembra giusto recuperarlo, visto che il post lo avevo scritto…Come si potrebbe pensare leggendo la sequenza dei nomi non si tratta di un disco di Michael Landau con Robben Ford e due comprimari ma direi uno sforzo di gruppo: non dimentichiamo che gli altri due sono Jimmy Haslip, il vecchio bassista dei Yellow Jackets e cento altre battaglie e Gary Novak, tra l’altro, a lungo batterista dell’Elektric Band II di Chick Corea.

Non temete non è un disco di West Coast Jazz ma un sano disco di rock con venature blues dove i quattro, nel loro stile, ci danno dentro alla grande: la chimica non manca avendo in passato già suonato insieme in varie combinazioni, e poi vista l’etichetta un CD di jazz mi pareva improbabile. Michael Landau, un veterano con un curriculum che va da Joni Mitchell a Miles Davis (questo è in comune con Robben Ford) passando per James Taylor e Steve Perry ma anche Ramazzotti e Vasco Rossi, apre le danze con What’s Up, un brano che in un blind test a qualche vostro amico potreste spacciare per una traccia perduta dei Dire Straits del periodo di Brothers in Arms, la voce ricorda molto quella di Knopfler mentre la musica è decisamente rock e vigorosa con le chitarre di Landau e Ford dirette e muscolari in una belle serie di assoli contrapposti, la classe c’è e si sente, ragazzi se si sente.

Quando la bilancia si sposta verso la guida di Robben Ford il suono si fa più sofisticato ma sempre energico, Soft in Black Jeans è un classico brano del suo repertorio con continui cambi di tempo e tessitura sonora, assoli di grande raffinatezza qui doppiati dalla verve rock di Landau e l’appassionato della chitarra gode profondamente, non si può fare diversamente. Destiny Over Me, cantata in souplesse da Landau si anima sia vocalmente che a livello strumentale nella parte centrale e finale con le chitarre che cesellano una serie di assoli di gran classe (molto buono il suono del filmato, peccato per le schiene a profusione!). God and Rock’n’roll è un rock-blues sapido ed efficace nel classico stile di Ford, gli assoli sono sempre tecnicamente ineccepibili. The Darkness è uno slow blues firmato collettivamente dal gruppo e cantato da Robben Ford, grande controllo e la solita maestria negli assoli alternati dei due chitarristi. Renegade Destruction ha un riff vagamente alla Crossroads e lo stile più rock di Landau ben sostenuto da Ford.

Peace con relativo Intro è un bel brano strumentale firmato da Robben Ford che fa la parte del leone come autore, molta classe, forse manca un po’ di energia ma i nostri amici sono due cesellatori dello strumento. Ancora Ford nella bluesata Who Do You Think You Are (non quella dei Deep Purple), anche se in questo disco mi sembra manchi quel quid inesprimibile di energia che animava l’ultimo live dell’ottimo Robben, bello ma non particolarmente memorabile. Where the Wind Blows di Michael Landau, senza infamia e senza lode e Brothers, uno strumentale firmato dal batterista Novak che stranamente in questo brano suona il basso, conclude su una nota più jazz-rock questo lavoro, buono ma non ottimo. Bel disco, grande tecnica non sempre i brani all’altezza della loro fama, grandi chitarre, però!

“Confermo” il titolo del vecchio Post: potenzialmente un grande quartetto!

Bruno Conti

Potenzialmente Un Grande Quartetto. Michael Landau, Robben Ford, Jimmy Haslip, Gary Novak – Renegade Creation

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Michael Landau, Robben Ford, Jimmy Haslip, Gary Novak – Renegade Creation – Provogue/Shrapnel/Mascot/Edel

Al solito saranno un po’ di più di dieci parole! In America è uscito in questi giorni, sul mercato italiano dovrebbe uscire il 18 maggio. La formazione è “notevole” per usare un eufemismo. l’ho sentito velocemente oggi. poi ci torno con calma nei prossimi giorni. Dopo un primo ascolto devo dire che mi aspettavo di più, comunque averne…

Bruno Conti