La Conferma Di Uno Dei Nuovi Talenti Emergenti Del Blues. Breezy Rodio – If It Ain’t Broke Don’t Fix It

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Breezy Rodio – If It Ain’t Broke Don’t Fix It – Delmark Records

Secondo album su Delmark https://discoclub.myblog.it/2018/06/12/e-ora-riesportiamo-anche-il-blues-a-chicago-da-roma-alla-windy-city-con-classe-breezy-rodio-sometimes-the-blues-got-me/ , e quinto complessivamente, per Fabrizio “Breezy “ Rodio, chitarrista e cantante italiano (è nato a Roma), ma da anni una dei più interessanti nuovi prospetti della scena musicale di Chicago, dove è diventato uno dei più rispettati difensori della grande tradizione delle 12 battute classiche, quindi blues elettrico, ma interpretato in modo eclettico e diversificato, con elementi anche della grande tradizione dei crooners, come per esempio l’utilizzo di una sezione fiati di tre elementi che aggiunge anche un retrogusto soul e jazz alle procedure. Gli anni di gavetta con la band di Lynsey Alexander, in studio e dal vivo, come testimoniamo le assai positive note firmate da Billy Branch (che però non appare nel nuovo disco, a differenza del precedente Sometimes The Blues Got Me, dove suonava l’armonica in due brani), confermano quanto detto dalla critica (anche modestamente dal sottoscritto) pure per questo If It Ain’t Broke Don’t Fix It.

Accompagnato da una band di ben sette elementi, l’eccellente Sumito “Ariyo” Ariyoshi al piano, Dan Tabion organo, gli altri due italiani Light Palone basso e Lorenzo Francocci batteria, più la sezione fiati, Constantine Alexander tromba, Ian Letts sax alto e tenore e Ian “The Chief” McGarrie al sax baritono, che rende il sound corposo e variegato, a cui si aggiungono alcuni ospiti tra cui spiccano Monster Mike Welch, Kid Andersen e Corey Dennison alle chitarre e Quique Gomez e Simone “Harp” Nobile all’armonica, Rodio ci regala un album di notevole spessore, dove gran parte del materiale porta la firma del titolare, ma ci sono anche alcune cover scelte con cura: due pezzi di B.B. King, A Woman Don’t Care, uno slow di grande intensità con i fiati in bella evidenza, mentre Breezy canta con grande passione e il suono pungente della sua chitarra ricorda quello del grande Riley, come ribadisce I’ll Survive, un brano più jazzato e romantico, cantato in modo suadente e che ricorda certe ballate del periodo di There Must Be a Better World Somewhere, Desperate Lover è un brano del reggaeman Bob Andy (altra grande passione del nostro) che la trasforma in una fremente canzone di grande fascino, “trucchetto” ripetuto anche per la dolcissima I Need Your Love, una canzone dal repertorio di Toots & The Maytals, cantata splendidamente da Rodio che ci regala anche un assolo di rara finezza.

Gli altri dodici brani sono tutte composizioni originali, tra cui spiccano l’iniziale title track, una funky tune che all’inizio sembra uscire da qualche vecchio vinile del grande James Brown, con fiati sincopati, organo e l’armonica che caratterizzano poi i continui cambi di tempo del pezzo , lo shuffle grintoso di From Downtown Chicago To Biloxi Bay con Corey Dennison alle armonie vocali, Dennison che canta e suona la seconda chitarra anche in Led To A Better Life, sentito omaggio a tempo di gospel allo scomparso Michael Ledbetter, con il danzante piano di Ariyoshi e i fiati di nuovo in bella evidenza, e l’assolo finale, splendido, affidato a un ispirato Monster Mike Welch e pure Kid Andersen è impegnato alla chitarra. A conferma della ecletticità degli stili utilizzati nell’album segnalerei anche la deliziosa I’m A Shufflin’ Fool che coniuga Sam Cooke e blues in modo impeccabile e raffinato, A Minutes Of My Kissing un forsennato R&R alla Chuck Berry, e ancora lo swing pimpante della fiatistica Look Me In The Eyes e l’autobiografica Los Cristianos che ricorda i suoi trascorsi in quel di Copenaghen sotto la forma di une bellissima blues ballad.

Mentre la lunga Green And Unsatisfied ci permette di gustare a fondo la sua squisita tecnica chitarristica e l’accoppiata Pick Up Blues, con armonica di nuovo in evidenza , e il tour de force chitarristico di Dear Blues illustrano al meglio lo spirito delle 12 battute tipico della sua etichetta. Insomma, per concludere, questo Breezy Rodio è veramente bravo e If It Ain’t Broke Fix It è sicuramente uno dei migliori dischi di blues classico uscito negli ultimi mesi.

Bruno Conti

Una Breve E Gustosa Storia Del Blues (Rock) Su Due Dischi. Nick Moss Band – From The Root To The Fruit

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Nick Moss Band – From The Root To The Fruit – 2 CD Blue Bella Records                                                                     

Di questo corpulento signore avevo recensito nel 2011 l’ottimo Here I Am http://discoclub.myblog.it/2011/12/06/un-grosso-chitarrista-nick-moss-here-i-am/ , un album che aveva delle note di copertina firmate da Jimmy Thackery che tesseva le lodi di questo non più giovane musicista di Chicago (quest’anno sono 46), fautore di uno stile che partendo dal blues puro, con il passare del tempo, ha aggiunto elementi rock, funky, soul, southern, omaggi a Hendrix e altri rivoli di musica delle radici, creando un melting pot sonoro vario e stimolante. Da allora Nick Moss ha pubblicato altri tre album, arrivando a quota dodici (tutti pubblicati sulla propria etichetta Blue Bella): Time Ain’t Free del 2014, un recente Live And Luscious, che come lascia intuire il titolo è dal vivo e presenta anche versioni di brani che poi sono stati inseriti in questo From The Root To The Fruit. Il nuovo album è una sorta di concept album sulla storia del blues (e del rock), dalle origini (il primo disco) ai giorni nostri (il secondo CD), con deviazioni lungo il percorso anche verso sixties soul, garage e rock classico. Ovviamente a grandi linee e attraverso una serie di brani composti per l’occasione, con solo due cover e un traditional a rimpolpare il menu. Il nostro amico ha anche una eccellente band che lo accompagna, Michael Ledbetter alla chitarra ritmica e grande voce solista in molti dei brani, il tastierista Taylor Streiff e la sezione ritmica con Nick Fane al basso e Patrick Seals alla batteria. Più alcuni ospiti di pregio: Sax Gordon, ai fiati in tre brani. Jason Ricci all’armonica e David Hidalgo dei Los Lobos.

Il risultato, ancora una volta, è un disco fresco e pimpante, poderoso e rock a tratti, più rigoroso e vicino alla tradizione in altri, comunque sempre decisamente sopra la media per questo tipo di dischi, confermando Moss come uno dei migliori chitarristi attualmente in circolazione. Ci sono ben 27 brani nei due CD e quindi non ve li ricorderò tutti (o forse sì), ma vi segnalo l’uno-due iniziale, in puro Chicago style old school di Before The Night Is Through e Make Way For Me (più R&B, e con fiati aggiunti), con la bellissima voce di Ledbetter in evidenza e un sound che ricorda molto la Blues Jam at Chess dei Fleetwod Mac di Peter Green. Dead Man’s Hand, nella curva temporale del racconto, vira verso il R&R, Moss è anche voce solista (meno valido di Ledbetter) e comincia a scaldare la solista, ben coadiuvato dal piano di Streiff e dal sax di Gordon. La title-track è un blues duro e puro, con Moss che si districa con classe anche all’armonica, Haymarket Hop è uno strumentale in stile jump, divertente e scanzonato, mentre Symone è uno slow blues ben strutturato, seguita dalla latineggiante Love Me, un vecchio brano di Junior Wells. che segue il percorso temporale della narrazione, mentre Lost And Found è uno slow blues carnale ed intenso dove Moss e Ledbetter mettono in mostra il dualismo voce e chitarra, tipico di questi brani. Eccellenti anche I Dig e lo strumentale Rump Rush (sempre lato classico, siamo dalle parti di Freddie King, Magic Sam, Jimmy Dawkins); Long Tall Woman è la cover di un pezzo di Elmore James, seguita da The Woman I Love, dove si apprezza l’armonica di Jason Ricci e Walk Away, dove la chitarra con wah-wah di Moss ricorda certe sonorità alla Buddy Guy, mentre la breve traccia strumentale Cold Store conclude il primo disco e comincia ad introdurci al suono più blues-rock del secondo.

Che si apre sulle derive quasi psichedeliche di Catch Me I’m Falling e sul funky-rock sudista dell’ottima Jupiter Florida, entrambe cantate con piglio superbo da Ledbetter. Breakdown comincia ad alzare l’asticella rock e la band inizia a tirare di brutto, come ribadito nelle improvvisazioni della lunga Serves Me Right (Space Jam), grande brano dove si gustano appieno le evoluzioni della solista di Nick Moss, ma anche nello strumentale santaneggiante Ta Ta For Tay Tay e nella splendida rock’n’soul ballad Breathe Easy, dove sembra di sentire la Tedeschi Trucks Band, con tanto di voci femminili aggiunte. E quando David Hidalgo aggiunge la sua solista in Free Will si affacciano i Los Lobos più blues-rock. Grateful è un pezzo rock quasi stonesiano e in Shade Tree, di nuovo con derive soul, la voce di Ledbetter assume un timbro quasi alla Steve Winwood. Stuck ha quel’impeto garage ricordato in apertura e Stand By è un blues-rock gagliardo, quasi hendrixiano. Concludono questa fatica della Nick Moss Band il funky-rock meticciato di Speak Up e il sognante strumentale Heavy Water, dove Moss strapazza ancora una volta la sua chitarra. Bel disco, veramente variegato e ben suonato, con una nota di merito anche per la voce di Michael Ledbetter https://www.youtube.com/watch?v=g3QHVd9dH0I !

Bruno Conti

Ritorno Alle Origini! Ronnie Earl & The Broadcasters – Father’s Day

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Ronnie Earl & The Broadcasters – Father’s Day – Stony Plain/Ird

Ormai credo sia cosa risaputa anche dai sassi che Ronnie Earl non canta, ma suona, cazzarola se suona, uno dei chitarristi più fenomenali apparsi nell’ultimo trentennio. E ogni disco è meglio di quello precedente: dopo gli eccellenti Just For Love, un live dove si potevano apprezzare i talenti vocali della bravissima Diane Blue, e il successivo Good News, con la presenza della Blue ancora più marcata http://discoclub.myblog.it/2014/07/12/ottimo-ed-abbondante-ronnie-earl-and-the-broadcasters-good-news/ , ora è la volta di questo Father’s Day,  dove accanto alla confermata Diane troviamo un cantante di notevole talento come Michael Ledbetter, già voce solista nella Nick Moss Band. E non è tutto, dopo tanti anni si ritorna in parte al suono dei primi anni di Ronnie Earl con i Roomful Of Blues, e quindi accanto al suo quartetto appaiono anche i fiati. Oltre a Earl, solista stellare, “The Master of the Telecaster” è un titolo che gli spetta di diritto, troviamo l’ottimo Dave Limina al piano e soprattutto all’organo Hammond, Lorne Entress alla batteria, Jim Mouradian al basso, i due vocalist citati e Nicholas Tabarias, seconda solista aggiunta in un paio di brani, oltre alla sezioni fiati, Mario Perrett e Scott Shetler, entrambi al sax.. E il disco ne guadagna; ci sono solo tre brani originali questa volta, ma la scelta delle cover è fantastica. Ronnie Earl, ripreso in posa sciamanica, ed anche un po’ hendrixiana, sulla copertina del CD, cerca di incantare la sua chitarra, ma finisce per incantare i suoi ascoltatori.

Sarà solo blues, ma si sente che ci sono passione, intensità, classe, feeling, tecnica, tutti gli elementi che fanno grande un virtuoso dello strumento come il nostro Ronnie. Presentato dal sito della Stony Plain come il suo settimo album per l’etichetta, in altre discografie come il nono, a me ne risulterebbero dieci, la statistica è solo un’opinione, comunque la si veda è l’ennesimo ottimo album di Ronnie Earl: c’è lo shuffle travolgente di It Takes Time, uno dei due brani a firma Otis Rush, dove il chitarrista rilascia un grande assolo, stimolato dalla brillante performance di Ledbetter, vocalist di grande spessore e con la band che lo segue passo dopo passo con la consueta precisione, soprattutto Limina all’organo, poi una delle tre tracce a firma Earl, Higher Love uno shuffle, più raffinato anche nell’uso della solista, dove appaiono i due sassofonisti e Ledbetter divide il compito vocale con Diane Blue, per un ottimo duetto. L’altro brano di Rush è uno dei più famosi, quel Righ Place, Wrong Time che dava il titolo a uno dei suoi album migliori, inutile dire che la versione che Earl fa di questo slow blues intenso con fiati è da manuale, e anche Ledbetter non è da meno, prima di lasciare spazio a un assolo sontuoso del nostro Ronnie. Magic Sam è stato un altro dei grandi chitarristi dell’era moderna del  blues e la sua What I Have Done Wrong è esaltata da una interpretazione ricca di soul della pimpante Diane Blue, mentre troviamo un Earl pungente, con fiati e organo che vanno di groove https://www.youtube.com/watch?v=6wNx36iNfqM .

Giving Up è una struggente soul ballad del Van McCoy era pre-disco, con una magnifica interpretazione vocale, ancora una volta, di Ledbetter e Earl che stilla nota dopo nota dalla sua chitarra, prima di lasciare spazio al sax di Perrett. Every Night About This Time è un altro super classico, questa volta di Fats Domino, puro stile New Orleans, con Limina ovviamente al piano, Ledbetter voce solista e fiati ben bilanciati e Ronnie che guida le danze con la sua Fender https://www.youtube.com/watch?v=3KVqnenDrtM , poi nuovamente in primissimo piano nello slow blues immancabile, che è la title-track Father’s Day, brano frmato Earl-Ledbetter che non sfigura in mezzo a tanti classici https://www.youtube.com/watch?v=k34VdimwGl0 .. Quando Earl ha inciso questo album probabilmente B.B.King non era ancora morto, ma la sua I Need You So Bad risulta un omaggio sentito ed eseguito con classe, un tipico shuffle cantato con perizia dal bravo Michael. Ottima anche l’interpretazione vocale di Diane Blue in I’ll Take Care Of You di Brook Benton, altro lento soffertissimo dove Earl divide gli spazi chitarristici con il suo “protetto” Nicholas Tabarias, come pure nella successiva super funky Follow Your Heart, dove è schierata tutta la squadra, fiati, organo, Ledbetter e Blue a duettare, e Tabarias che esegue il primo solo https://www.youtube.com/watch?v=Vfipsv8bh84 . Moanin’ è l’immancabile strumentale jazz swingato, di Bobby Timmons, con il dualismo chitarra-organo per l’occasione arricchito dai fiati. Altro pezzo da novanta dei brani chitarristici è una All Your Love scintillante, pescata ancora dal repertorio di Magic Sam, versione lenta, con Ledbetter che titilla il “solito” lavoro ad alta precisione della solista e conclusione di uno dei migliori dischi blues dell’anno e di Earl in particolare, con una sognante, delicata ed intensa Precious Lord, un gospel del Rev. Thomas Dorsey dove la gara di bravura tra Earl e Diane Blue porta ad un pareggio a tutto vantaggio degli ascoltatori https://www.youtube.com/watch?v=l3L30UyjjV8 .

Bruno Conti