Tra Prog Anni ’70 E West Coast Sound, Con Un’Ottica Moderna: Una Coppia Interessante. Field Music – Dark Matter Dreams

field division dark matter dreams

Field Division – Dark Matter Dreams – Bella Union

Una nuova band dal mare magnum del rock Americano, o per meglio dire diciamo un duo: vengono dalla Iowa,  sono una coppia formata da Evelyn Taylor, voce e tastiere e da Nicholas Frampton, anche lui cantante e polistrumentista, impegnato a tutti i tipi di chitarre, mandolino, dulcimer, tastiere, synth, percussioni e basso. Hanno alle spalle un unico EP dalla distribuzione difficoltosa, pubblicato nel 2014, poi  anche questo primo album Dark Matter Dreams ha avuto una lunga gestazione, registrato in giro per gli Stati Uniti, semplicemente perché i due componenti dei Field Division non amano la vita stanziale, ma sono dei girovaghi, dei nomadi, sempre alla ricerca di nuovi territori e sensazioni da esplorare. La parte principale del disco è stata comunque registrata al Redwood Studio di Denton, Texas: se vi dice qualcosa non vi sbagliate, è il luogo dove di solito registrano i Midlake , ed in effetti il produttore nonché batterista di questo disco è Mackenzie Smith, componente del gruppo texano, di cui nell’album troviamo anche il tastierista Evan Jacobs e il chitarrista Joey  McClellan. Genere musicale? Considerate le premesse e le collaborazioni, potremmo situarlo tra alternative rock e dream pop, ma soprattutto come influenze principali il suono della West Coast e del prog degli anni ’70, quelli più morbidi, qualcosa di War On Drugs, Fleet Foxes e Jonathan Wilson, vista la presenza di una voce femminile, abbastanza eterea e sottile, anche qualche parentela con le First Aid Kit,  tutte impressioni e rimandi del tutto personali.

Disco che ha momenti stimolanti e compositi, altri più confusi e forse ripetitivi, ma nel complesso si ascolta con piacere: l’apertura è riservata ad uno dei brani più solari e mossi del CD, River In Reverse, una galoppata tra chitarre acustiche ed elettriche 6 e 12 corde, un ritmo incalzante, begli intrecci vocali tra la voce sottile ma intrigante della Taylor e quella più piana di Frampton, frementi inserti di chitarra elettrica e le tastiere che lavorano di raccordo, improvvise oasi di tranquillità avvolte dall’uso degli archi e poi ripartenze vibranti; Big Sur Golden Hour, fin dal titolo è più malinconica e riflessiva, ci porta nelle sonorità della West Coast più genuina https://www.youtube.com/watch?v=0khi8C3ee8s , i soliti intrecci vocali sognanti su cascate di chitarre acustiche arpeggiate e tastiere accennate che poi si fanno più solenni e che potrebbero anche ricordare i Genesis dei primi album. Farthest Moon, sempre cantata da Evelyn, con l’appoggio di Nicholas, è ancora vivace e fremente, con strati di strumenti che si aprono sulle improvvisazioni vibranti delle chitarre elettriche di Frampton (nomen omen?); Lately è nuovamente più malinconica e contenuta, un brano quasi da cantautore, cantato deliziosamente da Frampton che sfoggia un timbro vocale interessante e coinvolgente, mentre la favolistica ed utopistica Innisfree (Let Be The Peace Now), seguito di un brano dell’EP del 2014, sembra quasi un brano di una Stevie Nicks più onirica e surreale, con elementi più pop-rock rispetto al resto dell’album e nuovamente strati di tastiere, voci e chitarre a dare volume al suono.

Siddartha e poi più avanti nel CD la title-track, sono due brevi bravi strumentali, interessanti ma forse irrisolti e ripetitivi, Stay ci riporta al prog e alla psichedelia gentile dei migliori brani, con le solite aperture strumentali che vivacizzano la struttura morbida del pezzo, con la lunga Lay Cursed, bucolica e trepidante che alterna momenti brillanti ad altri più risaputi e non convincenti appieno, anche se non mancano soluzioni interessanti, da perfezionare. It’s Gonna Be Allright è una risposta sorridente e gentile alle difficoltà che hanno accompagnato la genesi di questo album, una folk song morbida e sognante, ancora affidata alla garbata vocalità di Evelyn Taylor, prima di congedarsi  con quella sorta di ninna nanna acustica e futuribile che è la lunga This Is How Your Love Destroys Me scritta quasi in un flusso unico di coscienza, come dice la Taylor, e che poi si anima nuovamente in un crescendo finale di ottima fattura https://www.youtube.com/watch?v=SWX-YZGTrpI . Non imprescindibile ma interessante.

Bruno Conti

Dal Profondo Nord, Grande Musica. Basko Believes – Idiot’s Hill & Johan Orjansson – Melancholic Melodies For Broken Times

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Basko Believes – Idiot’s Hill – Rootsy/Ird

Johan Orjansson – Melancholic Melodies For Broken Times – Rootsy/Ird

Il protagonista dei due dischi è sempre lo stesso, lo svedese Johan Orjansson, che quando decide la mossa di confrontarsi con il mercato americano assume il nome d’arte di Basko Believes, più facile da memorizzare rispetto al suo cognome, ma i tratti distintivi della musica, benissimo inquadrati dal titolo dell’album pubblicato con il proprio vero nome (peraltro già il quarto uscito nella sua nativa Svezia, dove con una certa dose di ironia, forse humor svedese, dice la sua biografia essere il nostro amico una star nella cittadina della costa occidentale, Falkenberg https://www.youtube.com/watch?v=BXVaxqn1cXM ) sono proprio, per coniare un neologismo composito, quelli di una sorta di neo folk-rock-nordic-soul, malinconico, ma ricco nelle melodie. Pensate al Ryan Adams più raccolto, come hanno detto molti in relazione a Melancholic…, ma anche a brani come la stupenda Rain Song in Idiot’s Hill https://www.youtube.com/watch?v=X4tLA6V8gjQ , dove però aleggia pure lo spirito di Ray LaMontagne e del suo “padre putativo” Van Morrison, altrove la voce assume un timbro vocale che ricorda in modo impressionante quello del miglior David Gray o del Damien Rice più intenso, in un vorticare intimo di organo, tastiere, fiati, archi e chitarre che accompagnano il canto partecipe ed acceso.

basko believes live Basko-Live

Vado un poco a caso, saltando tra i due album, che sono uno la conseguenza dell’altro. Con il più vecchio dei due (anzi da prima ancora) Johansson si fa conoscere da musicisti americani come Israel Nash Gripka, che duetta con lui nella dolcissima If I Were To Love You https://www.youtube.com/watch?v=_NhjFRjLR3I , un brano dove, nella mia opinione, a fianco delle evidenti influenze del suono roots-Americana (d’altronde per chi incide per la Rootsy è quasi un destino) https://www.youtube.com/watch?v=JoylMPYhcSk , possiamo trovare, anche grazie alle tonalità vocali, il Bono (ebbene sì, almeno come timbro basso) più ispirato delle ballate del “periodo americano” degli U2, che, detto per inciso, una volta facevano ottima musica, non dimentichiamolo! Tra i colleghi ammiratori anche Will Kimbrough e i Deadman, e, soprattutto i Midlake, nei cui studi di Denton, Texas, Orjansson, dopo il cambio di nome in Basko Believes, si reca ad incidere il nuovo CD Idiot’s Hill, un album dove la voce ricca di soul di Johan si fonde a meraviglia con i ricchi arrangiamenti pensati dal chitarrista Joey McClennan e dal batterista McKenzie Smith (i due Midlake). Aggiungete il basso di Aaron McClennan (parente?) in prestito dalla band di Gripka e tutto un florilegio di musicisti vari, altri Midlake passati e presenti, come Evan Jacobs alle tastiere e Jesse Chandler al flauto, e ancora Buffi Jacobs al cello e Daniel Hart, ex dei Polyphonic Spree, al violino, le armonie vocali sognanti di Kaela Sinclair ed i fiati di Pete Clagett e David Monsch, tutti utilizzati alla perfezione nella lunga Going Home https://www.youtube.com/watch?v=vts5kBmJsGU, una ardente ballata ricca di picchi e vallate sonore, con la musica che sale e scende seguendo l’umorale cantato di Orjansson, punteggiato dallo struggente violino di Hart e dal flauto di Chandler, quasi a ricreare atmosfere care ai Caravan più pastorali e meno progressivi.

Basko BlackWhite press portrait

La scelta di Orjansson di abbandonare i vecchi amici musicisti svedesi con i quali aveva condiviso i primi album non deve essere stata facile, anche alla luce delle ottime musiche che scaturiscono dall’eccellente Melancholic Melodies For Broken Times, che al di là degli opulenti arrangiamenti e di un suono più professionale, a livello di intensità non ha nulla da invidiare al nuovo album: Down The Avenue ha già quella epica rock & soul, dove LaMontagne e David Gray (per la voce, somigliante in modo incredibile, in entrambi gli album) si incontrano per interpretare una melodia alla Ryan Adams o alla Jayhawks, per non parlare del grande Van. Il delicato intreccio di chitarre acustiche nel country-rock dell’iniziale Honey Pie, dove si evidenzia anche un insinuante tocco di armonica confluisce in un’altra ballatona ariosa come Papercuts, caratterizzata da un felice uso delle armonie vocali atte a creare dei piccoli ganci sonori che evidenziano la melodia del brano, caratteristica che ricorre spesso nelle canzoni dello svedese. The Yellow Fields con l’uso di una slide pungente ha le caratteristiche di un suono più di matrice “Americana” e grintoso, a tratti, pur se l’arte della ballata, “melanconica” mi raccomando, è pur sempre la caratteristica più evidente https://www.youtube.com/watch?v=1fGbVzu4AuQ , come dimostra vieppiù Houses, una delizia semiacustica nell’incipit e che poi si affida ad un leggero ma sicuro crescendo di chiariscuri sonori, che ribadiscono la classe e l’ecletticità di questo signore delle terre del nord che non teme di affrontare neppure il country honky-tonkeggiante di Pointless Alleys, ove i sospiri di una pedal steel e della lead guitar si fanno largo nelle pieghe della melodia accattivante, per poi concludere il suo percorso nella batteria spazzolata, nella seconda voce femminile e nelle atmosfere jazzate della dolcissima Rather Be With You, che saranno una sorta di preludio alle atmosfere del nuovo album.

Basko_Believes

Continuando a vagare tra i due dischi e tornando definitivamente, per concludere, a Idiot’s Hill, come non ricordare i due brani strumentali, In A Glade e Out Of A Glade, che aprono e chiudono l’album e che possono ricordare gli sketches sonori dei dischi di Nick Drake, altro musicista che occorre ricordare tra i punti di riferimento della musica dei/di Basko Believes: Wolves, con i lupi che iniziano ad uscire metaforicamente dalla radura è più scura ed autunnale https://www.youtube.com/watch?v=AfEdVZb3Dmc , anche se la musica si fa più elettrica e vicina agli U2 meno pomposi (l’ho detto e lo ripeto, sarà quella chitarrina tremolante), o se preferite i Midlake meno prog, persino Mumford and Sons quando abbandonano le tematiche folk; The Waiting, con un ritornello cantabile, fiati, archi e tastiere avvolgenti https://www.youtube.com/watch?v=8hoCLW3uamA , è un altro magistrale esempio di questo soul nordico, grazie anche ai vocalizzi ripetuti di un Orjansson quasi ingrifato. Lift Me Up con la sua elettrica riverberata potrebbe ricordare le atmosfere felpate delle creature sonore di Mark Kozelek https://www.youtube.com/watch?v=vdz4BQvhpM8 , mentre The Entertainer, con un leggero falsetto, è intensa e mirabile come le migliori canzoni dei Gray e Rice ricordati prima. Detto di Rain Song e Going Home rimangono la cameristica e sofisticata Archipelago Winds https://www.youtube.com/watch?v=SwUbtHF8Vq8  e il folk-rock quasi jingle-jangle della delicata Leap Of Faith a completare questa opera che si presenta come un piccolo gioiello di equilibri sonori e che fa il paio con il disco precedente, per una quasi imprescindibile accoppiata destinata agli amanti delle belle sorprese e dei talenti sicuri e certi. Prendete nota, dopo Richard Lindgren, dalla Svezia, Basko Believes o Johan Orjansson, comunque non potete sbagliare!

Bruno Conti

I Migliori Dischi Del 2010 – La Stampa Estera: Mojo

Proseguiamo nella nostra disamina del meglio del 2010 in musica man mano che si presenta. Questi sono i risultati di Mojo.

The Best of 2010 – Album Of The Year

 

1) John Grant – Queen Of Denmark – Bella Union

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2) Arcade Fire – The Suburbs – Mercury anche Band Of The Year

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3) MGMT – Congratulations – Columbia

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4) Edwyn Collins – Losing Sleep – Heavenly

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5) The Black Keys – Brothers – V2 Coop

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6) Paul Weller – Wake Up The Nation – Island

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7) Midlake – The Courage Of Others – Bella Union

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8) Phosphorescent – Here’s To Taking It Easy – Dead Oceans

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9) The Coral – Butterfly House – Deltasonic

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10) Doug Paisley – Constant Companion – No Quarter

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Gli altri fino al 50 se volete saperli vi comprate la rivista. Però vi segnalo i primi di alcuni generi specifici.

Blues

Various Artists – Things About Comin’ My Way – A Tribute To The Music Of The Mississippi Sheiks – Black Hen

E qui mi scappa! Molto bello ci mancherebbe altro, a parte il fatto che non è solo Blues ma se vogliamo una “String Band” è pure uscito nell’ottobre 2009. Va bene che sono quelli che hanno scritto e portato al successo in origine Sittin’ On Top Of The World nel 1930. OK, ritiro!

Folk

Eliza Carthy & Norma Waterson – Gift – Topic

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Electronica

Walls – Walls – Kompakt

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Americana

Willie Nelson – Country Music – Decca

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World Music

AfroCubism – AfroCubism – World Circuit/Nonesuch

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Underground (?!?)

Endless Boogie – Full House Head – No Quarter

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Reissue Of The Year

Bruce Springsteen – The Promise – The Darkness On The Edge Of Town Story – Columbia

Nella rivista c’è la foto del doppio The promise ma poi parlano del cofanetto, stiamo attenti!

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Per Jazz, Reggae Reissues (ma che categoria è?) e Soundtracks ve lo leggete da soli, aggiungerei…

DVD Of The Year

It Might Get Loud! Sony Pictures Classic (con Jimmy Page, Jack White & The Edge)

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In Italia neppure pubblicato. Concluderei con una curiosità…

Track Of The Year

Janelle Monae – Tightrope – Bad Boy/Atlantic (dall’album The Archandroid). watch?v=pwnefUaKCbc

Ai prossimi giorni con altre classifiche.

Bruno Conti

Tornano Gli Anni ’70! Ma Quali? John Grant – Queen Of Denmark

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John Grant – Queen of Denmark – Bella Union

In inghilterra gli hanno decretato accoglienze trionfali, cinque stellette su Mojo, quattro su Uncut, anche se il nostro amico è in fondo uno sconosciuto di genio. Ex leader degli Czars band originaria di Denver che ha lasciato tre album di buona qualità all’inzio della scorsa decade e poi è scomparso dalla scena musicale torna con questo sforzo congiunto registrato in coppia con i Midlake. Per la serie l’unione fa la forza, il risultato finale, senza essere il capolavoro assoluto che lascia presagire la stampa inglese, è un disco di tutto rispetto che vi farà rivivere la musica degli anni ’70 che “non é giusto sentire” quella politicamente non corretta.

Dalle atmosfere “dorate” e morbide dell’iniziale Tc and Honeybar, che ripercorre percorsi musicali cari ai Caravan meno sperimentali o ai Moody Blues, tra flauti, tastiere, chitarre acustiche, sintetizzatori vintage, una voce da soprano onirica che accompagna il bel baritono di Grant in una apertura di qualità. Si passa poi al singolo “futuribile” I Wanna Go To Marz con pianoforti, chitarre e archi sintetici che ripercorrono territori melodici cari a quell’epoca dorata, i King Crimson di I talk to the wind il primo nome che mi viene in mente. La lunga Where Dreams Go To Die parte tutta raffinata, solo voce e pianoforte poi diventa una sorta di risposta sonora alla mitica di Gaye di Clifford T Ward (vedo delle manine alzarsi?), melodica e antemica, la musica che era “giusto odiare” in quegli anni ma di nascosto si ascoltava tra un Led Zeppelin e un Pink Floyd, un King Crimson e un Allman Brothers. Sigourney Weaver, tra omaggio e plagio riprende pari pari il riff di Freebird dei Lynyrd Skynyrd poi al momento delle chitarre ruggenti ti regala un assolo di synth alla Supertramp o Rick Wakeman(era sia negli Strawbs che con il David Bowie spaziale prima di entrare negli Yes). Chicken Bones con il suo piano elettrico, atmosfere saltellanti e coretti melliflui è ancora molto Supertramp, anche se l’assolo di ondioline, un synth analogico, non lo sentivo dai tempi di Al Kooper, mentre Silver Platter Club entra addirittura in territori cari al Nilsson più “carico” ma al sottoscritto ricorda in modo impressionante Alone Again Naturally di Gilbert O’Sullivan, mi sbaglierò!

It’s Easier è una bella ballata pianistica tutta farina di John Grant e dei soci Midlake ma almeno nelle “intenzioni” ricorda il miglior Elton John “più ricercato”, era Madman Across the Water-Honky Chateau. Outer Space si situa tra i Klaatu “spaziali” di Calling Occupant of Interplanetary Craft (quindi anche Carpenters) e il Bowie di Space Oddity (quello appunto con Wakeman) mentre JC Hates Faggotts, dal testo virulento, non gli attirerà certo le simpatie del Cardinale Bertone, ma John Grant non ha paura di esplicare le sue tendenze sessuali. Caramel è un bellissimo brano dove la vocalità di Grant si muove tra il falsetto di Antony e quello di Jeff Buckley, in un mare magnum di pianoforti e sintetizzatori, mentre Leopard and Lamb rievoca ancora atmosfere a cavallo tra Japan/Blue Nile anni ’80 e i classici Supertramp di Crime of the Century (gran disco). La conclusione è affidata alla title-track che rievoca i timbri e la musicalità di un altro “grande” degli anni ’70, il Billy Joel più cantautorale e raffinato (mancava all’appello).

Forse non il capolavoro evocato dalla stampa inglese, ma un gran bel disco, non solo per nostalgici degli anni ’70.

Bruno Conti