Continua “L’Invasione” Delle Band Pavesi! Lowlands – Love Etc… Il Nuovo Disco

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Lowlands – Love Etc… – Harbour Song Records/distr. IRD

Questo è il sesto album dei Lowlands, più 3 EP, il disco in collaborazione con Chris Cacavas, alcune partecipazioni a compilation varie, la produzione del disco di Donald MacNeill con la figlia Jen, non male per un cosiddetto “musicista part-time” come Ed Abbiati, diviso tra la passione per la musica e la necessità di sbarcare il lunario. Mi pare che il tratto distintivo della sua musica sia sempre stato quello di cambiare per rimanere sempre uguali a sé stessi. Mi spiego: il genere musicale di fondo si potrebbe definire roots music, d’altronde, nel 2007, hanno preso il nome poprio da un brano dei texani Gourds, degni rappresentanti di questo filone, ma poi hanno fatto dischi dove rock, folk, musica delle radici, si intrecciavano in modo assolutamente fluido, a volte dischi con un suono più “rude” e chitarristico, come Beyond, altre volte alle radici della musica popolare americana, Better World Coming, il progetto dedicato alla musica di Woody Guthrie, o il detour nella musica tradizionale scozzese rivisitata, con i MacNeill, questa volta siamo ad una sorta di neo folk soul con fiati, che al sottoscritto ricorda, con i dovuti distinguo, il sound della Band con i fiati, o il celtic soul del Van Morrison americano, ma anche dei Dexys Midnight Runnners. Mi rendo conto che si tratta di paragoni impegnativi ma questo mi appare,e quindi lo dico. Anche questa storia dell’unplugged, che starebbe per spina staccata, ovvero non ci sono strumenti elettrici, o meglio chitarre elettriche (mi spiace per Roberto), è quantomeno spiazzante: sul palco di Milano ad Aprile ho contato, in certi momenti, almeno sedici elementi sul palco, e nel disco ci sono, se non ho fatto male i conti (ma in qualità di Bruno non credo), addirittura 25 musicisti.

Non male per un album che viene presentato come intimista e rarefatto, probabilmente nei sentimenti, nei testi e nell’atmosfera che viene creata in questo tuffo nell’amore e nelle sue mille sfaccettature. Le 12 canzoni catturano tanti differemti momenti e stati d’animo raccolti da Ed Abbiati nel corso degli anni e ora rilasciati in questo Love Etc… Dato che a chi scrive piace anche essere analitico vediamoli questi contenuti musicali: si parte con la dolce How Many, dove piano, Francesco Bonfiglio e una weepin’ lap steel guitar, Mike Brenner si dividono il mood del brano con i fiati, che aggiungono una sorta di propulsione sonora, ma c’è spazio per alcuni particolari ricercati, un tocco dell’acustica di Roberto Diana qui, il mandolino di Alex Cambise là, il violino e il cello di David Henry a completare il tutto, con il cantato partecipe di Ed Abbiati, che migliora disco dopo disco, a cementare l’insieme. La successiva Love Etc… è anche meglio, un bel valzerone che profuma di soul, con un ritornello che non si può fare a meno di memorizzare, la ritmica che si aggiunge alle procedure, begli inserti di voci di supporto, i fiati che si fanno ancora più protagonisti, lap steel, mandolino ed acustica che non possono fare a meno di rimandare alla Band (in fondo i Gourds sono sempre stati considerati dei discepoli della band di Robbie Robertson e di Levon Helm, andare direttamente alla fonte del suono non è poi male). I wanna be, che ricorda Dylan nel testo, è un’altra piccola delizia elettroacustica, con quel suono americano o se preferite “Americana”, ma con i fiati che sono sempre lì, ai lati del Mississippi, nei pressi di New Orleans, che danno quel tocco vincente in più.

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Sempre per non fare paragoni, quando la Band ha voluto usare i fiati, l’arrangiatore era un certo Allen Toussaint,  quindi dalla Crescent City. You, Me, The Sky And The Sun, una canzone spensierata, che riempie di buoni sentimenti è sempre su quelle coordinate sonore, ma anche il suono della Caledonia Soul Orchestra di un certo Van Morrison ci può stare, 19 musicisti si amalgano, aggiungete armonie vocali stile sixties, battiti di mano, l’immancabile armonica di Richard Hunter, una rarissima apparizione di una chitarra elettrica, Tetsuya Tsubata “Bakki”, il basso elettrico di “Rigo” Righetti a dare il tempo, piano e organo in bella evidenza, ma soprattutto tanti fiati, orchestrati con maestria da Andres Villani, come piovesse. Cambio d’atmosfera per la breve, raccolta, quasi cameristica e malinconica, You And I, un contrabbasso, Simone Fratti, a scandire il suono, cello e violino e il piano ad evidenziare il carattere riflessivo e quasi cupo del brano, comunque molto bello. Dopo la pioggia torna il sereno con Happy Anniversary, che si potrebbe definire “classic Lowlands sound with brass”, Roberto Diana colora il suono con una insinuante slide acustica e i fiati, soprattutto il clarinetto di Claudio Perelli, ci portano ancora dalle parti di New Orleans, deliziose anche le armonie vocali, per la serie anche il particolare ha la sua importanza. Scordatevi pro-tools e sovraincisioni, qui vige la genuinità! Can’t Face The Distance, nel libretto interno con i testi posta in coda, è un’altro brano intimista, quasi per sottrazione sonora, solo la voce di Ed, la sua acustica accarezzata, il cello di David Henry e l’armonica di Richard Hunter. Armonica che rimane per la gioiosa Wave Me Goodbye, con Ed che ci assicura che tutto va bene, ma, nonostante il carattere uptempo della canzone, non ci convince del tutto.

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L’ultimo quartetto di brani si apre con My Baby, solita ventina di musicisti in studio, per un brano che sta tra folk, country e blues, vogliamo chiamarla hootenanny music, preferite swing jazz? Cambise è alla chitarra elettrica, l’ospite Maurizio “Gnola” Ghielmo aggiunge la sua Slide Resophonic e i fiati dixieland nel finale vanno ancora in gita per le strade di New Orleans. Doing Time è una deliziosa ballata mid-tempo attraversata dalla insinuante lap steel di Brenner, dall’organo Hammond di Joey Huffman, e con il basso di Righetti e la batteria di Mattia Martini che tengono il tempo ammirevolmente. Still I Wonder, almeno all’inizio, mi ricorda moltissimo l’incipit di You Can’t Always Get What You Want degli Stones, ma poi lo spirito stonesiano rimane, in un intrecciarsi di chitarre acustiche e lap steel, voci eteree sullo sfondo, organo e piano, molto bella. Un disco dei Lowlands senza fisarmonica non poteva essere, e quindi Francesco Bonfiglio la sfodera per una sorta di ninna nanna finale, intitolata Goodbye Goodnight, che chiude dolcemente un album tra i migliori della discografia dei Lowlands.

Come dico spesso, non sembrano neanche italiani (forse anche perché alcuni di loro, almeno in questo disco, non lo sono), e quindi donano un sapore anglo-americano a questo ottimo Love Etc…, che conferma ancora una volta, se ce n’era bisogno, la bontà del repertorio della band di Ed Abbiati e soci.

Bruno Conti

Accoppiata Anglo-Italo-Americana In Quel Di Pavia! Chris Cacavas Ed Abbiati – Me And The Devil

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Chris Cacavas & Ed Abbiati – Me And The Devil – Appaloosa/IRD – Harbour Song Records

Chi è il diavolo dei due? E chi ha tentato chi? O è la musica del diavolo che ha tentato entrambi? Su questi inquietanti quesiti si apre l’ennesima collaborazione del 2014 di Ed Abbiati con musicisti diversi dai “suoi” Lowlands (che però vivono e prosperano sullo sfondo, in attesa di colpire entro fine anno, con altri due progetti, Love, Etc., un disco folk con fiati. in uscita ad ottobre e il Live Unplugged, registrato a Milano in primavera ed atteso per fine anno, ma queste sono altre storie). Nel frattempo, dopo lo split EP con i Lucky Strikes, che dovrebbe portare a quattro le uscite discografiche dell’anno – “quest’anno si esagera”, come mi ha detto lo stesso Edward – arriva a compimento, dopo una lunga gestazione, l’album concepito con Chris Cacavas,  l’ex Green On Red, anche con una lunga carriera solista. Un americano che vive in Germania e un italo-inglese che vive a Pavia, i due si erano già incontrati nel lontano 2008, quando Chris aveva partecipato alla registrazione del primo album dei Lowlands, Last Call e da lì era nata una solida amicizia, non solo musicale, ma non sono fatti nostri, a noi quella interessa https://www.youtube.com/watch?v=FpwU7GwQPoo . Le strade si erano intrecciate varie volte fino a che, più o meno nella primavera dello scorso anno, qualcuno, Ed, Chris o il diavolo (il terzo incomodo), propone all’altro, perché non scriviamo delle canzoni insieme? Nell’arco di circa sei mesi, grazie alla “tecnologia”, e-mails, chiamate telefoniche, qualche viaggio aereo di Chris, per trovarsi insieme nella cucina di Ed a scrivere le canzoni (e parte del processo è stato salvato per i posteri e vedrà la luce come secondo dischetto di una edizione doppia “limited” only for fans, friends and relatives, 250 copie vendute direttamente da loro o ai concerti, con le registrazioni del work in progress dell’album, brani scritti e registrati su un telefonino, con una qualità sonora un po’ primitiva, per quanto, mi pare, migliore di quella dell’ultimo Neil Young, almeno non c’è lo scricchiolio dei vecchi 78 giri, e quanto te lo fanno pagare, ma anche questa è un’altra storia e la versione “normale” va comunque benissimo).

me and the devil special

Ad agosto dello scorso anno, quindi, tutti insieme appassionatamente, in una cascina convertita a studio di registrazione, immagino “belli freschi”, vista la stagione, in ordine alfabetico di nome, come da copertina, Chris e Ed, con l’aiuto di Mike “Slo Mo” Brenner (Marah, Jason Molina), a basso, lap steel e slide e co-produttore, Winston Watson (Bob Dylan, Giant Sand, Warren Zevon), alla batteria, l’immancabile (nei dischi di Ed) Richard Hunter, all’armonica, Andres Villani al sax tenore, David Henry al cello e Stefan Roller, assolo di elettrica in Me And The Devil; in una settimana circa (cinque giorni per la precisione) le dieci tracce, in varie fasi di completamento, sono pronte per partire per Nashville, Tennessee e Stanford, CT, dove verranno completate a livello tecnico da Chris Peet e Rainer Lolk  e vengono aggiunti il cello, Nashville e le armoniche, Stanford.Tutti felici e soddisfatti dunque, Ed mi dice “sai che ho fatto un disco con Chris Cacavas!”, “ma va, quando uscirà?” gli chiedo, silenzio diplomatico, perché lì sta il problema ai giorni nostri, comunque saltiamo tutte le fasi successive ed arriviamo all’inizio di maggio (ma i files delle canzoni erano nei meandri del mio PC da qualche tempo), “quasi ci siamo, usciamo a giugno per Appaloosa,in Italia” ma mi impone, come Giucas Casella, un invito a parlarne, “solo quando lo dirò io”! Nei prossimi giorni (credo settimana prossima, ci sono dei problemi con il libretto) il disco sarà, si spera, anzi certamente, in tutti i negozi, fisici e virtuali, e chi vuole potrà (dovrà) sentirlo per farsene un’idea.

ed abbiati chris cacavas

Se volete il mio parere, per quello che vale (falsa modestia, con scrollata di spalle, scherzo, è meglio precisare perché ti prendono sul serio) è un bel disco, diverso dalle cose dei Lowlands e da quelle di Cacavas, come è ovvio che sia, se no si facevano ciascuno il proprio disco, ma l’impronta musicale di entrambi c’è. Potremmo dire, visto anche il titolo, un disco di blues? Non solo, ma perché no, perlatro non un disco di blues-rock, di quelli ricchi di virtuosismi che però appartengono ad un’altra categoria. Un disco di blues e rock, forse meglio, come esplica subito Against The Wall, un brano denso e corposo, quasi minaccioso, cantato a doppia voce da Ed e Chris, con il sax che si interseca con chitarre e tastiere, fino a che il tenore di Villani è lasciato in libertà nel finale https://www.youtube.com/watch?v=7-tHaCrI3A0Me And The Devil, con un riff quasi stonesiano di chitarra che la apre ( o è alla Green On Red?) è più cadenzata, l’armonica cromatica di Hunter è co-protagonista del mood del brano, avvolgente e maestosa, dà una sorta di imprinting per un blues contemporaneo, sempre cantato a due voci sovrapposte, screziato da sapori rock quando la chitarra di Roller la taglia in due nel finale, grande brano. Oh Baby Please, con il suo organo fine anni ’60 e il sax souleggiante, sembra un brano del Sir Douglas Quintet o di ? And The Mysterians, quel pop deviante, un po’ indolente e leggermente psych dei tempi che furono, canta Edward da solo, Chris cesella all’organo.

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Solo la voce di Mr. Abbiati, un piano elettrico, qualche tocco di lap steel ed ecco The Week Song, una ballata intima e malinconica che mi sembra molto farina del sacco del buon Ed, qui ci vedo (e ci sento) la sua mano, ma i brani, come facevano Lennon e McCartney, sono comunque tutti firmati Cacavas/Abbiati. Il cello di David Henry introduce la melodia trasversale di Hay Into Gold, una ballata mid-tempo insinuante che evoca panorami musicali “americani”, quasi desertici, un ritornello piacevole, con la slide che si divide il mood del brano con il cello, un pezzo che entra lentamente ma inesorabilmente nell’attenzione dell’ascoltatore e poi insiste fino a conquistarti con un crescendo finale che mi ricorda un qualcosa di non definito, un tocco à la Mike Scott. Long Dark Sky è una scarica di adrenalina pura, cantata da Chris Cacavas, un grande pezzo di rock dove i Velvet di Lou Reed incontrano gli Stones più “nasty”  sulle rive del Paisley rock più acido(grandissime le rullate di Watson), riff chitarristici da destra e manca, cattiveria allo stato puro, persino i coretti ne trasudano. Credo che a Steve Wynn dovrebbe piacere. Un blues quasi canonico come Can’t Wake Up, quasi, con chitarre acustiche e slide sugli scudi, Ed che sfoggia la sua voce più roca da adepto del blues del Delta, sillabata quasi con cattiveria, un bell’esempio di blues cantautorale, senza dimenticare naturalmente l’armonica di Hunter, qui nei suoi territori più tipici.

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Ci avviciniamo alla conclusione, mancano tre brani, le atmosfere sospese e younghiane della lungaThe Other Side, ancora Chris Cacavas, alle prese con la West Coast acida e psichedelica dei 70’s più sognanti e allo stesso acidi, notevole, nulla da invidiare alle cose migliori dell’ultimo Jonathan Wilson, magnifico l’interplay delle chitarre elettriche. I’ll See Ya è un altro bozzetto (si tratta del demo originale) di Ed Abbiati, una sorta di epifania acustica e raccolta, molto dolce e sognante, in un modo diverso dal turbinare del brano precedente, ognuna sogna a modo suo, dopotutto, con quell’organo in sottofondo (che mi dicono essere una pianola Bontempi, un classico nel rock) e la chitarra arpeggiata potrebbe ricordare anche i Floyd più pastorali. La conclusione è affidata alle atmosfere nuovamente rilassate della breve The Rest Of My Life https://www.youtube.com/watch?v=55pXhXPNcyM , una ulteriore oasi di pace a due voci, senza tempo, lontana dagli episodi più blues e rock dell’album ma non per questo meno affascinante. Quindi, concludendo, non solo blues, rock o musica da “cantautori”, catalogherei sotto Buona Musica.

Bruno Conti

P.S. Grazie a Ed per alcune preziose precisazioni!