Il Secondo Disco Del 2020, Anche Meglio Del Precedente! Drive-By Truckers – The New Ok

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Drive-By Truckers – The New Ok – ATO Records

Tra l’uscita di American Band (il disco pubblicato nel periodo della campagna elettorale che avrebbe portato alla elezione di Trump) e quella di The Unraveling (dopo tre anni di The Donald e l’imminente arrivo del corona virus) erano passati quasi quattro anni, mentre in questo 2020 Patterson Hood e il suo socio Mike Cooley (oltre agli altri tre componenti dei Drive By-Truckers) hanno sentito il bisogno di pubblicare un nuovo album nello stesso anno, concepito durante il periodo di inattività concertistica causata dalla pandemia e l’impossibilità di incontrarsi tra Hood che vive a Portland, Oregon e Cooley a Birmingham, Alabama, ma registrato in gran parte a Memphis nelle stesse sessions del 2018 che hanno dato vita all’album precedente. L’album è stato rilasciato per il download ad inizio ottobre, e viene pubblicato in formato fisico il 18 dicembre: quindi era uscito in digitale in una sorta di interregno in cui non si sapeva ancora il risultato delle elezioni, come una chiamata alle armi pacifica (ma molto incazzosa) agli elettori, e la buona notizia per molti è che Trump ha perso, anche se al momento in cui scrivo non vuole mollare il cadreghino della Casa Bianca a Biden.

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A prescindere dai contenuti politici e sociali (che comunque negli ultimi album della band sudista sono molto presenti e che indicheremo brevemente nel corso della recensione) il disco conferma il periodo di ottima vena musicale del gruppo, in ogni caso sempre rimasta nella loro quasi venticinquennale carriera su livelli vicini alla eccellenza. Partiti come gruppo alternative rock, hanno poi aggiunto elementi country e sono arrivati a quel moderno southern rock del 21° secolo, ben esemplificato nel bellissimo Southern Rock Opera del 2001 e in molti altri CD usciti negli anni a seguire. Anche The New Ok, dal titolo alla fine profetico, benché al momento del suo concepimento aveva un accento più pessimista, si rivela un album di notevole fattura: la title track illustra subito lo spirito testuale della canzone di Hood “Goons with guns coming out to play/It’s a battle for the very soul of the USA/It’s the new OK,” la musica non è violenta, comunque ha un bel drive sostenuto, su cui si innestano le chitarre di Patterson e Mike e le tastiere di Jay Gonzalez, la melodia come al solito non manca nelle canzoni della band e il produttore storico David Barbe evidenzia al solito in maniera brillante il tipico spirito southern-roots del loro stile, che quando ci sono anche le canzoni come in questo disco, li inserisce nel novero delle migliori band rock americane https://www.youtube.com/watch?v=kR8ec75oPrA .

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Tough To Let Go, sempre di Hood, che scrive sette delle nove canzoni, aggiunge anche elementi soul (d’altronde con un babbo che lavorava ai Muscle Shoals non sorprende) in una sorta di heavy ballad, dove l’organo e i coretti e i fiati nel finale rendono il tutto più maestoso https://www.youtube.com/watch?v=Od6nzGj7yK4 ; The Unraveling prende lo spunto dal titolo dell’album precedente e inizia a picchiare di brutto, come loro sanno fare, voce filtrata, ritmi accelerati e quell’aria esuberante del rock americano più pimpante con chitarre sventaglianti a destra e a manca https://www.youtube.com/watch?v=PCyOcKvA9Oo . The Perilous Night era già uscita come singolo nel 2017, molto riffata e sempre con un testo che non si nasconde dietro perifrasi ( “Dumb, white and angry with their cup half-filled/Running over people down in Charlottesville/White House Fury, it’s the killing side he defends”), la canzone è stata re-incisa aggiungendo un pianino jazzy nel finale e nella parte centrale un assolo torcibudella di Hood https://www.youtube.com/watch?v=1jAuXReZlGg , mentre l’unico contributo di Cooley Sarah’s Flame ricorda l’intervento di Sarah Palin che per certi versi permise a Trump di vincere le elezioni precedenti, una placida ballata con uso di acustica e piano elettrico, che contrasta con il testo al vetriolo https://www.youtube.com/watch?v=p_7cOp2sTk8 , mentre Sea Island Lonely è un altro pezzo di impianto più vicino al soul, di nuovo con organo e fiati ad evidenziare lo spirito dei vecchi brani Stax o comunque un aura rock got soul che quando entrano i fiati ricorda certe canzoni di Otis Redding https://www.youtube.com/watch?v=Lf2ReDHrszg .

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La scandita The Distance forse è l’unico episodio minore del disco, molto attendista nella parte iniziale, su un groove marcato del basso e l’uso di un banjo, non decolla completamente, mentre Watching The Orange Clouds, che tratta dei disordini razziali e sociali dell’America attuale, visti dalla “sua” Portland, è un mid-tempo elettroacustico con un suggestivo assolo di slide. In chiusura una violentissima ed esuberante cover di The KKK Took My Baby Away dei Ramones (ebbene sì) https://www.youtube.com/watch?v=0l_tIcUDd38 che sigilla un altro ottimo album dei Drive-By Truckers.

Bruno Conti

Puro Rock’N’Roll Americano! Drive-By Truckers – English Oceans

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Drive-By Truckers – English Oceans – Ato Records

Ne hanno fatta di strada i Drive-By Truckers, partiti da Athens, Georgia (nel profondo sud degli States) con il loro primo disco Gangstabilly (98), hanno percorso un lungo cammino (con vari cambi di formazione), fino ad arrivare, dopo più di 15 anni di carriera, al loro decimo album in studio, questo English Oceans prodotto da David Barbe e dedicato a Craig Lieske, ex collaboratore e amico della band, morto a gennaio dello scorso anno. La loro discografia, come detto, è copiosa, e sebbene grandissimi successi non ne hanno mai avuti, mi piace ricordare la trilogia sudista iniziata con Southern Rock Opera (01) e proseguita con Decoration Day (03) e The Dirty South (04) e altri lavori di notevole fattura come A Blessing And A Curse (06) e dopo la dipartita (musicale) di Jason Isbell (che ha intrapreso una valida carriera solista) Go-Go Boots (11), con un suono fortemente orientato verso il southern-soul http://discoclub.myblog.it/2011/02/07/e-sono-nove-drive-by-truckers-go-go-boots/ .

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L’attuale line-up del gruppo è composta dai membri storici, il corpulento Patterson Hood e Mike Cooley entrambi alla chitarra e voce, con l’apporto di Matt Patton al basso (che sostituisce Shonna Tucker, anche lei diventata solista nel frattempo), Brad Morgan alla batteria, Jay Gonzalez alle tastiere (e alle chitarre, qiamdo serve, in sostituzione di Jeff Neff), con l’inserimento, come ospiti, di una sezione fiati, composta da Adam Courson alla tromba e George Davidson al sax, per il solito ruggente mix di alternative-country e southern rock https://www.youtube.com/watch?v=SRWPVSkWhv4 .

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In una recente intervista Hood (la persona che ha scritto molte delle migliori canzoni dei DTB), ammette che in questo nuovo lavoro, l’apporto più importante l’ha dato Mike Cooley (una sorta di George Harrison del gruppo, quello che contribuisce con due o tre canzoni belle in ogni album dei DTB), e i due devono avere avuto le idee chiare, se il disco è stato registrato in due sole settimane nei Chase Park Studios di Athens, Georgia. English Oceans parte con il rock sfrenato di Shit Ghost Count https://www.youtube.com/watch?v=YzTPQPwDM_A , per poi passare al classico southern-rock di When He’s Gone e Primer Coat , il malinconico country-folk rock di Pauline Hawkins https://www.youtube.com/watch?v=CUQ464-Ubr8 , lo splendido incedere di Made Up English Oceans https://www.youtube.com/watch?v=kBsOM1RR4jo , per poi arrivare al brano più politico dell’album, la tambureggiante The Part Of Him https://www.youtube.com/watch?v=uAoIlU_Z_7I . Nella seconda parte del disco arrivano i momenti più riflessivi con le ballate Hanging On e When Walter Went Crazy (sembrano uscite dai vecchi vinili dei Rolling Stones), per poi ritornare alle amate atmosfere “southern” con Hearing Jimmy Loud e Til He’s Dead Or Rises, alla parentesi blues di Natural Light, e chiudere con il country agreste di First Air Of Autumn https://www.youtube.com/watch?v=r_m6bakjshc e l’accorata elegia finale di Grand Canyon (una delle più belle canzoni dei DTBhttps://www.youtube.com/watch?v=chZVZoIWONk , dedicata come detto al loro amico musicista Greg Lieske.

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Patterson Hood, Mike Cooley e soci sono musicisti di prim’ordine, e si sono conquistati negli anni un posto al sole nel rock americano, per aver integrato il vecchio classico rock n’roll fatto anche di ballate e chitarre grintose, mischiandolo con qualche sprazzo di country, saltuari frammenti di blues, un po’ di folk, il tutto integrato con testi taglienti e politici, senza mai venire a patti con l’industria discografica (nello scorso disco c’era Assholes). English Oceans è un disco di rock americano puro e di qualità cristallina, da ascoltare possibilmente a tutto volume, riforniti di birre fresche e ovviamente bottiglie di Jack Daniels e Southern Comfort, immaginando di essere ad Athens, dove questa musica si ama appassionatamente.

Tino Montanari

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*NDB. Recensione in leggero ritardo sull’uscita, ma il disco merita, nel frattempo il gruppo ha suonato a Denver, come vedete nel manifesto, per il Record Store Day https://www.youtube.com/watch?v=tR9590eUuOM , e ha pubblicato anche un EP Dragon Pants!

E Fanno Nove! Drive-by Truckers – Go-Go Boots

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Drive-By Truckers – Go-Go Boots – Ato Records/Pias

Martedì prossimo, il 15 febbraio esce il nuovo e nono album in studio dei Drive-by Truckers. Si chiama Go-Go Boots ed è stato registrato nel corso delle stesse sessioni che avevano dato vita al precedente The Big To-Do (adesso hanno preso la mania di infilare questo trattino anche nei titoli degli album oltre che nel loro nome) ma come è stato scritto da altri e come noterete ascoltandolo è “abbastanza” differente dal suo predecessore. Ma, contrariamente a quanto hanno scritto alcuni si tratta di un “signor disco”. Sicuramente con un suono più “morbido” rispetto agli altri album della loro discografia ma sempre un bellissimo disco di rock, o preferite di country got soul? D’altronde tre di loro provengono proprio da Muscle Shoals nella zona del nord Alabama che è il luogo fondativo di questo stile. E sono i tre “autori”,  quelli che scrivono le canzoni, Patterson Hood (figlio di quel David che era proprio il bassista della Muscle Shoals Rhythm Section), Mike Cooley e Shonna Tucker.

Proprio quest’ultima sarebbe la fonte di ispirazione di questo nuovo disco con il suo amore totale ed incondizionato per la musica soul (con ampie spruzzate di country) e che ha coagulato questo processo di nascita di un disco “diverso” dagli altri, volutamente più vicino ad un suono che risale alle radici del movimento “country got soul” e a uno dei suoi originatori che viene omaggiato con ben due brani, quell’Eddie Hinton, compianto Otis Redding “bianco” e tra i musicisti ed autori più influenti nello sviluppo di questo tipo di sound (che poi si è anche contaminato con il southern rock). E non per nulla la sede dei Drive-by Truckers è a Athens, Georgia.

Ma veniamo a questi due brani di Hinton che sono stati la molla che ha dato l’impulso a questo nuovo album (registrato nelle stesse sessions del precedente, come detto, ma volutamente con un progetto sonoro differente, ed unitario, rispetto a quello di The Big To-Do): i due brani in questione sono Where’s Eddie, cantato da Shonna Tucker (che non trovo affatto scolastica e misera come è stato scritto, tutt’altro, semplicemente una voce differente che si è aggiunta al già notevole appeal della band), una dolce ballata country-soul con chitarre e tastiere che si amalgano alla perfezione (forse troppo corta, se vogliamo trovare un difetto) e la stupenda (e qui non si può definirla in altro modo) Everybody Needs Love una delle più belle canzoni di Hinton, deep soul della più bell’acqua, cantata con grande trasporto da Patterson Hood e percorsa dal suono di un dobro, dall’organo del nuovo arrivato Jay Gonzalez e un breve intervento dell’elettrica. Questi due brani costituiscono il punto di partenza di questo disco (ed erano stati pubblicati in precedenza in un vinile come tributo a Hinton lo scorso anno) e da lì si dipana un album che secondo me (magari sbaglio ma preferisco esprimere il mio parere) ha molti punti di contatto con un altro album classico degli anni ’70, quell’On The Beach di Neil Young che molti ricordano tra i più belli della sua carriera. Si percepisce la stessa atmosfera rilassata, laid-back in molti brani, quel contrasto/fusione tra il country e soul e blues che erano la caratteristica di quel disco, con tastiere in evidenza, ritmica secca e marcata (soprattutto il basso), la voce sottile di Young (e quella di Hood ha molti punti in comune), tocchi di pedal steel e le chitarre presenti ma più trattenute rispetto al solito. Questo vale soprattutto per alcuni brani di Patterson Hood: canzoni come Assholes (dedicata all’industria discografica, e vai!), l’iniziale bellissima I Do Believe, la bluesata Go-Go Boots con una slide da brividi in contrasto con il piano elettrico che fa molto On The Beach e Young in generale e il ritmo metronomico volutamente ripetitivo con basso e batteria che viaggiano all’unisono per permettere alle chitarre (là del canadese, qui di Hood e Cooley) le loro divagazioni.

Ma anche il brano di Shonna Tucker Dancin’ Ricky si appoggia su questi ritmi scanditi e gode di un bel tappeto chitarristico, con la steel di John Neff che si alterna a quelle degli altri solisti e all’organo di Gonzalez per creare un brano delizioso che ben si adatta alla vocalità della bassista. Mike Cooley è l’anima più country del gruppo (quando non strapazza la sua chitarra) e in questo disco brani come Cartoon Gold (con banjo al seguito) potrebbero provenire dalla penna del Willie Nelson più ispirato o di altri “Outlaws” che furono. Ray’s Automatic Weapon è una delle country&soul murder ballads che popolano questo disco, cantata da Hood e caratterizzata ancora una volta da una slide “pericolosa” e dal piano di Gonzalez è un’altra piccola perla di equilibri sonori. The weakest man è un’altra galoppante country-song guidata dalla voce sonnacchiosa di Cooley (non l’avrei vista male nel repertorio di Johnny Cash).

Used To Be A Cop era uno dei due brani contenuti nel 10 pollici in vinile pubblicato per il Giorno del Ringraziamento, una ennesima storia di violenza e frustrazione dalla penna di Patterson Hood che si dipana su un arrangiamento complesso e frastagliato, sempre molto bella, con le chitarre che ruggiscono brevemente nel finale in perfetto stile southern.Dopo i 7 minuti del brano precedente The Fireplace Poker che è la stessa storia della title-track, ma vista da un altro punto di vista, si allunga fino a otto per raccontare la sua storia e forse, anche se comunque non mi dispiace, avrebbe giovato una maggiore concisione. The Thanksgiving Filter, era l’altro lato del 10 pollici, un ulteriore brano di Hood (che rimane l’autore principale) contrassegnato dalla lap steel di John Neff che guida le operazioni e da continue aperture melodiche che squarciano l’atmosfera claustrofobica del brano, peraltro molto evocativo.

Pulaski è l’ultimo contributo di Mike Cooley, una ulteriore variazione sulla sue tematiche country, una storia contro i “poteri” in quel di Hollywood. Lo si dice spesso ma evidentemente ci sarà un motivo, “last but not least” rimane la conclusiva Mercy Buckets una gagliarda cavalcata chitarristica che farà la gioia di chi ama i Drive-by Truckers più sanguigni e ruspanti e che conclude in gloria questo, mi ripeto, ottimo, ulteriore capitolo della saga “sudista” di uno dei migliori gruppi del rock americano attuale.

Bruno Conti