Uno E Trino, Bravissimo Sempre E Comunque. Mike Mattison – Afterglow

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Mike Mattison – Afterglow – Landslide Records

Potremmo definire Mike Mattison come un artista uno e trino, visto che divide la sua attività in tre diverse direzioni: come voce di supporto e autore nella Tedeschi Trucks Band, come leader degli eccellenti Scrapomatic https://discoclub.myblog.it/2012/10/08/gregari-di-lusso-o-qualcosa-di-piu-scrapomatic-i-m-a-strang/  e anche con una carriera solista. In questo ambito Afterglow è il suo secondo disco in proprio, dopo l’ottimo You Can’t Fight Love, uscito nell’ormai lontano 2014, sempre per la Landslide Records. Diciamo in proprio anche se poi a ben vedere, oltre a Mattison, che ovviamente, canta e suona la chitarra ritmica (regalatagli da Derek Trucks), lo affiancano Tyler Greenwell della TTB, e anche degli Scrapomatic. alla batteria, nonché co-produttore dell’album (e qualcuno non ha apprezzato fino in fondo il tipo di suono utilizzato per il CD), Dave Yoke, anche lui compagno di avventura in entrambe le formazioni, che vengono aiutati da Frahner Joseph, bassista degli ottimi Delta Moon, Paul Olsen chitarra e co-autore con Dave e Derek Trucks della title-track, mentre le parti di tastiera aggiunte in un paio di brani sono di Kofi Burbridge, lo scomparso membro (nel gennaio 2019), della TTB e nel resto del disco di Rachel Eckroth della band di Rufus Wainwright.

Quindi potremmo dire i “soliti noti”, ma quello che è inatteso è lo stile o meglio gli stili musicali impiegati nell’album, non il rock-blues con venature R&B della TTB, non lo swamp-blues-rock degli Scapomatic o del precedente album solista, ma un folk-country-roots, dove non mancano le componenti sonore appena citate, ma il suono è decisamente più minimale e intimo, anche se la voce di Mike ha comunque modo di mettersi in evidenza: come nella iniziale Charlie Idaho, una sorta di bellissima murder ballad ispirata da una storia riportata nel libro di Alan Lomax The Land Where The Blues Was Born, ricca di pathos e suonata con classe e raffinatezza dai vari musicisti, con una specie di “chitarrone” ricorrente e il piano, che caratterizzano l’atmosfera sospesa della canzone. Afterglow addirittura vira verso il country, con un andatura brillante e gioiosa sempre percorsa da una chitarra sbarazzina e da preziosi intrecci vocali, ovviamente a questo punto mi dissocio dal mancato apprezzamento del sound espresso prima, in quanto questo approccio rootsy e quasi campagnolo è proprio uno degli atout dell’album; Deadbeat, a dispetto del titolo, è un altro dei brani più mossi del disco, su una base di chitarre acustiche ed elettriche e di voci stratificate, il piano della Eckroth sempre presente e una andatura deliziosamente ondeggiante, Mattison canta con grande souplesse e classe, degna di certe canzoni sudiste della Band.

World’s Coming Down è un country-blues taglio Americana, sempre soffuso di quello stile southern laidback e pigro, raffinato ma anche con un piglio autorevole e gagliardo nella voce di Mike e negli arrangiamenti corposi; All You Can Do Is Mean It è una specie di sognante ballata, quasi con retrogusti beatlesiani, in particvolare quelli delle canzoni di Harrison, da sempre innamorato del suono “americano”, con elettrica e piano a sottolineare questa sorta di valzerone delicato https://www.youtube.com/watch?v=t0ni3tFlYnE , mentre Kiss You Where You Live ha ancora quel tocco twangy ed esuberante, con elementi roots e pettyani, una batteria con il “phasing” che rievoca ricordi di leggera psichedelia, veramente squisito poi l’intervento della solista di Yoke nella parte centrale. I Was Wrong, con la voce prima in leggero falsetto e poi con un inquietante distorsione rilascia impressioni di uno psych blues, scandito e minaccioso, lasciando a On Pontchartrain il compito di riportarci di nuovo verso quel suono country-blues delle radici, che mi ha ricordato anche il Bob Dylan del periodo Nashville, malgrado la voce naturalmente sia molto diversa, bellissimo il lavoro della chitarra. Per I Really Miss You, il brano firmato con Kofi Burbridge, qui impegnato alle tastiere, Mattison sfodera il suo falsetto d’ordinanza, tra Prince e Al Green, per una morbida soul ballad che illustra anche il suo lato più black, poi ribadito nella decisamente più rude e cattiva Got Something For You, dal suono più grintoso, con batteria e chitarre elettriche molto più presenti e decisive.

Un album complessivamente dal suono eclettico e che potrebbe risultare dispersivo ma che mi sembra alla fine funzioni in modo egregio.

Bruno Conti

Un Gruppo Ormai Tra I Migliori In Circolazione! Tedeschi Trucks Band – Live From The Fox Oakland

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Tedeschi Trucks Band – Live From The Fox Oakland – Fantasy/Universal 2CD/DVD

Nata dalle ceneri della Derek Trucks Band, e formata da Derek Trucks, grande chitarrista di scuola Allman (nipote tra l’altro del recentemente scomparso Butch Trucks http://discoclub.myblog.it/2017/01/27/lultima-testimonianza-di-un-grande-batterista-great-caesars-ghost-with-butch-trucks/ ) insieme alla moglie, la cantante e chitarrista Susan Tedeschi, la Tedeschi Trucks Band è un gruppo in costante ascesa, che migliora di disco in disco, e penso che si possa affermare che, dopo tre album di studio e due live, è oggi uno dei migliori acts a livello mondiale. Un esordio buono ma non eccezionale nel 2011 (Revelator), al quale aveva fatto seguito due anni dopo il più riuscito Made Up Mind e, lo scorso anno, l’eccellente Let Me Get By, un grande disco di southern rock come si usava fare negli anni settanta, ma con la band che palesava uno stile proprio che si rifaceva anche al suono di gruppi come Derek & The Dominos, Delaney & Bonnie ed a quel meraviglioso carrozzone che erano i Mad Dog & Englishmen guidati da Joe Cocker http://discoclub.myblog.it/2016/01/27/unoretta-pure-delizie-sonore-anche-piu-nella-versione-deluxe-tedeschi-trucks-band-let-me-get-by/ . In mezzo, un album dal vivo splendido, Everybody’s Talkin’ (2012), che mostrava che on stage la band, libera dai vincoli di studio, era veramente capace di suonare qualsiasi cosa. Oggi il gruppo è cresciuto ancora, è ulteriormente maturato, ed è migliorata anche l’intesa tra i molti membri (ben dodici), e questo si palesa alla grande in questo nuovo disco dal vivo, Live From The Fox Oakland, un doppio fantastico che supera anche il già bellissimo Everybody’s Talkin’ http://discoclub.myblog.it/2012/05/20/grande-musica-rock-70-s-style-tedeschi-trucks-band-everybody/ .

Registrato lo scorso 9 Settembre al Fox Theatre di Oakland, California, questo doppio CD con accluso DVD ci presenta una band in stato di grazia, guidata da un chitarrista (Trucks) che non esito e definire tra i migliori (se non il migliore) della sua generazione (magari a pari merito con Joe Bonamassa, ma superiore, ad esempio, a Kenny Wayne Shepherd), un axeman dotato di grandissima tecnica ma anche decisamente creativo e con un feeling enorme; Susan, poi, è una sparring partner perfetta: dotata di un’ottima voce, grintosa ma sensuale all’occorrenza, è anche lei una notevole chitarrista, quasi una sorta di novella Bonnie Raitt (anche se la rossa californiana è ancora qualche gradino più su). Il resto del gruppo, a partire dalla voce solista maschile di Mike Mattison (ex DTB) è un treno in corsa, con una menzione particolare per il tastierista Kofi Burbridge (fratello di Oteil), il basso preciso di Tim Lefebvre, la doppia batteria di Tyler Greenwell e J.J. Johnson e la sezione fiati di tre elementi, che dona ulteriore colore, e calore, ad un suono già di per sé ricco di sfumature. Live From The Fox Oakland presenta le solite differenze nella tracklist tra CD e DVD, anche se devo dire che per una volta è più completo il supporto audio, sebbene solo nella parte video trovino spazio due brani che da soli valgono parte del prezzo richiesto, e cioè una bellissima versione del classico country di George Jones Color Of The Blues (già cantato da Susan lo scorso anno con John Prine nell’album di duetti di quest’ultimo) ed una gradevole You Ain’t Going Nowhere di Bob Dylan eseguita in maniera informale nel backstage e con Chris Robinson come membro aggiunto.

Ma veniamo al concerto: si parte con la potente Don’t Know What It Means, chitarra wah-wah di Derek, fiati, poi entra il resto della band, con Susan che intona una delle melodie più dirette di Let Me Get By, specie nel ritornello, un modo decisamente adatto ad aprire la serata, in cui Trucks fa sentire subito di che pasta è fatto, ed un assolo di sax molto free che ci porta verso una versione scintillante di Keep On Growing (proprio dal classico unico album di Derek And The Dominos), lunga, fluida, dal suono caldo e con Derek che “claptoneggia” alla grande; Bird On The Wire è un sentito omaggio a Leonard Cohen (che all’epoca del concerto era ancora tra noi), una rilettura decisamente soul, quasi gospel, ancora calda e profonda, e cantata in maniera strepitosa da Susan: quasi un’altra canzone. Within You, Without You, proprio il brano di George Harrison incluso in Sgt. Pepper, non mi ha mai entusiasmato, e neppure questa versione con la chitarra al posto del sitar mi convince a cambiare idea, per fortuna dura poco e confluisce nella tonica Just As Strange, un’altra rock song dal suono pieno ed “allmaniano”, con Susan che più va avanti e meglio canta; Mattison non è la Tedeschi, ma se la cava egregiamente nella bella Crying Over You, uno dei pezzi migliori dell’ultimo album, un errebi colorato dai fiati e con la solita prestazione maiuscola di Derek, qui doppiato alla grande dall’organo di Burbridge, per la serie ca…spiterina se suonano! Il primo dischetto termina con la lunga ed intensa These Walls, che ospita il musicista indiano Alam Khan al sarod per un momento di quiete, e con la magistrale Anyhow, molto anni settanta, un vero pezzo di bravura da parte di tutti, un brano disteso e liquido, con uno splendido pianoforte e la solita chitarra spaziale.

Il secondo CD si apre con la deliziosa Right On Time, quasi un brano dixieland, davvero godibile e che mostra la versatilità della TTB; un po’ di sano rock-blues con Leavin’ Trunk (di Sleepy John Estes, ma Taj Mahal, con Jesse Ed Davis Ry Cooder alle chitarre, ne faceva una versione strepitosa), che vede il gruppo compatto e granitico come al solito ed un Derek stratosferico; Don’t Drift Away è una sontuosa ballata ancora soul-oriented, e qui è Kofi al piano ad offrire una prova da applausi. La mossa e vibrante I Want More è un errebi di gran classe, al livello delle cose migliori di Aretha Franklin e, come ciliegina, il brano termina con una ripresa del classico di Santana Soul Sacrifice, tra le cose più belle dello show, un tour de force che da solo vale il disco (ma come suona Derek? Sembra che abbia dieci mani…). Un po’ di sano blues è quello che ci vuole, e I Pity The Fool (Bobby Bland) è il classico pezzo giusto al momento giusto: ottimo uso dei fiati e band che suona in modo sciolto e con la solita classe. Il doppio termina con Ali, un classico di Miles Davis che è anche un perfetto pretesto per improvvisare partendo dal giro melodico originale, divagando in maniera totalmente libera, un altro momento di puro godimento sonoro, e con Let Me Get By, altra fluida e vibrante rock ballad, che chiude il concerto ancora con sonorità tra, rock, soul, gospel e blues. Un live album imperdibile, per un gruppo che è ormai una delle realtà più cristalline nel mondo del southern rock, e non solo.

Marco Verdi

Un’Oretta Di Pure Delizie Sonore (Anche Di Più Nella Versione Deluxe)! Tedeschi Trucks Band – Let Me Get By

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Tedeschi Trucks Band – Let Me Get By – Fantasy/Universal CD o Deluxe 2CD 29-01-2016

Anche se in alcuni siti e riviste è stato già recensito, la data ufficiale di uscita del nuovo disco della Tedeschi Trucks Band Let Me Get By è il 29 gennaio (e il 5 febbraio, in Europa, per la versione Deluxe doppia), quindi ne parliamo nell’immediatezza della pubblicazione che sarà in questo fine settimana. Si tratta solo del terzo disco di studio della band, oltre al bellissimo doppio Live: Everybody’s Talkin’ del 2012: potrebbe essere quello della consacrazione, anche se pure i precedenti Revelator Made Up Mind avevano avute ottime critiche ed erano entrati nelle Top 20 delle classifiche di vendita americane, ma questo nuovo album sembra avere quel quid in più. Derek Trucks non fa più parte dell’Allman Brothers Band, che si è sciolta, e quindi ha più tempo per il gruppo di famiglia, che è la diretta prosecuzione della Derek Trucks Band che aveva operato dal 1997 al 2010, e utilizza anche un paio di musicisti che avevano fatto parte del primo gruppo. Susan Tedeschi, la moglie di Derek, con una eccellente carriera solista alle spalle, è la vocalist del gruppo, ma anche Mike Mattison nel nuovo album, oltre ad essere presente come co-autore di parecchi brani, è utilizzato come voce solista in un paio di canzoni.

Canzoni che sono proprio quelle che sembrano fare la differenza rispetto ai dischi passati (che peraltro al sottoscritto erano piaciuti parecchio, infatti non a caso Made Up Mind era entrato nella mia lista dei migliori del 2013 http://discoclub.myblog.it/2013/08/23/grande-chitarrista-grande-cantante-altri-nove-ottimi-musicis/): infatti il nuovo album sembra ancora più organico e le canzoni, che al solito spaziano nei vari generi cari alla band, dal rock al blues, dal soul al gospel, aggiungiamo R&B, funky e jazz e otteniamo tutto lo spettro sonoro che è possibile ascoltare in questo Let Me Get By, perfettamente amalgamato, ma allo stesso tempo lasciando percepire tutte le componenti che confluiscono nel sound finale https://www.youtube.com/watch?v=VgKNleCaTcs . Si diceva delle canzoni che sembrano più organiche, ancora meglio costruite che in passato, con spazio per melodia e grooves, la solita quota di improvvisazione dedicata a Derek Trucks, meno accentuata che in passato e che sicuramente verrà ampliata nelle esibizioni live, per cui occupiamoci proprio delle canzoni, con una track by track completa dell’album.

Prima di tutto vediamo il secondo disco della Deluxe Edition, che in questo caso è quella da aversi, sia per la confezione, come per i contenuti e anche per il prezzo contenuto, se mi passate il gioco di parole, meno di quanto vengano fatte pagare abitualmente le edizioni speciali singole con una o due bonus (sto ancora imprecando per il prezzo assurdo del nuovo Elton John in uscita il 5 febbraio, che costerà 5 o 6 euro in più, per 2 brani extra). Nel caso di Let Me Get By nel secondo CD abbiamo ben otto tracce aggiunte: 3 versioni demo alternative di brani contenuti nell’album, un inedito Satie Groove, una cover di Oh! You Pretty Things, la canzone di David Bowie e tre pezzi dal vivo registrati al Beacon Theatre di New York Laugh About It, I Pity The Fool Keep On Growing, quasi 45 minuti di musica).

Passiamo ai brani del disco:

Anyhow, firmata dal trio Trucks/Tedeschi/Mattison si avvale della presenza di Doyle Bramhall II, alla chitarra e alle armonie vocali, e si apre con la vocalità soffusa di Susan e con la slide di Derek per poi trasformarsi in una bellissima canzone, calda ed avvolgente, tipica del songbook della bionda signora Tedeschi, sempre più brava come cantante, a tratti sensuale in altri languida, in altri ancora travolgente, con un perfetto phrasing che si integra con le armonie vocali di Mattison Mark Rivers, il contrappunto dei tre fiatisti, Kebbi Williams, Maurice Brown Saunders Sermons, gli svolazzi del piano e dell’organo di Kofi Burbridge, fino alla conclusione strumentale dove la chitarra slide di Trucks disegna un assolo dei suoi, grazie anche al poderoso supporto della sezione ritmica di Tim Lefevbre, bassista di pregio che continua una teoria di grandi musicisti che si sono succeduti negli anni nel suo ruolo, e la doppia batteria di J.J. Johnson Tyler Greenville, così abbiamo nominato tutti i musicisti di questa grande band che giustamente viene considerato uno dei migliori ensemble in assoluto attualmente in circolazione nel mondo.

Laugh About It, scritta coralmente dai principali componenti, tra blues e soul di Memphis, è un altro esempio della maestria dei nostri, sezione fiati avvolgente, armonie vocali deliziose, chitarra e tastiere che a tratti si distinguono, la voce ancora stupenda e poi gran finale strumentale con Trucks che lavora di fino su un arrangiamento complesso e ricco di groove, già provato dal vivo, come dimostra il bonus disc.

Don’t Know What It Means è decisamente più funky, tra clavinet e wah-wah si viaggia su ritmi decisamente più sincopati, nel giusto equilibrio degli assetti, con Derek Trucks che fa quello che Duane Allman faceva in molte tracce classiche di soul primi anni ’70, pennellate di classe su un telaio solido e finale super funky con la band in gran spolvero.

Right On Time, scritta da Trucks Mattison, che la canta in coppia con la Tedeschi, è più cadenzata, a tratti jazzata e di scuola new Orleans, grazie anche alla tromba con sordina di Sermons e al pianino insinuante di Burbridge, che contribuisce ad una atmosfera quasi vaudeville grazie anche alla Resonator Guitar di Trucks; forse un episodio minore, gradevole ma non memorabile.

Let Me Get By, ancora un frutto collettivo della band, grazie alla vocalità calda di Susan a tratti ricorda alcune cose di Bonnie Raitt, alla cui voce la Tedeschi assomiglia in modo impressionante, ma mantiene gli spunti funky-rock grazie ad un assolo di organo Hammond di Burbridge che si situa tra Jimmy Smith Brian Auger, poi il resto lo fanno le chitarre di Trucks, taglienti ed espressive come di consueto, soprattutto in modalità slide.

Just As Strange, scritta dai coniugi Trucks insieme a Doyle Bramhall, è un duetto tra Susan e sé stessa, che si sdoppia nei due canali dello stereo, con un suono più elettroacustico, senza fiati, e con una quota blues più marcata, anche se la band rolla sempre di gusto.

Crying Over You, cantata da Mike Mattison, è soul music anni ’70, tra Philly Sound e le ultime propaggini pre-disco di Stax e Motown, oltre ai fiati c’è anche una sezione archi e Mattison canta con voce melliflua e suadente sui coretti dei background vocalist e con i soliti inserti solisti di Trucks e Burbridge, molto coinvolgente e con un gran finale strumentale dove la band innesta ancora la quinta e ci diverte con le sue improvvisazioni, soprattutto un Derek Trucks veramente incontenibile alla chitarra. Brano che poi diventa Swamp Raga for Holzapfel, Lefebvre, Flute and Harmonium, un breve intermezzo pastorale tra John Fahey e musica orientale, con il nostro alla 12 corde acustica e Kofi Burbridge al flauto.

Hear Me è la classica ballata che ti aspetti in un disco così, dolce e suadente è la voce di Susan Tedeschi, per un brano tra soul e pop, mi ha ricordato alcune delle cose migliori dello Stevie Wonder più ispirato dei primi anni ’70, con la chitarra slide di nuovo Allmaniana di Trucks a punteggiare le deliziosi evoluzioni vocali della consorte, bellissima canzone,

I Want More con un piglio decisamente più rock, grazie al drive di batteria e fiati, potrebbe ricordare certe cose del “soul bianco” della grande Janis, e le chitarre, che qui sono tre, Tedeschi, Trucks Doyle Bramhall, co-autore con Mattison del pezzo, viaggiano alla grande, sembra anche un pezzo alla Delaney & Bonnie o del Clapton amante delle soul revue, altra gran canzone con coda strumentale travolgente.

Si chiude con In Every Heart, altra lunga ballata, oltre i sei minuti, con una intro di fiati che ricorda certe cose simil New Orleans della Band, per poi diventare una magnifica deep soul ballad dal profondo Sud dei loro studi Swamp Raga di Jacksonville, Florida, dove è stato registrato il disco. Inutile dire che Susan Tedeschi la canta divinamente e Derek accarezza la sua slide per un doppio struggente, e ricco di tecnica, assolo nella parte centrale e finale.

Gran disco!

Bruno Conti

Grande Chitarrista, Grande Cantante, Altri Nove Ottimi Musicisti (E Qualche Amico): Che Disco! Tedeschi Trucks Band – Made Up Mind

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Tedeschi Trucks Band – Made Up Mind – Sony Masterworks

Sarà un caso che il disco esca per il ramo Masterworks della Sony, quello dedicato alla musica classica? Ovviamente no, in quanto l’album è già un piccolo “classico” nel suo genere. Già ma quale genere? Direi rock, blues, soul (tra Stax e Motown, con una spruzzata Muscle Shoals), funky e jazz, quindi di tutto un po’. Come facevano Delaney & Bonnie & Friends (con Eric Clapton) più di 40 anni fa. Ma la musica non risente del tempo che passa, anzi, come il buon vino, migliora. La fusione dei gruppi di Derek Trucks e della moglie Susan Tedeschi, che all’inizio poteva sembrare un azzardo, si è rivelata una mossa azzeccata: al di là del fatto che sicuramente non deve essere facile mantenere e portare in giro una band di 11 elementi, i risultati, prima con Revelator nel 2011, poi con l’eccellente doppio dal vivo Everybody’s Talkin’, che esplorava il lato più improvvisativo del gruppo e ora con questo eccellente Made Up Mind, confermano che la Tedeschi Trucks è una delle migliori entità musicali attualmente in circolazione sull’orbe terracqueo.

Come dice il titolo, un grande chitarrista, Derek Trucks, soprattutto alla slide, degno erede di Duane Allman e che rivaleggia con Ry Cooder per la maestria all’attrezzo, ma ottimo chitarrista anche complessivamente, nel lato ritimico e solista, e anche come compositore. Una grande cantante, Susan Tedeschi, in possesso di una voce bellissima, roca e sensuale, dolce e potente al tempo stesso, degna erede di voci come quella di Bonnie Raitt, di cui in questo disco, leggo da qualche parte, si sarebbe affrancata dalle, diciamo, affinità elettive, manco si parlasse di madonna o kylie minogue, non di una delle più grandi cantanti e chitarriste bianche nell’ambito blues e rock e quindi si tratta di un complimento, non certo di una critica. Senza dimenticare gente come Bonnie Bramlett, tanto per non fare altri nomi, vera diva, con il marito Delaney, nell’arte di fondere soul, R&B e rock. Mi pare invece che le similitudini tra gli stili delle due Bonnie e Susan Tedeschi siano ancora più evidenziate in questo nuovo album, che è un disco di canzoni ancora più rifinite, ma al contempo fresche e frizzanti, rispetto ai predecessori.

Non dimentichiamo che la band ha anche una sezione fiati di tre elementi, piccola ma compatta, Maurice Brown alla tromba, Kebbi Williams al sax e Saunders Sermons al trombone, che si applica con profitto anche alle armonie vocali, doppia batteria, J.J. Johnson e Tyler Greenville, come nella band di zio Butch Trucks, quattro diversi bassisti, ma solo in l’occasione di questo CD, e alternati nei vari brani, dal vivo, per il tour, hanno annunciato, il nuovo addetto allo strumento,sarà Eric Krasno, presente nel disco come chitarrista aggiunto e autore, uno dei “friends”. Chi manca? Kofi Burbridge, il tastierista, anche ottimo flautista e i due vocalist aggiunti, Mike Mattison (già cantante della Derek Trucks Band e leader degli Scrapomatic, qui forse un po’ sacrificato) e Mark Rivers. Tutti costoro, se serve, si danno da fare anche alle percussioni e, soprattutto, ci regalano undici canzoni, una più bella dell’altra.

A partire dal boogie rock blues dell’iniziale title-track dove Derek Trucks si divide tra slide e wah-wah, la moglie innesta un ottimo ritmo alla seconda chitarra e canta all grande, mentre il pianino di Burbridge e i fiati aggiungono pepe alle operazioni, ottima partenza. Do I Look Worried, scritta con John Leventhal, uno dei tanti ospiti, è un mid tempo sincopato ed emozionale, perfetto esempio di quel blues-rock got soul che è uno dei manifesti del disco, un paio di soli brevi ed incisivi di Derek, contrappuntati alla perfezione dai fiati e dalla voce partecipe di Susan. idle Wind è scritta con Gary Louris dei Jayhawks, un brano elettroacustico, dall’arrangiamento complesso, quasi jazzato, con il flauto di Kofi Burbridge a farsi largo tra gli altri fiati, la doppia batteria molto felpata e le armonie vocali soffuse, un perfetto esempio di jazz & soul revue, esplicato dall’assolo quasi modale di Trucks (la chitarra sembra quasi un sitar).

Sonya Kitchell (bravissima cantautrice) e il già citato Eric Krasno scrivono il super funky di Misunderstood, che con il suo clavinet e fiati, voci, chitarre wah-wah nel finale, organo e percussioni in libertà, sembra un brano dei tempi d’oro di Sly & Family Stone. Part Of me, scritta con Doyle Bramhall II e Mike Mattison, è anche meglio, pura Motown della più bella acqua, fino al falsetto fantastico di Sermons, che accoppiato con l’ottimo contralto di Susan, rievoca le armonie dorate di Tempations e Jackson 5, una piccola magia fin dalle chitarrine ritmiche e dalle sinuose linee della solista di Derek Trucks qui ispiratissimo, che trasporta parti del brano in zona Muscle Shoals, ovvero Stax, un matrimonio in Paradiso, in una parola, anzi due: una meraviglia!

Torna Louris come autore per una poderosa Whiskey Legs e qui le cose si fanno serie, la Tedeschi imbraccia la sua Gibson e risponde colpo su colpo alle bordate del marito Derek, in un brano di impianto rock-blues, dove anche l’organo si ritaglia i suoi spazi e che dal vivo probabilmente diventerà territorio di battaglia per gagliarde jam nella migliori tradizioni del genere, e del gruppo. La prima delle ballate del disco, It’s So Heavy, scritta da Trucks, ancora con Kitchell e Krasno, è un’altra meraviglia sonora, toccante ed emozionante, deep soul e melodia intrecciati, con i due solisti, Derek e Susan, in stato di grazia, lui alla chitarra e lei alla voce, a dimostrazione che la buona musica, quella genuina, è ancora viva e vegeta. All That I Need, con i suoi ritmi latini, vagamente santaneggianti, è nuovamente una collaborazione con Bramhall, brano forse (ma forse) minore, benché arrangiato sempre con precisione chirurgica, fiati, armonie vocali, tastiere, il tutto piazzato con cura nel tessuto sonoro del brano e le due “stelle” del gruppo che ricamano sull’insieme. Sweet And Low, l’altra ballata, è quasi più bella di It’s So heavy, malinconica e accorata, con la voce vellutata di Susan Tedeschi ancora una volta in spolvero, ma non c’è un brano dove non canti più che bene, quasi fosse un suo disco solista, accompagnata da una band da sogno e con una manciata (abbondante) di canzoni, tra i quattro e i cinque minuti, che rasentano la perfezione.

The Storm, scritta dai due con Leventhal, è l’unico pezzo che supera i sei minuti, e qui la coppia indulge nel proprio lato rock-blues e improvvisativo, dopo una lunga introduzione cantata da Susan, la parte strumentale imbocca anche percorsi jazz e jam, con le due soliste spesso all’unisono e Derek Trucks che fa i numeri di fino con la sua chitarra, sul solito tappeto di organo, fiati e una ritmica consistente, confermandosi uno dei migliori chitarristi attualmente in circolazione, come testimonia anche la sua militanza negli Allman Brothers. Qui c’è trippa per gli amanti della chitarra, dura 6 minuti e 35 ma dal vivo probabilmente si espanderà fino a quindici o venti. Finale minimale, acustico, solo la National steel di Derek, una seconda chitarra e la voce carezzevole e tenera di Susan per una dolce Calling Out To You. Per concludere, e anche questo non guasta, il disco è co-prodotto da Jim Scott (e non da Doyle Bramhall II, a parte un brano, come avevo erroneamente scritto nella anticipazione): è proprio quello di Wilco, Jayhawks, Court Yard Hounds, Crowded House e dei due dischi precedenti della band. Il sound è caldo, delineato, umano, respira con l’ascoltatore

Uno dei migliori dischi del 2013, fino ad ora, ma non ce ne saranno molti altri così belli.

Bruno Conti

“Gregari Di Lusso” O Qualcosa di Più? Scrapomatic – I’m A Stranger And I Love The Night

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Scrapomatic –  I’m A Stranger And I Love The Night – Landslide Rec. 

Quando Derek Trucks e Susan Tedeschi hanno deciso di unire le forze sciogliendo le rispettive band, si sono lasciati alle spalle alcuni “cadaveri”, in senso metaforico naturalmente. Mike Mattison era il vocalist della Derek Trucks Band, mentre nella Tedeschi Trucks Band svolge il ruolo di background vocalist, occasionale percussionista ed autore, un ruolo che oggettivamente gli va stretto. I due chitarristi degli Scrapomatic, Paul Olsen, che è anche il secondo vocalist e co-autore con Mattison del materiale del gruppo, e Dave Yoke, l’ultimo arrivato, in passato hanno suonato nella band della Tedeschi, come occasionalmente hanno fatto anche i due componenti della sezione ritmica, Ted Pecchio, il bassista e Tyler Greenwell, il batterista. Quindi è una sorta di famiglia allargata, se aggiungiamo che gli Scrapomatic (come duo o trio) spesso aprono i concerti della band dei due coniugi. Ovviamente la band ha anche una vita propria, indipendente, nata nel lontano 1994 dall’incontro di Mattison e Olsen nelle Twin Cities e poi sviluppata in lunghi anni di concerti, fino ad approdare all’esordio discografico indipendente nel 2002 con un disco omonimo che comprendeva sia un CD che un DVD nella confezione. Poi nel 2006 sono approdati alla Alligator per Alligator Love Cry e nel 2008 alla Landslide per l’ottimo Sidewalk Caesars e ora, con calma, arriva questo I’m A Stranger And I Love The Night che, curiosamente, si apre con un brano Alligator Love Cry che non era presente nel disco dallo stesso titolo.

Mattison, forse non lo abbiamo detto, è un nero, un vocalist in possesso di una voce allo stesso tempo vellutata e rasposa come la carta vetrata, una sorta di Taj Mahal dei giorni nostri, blues, soul e rock, convivono nei suoi geni e Olsen e Yoke sono i suoi Jesse Ed Davis e Ry Cooder, sintomatico di quanto detto è quella Alligator Love Cry più volte citata, che ha un doppio riff chitarristico bluesato, alla Rising Sons o Allman, su cui Mattison appone il suo tipico vocione da bluesman vissuto. Ma il nostro buon Mike è in grado di spaziare pure in territori più rootsy, per esempio nella bellissima ballata country got soul I’m A Stranger… dove sono in evidenza anche le morbide armonie vocali di Olsen e una bella slide insinuante. O nel bar room rock di Rat Trap che ricorda la frenesia live anche del primo Springsteen alle prese con le riprese dei classici anni ’60, il tutto con le solite chitarre “cattive” in evidenza e una ritmica assolutamente in palla con il basso quasi dominante. Night Train, Distant Whistles, con la voce di Mattison che mi ricorda il primo John Popper, e i ritmi funky che si rifanno ancora ad Allmans e famiglia Trucks, ma anche all’ottimo combo JJ Grey & Mofro, altro gruppo di musicisti che sa come trattare l’argomento. Don’t Fall Apart On Me è una gentile ballata dal sapore quasi country e acustico mentre I Surrender sempre ballata è, ma di chiaro stampo sudista, ricca di deep soul e con un bell’intervento della solista di Yoke (o Olsen) che sono chitarristi di sostanza ma anche di finezza, belle le tipiche armonie vocali di sottofondo.

The Mother Of My Wolf, dal testo surreale, viceversa, è un assatanato garage rock bluesato, con la ritmica in overdrive e la voce di Mattison rauca e urlata al punto giusto e le chitarre “sporche” come si conviene. Crime Fighter è uno slow blues “lavorato” e intenso dove Mattison sfodera un falsetto fantastico mentre Malibu (That’s Where It Starts) è un’altra morbida ballata dall’apertura quasi Westcoastiana che si incattivisce strada facendo sulle ali di un’altra ottima interpretazione vocale del leader e con un inconsueto solo di sax nella parte finale. How Unfortunate For Me è uno strano brano dalla costruzione old fashioned, quasi jazzy, con una cornetta e un’aria stralunata di fondo che, come direbbe Di Pietro poco c’azzecca con il resto. The party’s over è un altro brano dalle sonorità morbide, cantato in coppia con Olsen e con le due soliste in evidenza, bello ma forse un po’ scontato e che fa calare ulteriormente la tensione del disco. Anche Gentrification Blues si muove su territori più acustici, un country blues tipo gli Stones di Beggars Banquet, ma senza quel quid in più. Tutto bello, ma dal gruppo mi sarei aspettato qualcosa in più, comunque è solo pignoleria da appassionato, perché loro sono veramente bravi e il disco merita!

Bruno Conti

Grande Musica Rock 70’s Style! Tedeschi Trucks Band – Everybody’s Talkin’ Live

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Tedeschi Trucks Band – Live Everybody’s Talkin’ – Sony Music – 2 CD

Se uniamo la Derek Trucks Band e il gruppo di Susan Tedeschi cosa otteniamo? Beh, a parte una valanga di gente, undici persone! Scusate un attimo…vado a cercare l’ispirazione per la risposta nella serra delle orchidee di Nero Wolfe! Ah, ecco…otteniamo la Tedeschi Trucks Band! Facezie a parte, ci ritroviamo di fronte uno degli ensemble più eccitanti di questa nuova decade degli anni 2000. Nati appunto nel 2010 dalla fusione dei gruppi dei due coniugi Derek & Susan (tempo fa mi ero iscritto alla mailing list del loro sito e poi non ci avevo più pensato, ma quando ho cominciato a ricevere le prime mail mi chiedevo sempre cosa volessero questi Derek e Susan da me, chi sono e che cacchio vogliono?). Era arrivata anche la richiesta di partecipare al mini referendum per scegliere i brani da inserire nel loro doppio album dal vivo, ma già gli artisti spesso non sanno bene quali brani inserire nei loro dischi, quindi perché complicare le cose con liste chilometriche di pezzi, peraltro in versioni mai sentite (se non in rete e in qualche filmato di YouTube), visto che dalle nostre parti non si sono ancora visti. E considerando i costi di portare in giro una Revue di 11 elementi difficilmente vedremo, ma mai dire mai.

I prodromi di questa formazione nascono comunque dalla Derek Trucks & Susan Tedeschi’s Soul Stew Revival che già dal 2007 portava in giro questo carrozzone itinerante costruito sulla falsariga dei grandi gruppi anni ’70 che si erano occupati di fondere rock, blues, soul, R&B sulla falsariga di quelle stupende formazioni come Delaney & Bonnie, la band di Joe Cocker del tour di Mad Dogs & Englishmen, Ike & Tina Turner, tanto per non fare nomi, che in quel periodo avevano costituito uno dei modi più eccitanti di ascoltare e “vedere” musica. L’unione del virtuosismo e dell’ecclettismo di Derek Trucks, uno dei più grandi virtuosi della chitarra elettrica in stile slide e della voce di Susan Tedeschi, una delle “negre-bianche” della scena attuale (novella Bonnie Raitt), capace anche di suonare la chitarra meglio dell’80% dei colleghi in circolazione, ci aggiungiamo le armonie vocali di Mark Rivers e soprattutto di Mike Mattison, poderoso cantante della Derek Trucks Band e dei suoi Scrapomatic, qui un po’ sacrificato nel ruolo di background vocalist, ma è anche autore di molti brani. Che altro? La sezione ritmica di Oteil Burbridge al basso più il doppio batterista immancabile nelle formazioni “southern”, nelle persone di J.J. Johnson e Tyler Greenville (lasciando libero per il momento Yonrico Scott che si è subito fiondato nel progetto Royal Southern Brotherhood). E ancora “fratello” Kofi Burbridge alle tastiere e flauto nonché una sezione fiati composta da Kebbi Williams, Maurice Brown e Saunders Sermons.

Il risultato finale che otteniamo è un disco ottimo come Revelator che si aggiudica il Grammy come miglior album Blues del 2011 ed ora questo Everybody’s Talkin’ che, se possibile (ma lo è), è pure superiore. Il classico doppio album dal vivo coi fiocchi, i controfiocchi e il pappafico, quando ci vuole ci vuole, mi scappava di dirlo. Un misto di brani originali e cover che ti danno una sensazione di godimento sublime all’ascolto e che, se posso aggiungere, aveva avuto anche un piccolo antecedente poco conosciuto ma assai consigliato in un disco intitolato Soul Summit, uscito nel 2008 per la Shanachie, e che vedeva uniti sullo stesso palco, tra gli altri, gente come Richard Elliot dei Tower Of Power (altra band che conosce l’argomento in questione), Steve Ferrone dell’Average White Band, Karl Denson, Maysa e appunto Mike Mattison e Susan Tedeschi. In questo nuovo doppio CD la quota rock ed improvvisativa è naturalmente molto più accentuata: sette brani intorno e oltre ai 10 minuti non lasciano dubbi. Ma anche quando ci sono brani di “soli” 5 minuti, come la carnale trasformazione soul della celeberrima title-track tratta dal film Midnight Cowboy, cantata con voce rauca e vissuta da una grandissima Susan Tedeschi, con i fiati impazziti della band che ruotano intorno alla slide di Trucks, ragazzi, si gode come ricci (peraltro, mi sono sempre chiesto cos’avranno da godere questi simpatici animaletti?).

Poi una versione sontuosa di Midnight In Harlem, forse il brano più bello di Revelator, preceduto da una Swamp Raga Intro To Little Martha che è quello che dice il titolo, una improvvisazione orientaleggiante sul famoso brano di Duane Allman con la chitarra di Derek che ripercorre le tracce dell’antico maestro, brano che poi si trasforma in una stupenda ballata soul tra le migliori ascoltate nelle ultime decadi. Learn How To Love è un brano blues straordinario che fa capire perché hanno “dovuto” assegnarli quel Grammy nella categoria. Bound For Glory, firmata dal magico trio, Mattison/Tedeschi/Trucks, in rigoroso ordine alfabetico, sono tredici minuti che rinverdiscono i fasti dell’Allman Brothers band più gloriosa, a cui aggiungete una voce femminile e una sezione fiati ma “l’anima” è quella. Rollin’ And Tumblin’, l’unico brano sotto i cinque minuti, non ha bisogno di lunghe improvvisazioni per sprigionare lo spirito senza tempo di uno dei classici della musica Blues, bella versione comunque, tirata e rabbiosa.

Nobody’s Free, una composizione di Tedeschi/Trucks che non era sull’album di esordio, è uno dei brani che meglio esemplifica la grande empatia della coppia, con la vocalità calda di Susan e le improvvise esplosioni chitarristiche di Derek con la band che li segue sui terreni dell’improvvisazione più serrata, per una versione da annali del rock, incredibile! Il primo dischetto si conclude con una versione stupenda di Darling Be Home Soon il brano dei Lovin’ Spoonful di John Sebastian che era uno dei cavalli di battaglia dal vivo di Joe Cocker, peccato che non ci sia Space Captain, se no l’album sarebbe stato pefetto, ma questo brano con una coda strumentale fenomenale di Derek Trucks non lo fa rimpiangere troppo. Il secondo CD riparte subito con una cover di That Did It un grande blues&soul che era nel repertorio di Bobby “Blue” Bland, interpretato con grande intensità da Susan Tedeschi, che si destreggia con classe anche alla chitarra.

Mancano tre brani alla fine. Uptight è il celebre brano del giovane Stevie Wonder ed è l’occasione per una improvvisazione monstre di tutta la band (oltre i 15 minuti), che sulle gioiose note di questo vecchio inno Motown ci mostra ancora una volta perché è considerata una delle formazioni più straordinarie dal vivo attualmente in circolazione. Love Has Something Else To Stay è un lungo funky-rock con wah-wah che ha la carica del Jimi Hendrix della Band Of Gypsys potenziata da una sezione fiati mentre Wade In The Water è un’altra blues ballad dalle atmosfere cariche che conclude il concerto in gloria spirituale a tempo di gospel con Mattison e Rivers ad affiancare Susan Tedeschi in una grande interpretazione vocale.

Se non è un capolavoro poco ci manca, diciamo un piccolo capolavoro! Tra i dischi dell’anno di sicuro.

Bruno Conti