Più Sregolatezza Che Genio! Così E’ (Se Vi Piace…). The Waterboys – Good Luck, Seeker

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The Waterboys – Good Luck, Seeker – Cooking Vinyl Limited Edition 2 CD

Mike Scott è un genio. L’ho sempre pensato, da quando molti anni fa ebbi la fortuna di assistere all’esibizione della sua creatura appena nata, i Waterboys, in apertura ai Pretenders nel cortile del Castello Sforzesco di Milano http://www.lateforthesky.org/wp-content/uploads/2009/10/Waterboys.pdf . Non può che essere un genio uno capace di scrivere canzoni della qualità di Savage Earth Heart, A Pagan Place, Don’t Bang The Drum, The Whole Of The Moon, The Pan Within, Fisherman’s Blues, And The Bang on The Ear, On My Way To Heaven e la lista potrebbe diventare lunghissima fino alle più recenti You In The Sky, Long Strange Golden Road o Piper At The Gates Of Dawn. Uno che è stato capace di riattualizzare il genere folk-rock con un capolavoro su cui ha lavorato proficuamente per quasi tre anni come testimoniato dal monumentale Fisherman’s Box di sei CD traboccanti di perle luminose. Uno che dal vivo ha sempre fatto performance entusiasmanti, da solo, in trio, full band, con le varie formazioni che lo hanno accompagnato (meglio se con il funambolico violinista Steve Wickham al fianco).

Eppure anche i geni hanno degli svarioni, o cadute, più o meno rovinose. E il nostro Mike, purtroppo, non fa eccezione. Ci aveva già provato negli anni novanta e all’inizio del nuovo millennio con due album sottotono, Dream Harder e, soprattutto, A Rock In The Weary Land, che soffrivano di un suono eccessivamente ridondante sul modello di quello di alcuni famosi gruppi americani di quel periodo. Il fondo però lo ha toccato tre anni fa con lo sciagurato Out Of All This Blue, un doppio CD (addirittura triplo nella versione superdeluxe https://discoclub.myblog.it/2017/09/20/ma-e-veramente-cosi-brutto-come-dicono-quasi-tutti-waterboys-out-of-all-this-blue/ ), ricco di pastrocchi sonori che andavano dalla dance anni ottanta al trip-hop con largo uso di elettronica, usata per creare effetti spesso irritanti e senza senso. In tanto marasma, salvabili risultavano solo i pochi brani ispirati dal country nashvilliano che non c’entravano nulla col resto del lavoro. Nel 2019 Where The Action Is, con un ritorno a sonorità rock più congeniali alla band del songwriter di Edimburgo, sembrava aver riportato i Waterboys sulla retta via https://discoclub.myblog.it/2017/09/20/ma-e-veramente-cosi-brutto-come-dicono-quasi-tutti-waterboys-out-of-all-this-blue/ . E invece, ahimè ci risiamo, e ci troviamo tra le mani questo nuovo capitolo, Good Luck, Seeker, che se non raggiunge i livelli nefasti di Out Of All This Blue, ci arriva comunque molto vicino.

L’impressione, e due indizi fanno spesso una prova, è che Mike Scott soffra di bipolarismo (non vorrei gettare la colpa di ciò sulla sua più recente compagna di vita, l’artista giapponese Megumi Igarashi, già nota col nome d’arte di Rokunedashiko, ovvero “artista della vagina”…non trovate qualche richiamo alla vicenda Lennon-Yoko Ono?) perché tutta questa infatuazione per l’elettronica, le campionature, il nu-soul e il chillout non può giustificarsi solo come una reazione traumatica al periodo di lockdown. Bipolare o no, da questo nuovo stillicidio di suoni finti, voci trattate (addirittura nella pessima The Golden work rispolvera il vocoder del peggior Neil Young di Trans), ritmi dance di ogni passata decade, lounge music urticante come i quarantasei secondi di Sticky Fingers, che degli Stones ha solo il titolo, da tutto questa paccottiglia deprimente salviamo il salvabile, purtroppo ben poco. Senz’altro il singolo The Soul Singer, che spicca in tanta confusione come un brillante esempio di r&b in stile Motown, con una sezione fiati in gran spolvero, le voci nere delle coriste a rinforzare la performance vocale di Scott che gigioneggia nel testo e nel video che vi invito a guardare.

Poi l’unico episodio dalla struttura folk, la semi-acustica Low Down In The Broom, intensa e ancor più efficace nella versione demo per sola voce e chitarra. Quindi due brani recitati, non cantati, come Mike ama fare negli ultimi tempi, Postcard From The Celtic Dreamtime e My Wanderings In The Weary Land. In entrambi troviamo finalmente protagonista il violino di Wickham, che, se nella prima si limita a ricamare sullo sfondo di una evocativa e ipnotica contemplazione di paesaggi naturali irlandesi, nella seconda scatena tutta la sua trascinante irruenza duettando con la chitarra del leader nei tre minuti finali di un brano che ci riporta per una volta ai fasti dei bei tempi andati. Merita una citazione anche l’unica cover presente in scaletta, Why Should I Love You? (era nell’album The Red Shoes di Kate Bush) non tanto perché sia un brano memorabile, quanto perché gode di un arrangiamento più sobrio rispetto al resto, nobilitato da un bell’assolo di chitarra nel finale. Vi lascio il privilegio di scoprire l’imbarazzante bruttezza delle canzoni che non ho citato, questa è una,

Magari qualcuno avrà il coraggio di farsele piacere e qualche nota rivista specializzata (soprattutto inglese) griderà al capolavoro. Preferisco sperare che mister Scott abbia ancora la voglia e la capacità di rinsavire e concludo citando le ultime frasi di uno dei suoi gioielli del passato: that was the river, this is the sea, ovvero, quello era il fiume (della buona musica), questo è il mare (pieno di spazzatura).

Marco Frosi

 

Non Siamo Più In “Zona Ciofeca”, Ed E’ Già Molto, Quasi Bello! The Waterboys – Where The Action Is

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The Waterboys – Where The Action Is – Cooking Vinyl CD

Senza per forza dover risalire fino al loro capolavoro Fisherman’s Blues (1988), è da Room To Roam del 1990 che i Waterboys non fanno un grande disco, e per grande disco intendo un album “da copertina”. Dopo un lungo passaggio a vuoto durante tutti gli anni novanta, con due album molto rock ma con poche idee (Dream Harder e A Rock In The Weary Land, che per la verità è uscito nel 2000) e due lavori solisti del loro leader, il vulcanico e geniale Mike Scott, la band britannica si è presentata nel nuovo millennio tirata a lucido, con tre album che richiamavano le vecchie sonorità folk-rock: Universal Hall, ottimo, Book Of Lightning, non male, e soprattutto il raffinato ed intenso An Appointment With Mr. Yeats https://discoclub.myblog.it/2011/09/25/nuovamente-waterboys-an-appointment-with-mr-yeats/ . Poi una nuova preoccupante flessione, come se i nostri dovessero per forza alternare una decade buona ad una deludente: Modern Blues (2015) era un lavoro appena discreto, e privo di grandi canzoni, ma il fondo lo hanno toccato nel 2017 con il quasi orrendo (nel senso che qualche brano si salvava) Out Of All This Blue https://discoclub.myblog.it/2017/09/20/ma-e-veramente-cosi-brutto-come-dicono-quasi-tutti-waterboys-out-of-all-this-blue/ , nel quale Scott palesava il suo nuovo amore per sonorità elettroniche e di stampo hip-hop.

Non vi nascondo dunque la mia paura nell’approcciarmi a questo Where The Action Is, nuovo lavoro del musicista di Edimburgo e della sua band (Paul Brown, organo e tastiere varie, Steve Wickham, violino elettrico, Aongus Ralston, basso, Ralph Salmins, batteria): ebbene, devo riconoscere con un sospiro di sollievo che il disco si lascia ascoltare senza grossi problemi, non è un capolavoro e forse neppure un grande album ma non raggiunge neppure i livelli di nefandezza musicale di Out Of All This Blue (tranne che in un caso che vedremo a breve), e forse si colloca anche un gradino più su di Modern Blues. Le sonorità sono sempre moderne e Scott non rinuncia all’uso dell’elettronica (il nome dei due produttori, Puck Fingers e Brother Paul, è tutto un programma), ma stavolta Mike è più equilibrato, non si è dimenticato a casa le canzoni e la stessa band è abbastanza in palla; il suono è a metà tra rock e pop, il folk ormai è quasi un ricordo, ma la mia paura era che l’hip-hop prendesse un’altra volta il sopravvento. E poi, come se niente fosse, giusto alla fine del disco Scott piazza la classica zampata da fuoriclasse, un brano da cinque stelle che rivaluta da solo tutto il CD. L’album parte fortissimo con la title track, un riff di chitarra aggressivo ed un suono potente, molto rock, con la sezione ritmica che pesta di brutto e Mike che canta in maniera grintosa (e non mancano dei piacevoli fills di organo): una rock song tonica e vigorosa, non il suono che ci si può aspettare ma comunque un pezzo trascinante.

Ancora chitarre in tiro per London Mick, una rock’n’roll song pimpante e diretta tra Stones e Clash (e d’altronde il brano parla di Mick Jones), sicuramente coinvolgente; Out Of All This Blue (canzone che ha il titolo dell’album precedente) è invece un gradevolissimo errebi-pop dalla melodia decisamente accattivante e di derivazione folk, un brano intrigante con i fiati che fanno pensare a Van Morrison anche se l’arrangiamento è moderno. Quando ho sentito per la prima volta Right Side Of Heartbreak (Wrong Side Of Love), il primo singolo uscito già da diverse settimane, non mi sono per nulla impressionato in quanto trovavo questo funky dal ritmo sostenuto piuttosto banale e privo di una vera melodia, ma già il secondo ascolto ha migliorato un po’ le cose, anche se siamo ben lontani dall’eccellenza. Per contro In My Time On Earth è una bellissima ed intensa slow ballad ad ampio respiro, un genere in cui Scott e compagni sono maestri; Ladbroke Grove Symphony torna al rock, un pezzo caratterizzato da una ritmica pressante ma con un arrangiamento rilassato, tutto basato su piano, chitarre ed un motivo coinvolgente, mentre Take Me There I Will Follow You segna il temuto ritorno alle atmosfere funky-pop-rap-hip-hop, canzone fastidiosa ed irritante.

And There’s Love è una ballata ancora dal suono moderno, ma con l’approccio giusto e suoni dosati con misura, oltre ad una certa tensione emotiva di fondo, mentre Then She Made The Lasses O è un traditional folk che mette in contrasto la melodia d’altri tempi con un beat elettronico, ma il risultato finale non mi dispiace. Il meglio, come ho detto prima, si trova alla fine con la fantastica Piper At The Gates Of Dawn (con le parole originali dell’autore Kenneth Grahame, tratte dal settimo capitolo della celebre opera The Wind In The Willows, capitolo che ispirò anche il titolo di una canzone di Van Morrison, oltre che naturalmente del primo album dei Pink Floyd), lunghissima ballata pianistica di nove minuti dall’atmosfera straordinaria, un lento da pelle d’oca in cui Mike ci ricorda il suo amore per Van The Man: il brano è parlato, ma la musica sullo sfondo è sublime ed il pathos generale è altissimo. Se tutto il disco fosse stato a questo livello oggi Fisherman’s Blues avrebbe un serio contendente come miglior album dei Waterboys. Speriamo bene per il prossimo, per ora ci accontentiamo.

Marco Verdi

Ma E’ Veramente Così Brutto Come Dicono (Quasi) Tutti? Waterboys – Out Of All This Blue

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Waterboys – Out Of All This Blue – BMG Rights Management – 2 CD – 3 CD Deluxe

Purtroppo, anche se in questo sito i Waterboys sono sempre stati molto amati e portati in palmo di mano, devo dire che la risposta è un bel sì: diciamo quasi. O se preferite, come recita il titolo del quarto brano, If The Answer Is Yeah, direi comunque “Yeah”! A volere essere generosi, prendendo in esame la versione Deluxe tripla che riporta ben 34 brani, a fatica, se ne salvano dieci. A malapena. E il motivo di tutto ciò? Pare sia l’amore: dopo l’uscita di Modern Blues nel 2015, Mike Scott si è innamorato dell’artista giapponese Megumi Igarashi, meglio conosciuta come Rokudenashiko, o ancora “l’artista della vagina” (giuro!), la coppia ha avuto anche un figlio e Scott ha deciso di scrivere queste canzoni sull’amore romantico e la felicità, intitolando l’album Out Of All This Blue, “Fuori da tutta questa tristezza”!. E fin qui non ci sarebbe nulla di male, anzi. Ma il problema nasce del fatto che ha voluto accoppiarle con un sound ispirato dall’hip-hop, dalla musica elettronica (con ampio uso di batteria sintetica) e dalla vecchia disco music, rivelando anche questo suo nuovo amore riguardo a queste forme musicali,  o musica funky, come pare l’abbia definita, che però francamente, anche per gli estimatori del genere, pare non siano molto innovative, quindi musica “bruttarella” e pure vecchia. Per l’amor di Dio, la voce è la solita, qualche guizzo di classe c’è, ma, dispiace dirlo, il suono è bolso e ripetitivo, le canzoni sono molto simili tra loro e anche l’uso di chitarre elettriche, acustiche, violino e delle tastiere è infestato comunque da quei ritmi fastidiosi. Pure in passato i Waterboys (e Mike Scott come solista) avevano pubblicato dei dischi non impeccabili, tipo A Rock In The Weary Land, il disco del 2000 dal suono AOR americano e pure Book Of Lightning non era un capolavoro, ma poi negli ultimi anni, in occasione anche delle celebrazioni per Fisherman’s Blues, sembravano avere ritrovato una buona vena musicale.

Stranamente a qualcuno il disco è anche piaciuto: Q magazine e l’Indipendent gli hanno dato 8, Uncut 7, ma Mojo o il Buscadero in Italia, un tre stellette, penso di stima. D’altronde prendiamo la sequenza iniziale, i primi quattro brani (fatico a sentire tutto il disco in una volta, devo prenderlo a rate): Do We Choose Who We Love ha la costruzione sonora di un classico brano dei Waterboys, quella Big Music “inventata” negli anni ’80, una bella melodia, impreziosita da coretti di stampo soul, peraltro non memorabili ma diversi dal “solito” MIke Scott, l’uso di chitarre e tastiere che quasi fanno dimenticare l’uso della drum machine, quasi. Ma già If I Was Your Boyfriend ricorda quel “nu soul” radiofonico e sempliciotto, che imperversa nell’etere americano, tutte canzoni uguali fra loro. Santa Fe potrebbe essere anche una bella canzone, anzi lo è, ma l’arrangiamento “bass heavy” dopo un poco diventa seccante, per non parlare della disco music di seconda mano di If The Answer is Yeah. Love Walks In sarebbe anche una bella ballata, avvolgente e con uso di piano e pure una bella melodia e un bell’arrangiamento, ma il suono metronomico della batteria elettronica dopo un po’ diventa irritante. Ci sono vari brani lunghi nell’album; New York I Love You sfiora gli otto minuti, un pezzo rock che però si perde nelle solite sonorità banalotte. The Connemara Fox. con il violino presumo di Wickham, e citazioni di Kris Kristofferson, è disco-folk. The Girl In The Window Chair invece è una delle rare ballate acustiche, solo voce,  piano, dei tocchi di tastiera e chitarra, intensa ed intima, un’oasi nell’orgia elettronica, che viene nuovamente interrotta da un bel pezzo rock come Morning Came Too Soon, per oltre otto minuti dove quella che pare una batteria vera detta i ritmi incalzanti di una canzone che confrontata con il resto del disco pare un capolavoro. Ma è un attimo perché il primo CD si conclude con Hiphopstrumental 4 (Scatman) il cui titolo dice tutto.

Vediamo velocemente il resto: The Hammerhead Bar, sempre con le solite liriche visionarie e complesse di Scott (quelle non mancano nell’album), grazie al violino folleggiante di Wichkam e a un ritmo rock ancora coinvolgente, è un altro dei brani apprezzabili. Mister Charisma ha quasi velleità jazzistiche, ma dura troppo poco, a differenza dell’ottima Nashville; Tennessee, che sembra registrata dal vivo, ma non lo è, e che è uno dei brani epici di celtic-soul-rock per cui amiamo Mike Scott. Ma con Man What A Woman torniamo al suono parzialmente sintetico che caratterizza l’album, anche se la canzone non è male; Girl In A Kayak è un breve sketch strumentale per violino e batteria elettronica, Monument è nuovamente penosa disco music anni ’80, Kinky’s History Lesson, ispirata dal cantante Kinky Friedman è una leggiadra, ironica e sarcastica traccia, quasi a tempo di valzerone country, non mi dispiace. Skyclad Lady è un breve frammento che fa da prologo a Rokudenashiko, una delicata canzone d’amore dedicata alla nuova campagna. Ma poi si scade nel vaudeville disco-rock della sconcertante Didn’t We Walk On Water e pure la gotica e recitata The Elegant Companion diciamo che non è memorabile nel suo elettronico dipanarsi. Yamaben in compenso è decisamente peggio, disco rock di seconda mano, e pure su Payo Payo Chin che chiude il secondo CD, stenderei un velo pietoso. Il terzo CD, quello bonus, contiene alcune versioni alternate, strumentali e remix che vorrei sorvolare, ma purtroppo ci sono; si salvano, a fatica, la breve Epiphany On Mott Street, per sola voce e piano e un altra versione country, questa volta davvero dal vivo di Nashville, Tennessee. Va bene che in pratica il terzo CD te lo regalano, visto che la confezione costa come un doppio, ma insomma.

Quindi, salvata quella decina scarsa di canzoni che possiamo, direi di concludere con un Provaci Ancora Mike.

Bruno Conti

In Attesa Dei Waterboys, Ecco Il Violinista “Apicoltore”. Steve Wickham – Beekeeper

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Steve Wickham – Beekeeper – Man In The Moon Records

Molti appassionati di musica conosceranno Steve Wickham, e il suo virtuoso violino, per la sua ultratrentennale partecipazione come membro fisso dei grandissimi Waterboys del “pard” di vecchia data Mike Scott (che lo reputa il più bravo violinista rock del mondo), collaboratore anche di “personcine” di spessore tra i quali ricordiamo Bob Dylan, Elvis Costello, Sinead O’Connor, e per il suo debutto in sala di registrazione con gli U2 nella celeberrima Sunday Bloody Sunday su War, nel lontano ’82, e in quel periodo fu anche il violinista dei bravi, ma “dimenticati”, In Tua Nua. Chi conosce ed apprezza il buon Steve, deve sapere che il “nostro” aveva esordito da solista con Geronimo (04), un lavoro passato quasi inosservato dalle nostre parti (e non solo), una dozzina di brani dagli  alterni risultati benché fosse supportato da validi collaboratori, alcuni li ritroviamo anche in questo secondo Beekeeper: musicisti come Katie Kim, Ger Wolfe, The Lost Brothers, David Hood (Traffic e Rockets, ma anche una delle colonne dei Muscle Shoals Studios,  padre di Patterson Hood), Oleg Ponomarev, Bruno Calciuri, Joe Chester (chitarrista nei Waterboys e produttore di Hozier), la brava Camille, come non poteva certo mancare il suo “capo” Mike Scott, per un buon lavoro concepito con cura e splendidamente suonato, in parte registrato nei Sligo Magic Room Studios, con la direzione di Brian McDonagh dei Dervish, e l’altra metà nei Cauldron Studios di Dublino.

Diciamo subito che quasi la metà delle tracce di Beekeeper sono strumentali, anche se il brano d’apertura And The Band Played On vede subito Steve esibirsi come vocalist e volutamente senza il violino, con ai cori la cantante pop Katie Kim, omissione che viene subito rettificata dal breve strumentale Two Thousand Years, come pure nella successiva ballata celtica dedicata all’isola di Coney, cantata dalla bella voce tenorile di Ger Wolfe (cantautore irlandese di pregio), e la strumentale “giga” The Here. Si prosegue con una dolce melodia di paese come Fractured, con l’accompagnamento dei Lost Brothers e di David Hood al basso, valorizzata dall’uso della pedal steel e del violino di Steve, seguita da una composizione che dura solo 72 secondi per violino e pianoforte, The Bohemian, mentre con Stopping By Woods arriva l’inconfondibile voce di Mike Scott, brano che inizia con un basso pulsante poi entra il violino di Steve, per un pezzo che sembra lontano dalle abituali coordinate dei Waterboys (ma neppure troppo); a questo punto arriva forse il momento più alto del disco con l’impiego della voce femminile di Camille O’Sullivan (cantante e attrice irlandese) con Silence Of A Sunday, una canzone da “femme fatale” sussurrata da Camille, con l’uso di piano, chitarra acustica e un melanconico clarinetto.

La parte finale vede protagonista il polistrumentista russo Oleg Ponomarev che gareggia in bravura con Wickham nello strumentale Cells Of The Heart Which Nature Built For Joy, per poi passare al brano più gioioso dell’album Love’s Dark Sisters (Sombres Soeurs De L’Amour), cantato in lingua madre dal cantante francese Bruno Calciuri, mentre la dolcissima e sofferta Song Of The River è interpretata da Joe Chester (uno dei più celebri cantautori irlandesi contemporanei), ed è accompagnata nuovamente dal magico violino di Steve, protagonista anche nelle note strumentali della straziante e conclusiva Cockcrow. Steve Wickham certamente non sarà mai un personaggio di primo piano,  uno di quegli artisti che cavalcano le mode e riempiono le radio della loro musica, ma credo che il panorama musicale abbia bisogno anche di interpreti come lui, onesti e sinceri, lontani mille miglia dalle leggi del mercato,  un poliedrico musicista che fino ad ora avevamo potuto apprezzare per le sue prestazioni al servizio degli altri, ma in Beekeeper finalmente lo possiamo applaudire per un progetto completamente suo, composto da canzoni di eccellente “miele sonoro”. Non finirà certamente nelle liste di fine anno, ma ha fatto davvero un buon disco il buon Mr. Wickham, in attesa a settembre di nuove avventure con gli amati Waterboys nel nuovo Out Of All This Blue.

Tino Montanari

Un Rocker “Inglese” Di Casa A New York! James Maddock – Live At Daryl’s House

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James Maddock – Live At Daryl’s House – Casa Del Fuego Music

James Michael Alexander Maddock, rocker e songwriter di Leicester (città diventata famosa per la squadra di calcio locale diventata campione d’Inghilterra), è un ospite abituale di questo blog (in quanto le uscite precedenti sono state spesso recensite puntualmente dall’amico Bruno http://discoclub.myblog.it/2016/09/03/bella-gita-italiana-james-maddock-amici-jimmyimmy-with-alex-valle-live-italia/ ), ma da tempo si era trasferito a New York (tanto per cambiare per amore della sua compagna). Questo Live At Daryl’s House uscito in edizione molto limitata (e precisiamo subito, in teoria, acquistabile solo ai suoi concerti o sul suo sito), lo vede questa volta salire sul palco accompagnato dalla sua solida band, composta da Aaron Comess degli Spin Doctors alla batteria, Jason Darling alle chitarre, Drew Mortali al basso, Ben Stivers alle tastiere, per circa sessanta minuti di ottima musica, un concerto dove il buon James Maddock snocciola il meglio del suo repertorio.

La struttura del concerto pesca a piene mani dagli ultimi album, e l’iniziale Rag Doll (tratta da The Green) è la granitica conferma, canzone a cui fanno seguito l’ammiccante Change e un bel brano roots-rock come Another Life, mentre Step Into The Water è armoniosa e pure con un piglio lievemente soul. Con una dolce Better On My Own arriva la prima ballata della serata, con un delizioso lavoro al pianoforte di Ben Stivers, per poi passare all’andamento dolecemente dance-soul di una sorprendente Driving Around, cambiare nuovamente ritmo con la commovente My Old Neighborhodd, riletta in chiave acustica e cantata con voce sofferta da Maddock, prima di avvilupparci con una trascinante Beautiful Now, brano firmato a quattro mani con Mike Scott dei mai dimenticati Waterboys. Ci si avvia alla parte finale del concerto, prima con la gradevole e leggera I’ve Been There Too, poi con una delicata e sussurrata Mr. Universe, e andare a chiudere con una delle “perle” del suo “songbook” più recente, la bellissima Wake Up And Dream, introdotta dall’armonica e nel suo percorso accompagnata da un importante lavoro delle tastiere, senza dimenticare le note lancinanti della “slide” di Jason Darling. Sipario e applausi!

Questo eccellente Live At Daryl’s House, ha tutte le ragioni di far parte del vostro scaffale (se trovate ancora posto), in quanto la voce roca e strozzata, ma assai coinvolgente ( e che tanti suoi più famosi e celebrati colleghi non si possono permettere) è certamente uno dei punti di forza di James Maddock, e, per chi scrive, la dimensione live (soprattutto quando supportato dalla notevole band che l’accompagna), tende ad esaltarla, come era stato nel precedente Live At Rockwood Music Hall (11).

Chi lo conosce e lo segue, sa che questo rocker anglo-americano è stato adottato dalle nostre parti, come era successo in precedenza per altri artisti, tra i quali ricorderei Elliott Murphy, Willie Nile (i più noti), e Jono Manson, Bocephus King  (tra i “meno noti”), e  certamente non sarà il futuro del rock’n’roll, ma il suo talento, la sua voce e le sue canzoni lo certificano un autore d’altri tempi, in grado di ridestare emozioni degne dei grandi del passato. Chapeau.!

Tino Montanari

In Viaggio Verso Un Suono Americano ! Waterboys – Modern Blues

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Waterboys – Modern Blues – Harlequin And Clown/Kobalt Label Services

Nel bene e nel male la storia dei Waterboys (i più illustri eredi della tradizione britannica del folk-rock degli anni ’80) è legata a quella del loro leader Mike Scott. Scott, scozzese di Edimburgo, con i suoi “Ragazzi dell’Acqua” ha pubblicato dischi memorabili nel corso degli anni ’80, a partire dai due capolavori This Is The Sea (85) e soprattutto Fisherman’s Blues (88), il disco della definitiva consacrazione artistica, ristampato due anni fa in un magnifico box http://discoclub.myblog.it/2013/11/24/replay-ecco-la-ristampa-dellanno-the-waterboys-fishermans-box/  Dopo due dischi del genere era difficile fare meglio: i Waterboys ci hanno provato, mutando spesso formazione (mantenendo sempre come perno della formazione oltre al leader Mike Scott, il violinista Steve Wickham), consolidando così una discografia numerosa (con tanti alti e pochi bassi), ma mai sullo stello livello di quelle “pietre miliari”. Nel tempo i “ragazzi” di Mike Scott (autore anche di buoni lavori solisti come Bring Em All (95) e Still Burning (97) sono diventati una grande band di “culto”, rispettata e ammirata da tutti, ma allo stesso tempo così sottovalutata da doversi muovere per tutta la carriera all’ombra del successo pregresso. A quattro anni dall’ultimo lavoro in studio, il riuscito An Appointment With Mr. Yeats (11), (un elegante omaggio al suo idolo letterario William Butler Yeats) http://discoclub.myblog.it/2011/09/25/nuovamente-waterboys-an-appointment-with-mr-yeats/ , Scott prende la sua band, attraversa l’oceano e la porta a registrare in quel di Nashville questo nuovo Modern Blues, con una nuova line-up formata oltre che da Mike voce e chitarra, e dallo storico indiavolato violinista Wickham, Zach Ernst e Jay Barclay alle chitarre, Ralph Salmins alla batteria, Paul Brown alla tastiere, il leggendario bassista David Hood (padre del leader dei Drive By-Truckers Patterson Hood), sotto la produzione di Bob Clearmountain (Bruce Springsteen), per quello che è senza dubbio il lavoro più “americano” della formazione.

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La partenza con Destinies Entwined, per chi ama i primi Waterboys, è davvero spiazzante, un brano che fa sussultare con riff di chitarra grintosi https://www.youtube.com/watch?v=7_4EhpohXNQ , per poi ritornare subito ad una ballata folk suadente come November Tale https://www.youtube.com/watch?v=YN-EmQ4Aa6Y , al blues robusto di Still A Freak, e ad una ballata cadenzata e sognante come I Can See Elvis https://www.youtube.com/watch?v=pQsYUh_dctA , mentre The Girl Who Slept For Scotland è una modesta canzone d’amore. Si prosegue con Rosalind (You Married The Wrong Guy), un pomposo pezzo rock con un ritornello accattivante, a cui segue il singolo Beautiful Now, un brano scritto con il “nostro amico” James Maddock, un brano radiofonico https://www.youtube.com/watch?v=BKwAmnbS1WU  (ma già sentito), cambiando pagina con i fiati celtic soul di una intrigante Nearest Thing To Hip https://www.youtube.com/watch?v=MDqVBKp5BfQ , andando a chiudere con il capolavoro dell’album, una torrenziale Long Strange Golden Road, che inizia con la voce di Jack Kerouac che legge Sulla Strada, e poi diventa una cavalcata musicale lunga dieci minuti, una sfida a tutti i grandi cantautori, dove si fondono insieme Dylan, Springsteen, Cohen e Van Morrison, da ascoltare a ripetizione https://www.youtube.com/watch?v=7KDFVRVHTLU . Epica!

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Anche in questo Modern Blues qualcosa dei Waterboys di un tempo si trova sempre (per esempio nelle ballate, dimostrando di essere capaci ancora di scrivere grandi canzoni), ma si tratta di carezze che riempono le orecchie solo di nostalgia, lasciando il dubbio proprio ai più nostalgici che nella produzione recente e anche in questo lavoro (riconoscendo però che è prodotto e suonato benissimo), questa grande band si stia forse avviando verso un dignitoso declino.

Tino Montanari

Replay: Ecco La Ristampa Dell’Anno! – The Waterboys – Fisherman’s Box

***NDB Visto che, causa sparizione di molti Post nel passaggio da un Blog all’altro (stiamo lavorando per farli riapparire, ma è dura, ci vorebbe il Mago Merlino o la Strega Nocciola, ma mai dire mai), alcune persone mi hanno detto di non avere fatto in tempo a leggere questo lungo articolo, il supplemento della domenica del Disco Club, dedicato da Marco Verdi a questa bellissima ristampa, eccolo di nuovo, buona lettura!

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The Waterboys – Fisherman’s Box Parlophone 6CD Box Set – 7CD + LP Super Deluxe

Il parere espresso nel titolo del post è ovviamente personale, anche perché il 2013 verrà ricordato come l’anno dei box set e delle ristampe eccellenti, e mai come quest’anno la scelta sulla migliore riedizione sarà ardua e legata ai gusti di ciascuno degli eventuali votanti.

Cito alla rinfusa alcuni dei pretendenti al titolo, sconfitti sul filo di lana dal box di cui mi accingo a parlare: la monumentale retrospettiva su Duane Allman, la deluxe version di Brothers & Sisters degli Allman Brothers Band, il decimo Bootleg Series di Bob Dylan (oltre al megabox di 47 CD con la sua opera omnia), l’ennesima edizione, spero definitiva, di Tommy degli Who, il live in 4CD di The Band, il sestuplo sulla carriera dei Beach Boys con una valanga di inediti, il ghetto blaster dei Clash, il secondo disco dei Velvet Underground in versione tripla e l’imminente cofanetto di Eric Clapton dedicato agli anni dal 1974 al 1976.

Per non parlare della lussuosa pubblicazione dedicata alle sessions di Moondance di Van Morrison, che è sempre stato uno dei miei cinque dischi da isola deserta.

(NDM: per quei due o tre curiosi che vogliono conoscere anche gli altri quattro, eccoli: Highway 61 Revisited di Bob Dylan, The River di Bruce Springsteen, John, The Wolfking Of L.A. di John Phillips e The Fillmore Concerts degli Allman).

waterboys fisherman's blues

Ma veniamo al Fisherman’s Box: come saprete l’album del 1988 Fisherman’s Blues,da parte del gruppo anglo-scoto-irlandese dei Waterboys, è considerato a ragione il loro capolavoro, nonché uno dei dischi più belli degli anni ottanta, un album nel quale il rock cantautorale del carismatico leader Mike Scott si fondeva mirabilmente con sonorità sia celtiche che americane, country e folk soprattutto, un disco perfetto sia dal punto di vista musicale che da quello testuale, uno dei rari casi nei quali la musa ispiratrice è ben tangibile dal primo all’ultimo brano. Molte band del genere Americana, venute dopo, inseriranno questo album tra le loro influenze principali.

waterboys fisherman's

Eppure quel disco era frutto di numerose sessions protrattesi per ben due anni, in diversi studi tra Irlanda e San Francisco e con diversi produttori (tra cui Bob Johnston, famoso per aver lavorato, tra gli altri, con Dylan, Johnny Cash e Leonard Cohen): vi risparmio la storia travagliata di quel disco, servirebbe un post a parte, ma ricordo soltanto che quelle sedute hanno dato alla luce altri due album, e cioè un secondo CD di inediti nella versione deluxe dell’opera originale, uscita nel 2006, ed un CD del 2001 intitolato Too Close To Heaven, nel quale Scott presentava altre outtakes, rimixandole ed aggiungendo diversi overdubs (in alcuni casi ricantandole da capo).

Ma il grosso di quelle registrazioni (più di ottanta brani) era rimasto nei cassetti, e quest’anno finalmente Scott si è deciso a renderle pubbliche: Fisherman’s Box contiene (o dovrebbe contenere) tutto, ma proprio tutto ciò che Mike e compagni hanno inciso in quei due anni, compresi i demo, le prove ad alcune cose appena accennate, oltre naturalmente a tutte le canzoni già pubblicate ufficialmente (anche se manca Good Man Gone, tratta da Too Close To Heaven, in quanto scritta durante quelle sessions, ma incisa soltanto nel 1991).

Un body of work impressionante, un viaggio irripetibile lungo 6CD nel mondo della musica popolare: infatti, oltre ai brani originali (e ce ne sono molti che ci chiediamo come possano essere rimasti inediti fino ad ora), ci sono varie cover versions di autori di riferimento per Scott e soci, Dylan su tutti, ma anche Morrison, Hank Williams, i Beatles ed altri che vedremo.

(NDM2: nella versione super deluxe, il settimo CD è infatti una compilations con alcuni brani dei musicisti che più hanno influenzato i Waterboys, anche se mancano sia Dylan che Morrison, un dischetto aggiuntivo tutto sommato inutile che, aggiunto al vinile del disco originale, serve solo a far lievitare il prezzo, che per la versione di 6CD è invece incredibilmente contenuto).

waterboys trio photo

Il box è, per dirla in parole povere, una goduria unica: se Mike Scott lo conoscevamo (a mio giudizio uno dei songwriters più di talento degli ultimi trent’anni), ascoltando i 121 brani presenti viene alla luce l’importanza per il sound della band di Steve Wickham ed Anthony Thistlethwaite, rispettivamente al violino e mandolino (il secondo anche al sassofono), vera e propria spina dorsale del gruppo, oltre alla sezione ritmica che suona decisamente rock, grazie al basso di Trevor Hutchinson (ma anche di John Patitucci in qualche brano) ed ai diversi batteristi che si sono succeduti (tra cui Fran Breen, Kevin Wilkinson e, dalla band di Patti Smith, Jay Dee Daugherty fino al mitico Jim Keltner), oltre ad una lunghissima serie di amici e sessionmen e qualche ospite di rilievo.

Nella confezione troviamo un bel libretto, con note, canzone per canzone, da parte di Scott (i brani sono presentati in rigoroso ordine cronologico, una scelta più che sensata), e con la prefazione di Colin Meloy dei Decemberists.

Dato che mi sono già dilungato abbastanza (anche se so che il Bruno non mi taglia, ma non voglio approfittarne), vado ora ad esaminare brevemente i sei CD citando gli episodi salienti, ed omettendo tutti i brani già noti (a proposito, il tutto è rimasterizzato ex novo).

waterboys fisherman's box back

CD1: tra tutti, quello con la più ristretta combinazione spazio-temporale: è infatti frutto di un’unica session, tenutasi a Dublino il 23 Gennaio del 1986. E si parte subito alla grande con Stranger To Me http://www.youtube.com/watch?v=WvL_AfR3koY , una strepitosa country song guidata da fiddle e mandolino, con la voce carismatica di Scott in primo piano ed una melodia da urlo; segnalo anche una bella versione, molto personale, del classico di Hank Williams, I’m So Lonesome I Could Cry, un demo pianistico di Fisherman’s Blues, che ha già i germogli della grande canzone, una scintillante I’ll Be Your Baby Tonight di Bob Dylan http://www.youtube.com/watch?v=Mges1Ei9IBI (e c’è anche Girl From The North Country, gia pubblicata sulla versione deluxe del 2006 ma talmente bella che merita ancora una menzione, sembra uscita dalle sessions di Desire, noto album del grande Bob). Per finire con la lunga e fantastica Saints And Angels, strumentale per i primi quattro minuti, con Scott che poi inizia ad intonare una melodia straordinaria, morrisoniana al 100%,, per dieci minuti di pura libidine: assurdo che fosse rimasta inedita sino ad oggi http://www.youtube.com/watch?v=AxJHBLy-jR8.

waterboys fisherman's box group photo

CD2: qui gli highlights sono un trascinante gospel-rock dal titolo di One Step Closer, ancora Dylan con una When The Ships Comes In che purtroppo è solo un breve frammento, una versione diversa da quella conosciuta di Too Close To Heaven, più intima e dominata dal piano di Scott, con un bellissimo crescendo, e The Prettiest Girl In Church, altra magnifica country song mai sentita prima, con Mike che parla nelle strofe più che cantare, per poi stenderci con un ritornello irresistibile (avete presente Faraway Eyes degli Stones? Ecco, siamo da quelle parti). E poi una quasi jam session con ospiti Donal Lunny dei Moving Hearts e Liam O’Maonlai degli Hothouse Flowers, che parte con Lost Highway http://www.youtube.com/watch?v=csR5ku3TdkU, sempre di Hank Sr., per finire con una corale e gioiosa resa dell’inno della Carter Family Will The Circle Be Unbroken?

CD3: subito un trascinante rock’n’roll, Ain’t Leavin’, I’m Gone, una prima, splendida versione della giga tradizionale When Will We Be Married  http://www.youtube.com/watch?v=bUzB3a_bMf4, una deliziosa ballad intitolata When I First Said I Loved Only You, Maggie, cantata e suonata alla grande (anche questa un delitto che sia stata lasciata fuori), ed una versione alternata del coinvolgente gospel On My Way To Heaven. Alla fine, del CD, un vero e proprio piece de resistence di 25 minuti, Soon As I Get Homehttp://www.youtube.com/watch?v=AW42rE24UCManch’esso con l’influenza di Van Morrison abbastanza evidente, ed una personalissima Sergeant Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Fab Four.

CD4: qui troviamo una toccante cover di Come Live With Me dei fratelli Bryant, ma presa dal repertorio di Ray Charles, una Higher In Time per voce e due pianoforti, ricca di pathos, una coinvolgente Too Hot For Cleanhead, tra swing e rock’n’roll, la maestosa I Will Meet You In Heaven Again e soprattutto la splendida A Golden Age, una sontuosa ballata http://www.youtube.com/watch?v=lEuZNI5cSTQ anch’essa inspiegabilmente mai pubblicata fino ad oggi, con l’evocativa cornamusa di Vinnie Kilduff.

CD5: questo dischetto ha il meglio nelle versioni alternate di brani già noti: si inizia con la migliore tra le varie versioni di Higherbound, un folk-rock splendido, con un feeling enorme, per proseguire con un’altra take di Fisherman’s Blues  http://www.youtube.com/watch?v=XFrMSJgOIpM, che non avrebbe sfigurato sull’album del 1988, Has Anybody Seen Hank?, il toccante omaggio al padre della moderna country music, persino meglio dell’originale, ed una scintillante e grandiosa Strange Boat  http://www.youtube.com/watch?v=x-NXwRUQcmg, una delle gemme assolute del box. In più, un’ispirata rilettura del traditional gospel Working On A Building (incisa tra gli altri da Elvis Presley e John Fogerty), talmente personale da sembrare un brano dei Waterboys stessi.

waterboys strange boat

CD6: forse il migliore tra tutti, parte con la dylaniana On My Way To Tara  http://www.youtube.com/watch?v=gr9Rlac6HtA, per proseguire con l’imperdibile traditional Two Recruitin’ Sergeants, dove Scott canta con un marcato accento scozzese, e la musica ricorda quella dei migliori Fairport Convention. Poi meritano Strange Boat in versione acustica, che non perde un’oncia della sua bellezza, la struggente In Search Of A Rose  http://www.youtube.com/watch?v=cgNwiYKAbQM, in due superbe versioni, una full band e l’altra per voce, mandolino e violino, la take completa dell’inno di Woody Guthrie This Land Is Your Land, che chiudeva il disco originale ma durava appena un minuto, e l’ennesima cover di Dylan, Buckets Of Rain, che chiude il box con una nota di malinconia.

A parte citerei la fantastica And A Bang On The Ear  http://www.youtube.com/watch?v=xmyPHfu9c0c, la più bella canzone in assoluto di tutto il box (e forse dei Waterboys), che è la versione già conosciuta ma aggiunge più di due minuti inediti in coda. E tutte quelle che non ho citato nel corso dei sei dischetti…vi lascio il piacere di scoprirle da soli.

In conclusione, per dirla con una parola (anzi due): assolutamente imperdibile, anche per il prezzo per una volta non esorbitante.

Intanto mi informo se sull’isola deserta di dischi (intesi come pubblicazioni, quindi un box equivale ad un disco) ne posso portare sei invece di cinque…

Marco Verdi

Ha Perso Un Disco Per Strada Ma Il Cofanetto Di Fisherman’s Blues Dei Waterboys E’ Confermato Per Ottobre. Ecco La Lista Completa Dei Brani!

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Waterboys – Fisherman’s Blues Box – 6 CD -14-10-2013

Ve lo avevo anticipato nel mese di marzo, l’uscita è confermata per ottobre come EMI (ma non del gruppo Universal). Rimane inalterato anche il numero dei brani annunciati, 121 di cui 85 “inediti”, ma il cofanetto ha perso un disco per strada, nel senso che ora il box sembrerebbe di 6 CD anziché i 7 di cui si parlava in prima istanza. Qualcuno ipotizza che il settimo CD potrebbe esserci ugualmente, con alcuni dei brani che hanno “ispirato” la stesura del Fisherman’s Blues originale. Alcuni brani si ripetono più volte ma si tratta comunque di una sorta di “Santo Graal” per i fans dei Waterboys e di Mike Scott.

Questa è lista completa dei brani contenuti nel cofanetto:

CD 1

  • 1. Stranger To Me
  • 2. Girl Of The North Country
  • 3. I’m So Lonesome I Could Cry
  • 4. Fisherman’s Blues (Piano Version)
  • 5. Fisherman’s Blues
  • 6. Meet Me At The Station
  • 7. I’ll Be Your Baby Tonight
  • 8. Born To Be Together
  • 9. The Wayward Wind
  • 10. World Party (1st Version)
  • 11. World Party / A Golden Age
  • 12. Sleek White Schooner
  • 13. Drunken Head Ghost Of Rimbaud Blues
  • 14. Sweet Thing
  • 15. Sweet Thing (Conclusion)
  • 16. Saints And Angels

CD 2

  • 1. We Will Not Be Lovers
  • 2. One Step Closer
  • 3. My Beautiful Baby
  • 4. She Could Have Had Me Step By Step
  • 5. When The Ship Comes In
  • 6. The Ladder
  • 7. Will You Ever Be My Friend?
  • 8. Too Close To Heaven (Rolling Piano)
  • 9. Higherbound (Prototype)
  • 10. Happy Birthday Bp Fallon
  • 11. The Prettiest Girl In Church
  • 12. You Don’t Have To Be In The Army To Fight In The War
  • 13. Dee Jay Way
  • 14. Lonesome And A Long Way From Home
  • 15. Thistlethwaite’s Declaration
  • 16. Strange Boat (First Play)
  • 17. Lost Highway
  • 18. Higherbound Blues
  • 19. Let Us Be Drinking And Kissing The Women
  • 20. Will The Circle Be Unbroken
  • 21. Tenderfootin’
  • 22. Too Close To Heaven
  • 23. Space Out There, Trevor

CD 3

  • 1. Steve And Anto’s Overture
  • 2. Ain’t Leavin, I’m Gone
  • 3. When Will We Be Married? (1st Version)
  • 4. When I First Said I Loved Only You, Maggie
  • 5. Love Is Letting Go
  • 6. On My Way To Heaven (1st Version)
  • 7. You In The Sky (1st Version)
  • 8. The Secret Place Of The Most High
  • 9. Too Hot For Cleanhead
  • 10. Wickham’s Proclamation
  • 11. Blues For Your Baby
  • 12. Lonesome Old Wind
  • 13. If Jimi Was Here
  • 14. Soon As I Get Home
  • 15. Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band

CD 4

  • 1. Billy The Kid
  • 2. Tonight The Bottle Let Me Down
  • 3. Come Live With Me
  • 4. I Miss The Road
  • 5. Higher In Time (Two Pianos)
  • 6. Too Hot For Cleanhead (Fast Version)
  • 7. Higher In Time (Scottish)
  • 8. Higherbound (3rd Tune)
  • 9. A Golden Age
  • 10. You In The Sky
  • 11. I Will Meet You In Heaven Again
  • 12. Nobody ‘Cept You
  • 13. (He Hasn’t Been The Same Since) Jimmy Shand
  • 14. Rattle My Bones And Shiver My Soul
  • 15. The Scotsman’s Delight
  • 16. Killing My Heart
  • 17. Industrial Mr Brown
  • 18. Custer’s Blues
  • 19. Shall We Gather By The River
  • 20. Higher In Time Symphony

CD 5

  • 1. Higherbound (3rd Version)
  • 2. The Grief Of Pan
  • 3. World Party
  • 4. Working On A Building
  • 5. If I Can’t Have You
  • 6. Killing My Heart (2nd Version)
  • 7. Trunk Call
  • 8. Headphone Mix Song
  • 9. Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band (Reprise)
  • 10. When Will We Be Married? (2nd Version)
  • 11. Bp’s Bathtub Boogie
  • 12. We Will Not Be Lovers (Sax Solo)
  • 13. Heading Down The Highway
  • 14. Strange Boat
  • 15. Fisherman’s Blues (2nd Version)
  • 16. Has Anybody Here Seen Hank? (Bridgeman Version)
  • 17. On My Way To Heaven
  • 18. Let Me Feel Holy Again
  • 19. A Home In The Meadow
  • 20. Strange Boat (3rd Version) / The Good Ship Sirius
  • 21. The Stolen Child (Prototype)

CD 6

  • 1. On My Way To Tara
  • 2. Twa Recruitin’ Sergeants
  • 3. Incident At Puck Fair
  • 4. And A Bang On The Ear
  • 5. Mr Customs Man
  • 6. Strange Boat (Acoustic)
  • 7. Spring Comes To Spiddal
  • 8. In Search Of A Rose (Band)
  • 9. The Stolen Child (Piano Demo)
  • 10. When Will We Be Married?
  • 11. In Search Of A Rose (Duo)
  • 12. The Good Ship Sirius (Set Of Jigs)
  • 13. This Land Is Your Land
  • 14. Jimmy Hickey’s Waltz
  • 15. Live Aid And After
  • 16. Carolan’s Welcome
  • 17. When Ye Go Away
  • 18. When Ye Go Away (Frankie’s Fiddle)
  • 19. Has Anybody Here Seen Hank?
  • 20. The Stolen Child (Vocal Demo)
  • 21. Dunford’s Fancy
  • 22. The Stolen Child
  • 23. Pictish National Anthem (Comati)
  • 24. Bo Diddley Was A Caveman
  • 25. The Last Jam
  • 26. Buckets Of Rain

E anche tour con la formazione originale, Mike Scott, Steve Wickham, Anto Thistlethwaite e Trevor Hutchinson con l’attuale batterista Ralph Salmins:

December 8, Liverpool Philharmonic.
December 9, Glasgow Royal Concert Hall.
December 10, Glasgow Barrowland.
December 11, York Barbican.
December 12, Birmingham Alexandra.
December 15, Oxford New Theatre.
December 16, Guildford Glive.
December 17, Bristol Colston Hall.
December 18, Hammersmith Apollo
December 20, Drogheda Tlt.
December 21, Killarney Inec.
December 22, Galway Leisureland
December 23, Dublin Convention Centre

Se siete da quelle parti, tra Irlanda, Scozia ed Inghilterra…

Magari nell’imminenza dell’uscita, se riesco a metterci le mani sopra per tempo, gli dedicherò un ulteriore approfondimento, perché lo merita.

Per il momento è tutto, alla prossima!

Bruno Conti

Con Un “Leggerissimo” Anticipo! Waterboys – Fisherman’s Blues Box

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Questa mattina stavo spulciando appunti e notizie per preparare i soliti Post periodici che dedico alle “uscite prossime future” (diciamo periodo aprile-giugno) e mi sono imbattuto in questa notizia sulla pubblicazione del Box da 7 CD (!!!), dedicato alle sessions di registrazione dell’album Fisherman’s Blues dei Waterboys. Il cofanetto si chiamerà “Fisherman’s Box” e conterrà 121 brani (!), tutti quelli dell’album originale e le canzoni contenute nelle varie edizioni del CD che si sono succedute nel corso degli anni, oltre a 85 tracce inedite (!!! Sto esaurendo i punti esclamativi), mai pubblicate prima. Il tutto scelto e annotato da Mike Scott, con una presentazione nel libretto della confezione curata da Colin Meloy dei Decemberists, grande fan del gruppo. L’uscita, su EMI Records (che nel frattempo sarà definitivamente acquisita dalla Universal) è prevista per il 14 ottobre: quindi siamo “in leggero anticipo”, ma nei prossimi mesi vi terrò aggiornato sugli sviluppi successivi, tipo liste dei brani, copertina, formato e quant’altro.

In questi giorni, il 17 marzo, Mike Scott e Steve Wickham hanno partecipato anche al SXSW di Austin (waterboys-mad-mist-snow-sxsw-163212571.html),  per presentare l’ultimo album, An Appointment With Mr. Yeats che esce negli Stati Uniti il 26 marzo e per il tour americano ci sarà una nuova band, con questi musicisti aggiunti: Elizabeth Ziman (vocals, from the band Elizabeth And The Catapult, molto brava lei e il suo gruppo di origine, citati in passato nel Blog), Jay Barclay (guitar), Daniel Mintseris (keyboards, a member of St Vincent), Malcolm Gold (bass), Ezra Oklan (drums) and Chris Layer (flute). Viceversa, per il tour inglese di fine anno, a dicembre, come vedete dal manifesto qui sopra, tornerà in azione la formazione originale del disco, quindi oltre a Scott e Wickham, Anto Thistlethwaite e Trevor Hutchinson più il nuovo batterista Ralph Salmins, quindi se pensate di fare un giro in Inghilterra e Irlanda a fine anno, fatevi un appunto.

Forse è esagerato, ma fans e simpatizzanti di questo grande gruppo e disco saranno più che contenti.

Ritorno alle mie liste delle anticipazioni, penso in giornata o domani di iniziare gli attentati ai vostri portafogli.

Bruno Conti

Nuovamente Waterboys! An Appointment With Mr. Yeats

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Waterboys – An Appointment with Mr. Yeats – Puck Records/Proper

Dopo il disco d’archivio pubblicato ad aprile Mike Scott rispolvera ancora una volta i suoi “ragazzi d’acqua” e bisogna ammettere che questa volta il risultato è molto convincente, uno dei migliori della loro carriera. Ricordo ancora i tempi del mio primo incontro ravvicinato con i Waterboys: e qui rispolvero la mia personalità da Numero Uno, correva l’anno 1983 (credo, ma poteva essere anche fine 1984, non sono sicuro), località sicuramente Castello Sforzesco, Milano, come gruppo di supporto dei Pretenders, me lo ricordo perché, poco dopo l’inizio del concerto, sento un “toc-toc” sulla spalla, mi giro e vedo un giornalista di uno scomparso quotidiano, La Notte (noto nell’ambiente perché si dice portasse sfiga, lui, non il giornale) che con fare terrorizzato mi chiede chi fossero costoro? Non vorrei prendermi meriti che non ho, anche se il primo disco della band, quello con A Girl called Johnny già lo avevo scoperto, ma il nome del gruppo era scritto ovunque sui manifesti, “gruppo di supporto i Waterboys”, ma si sa che i giornalisti musicali dei quotidiani italiani non erano (e non sono) il massimo. Comunque avvenuto il primo felice contatto, il gruppo di Mike Scott è rimasto tra i miei preferiti nel corso degli anni, con le punte di eccellenza di This Is The Sea, Fisherman’s Blues e Room To Roam e altri dischi solisti o con il gruppo meno soddisfacenti ma sempre con momenti di grande musica, la famosa “Big Music”!

Ebbene, questa volta il disco è decisamente bello, forse, ma forse, non “molto” bello (e poi vi dico perché). Intanto l’assunto di partenza è sicuramente affascinante, musicare alcune poesie di William Butler Yeats, il grande poeta irlandese non è opera da poco e le quattordici canzoni contenute in questo CD (dalle iniziali venti registrate per il progetto) rendono pieno giustizia all’autore (per la smania di recensirlo prima sul Buscadero si parla di dieci brani e della lunghezza contenuta dell’album, che invece alla fine dura quasi 57 minuti). Naturalmente non è la prima volta che l’opera di Yeats viene avvicinata da musicisti rock: gli stessi Waterboys incisero una superba versione di The Stolen Child per Fisherman’s Blues (ma anche in Dream harder ce n’è un’altra), e il grande “Van The man” Morrison ha trattato l’argomento in più occasioni nonostante i problemi con gli eredi di Yeats, ma nessuno aveva mai registrato un intero album (in inglese) dedicato ai suoi poemi e Scott stesso ricorda che ha preferito aspettare lo scadere dei diritti d’autore dell’opera di Yeats, morto nel 1939, piuttosto che affrontare gli stessi problemi, anche economici con gli eredi. Tra gli altri che hanno ripreso il grande irlandese vorrei ricordare Donovan in H.M.S. nel lontano 1971, Angelo Branduardi che ha registrato un intero album nel 1986 che comprendeva anche il brano di Donovan (ma allora Scott mente e i diritti erano già scaduti? O forse tradotti in italiano non conta?). Anche Loreena McKennitt ne ha incise un paio e pure i Cranberries e gli Smiths lo citano nei loro testi.

In ogni caso questo An Appointment With Mr. Yeats piace: non mi entusiasma ogni tanto il tipo di suono della batteria suonata da Ralph Salmins, troppo meccanico e marziale, quasi fosse una batteria elettronica, soprattutto nell’iniziale The Hosting Of The Shee, brano epico e cadenzato nel loro stile tipico, ma forse troppo caricato di effetti e strumenti che distolgono dall’andamento della musica, chitarre, fiati, violino, tastiere si perdono in un marasma sonoro esagerato ma già da Song Of Wandering Aengus (proprio quella di Donovan e Branduardi) le cose si aggiustano, introdotto da una doppia tastiera, piano elettrico e organo, il brano si distende con la grande partecipazione tipica delle migliori canzoni di Mike Scott, con gli strumenti che entrano ad uno ad uno, in una sequenza continua che sparge semi di serenità e con il flauto di Sarah Allen che regala momenti di grande musica nella lunga coda strumentale, veramente bellissimo. Anche News For The Delphic Oracle è un bel brano: dopo una breve introduzione quasi folk-cameristica che mi ha ricordato l’Incredible String Band il brano assume quelle cadenze celtiche tanto visitate nella lunga permanenza irlandese con il violino di Steve Wickham che assurge a grande protagonista nel cambio di tempo della parte centrale e poi la musica ritorna a cadenze quasi da cabaret mitteleuropeo nella parte finale. A Full Moon March è semplicemente una bellissima canzone dalla struttura rock con chitarre distese e l’organo di supporto con vaghe riminescenze Beatlesiane stampate nel DNA.

Sweet dancer è una piccola gemma, una di quelle ballate mid-tempo alla Van Morrison, con Mike Scott che canta meravigliosamente ben supportato dalla voce della giovane irlandese Katie Kim che in questo brano si amalgama alla perfezione con quella di Scott (mentre in altri brani mi sembra troppo sottile e acerba, simile a quella di Kylie Minogue nelle sue collaborazioni con Nick Cave), il violino di Steve Wickham (anche all’armonica) presiede sugli avvenimenti con grande nonchalance sostenuto dal flauto e dal sax di Kate St.John (già con Eno, Roger e Morrison, Van). Molto bella anche White Birds altro avvolgente e sereno brano in mid-tempo e in leggero crescendo con quella tipica cantabilità delle canzoni più belle del nostro amico, con le tastiere, in particolare un organo maestoso, suonate da Mike Scott, un trombone insinuante e l’effetto “gabbiani” o “white birds” nella parte finale affidata a Steve Wickham. The Lake Isle Of Innisfree è uno dei poemi più famosi di Yeats, ma forse questa versione breve e sussurrata, troppo sussurrata dalla Katie Kim si apprezza soprattutto per il violino di Wickham, ancora una volta protagonista.  

Mad As The Mist And Snow ci fa, gioiosamente e magicamente, ripiombare nelle atmosfere celtiche ed irlandesi di Fisherman’s Blues, e lo fa con una energia e una grinta incredibili e con il violino che sale fino a vette incredibili come se il tempo non fosse passato. Molto piacevole anche la brevissima Before The World was Made con la vocina della Kim che affianca quella di Mike per questo piacevole intermezzo che ci introduce alla lunga September 1913 (oltre 7 minuti), vero centrepiece dell’album che ci riporta questa volta alla Big Music di This Is The Sea con il piano di James Hallawell a disegnare arabeschi sonori mentre Mike Scott canta con una passione rinnovata che sembrava scomparsa dalla sua musica, inutile dire che il violino di Wickham è ancora una volta decisivo mentre la chitarra elettrica di Scott mena fendenti rock in sottofondo e la vocina della Kim accarezza dolcemente il finale!

Uno si potrebbe anche accontentare e invece il finale è ancora da applausi: la breve, marziale An Irish Airman Foresees His Death con il corno inglese di Kate St.John in evidenza è, come dire, “poetica”. Politics riprende i temi musicali epici del brano iniziale ma lo fa con un controllo del suono molto migliore e più definito e l’interscambio tra le voci di Scott e della Kim (che comincia a piacermi) è molto più riuscito e ben integrato con i fiati. Let The Earth Bear Witness è una di quelle ballate meravigliose che avevano fatto considerare Mike un potenziale erede per Van Morrison quando mai vorrà ritirarsi (a proposito che fine ha fatto? Tutto tace), si chiama Celtic Soul, cari miei! E anche il significato sociale non è secondario.

E per una conclusione degna ci si affida a The Faery’s Last Song un’altra notevole costruzione musicale di Scott e dei suoi ottimi musicisti, con Mike che si cimenta (come in altri brani) al mellotron, che conferisce un’aura quasi fiabesca e un po’ progressiva (alla Caravan) alla canzone.

Adesso, caro Mike Scott, non vorremmo aspettare venti anni per un nuovo grande album!

Bruno Conti