E Di Bluesmen Tedeschi Non Vogliamo Parlarne? Kai Strauss – I Go By Feel

kai strauss i go by feel

Kai Strauss – I Go By Feel – Continental Blue Heaven/Ird 

Potrei fare la battuta e anticiparvi che il nuovo disco di Susan Tedeschi, con marito Derek Trucks al seguito, uscirà a fine gennaio (intitolato Let Me Get By, sarà il primo per la nuova etichetta Fantasy, tra l’altro sembra pure bello, dai primi ascolti) ma qui parliamo di tedeschi in senso di “germanici”, e dopo bluesmen danesi, belgi, austriaci, il mese prossimo anche francesi, parliamo di un musicista tedesco. Una piacevole ed inattesa scoperta questa di Kai Strauss, chitarrista e cantante tedesco, incide per una etichetta olandese ed è al suo secondo album, ma per chi, come nel mio caso, si avvicina per la prima volta alla sua musica, è sembrato di ascoltare un eccellente album di blues elettrico proveniente dal catalogo di una Alligator o una Delmark, non dissimile dalle recenti prove di Jarekus Singleton http://discoclub.myblog.it/2014/05/10/dei-futuri-del-blues-elettrico-jarekus-singleton-refuse-to-lose/  o Selwyn Birchwood http://discoclub.myblog.it/2014/06/14/piccoli-alligatori-pettinature-afro-selwyn-birchwood-dont-call-ambulance/ , intriso di un feeling che rimanda ai dischi classici di gente come Luther Allison, Jimmy Dawkins o tra i più recenti Jimmy Burns   o Michael Burks, anche se ovviamente Strauss essendo un bianco va a pescare anche tra le sue influenze nel repertorio di Mike Bloomfield o dei primi Bluesbreakers di Mayall, per non dire dei Fleetwood Mac di Blues Jam At Chess https://www.youtube.com/watch?v=3iEeCgDHY-Y .

 

O almeno queste sono le impressioni che ho avuto ascoltando questo I Go By Feel: naturalmente, come è logico, non parliamo di musica innovativa o particolarmente originale, ma in questo tipo di dischi conta molto il “sentimento”, il feel del momento, e mi sembra che Kai Strauss lo possegga. Una buona voce, un bel tocco di chitarra, la capacità di circondarsi dei musicisti giusti, sia nella propria band, come in una mirata scelta degli ospiti: nel disco precedente c’erano Sugar Ray Norcia, Darrell Nulisch, Doug Jay, Sax Gordon e Boyd Small, mentre nel nuovo album, oltre a Gordon ai fiati in alcune tracce, troviamo gli ottimi chitarristi Tony Vega, efficacissimo alla slide nel tirato shuffle Drinkin’ Woman che sembra uscire dal citato disco dei Fleetwood Mac di Peter Green, Mike Wheeler (non a caso un artista del roster della Delmark), anche voce solista in una torrida ripresa del classico Gotta Wake Up di Fenton Robinson, che grazie anche alla presenza dei fiati, sembra quasi un brano del Bloomfield fine anni ’60 e poi secondo solista in Back And Forth, un eccellente strumentale che evoca sempre quell’epoca gloriosa del blues bianco elettrico.

E per completare la trilogia della presenze Wheeler suona pure in Money Is The Name Of The Game, uno slow blues di quelli “duri e puri”, entrambi gli ultimi brani citati caratterizzati pure dalla presenza della doppia tastiera che conferisce ulteriore profondità al suono. Come ospite aggiunto troviamo ancora Tommie Harris, vecchio batterista della band di Luther Allison, in questo caso presente come voce solista in una notevole ripresa del classico Luther’s Blues, come pure in Soul Fixin’ Man. In un pezzo come Knockin’ At Your Door, grazie ad un sound più “contemporaneo” (ma non troppo) sembra di ascoltare il Clapton anni ’70, mentre Ain’t Gonna Ramble No More, grazie all’armonica di Thomas Feldmann rievoca ancora i fasti della Butterfield Blues Band di Bloomfield, con Strauss che fa del suo meglio per ricordarlo con un timbro pulito e stilisticamente perfetto, che si apprezza anche in I Take My Time, prima di lasciare il microfono al texano Tony Vega che duetta di gusto con Strauss in una pimpante I’m Leaving You. In conclusione del disco, come bonus, c’è una traccia dal vivo, con il sonoro leggermente lo-fi ma più che accettabile, una versione intensa e lunghissima, oltre i dieci minuti, di Early In the Morning di Sonny Boy Williamson, con l’armonicista e cantante olandese Pieter “Big Pete” v/d Pluijim che guida la band, dove Kai Strauss, questa volta alla slide, si conferma solista di ottimo valore.

Bruni Conti  

Aggiungiamo Alla Lista Dei Bluesman. Mike Wheeler – Self Made Man

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 Mike Wheeler – Self Made Man – Delmark

Ecco un altro “giovane” e pimpante artista blues, su piazza (Chicago) da soli trenta anni, questo dovrebbe essere il suo secondo album da solista, ma ha suonato (e suona) con molti dei migliori artisti della scena locale e non. Ad esempio è apparso anche con un paio di musicisti di cui mi è capitato di parlare in questi ultimi tempi: Linsey Alexander e, soprattutto, con i Chicago Playboys dell’ottimo Big James ( big+james+and+the+chicago+playboys), entrambi compagni di etichetta, ovvero per la mai doma Delmark, sempre alla ricerca di artisti in grado di perpetrare la lunga storia del Blues (o meglio, Alexander e Wheeler incidono per la Delmark, Big James per la Blind Pig)!

Nei Chicago Playboys (con cui suona dal 1998 ed appare in 5 dei loro CD), Mike Wheeler ha sviluppato anche una notevole attitudine per il funky, il r&B e il soul, da unire al classico Chicago blues, caratteristica che (nel suo piccolo) lo avvicina a uno come Albert King, che nei suoi dischi su Stax sapeva abilmente miscelare tutte queste sonorità. Wheeler, naturalmente, non è a quei livelli, ma si difende alla grande, bella voce, senza esagerare, un suono della solista limpido e pungente, con il giusto rilievo alla parte ritmica, in alternativa a soli brevi e ficcanti ma ricchi di gusto. E questo Self Made Man sicuramente soddisferà il palato degli appassionati del genere.

Si tratti del lungo funky-soul bluesato dell’iniziale Here I Am, con la solista in bella evidenza. ben supportata dall’organo vintage del bravo Brian James, che si concede dei piacevoli interventi, o il classico swing di Big Mistake, con James al piano ad alternarsi con la chitarra di Wheeler. Anche la title-track, Self Made Man predilige ritmi funky ed evidenzia l’influenza di Albert King, con l’armonica di Omar Coleman ad aggiungere pepe all’esecuzione. Nel CD c’è posto anche per il classico shuffle di I’m Missing You, canonico blues nelle sonorità care all’etichetta di appartenenza, con qualche svolazzo dell’organo di James che prepara il terreno per il solo di Wheeler. Join Hands è super funky, con tanto di basso “slappato” dell’onesto Larry Williams.

Let Me Love You è proprio il classico di Willie Dixon, ma suonato con una patina di modernità, alla Robert Cray per intenderci. Siamo al settimo brano e ancora nessun bello slow blues di quelli dove puoi strapazzare la chitarra per la goduria dei “chitarrofili”? You’re Doing Wrong rimedia alla grande con Wheeler che esplora il manico della sua chitarra con la giusta dose di abbandono. Walkin’ Out The Door paga il giusto tributo all’altro grande King, B.B, con il suo ritmo marcato e le linee sinuose della solista in alternanza al piano. Ritmi nuovamente sincopati per Get Your Mind Right con armonica e organo a dare man forte alla voce e chitarra di Mike Wheeler. Anche I Don’t  Like It Like That ha quel sound funky alla Albert King, Albert Collins o Johnny Guitar Watson, con l’aggiunta di organo Hammond, come pure Moving Forward nuovamente con il basso molto carico di Williams e le lunghe linee soliste della chitarra. Per concludere, un brano che si chiama Chicago Blues (c’è bisogno di dire altro?) e I’m Working nuovamente tra funky e R&B con la chitarrina ritmica del leader a dettare i tempi.

Per essere “uno che si è fatto da sé”, non male, aggiungiamo alla lista!

Bruno Conti