Best Of 2015, Riviste Inglesi: Mojo, Uncut & Q Magazine

mojo 2015 best of

Come promesso, dopo la lista dei migliori dischi dell’album secondo i collaboratori del Blog (e con il sottoscritto che si riserva un sostanzioso conguaglio di titoli non inseriti nella prima stesura) passiamo ai migliori del disco da varie fonti internazionali, iniziando dai tre principali mensili musicali inglesi. Solo i primi 15 per ogni rivista, considerando che gli scorsi anni venivano delle liste chilometriche. Inutile dire che molti titoli non li condivido, ma manco capisco perché sono lì, comunque l’informazione viene prima di tutto. Iniziamo con Mojo, a ritroso dal n°15 al n°1:

Best Albums Of 2015

richard dawson nothing important

15. Richard Dawson – Nothing Important (Non solo nelle classifiche del Blog eccezioni alle regole, anche qui partiamo subito con un disco uscito a Novembre del 2014). Molto interessante e molto “strano”, in senso positivo e non modernista!

sleater-kinney no cities to loves

14. Sleater-Kinney – No Cities to Love

low one and sixes

13. Low – Ones and Sixes

https://www.youtube.com/watch?v=1kU6vFiXSAI

courtney barnett sometimes i sit

12. Courtney Barnett – Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit

bob dylan shadows in the night

11. Bob Dylan – Shadows in the Night

sufjan stevens carrie & lowell

10. Sufjan Stevens – Carrie & Lowell

sleaford mods key market

9. Sleaford Mods – Key Markets

mbongwana star from kinshasa

8. Mbongwana Star – From Kinshasa

https://www.youtube.com/watch?v=cAZxMZBZ628

songhoy blues music in exile

7. Songhoy Blues – Music in Exile

 https://www.youtube.com/watch?v=KvGsV8Trl8o

bill ryder-jones west kirby

6. Bill Ryder-Jones – West Kirby County Primary

jim o'brien simple songs

5. Jim O’Rourke – Simple Songs

tame impala currents

4. Tame Impala – Currents

new order music complete

3. New Order – Music Complete

endrick lamar to pimp a butterfly

2. Kendrick Lamar – To Pimp a Butterfly

julia holter have you

1. Julia Holter – Have You in My Wilderness

uncut- best of 2015

Visto che i “colleghi” britannici sono abbastanza ripetitivi e scontati e quindi molto dei titoli appariranno più volte, non rimetterò copertine e video degli stessi album. Passiamo ad Uncut, questa volta dal primo al quindicesimo.

Uncut’s Top 15 Albums of 2015 

julia holter have you

1. Julia Holter – Have You In My Wilderness

2. Kendrick Lamar – To Pimp A Butterfly

3. Sufjan Stevens – Carrie & Lowell

ryley walker primrose green

4. Ryley Walker – Primrose Green

father john misty - i love you

5. Father John Misty – I Love You, Honeybear

6. Tame Impala – Currents

7. Courtney Barnett – Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit

natalie prass

8. Natalie Prass – Natalie Prass

9. Sleaford Mods – Key Markets

10. New Order – Music Complete

bjork vulnicura

11. Björk – Vulnicura

unknown mortal orchestra multi-love

12. Unknown Mortal Orchestra – Multi-Love

13. Jim O’Rourke – Simple Songs

robert forster songs to play

14. Robert Forster – Songs To Play

jason isbell something more than free

15. Jason Isbell – Something More Than Free

q magazine best 2015

E per finire vediamo cosa dicono su Q Magazine, di nuovo dalla posizione 15 alla 1!

Q Top 15

django django born under saturn

15. Django Django – Born Under Saturn

14. Sleaford Mods – Key Markets

joanna newsom divers

13. Joanna Newsom – Divers

foals what went down

12. Foals – What Went Down

11. Father John Misty – I Love You, Honeybear

10. Florence + the Machine – How Big, How Blue, How Beautiful

9. Kendrick Lamar – To Pimp A Butterfly

laura marling short move

8. Laura Marling – Short Movie

kurt vile b'lieve

7. Kurt Vile – b’lieve i’m goin down…

6. Courtney Barnett – Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit

5. New Order – Music Complete

blur the magic whip

4. Blur – The Magic Whip

jamie xx in clour

3. Jamie xx – In Colour

2. Julia Holter – Have You In My Wilderness

tame impala currents

1. Tame Impala – Currents

Per oggi è tutto. Diciamo che su una trentina di titoli, quanti ne appaiono nella tre liste, non più di di una dozzina appaiono anche nel Blog, in modo più o meno esteso, ma de gustibus…

Alle prossime liste di fine anno e, soprattutto ai prossimi post. Più tardi Fare Thee Well dei Grateful Dead.

Bruno Conti

I Migliori Dischi Del 2014, Liste Di Fine Anno. Mojo

mojo best of 2014

Dopo il post dedicato alle scelte dei collaboratori e del vostro, spero, Blogger preferito (che si riserva comunque di integrare le proprie scelte con un altro paio di liste aggiuntive), come tutti gli anni andiamo ad esaminare cosa hanno scelto in giro per lo mondo. Premetto che il sottoscritto preferisce, ed applica, la scelta di pubblicare, oltre al risultato finale, anche le singole scelte dei redattori, in quanto il risultato finale magari premia dischi meno “nobili”, ma più ricorrenti nelle liste, in quanto la somma aritmetica non sempre corrisponde alla effettiva qualità dei prodotti. Ma visto che si tratta di liste che vogliono soddisfare la curiosità di chi è alla ricerca di nuova musica o di conferme dei propri artisti preferiti, diciamo che possoni essere propedeutiche nell’indirizzare verso questo o quel disco, e in tal senso spesso la firma di un articolo indirizza i gusti del lettore, specie se si è in sintonia e si rispetta l’autore dell’articolo. Oppure sappiamo chi dover picchiare se acquistiamo qualcosa che non ci è piaciuto. Comunque bando alle ciance e partiamo con i migliori dischi del 2014 secondo la rivista inglese Mojo. Considerando che il sistema del countdown, cioè dall’ultimo al primo, mi piaceva solo nella Hit Parade di Lelio Luttazzi (o chi per esso), ho rovesciato le liste, e si va, canonicamente, dal 1° a scendere. Cerco di non commentare, a meno che l’impulso si faccia irresistibile!

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1) Beck – Morning Phase

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2)The War On Drugs – Lost In The Dream

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3) Sleaford Mods – Divide And Exit (??)

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4) Jack White – Lazaretto

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5) St. Vincent – St. Vincent

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6) Steve Gunn – Way Out Weather

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7) Julie Byrne – Rooms With Walls And Windows

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8) Damon Albarn – Everyday Robots

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9) FKA Twigs – Lp1 (come genere viene riportato R&B, ma francamente il Dance & Electronics che riportano alcune liste mi sembra più consono, più il secondo del primo, sicuramente sono io che non “capisco” perché ha milioni di contatti su YouTube,  sentire per credere https://www.youtube.com/watch?v=2jhTiLuGezI

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10) The Bug – Angels And Devils Ma che stia cambiando Mojo? Questo è catalogato come dubstep https://www.youtube.com/watch?v=HkM0rnfVp10

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11) Sharon Van Etten – Are We There Questo piace anche a me, segnalato nel Blog mesi fa https://www.youtube.com/watch?v=1Z4OmCci3Oo

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12) Caribou – Our Love

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13) Ty Segall – Manipulator

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14) Elbow – The Take Off And Landing Of Everything

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15) Sturgill Simpson – Metamodern Sounds In Country Music

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16) Wild Beats – Present Tense

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17) Angel Olsen – Burn Your Fire For No Witness

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18) Kate Tempest – Everybody Down

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19) Robert Plant – Lullaby And…The Ceaseless Roar

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20) Manic Street Preachers – Futurology

La lista prosegue fino ai primi 50, ma mi fermo qui, per evitare lungaggini, domani vediamo cosa dice Uncut.

Bruno Conti

 

 

Il Meglio Del 2013: Riviste Straniere – Mojo

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Continuiamo con le liste dei migliori dischi del 2013, questa volta tocca ad un’altra delle principali riviste musicali mensili inglesi, Mojo. Per evitare eventuali e ripetuti doppioni con le altre classfiche, di volta in volta inserirò solo copertine e link video di album non già apparsi negli altri Post (a parte il numero 1 eventuale), facciamo i primi 15 post dei Top, visto che molti album vengono duplicati da precedenti liste:

Mojo Magazine – Top 50 LPs of 2013

bill callahan dream river
1. Bill Callahan – Dream River

Questo è un gran bel disco http://www.youtube.com/watch?v=rxggnPfEaSw

una sorta di Nick Drake o John Martyn dei nostri giorni http://www.youtube.com/watch?v=y_Z4UvTJdjU

daft punk random access
2. Daft Punk – Random Access Memories
3. David Bowie – The Next Day
4. Arctic Monkeys – AM
5. John Grant – Pale Green Ghosts

deerhunter monomania
6. Deerhunter – Monomania http://www.youtube.com/watch?v=7qIqC7jjHfw

vampire weekend modern vampires
7. Vampire Weekend – Modern Vampires of the City http://www.youtube.com/watch?v=lkCKsfWJdRI

mark kozelek & jimmy lavalle

8. Mark Kozelek & Jimmy Lavalle – Perils from the Sea Dei quattro pubblicati da Kozelek quest’anno mi era piaciuto di più quello con i Desertshore comunque http://www.youtube.com/watch?v=xTwS7DWuUR8
9. Nick Cave & the Bad Seeds – Push the Sky Away

john murry graceless age
10. John Murry – The Graceless Age Questo è uno “strano” disco. Molto bello peraltro, uscito anche in una versione doppia, già nel 2012, ma stranamente Wikipedia riporta “pubblicato nel 2013 è stato inserito tra i migliori dischi del 2012 da Uncut” (scusa?). A parte la strana sequenza temporale, se non lo conoscete http://www.youtube.com/watch?v=h_DlGmaSlg8

phosphorescent muchacho
11. Phosphorescent – Muchacho altro ottimo disco http://www.youtube.com/watch?v=ZPxQYhGpdvg

prefab sprout crimson red
12. Prefab Sprout – Crimson Red un ulteriore disco che una recensione sul Blog la meritava http://www.youtube.com/watch?v=7DVE9Hxk2pA
13. My Bloody Valentine – MBV

holden inheritors
14. Holden – Inheritors Per questo ammetto la mia ignoranza, conosco il Giovane Holden, ma Holden James mi mancava, dopo un veloce ascolto ho scoperto perché, credo che continuerò a farne a meno http://www.youtube.com/watch?v=COoNYZ7WqX8 “troppo avanti” (o indietro) per me.

queens of the stone age lilìke clockwork

15. Queens of the Stone Age – Like Clockwork

Nei prossimi giorni continuiamo con altre riviste e siti (e manca sempre il resto delle mie scelte, una promessa, non una minaccia), senza tralasciare “recuperi” ed altre recensioni, come di consueto!

Bruno Conti

Non Tutto E’ Perduto, Anzi! The Strypes – Snapshot

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The Strypes – Snapshot – Virgin/Universal 10-9-2013 UK – 24-9-2013 ITA

Ma quindi non tutto è perduto, esistono delle boy band, perché qui l’età media è tra i 15 e i 17 anni, che fanno musica di qualità! Sento rumoreggiare, lo so che il termine boy band e qualità sembrano incompatibili tra loro, ma nel caso di questi quattro baldi giovanotti provenienti dall’Irlanda, si possono fare coincidere. Di solito non mi faccio incantare dall’hype che arriva dal Regno Unito (anche se loro sono della vicina Irlanda), ma persino Mojo ha assegnato al disco d’esordio degli Strypes, Snapshot le canoniche 4 stellette che di solito si danno ai buoni dischi, magari non capolavori, ma album solidi.

Le pettinature sono quelle dell’epoca degli Yardbirds, degli Small Faces, dei Them, il genere musicale pure, un misto di beat, R&B e blues, un pizzico di Nuggets, con l’esuberanza dei primi dischi dei Jam e le capigliature di due di loro che si rifanno anche al giovane Jimmy Page (il chitarrista naturalmente) e all’afro di Jimi. Dico questo con cognizione di causa perchè ho provveduto ad ascoltare in streaming il loro disco di esordio, che uscirà martedì 10 nella perfida terra d’Albione e un paio di settimane dopo, il 24 settembre anche sul suolo italico. Noi avremo solo la versione normale, ma in Inghilterra ne esce anche una versione singola Deluxe, quella col nome del gruppo in rosso e il titolo del disco in bianco, con quattri tracce extra, due dal vivo, tra cui una versione grintosa di CC Rider, e pure il vinile.

Ma anche nella versione basica, oltre ad una serie di brani firmati Farrelly/McClorey, ci sono gustose cover di Heart Of The City di Nick Lowe, Rollin’ And Tumblin’ e You Can’t Judge A Book By The Cover di Bo Diddley, che avrebbero dato del filo da torcere anche ai Dr.Feelgood e ai primi Stones. Jeff Beck, Paul Weller, Roger Daltrey e Noel Gallagher (ma questo era scontato) hanno espresso la loro ammirazione per il quartetto di Cavan, in attività dal 2008, quando andavano alle elementari penso. L’esibizione del gruppo a Glastonbury è stata notevole, e la potete vedere qui sotto.

Dal sound del gruppo non si direbbe, ma giuro che oggi è il 7 settembre 2013 e non 1966. Non dei “ffenomeni” ma dei bravi “gggiovani”! Potrebbero farsi (non in quel senso, ho dei lettori maliziosi)! Da aggiungere a Jake Bugg tra i giovani delle isole britanniche per i quali qualche euro si può anche sborsare.

Bruno Conti

Blues Come Ai “Vecchi” Tempi, Anche Troppo! Little G. Weevil – Moving

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Little G. Weevil – Moving – Apic/Vizztone

Comprendo ed approvo quei bluesmen che vanno alla ricerca delle radici della musica del diavolo, che so, una Rory Block o un John Hammond (ma anche quelli che se la schitarrano di brutto!), però mi sembra che in questo disco il buon Little G. Weevil abbia addirittura esagerato. Uno che all’anagrafe fa Gabor Szucs e viene dall’Ungheria, anche se è cittadino americano a tutti gli effetti, avendo sposato una ragazza di Atlanta, Georgia, dove vive, non può venirmi a dire nelle note del suo nuovo disco: “Sono innamorato del Blues crudo, vecchia scuola. Anche se ho iniziato elettrico (fino al 2011 su disco, NDB) mi ricordo ancora di quando ho acquistato per 75 dollari la mia prima chitarra a Memphis in un banco pegni” e aggiunge “Con questo disco ho voluto catturare ancora una volta il suono dei vecchi dischi, le registrazioni sul campo, dove sullo sfondo si sentiva un cane abbaiare, una sporta sbattere, una moto che passava…questa session è stata effettuata nel centro di Atlanta, dove Blindie Willie Mctell suonava per le piccole offerte dei passanti, in uno stanza 20×15, con solo un piccolo microfono al centro…e poi prosegue.

Ripeto, va bene l’autenticità, ma se per ottenere questo effetto volutamente distorci la tua voce in modo che sembri quella di un nero degli anni ’20, ma la chitarra si distingue alla perfezione, vai in solitaria solo canto, acustica, al limite con bottleneck, battito dei piedi per tenere il tempo, addirittura oscuri la tua foto in copertina per far sì che in controluce non si avverta il colore della tua pelle, tra il chiaro e lo scuro, valigia da emigrato in mano, mi sembra che sia troppo. Per sembrare Ray Charles uno si deve cavare gli occhi? O Solomon Burke, mangiarsi qualche bufalo intero per raggiungere quel peso? Ma poi lo diventi? Anche se viene dalla terra che ci ha dato Gabor Szabo, il nostro Gabor, pur avendo ricevuto la citazione come migliore nei Top 10 dei dischi Blues del 2012 della rivista Mojo e nel 2013 l’International Blues Challenge a Memphis, come miglior duo/solo performer, ha ottenuto questi ottimi risultati per un disco, The Teaser, uscito nel 2011, che era elettrico e vibrante, tra R&R e blues urbano e che forse, per chi scrive, non era il migliore di quell’anno (sarà stato perché il precedente era su etichetta King Mojo Records?) ma comunque un fior di disco.

Ora, per essere sinceri, perché è nella mia natura, e magari mi attiro l’ira dei puristi, devo ammettere che ascoltando questo disco qualche sbadiglio me lo sono fatto: ci sono anche due o tre brani dove è accompagnato da un trio, contrabbasso, armonica e batteria (notevole la conclusiva e poderosa Swing In The Middle, che ha qualcosa della grinta del grande John Lee Hooker, che Little G. Weevil cita tra le sue fonti di ispirazione), e la voce non è molto filtrata, ma la serie di brani originali firmati dallo stesso Little G. Weevil, a parte un traditional rivisitato, Let’s Talk It Over (Come On Baby), non a caso molto intenso, non mi sembra così straordinaria da superare un McTell o Robert Johnson, o Son House, Mississippi John Hurt, chi volete voi, e questo non lo fa nessuno, neanche nel rock, di essere originale e “nuovo” a tutti i costi, però mi sembra che in questo disco, peraltro consigliato se siete amanti del country blues acustico, si vuole invece essere “vecchi” a tutti i costi e non ci sia nulla di così straordinario, ma magari sbaglio io e ad altri piacerà moltissimo. Quindi un disco da tre stellette per addetti ai lavori, perché non è per nulla brutto, ma gli altri, se vogliono, possono anche astenersi. Vado a risentirmi qualche ristampa di Hendrix, ops,  Charley Patton!

Bruno Conti  

Best Of 2012! Il Meglio Della Stampa Internazionale: Mojo & Uncut

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Come promesso ecco la lista dei migliori dischi del 2012 secondo Mojo, e già che c’ero ho aggiunto anche quella di Uncut, con la rivista diretta dal “vecchio” Allan Jones, che, come direbbe Rino Tommasi, riacquista punti nel mio personalissimo cartellino. Una classifica è a scendere, (Mojo) dall’1 al 20, l’altra (Uncut) a salire, dal 20 al n° 1, meritatissimo. Devo constatare che Jack White con Blunderbluss è molto in alto anche in quella di Uncut, per cui me lo andrò a risentire con più attenzione, anche se mi sembra un buon album ma non eccelso.

Mojo Top 20

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 black keys el camino.jpgdjango django.jpgdr.john.jpgjulia holter exstasis.jpgbob dylan tempest.jpg

 

 

 

 

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  1. Jack White – Blunderbuss
  2. Frank Ocean – Channel Orange
  3. Bill Fay – Life Is People
  4. Leonard Cohen – Old Ideas
  5. Dexys – One Day I’m Going To Soar
  6. The Black Keys – El Camino
  7. Django Django – Django Django
  8. Dr. John – Locked Down
  9. Julia Holter – Ekstasis
  10. Bob Dylan – Tempest
  11. Scott Walker – Bisch Bosch
  12. Tame Impala – Lonerism
  13. The xx – Coexist
  14. Hot Chip – In Our Heads
  15. Cat Power – Sun
  16. Bobby Womack – The Bravest Man In The Universe
  17. Mark Lanegan Band – Blues Funeral
  18. Orbital – Wonky
  19. Advance Base – A Shut-In’s Prayer
  20. Lee Fields & the Expressions – Faithful Man

Per esempio, questo disco non lo avevo considerato e invece è dell’ottimo soul…molto seventies, degno di Kiwanuka che mi era piaciuto moltissimo.

 


Uncut Top 20


20 The xx – Coexist
19 Neneh Cherry And The Thing – The Cherry Thing

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18 Sharon Van Etten – Tramp
17 Grimes – Visions

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16 Ty Segall – Slaughterhouse

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15 Field Music – Plumb
14 Paul Buchanan – Mid Air
13 Dexys Midnight Runners – One Day I’m Going To Soar

12 Go-Kart Mozart – On The Hot Dog Stands

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11 Tame Impala – Lonerism
10 Bruce Springsteen – Wrecking Ball
09 Neil Young & Crazy Horse – Psychedelic Pill

08 Grizzly Bear – Shields

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07 Ty Segall & White Fence – Hair

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06 Bill Fay – Life is People

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Questo disco mi piace moltissimo e anche se non l’ho inserito nella mia prima Top Ten è solo perché in quel momento preciso non me lo sono ricordato. Non male per uno che uffficialmente non pubblicava nulla di nuovo da oltre 40 anni. Questo è il vero “comeback of the year” (più di Dexys, solo 27 anni e Graham Parker & The Rumour, 32 anni)!

05 Frank Ocean – Channel Orange


04 Dr. John – Locked Down
03 Jack White – Blunderbuss

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02 Bob Dylan – Tempest

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01 Leonard Cohen – Old Ideas

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Per l’occasione rispolvererei un vecchio tormentone di “Mai Dire Gol”, ovvero la dichiarazione di Garzya: “sono completamente d’accordo a metà col mister”, che mi sembra perfetta per l’occasione. Come al solito queste classifiche sono anche uno spunto, una occasione, per segnalare dischi interessanti o anche riproporli, condendoli con qualche copertina e, soprattutto, qualche video.

Nei prossimi giorni altre classifiche di fine anno da riviste, blog, siti, oltre ad alcune specifiche di categoria e “una serie” di Best Of The Rest di chi vi scrive, che mi permettono di ritornare su quello che più mi è piaciuto durante l’anno e almeno segnalare alcune cose che per ragioni di tempo ho dovuto tralasciare.

Bruno Conti

Un’Altra Reunion Interessante! The Pogues In Paris – 30th Anniversary Concert At The Olympia

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The Pogues In Paris – 30Th Anniversary Concert At The Olympia – Universal 2CD – DVD – Blu-Ray – Limited Edition 3 LP – Limited Edition 2 CD + DVD + DVD + Libro 20-11-2012

Tutto ciò esce il 20 di novembre, nella stessa data dell’uscita delle varie edizioni della reunion dei Led Zeppelin (a proposito, Jimmy Page, in una intervista alla rivista Mojo, ha dichiarato che sta rimasterizzando tutto il vecchio catalogo del gruppo, che uscirà in una serie di Box, ciascuno dedicato ad un singolo album, a partire dal 2013, ogni disco conterrà inediti e rarità, ovvero versioni differenti dei brani già conosciuti, quindi cominciate a risparmiare, e a sperare, perché con i tempi di lavorazione di Page, il tutto potrebbe durare qualche lustro).

Viceversa, tornando ai Pogues, i concerti sono stati registrati l’11 e il 12 di settembre, quindi una produzione velocissima, dal produttore al consumatore. Questo è il contenuto:

Disc: 1
1. Streams Of Whiskey
2. If I Should Fall From Grace With God
3. The Broad Majestic Shannon
4. Greenland Whale Fisheries
5. A Pair Of Brown Eyes
6. Tuesday Morning
7. Kitty
8. The Sunnyside Of The Street
9. Thousands Are Sailing
10. Repeal Of The Licensing Laws
11. Lullaby Of London
12. The Body Of An American
13. Young Ned Of The Hill
14. Boys From The County Hell
15. Dirty Old Town
16. Bottle Of Smoke
17. The Sicked Bed Of Cuchulainn

Disc: 2
1. Sally MacLennane
2. Rainy Night In Soho
3. The Irish Rover
4. Star Of The County Down
5. Poor Pady
6. Fairytale Of New York
7. Fiesta

Che è lo stesso per il doppio CD, il DVD o il Blu-ray, ma…il secondo DVD conterrà ulteriore materiale: interviste varie e, soprattutto, esibizioni inedite dal vivo d’archivio dalla televisione francese, tra le quali la famosa Les Enfants Du Rock del 1986. Per festeggiare ulteriormente, se siete da quelle parti per le feste natalizie, i Pogues terranno un concerto alla O2 Arena il 20 di Dicembre. I denti di Shane MacGowan sono sempre al loro posto, sul pavimento, per il resto sembra abbastanza in forma! Recensione a breve.

Bruno Conti

 

Un Disco “Minore E Perduto” Di Uno Dei Grandi Della Chitarra! Peter Green Splinter Group – Blues Don’t Change

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Peter Green Splinter Group –  Blues Don’t Change – Eagle Rock/Edel

Se vi capita di scorrere le classifiche sui 100 più grandi chitarristi rock di tutti i tempi che, periodicamente, sia Rolling Stone che Guitar Player pubblicano, Peter Green è sempre presente, addirittura in quella pubblicata da Mojo nel 1996 era al terzo posto. Nell’ultima di Rolling Stone del 2011 era comunque ancora ad un rispettabile 58° posto. Ovviamente (e giustamente) al 1° posto c’è sempre Jimi Hendrix e così sarà, presumo e spero, per l’eternità, anche se leggendo i commenti di lettori e fans (pirla) qualcuno si lamenta sempre. Forse perché nelle classifiche non appaiono Madonna o il chitarrista, se esiste, degli One Direction? Tornando a bomba, chi vi scrive ha sempre considerato Green uno dei grandissimi dello strumento e per il periodo 1967-1970 sarei propenso ad essere d’accordo con la rivista Mojo.

Ma come me la pensavano anche Gary Moore, BB King, Jimmy Page e Eric Clapton (suo predecessore nei Bluesbreakers di Mayall) che ne hanno sempre lodato il tono vellutato e dolce con quel magico vibrato. Tra i suoi fan ci sono anche Joe Perry, Steve Hackett e Andy Powell dei Wishbone Ash. Per proprietà transitiva, attraverso le storie di Page, anche Rich Robinson dei Black Crowes lo considera tra i grandi chitarristi. E, casualmente, mentre facevo delle ricerche per la recensione di Alvin Lee, mi sono imbattuto in una intervista dove anche Lee esprimeva la sua incondizionata ammirazione dicendo che Green era uno dei pochi chitarristi che quando faceva un assolo addirittura abbassava il volume della chitarra. E che dire di Santana che ha costruito parte dell’inizio della sua carriera su Black Magic Woman? Se vi capita di mettere le mani sul triplo CD Live At Boston Tea Party dei Fleetwood Mac, registrato nel febbraio del 1970, non lasciatevelo sfuggire perché in quel breve periodo Peter Green a livello creativo, secondo me, era addirittura superiore a Hendrix, poi omaggiato nell’orgia wah-wah di The End Of The Game dello stesso anno. Purtroppo quella fase della sua carriera, per le noti vicissitudini legate alla sua salute mentale, ha avuto un brusco stop e non si è mai ripetuta.

Ci sono stati vari tentativi di “ritorni”, un primo tra il 1979 e il 1984, ed un secondo, più riuscito, tra il 1997 e il 2003, con lo Splinter Group. Qui, coadiuvato da Nigel Watson, anche lui alla chitarra e seconda voce e agli inizi con Cozy Powell alla batteria, Green ha vissuto una fase della sua carriera dedicata al Blues primo amore: la chitarra raramente rilasciava “soli” degni della sua reputazione, la voce ormai era quello di un “vecchio” bluesman, un po’ spenta ma vissuta come quella dei musicisti neri da lui tanto ammirati. Questo Blues Don’t Change fa parte di quel periodo, pubblicato in origine nel 2001, veniva venduto solo sul suo sito e ai concerti (ma ha circolato), ora la Eagle Rock lo rende disponibile regolarmente ad un prezzo speciale.

Non è un disco da emozioni forti ma si lascia ascoltare in modo piacevole, sono quasi tutti classici del blues: da una ripresa del suo cavallo di battaglia, I Believe My Time Ain’t Long, un brano di Elmore James che era stato il primo singolo dei Fletwood Mac nel 1967, passando per Take Out Some Insurance dove Green si cimenta anche all’armonica, e ancora Honey Bee con una bella slide acustica, una energica Litte Red Rooster cantata da Watson.

Ogni tanto la voce si spezza e si riprende, come all’inizio di Don’t Start Me Talking. In Nobody Knows You When You’re Down And Out, cantata da Watson ma che potrebbe essere una sorta di metafora sulla vita di Peter Green, c’è un ottimo lavoro delle tastiere di Roger Cotton e in Help Me Through The Day la solista di Green si libra liricamente in ricordo dei vecchi tempi. Notevole anche una acustica e intensa Crawling King Snake. Per chi ama il blues e soprattutto quello che molti (a partire dal suo bassista John McVie) considerano il più grande chitarrista blues bianco, ovvero Peter Green, un disco non memorabile ma onesto e un po’ malinconico ricordando quello che fu!

Bruno Conti       

Il Ritorno di Un “Genio”? Bill Fay – Life Is People

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Bill Fay – Life Is People – Dead Oceans 21.08.2012

 

La settimana prossima esce il primo album di materiale “nuovo” inciso da Bill Fay, un geniale musicista inglese che ha operato (e pubblicato i suoi due dischi) tra il 1970 e il 1971. Poi è scomparso, i dischi sono diventati oggetti di culto come quelli di Nick Drake, ma lui non era morto, ovviamente. Con cadenza periodica delle coraggiose etichette indipendenti facevano uscire del materiale inedito d’archivio o delle ristampe dei suoi album, l’omonimo Bill Fay del 1970 (più orchestrale) e Time Of The Last Persecution (con una strumentazione più rock), entrambi editi, con bonus tracks, dalla Esoteric Records nel 2008, e in origine pubblicati dalla Deram, ma ora esce un album nuovo che, peraltro, non ho ancora avuto modo di sentire.

 

Per ora i “riscontri”, in ogni caso, sono i seguenti:

Mojo Album Del Mese 5 stellette – “Il primo Album di Bill Fay in 41 anni è sbalorditivo!”

Uncut 9/10 – “Meravigliosamente misurato ritorno per questo modesto maestro della canzone inglese”

Q 4 stellette – “Il sorprendente ritorno di un grande “perduto” artista di culto…una esperienza che incute timore.”

 

E si sprecano i paragoni (oltre che con Drake) con Ray Davies, John Lennon, il primo David Bowie e Gary Brooker. Per il momento mi limito a proporvi alcuni video con brani del suo repertorio e consigliarvi vivamente l’acquisto dei due album degli anni ’70, che direi è quasi d’obbligo, se già non ne siete felici possessori. Jeff Tweedy e Nick Cave sono grandi fans e i Wilco hanno eseguito un paio di volte dal vivo Be Not So Fearful, anche con la presenza sul palco dell’autore. Sul disco nuovo mi esprimerò non appena avrò occasione di ascoltarlo, ma con queste premesse dovrebbe essere un “trionfo”, sia pure per “Carbonari” veri. Il termine “genio” nel titolo del Post è volutamente provocatorio e anche tutte le virgolettature!

Uscita il 21 agosto.

Bruno Conti

Forse Non Come L’Originale, Ma Sempre Un’Ottima Cantautrice! Music Thea Gilmore, Words Sandy Denny – Don’t Stop Singing

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Thea Gilmore – Music Thea Gilmore Words Sandy Denny Don’t Stop Singing -Island

Più che un titolo un breve racconto! Ma descrive bene le mie impressioni su questo CD di Thea Gilmore che interpreta alcuni testi inediti di Sandy Denny, trovati in Australia dal ramo Lucas della famiglia di Sandy. Come ho già detto brevemente in precedenti occasioni a me questo album piace: non sarà un capolavoro assoluto, ma se unisci una delle giovani (si può dire, essendo nata a Oxford nel 1979) e più prolifiche cantatutrici inglesi (dal ’98 a oggi, 13 album più alcuni EP), nonchè tra le più brave, con quella, che a parere di chi vi scrive, è stata la più grande cantante inglese di sempre, questo Don’t Stop Singing non poteva mai essere un fiasco. Come invece, anche questo già detto, sembra averlo considerato il recensore della rivista inglese Mojo che gli ha riservato due ignominiose stellette che non si danno neanche al ultimo disco di Cliff Richard (o a quello sì? E’ nella pagina prima della rivista)!

Come saprà chi legge questo Blog io non ho problemi a parlare dei pareri espressi da altri, purché motivati e poi dire a mia volta quello che penso anche dilungandomi quando è il caso. Vediamo cosa dice tale Andy Fyfe: intanto il titolino della recensione “Testi perduti di una leggenda del Folk interpretati in modo deludente”, poi elabora ulteriormente “Invece (riferito alla scelta della famiglia di Sandy, Nda) hanno trovato la Gilmore, la cui levigata interpretazione del folk spesso divide le opinioni. I risultati sono lontani da quelli che avrebbero potuto essere. I testi della Denny sono insolitamente diretti (forse perché non erano destinati a diventare canzoni! Nda), ma il problema ricade sulla Gilmore, la sua voce affettata mostra poco dell’abbandono emozionale che Sandy regalava nel suo lavoro, mentre gli arrangiamenti ricchi di archi troppo spesso ricordano musicals di seconda mano o, in modo sconcertante, il country per una canzone che tratta della più americana tra tutte le città, Londra”. E’ anche sarcastico,o non ama la Gilmore, prima di concludere, con una battuta da Festival dell’ovvietà: ” E’ difficile non pensare che qualcuno che ha lavorato con la Denny – magari Richard Thompson – avrebbe costruito una veste più elegante per queste canzoni, che fanno di questo Don’t Stop Singing una occasione mancata”. Strano che non le ha anche detto di andare a nascondersi nel deserto australiano!

Partiamo dall’ultima affermazione. E perchè non Joni Mitchell o Bob Dylan che avrebbero provveduto a cancellare i testi e a riscriverli ex novo? Mi sembra ovvio che Richard Thompson avrebbe potuto fare un lavoro migliore, ma perché è più bravo della Gilmore e i suoi lavori sono comunque di grande spessore. Sulla obiezione riguardo al fatto che una canzone come London ha un “suono americano”, ed è, detto per inciso, una bellissima canzone dove Thea Gilmore ha una voce che ricorda la migliore Rosanne Cash, non è mica obbligatorio che una canzone che tratta nel testo di una città inglese debba essere suonata con un approccio londinese o che un brano, per dire, tratto da Tumbleweed Connection, il disco più “americano” di Elton John debba essere suonata con banjo, dobro e pedal steel, per una maggiore autenticità, mi sembra una pirlata.

Intanto Thea Gilmore si è conquistata la stima di pubblico e critica con una lunga serie di ottimi album sicuramente influenzati dalla musica americana ma che mostrano un talento notevole all’opera e non per nulla l’ultimo è un tributo a Bob Dylan per i suoi 70 anni, dove ha reinterpretato John Wesley Harding dall’inizio alla fine con eccellenti risultati. Tornando a questo Don’t Stop Singing ci sono parecchi brani che ricatturano lo spirito dei brani originali di Sandy Denny, a partire dall’iniziale Glistening Bay, imbevuto della tipica dolce malinconia delle migliori ballate di Sandy con l’hammered dulcimer di Maclaine Colston che ne caratterizza il suono che poi via via si arricchisce con una ampia strumentazione, anche gli archi, che peraltro erano spesso presenti anche nei dischi originali della Denny, e penso a Like An Old Fashioned Waltz.

Il collaboratore abituale musicale della Gilmore in questo come negli altri dischi della sua produzione, è il marito Nigel Stonier, che suona chitarre, piano, harmonium, basso, ukulele, melodica, armonica e tutto quanto serve per rendere più pieno il sound del disco. Quando serve c’è anche John Kirkpatrick, l’unico nome celebre, che con accordian e concertina dà quel tocco folk al disco.

Don’t Stop Singing, la title-track, ha quell’approccio vocale alla Joni Mitchell, una cantante amata anche da Sandy Denny, con degli intrecci tra tappeti di chitarre acustiche ed un organo, che si amalgano molto bene con harmonium e fisa. Frozen Time è una ballata pianistica che ricorda forse più la prima Sarah McLachlan o Kate Bush con inserti celtici new age, che la cantante inglese ma ha quei colori autunnali cari a Sandy e piacevoli intrecci vocali. Anche Goodnight rimane su queste coordinate e mi ha ricordato per certi versi quelle atmosfere barocche orchestrali un po’ alla Judy Collins del periodo centrale o certe cose di Mary Black, anche se onestamente non è un brano memorabile, qui il richiamo ai musicals glielo appoggio. Di London abbiamo detto, Pain In My Heart con il cello in evidenza ha addirittura dei richiami ai Beatles del McCartney di Eleanor Rigby anche senza arrivare a quei livelli ma la classe della Gilmore c’è tutta e anche la sua bella voce molto evocativa.

Sailor costruita attorno ad un bel tappeto di percussioni e arricchita da chitarre acustiche, il solito harmonium ed un bel violino ha il fascino di certi brani del repertorio della Sandy anche se, per ovvi motivi, la voce e il modo di interpretare sono diversi. Quello che sembra un bouzouki ci introduce a Song #4 un’altra canzone affascinante che forse non ricorda la Denny ma lo stile della Gilmore che fino a prova contraria ha scritto le musiche di questo disco senza applicare la tecnica della carta carbone ai testi ritrovati. Più raccolta ed acustica, Long Time Gone è un altro bell’esempio della tecnica compositiva di Thea che la canta con grande partecipazione.

Per concludere rimane Georgia, un’altra ballata maestosa ed avvolgente che avrebbe, penso, incontrato l’approvazione di Sandy Denny, avrà un sound americano. che peraltro la cantante scomparsa amava moltissimo, ma è proprio bella. Parere personale contro parere personale, poi vedete voi, se vi piacciono le belle voci femminili è una buona occasione per scoprirla se la non conoscete, magari poi per risalire a ritroso la carriera di Thea Gilmore. Un appunto finale: parlano male di noi italiani ma i curatori della Island inglese (OK non è un’artista sotto contratto con loro) sono riusciti a scrivere sulla costa del CD “Thea Gilmour”, ma per favore?!?, magari diventerà una rarità come il Gronchi rosa!

Bruno Conti