From Belfast, Northern Ireland, Il Van Morrison Pasquale! Van Morrison In Concert

van morrison in concert

Van Morrison – Van Morrison In Concert – DVD o Blu-ray – Eagle Rock/BBC/Universal

A dimostrazione che non c’è molta fantasia nella scelta dei titoli, già nel 1990, ancora nell’era delle VHS, era uscito un video di Van Morrison che si chiamava Van Morrison: The Concert. Per il resto la videografia dell’irlandese è abbastanza scarna: un altro concerto uscito solo in videocassetta, Van Morrison In Ireland 1979, peraltro splendido, con Van che smentisce per l’occasione la sua staticità, persino lanciandosi in “voli plastici” sul palco, in un momento di abbandono durante l’esibizione che prevedeva l’esecuzione di 10 splendidi brani, durante un’oretta scarsa di concerto.

Poi dobbiamo arrivare al 2009 per il doppio DVD (il primo) dal vivo, Live At Montreux che riporta due concerti registrati nella cittadina svizzera, uno del 1974, in uno dei suoi momenti di massimo splendore, e l’altro, altrettanto bello, del 1980. Esce anche, lo stesso anno, 2009, Astral Weeks Live At The Hollywood Bowl: The Concert Film, registrato in California nel novembre 2008, in occasione del 40° Anniversario dall’uscita di uno dei suoi capolavori assoluti, forse il migliore dei suoi dischi.. Esisterebbe anche una limited edition dell’episodio dell’Austin City Limits del 2006, e nella versione cofanetto della ristampa di It’s Too Late To Stop Now vol. II,III, IV & DVD, troviamo appunto un DVD con un estratto dai concerti spettacolari al Rainbow di Londra del 23 e 24 luglio del 1973.

Questo per il passato, veniamo al presente. Prima di tutto volevo segnalarvi che in effetti sul Blog non ho recensito ancora l’ultimo album di Van Versatile, benché uscito a dicembre 2017. Mi ripromettevo di farlo, poi per ragioni di tempo non ci sono riuscito, ma visto che a fine aprile il nostro amico, che ultimamente sta mostrando una inusuale prolificità, e ha già annunciato l’uscita di un ennesimo lavoro You’re Driving Me Crazy, in coppia con l’organista Joey De Francesco, conto di recensirli entrambi insieme. E senza dimenticare che la ristampa potenziata per il ventennale di The Healing Game, prevista prima per il 2017 e poi rinviata a febbraio 2018, è stata per il momento sospesa.

Per cui “accontentiamoci” di questo splendido DVD (o Blu-ray) Van Morrison In Concert, registrato nel teatro della BBC a settembre del 2016, DVD che riporta come bonus anche il bellissimo Up On Cyprus Avenue, film trasmesso sempre dalla BBC con la testimonianza del suo ritorno a Belfast in occasione del suo 70° compleanno, con un concerto tenuto nei luoghi della sua giovinezza, proprio a Cyprus Avenue. Veniamo al contenuto: formazione classica con Van Morrison impegnato anche al sax, all’armonica e alla chitarra, Paul Moran, organo, piano, tastiere e tromba, Dave Keary, chitarre varie e voce, Paul Moore, basso e contrabbasso, Mez Clough, batteria e voce e l’ottima Dana Masters alle armonie vocali. Lo spettacolo era stato ripreso in occasione della presentazione dell’album Keep Me Singing, e quindi ci sono ben sei canzoni tratte dal quel disco, ma anche molti classici del repertorio passato e pure qualche chicca per gradire. Gran bel concerto, il tutto con una qualità video e audio di primissima qualità. Partenza pimpante con Too Late, un brano swingante che ricorda moltissimo lo stile delle sue migliori esibizioni, con la voce che non mostra segni di cedimento con il trascorrere del tempo (anzi) e la band suona con brio e grande classe, Morrison e Moran aggiungono anche il suono quasi imprescindibile del fiati, mentre il vocione di Keary contrappunta l’ugola sopraffina del nostro.

“Celtic Soul” che viene ribadito nella deliziosa Magic Time, pezzo del 2005, sempre con l’organo vintage di Moran a caratterizzare il suono inconfondibile dei brani dell’irlandese, nostalgico e classico come sempre, ottimi gli interventi di Keary alla chitarra, Moran alla tromba e Morrison al sax. A questo punto partono subito i classici: il primo è una sgargiante Wild Night, con l’intramontabile call and response condiviso questa volta con la brava Dana Masters, pezzo splendido, e che dire di una gagliarda Baby Please Don’t Go che non dimostra certo i suoi 50 anni e passa (solo dalla versione dei Them), con la band che tira alla grande, blues, rock e Van Morrison all’armonica, tutto perfetto anche nella swingante Don’t Start Crying Now, di nuovo dal lontano passato dei Them, il primo singolo della band pubblicato nel 1964. E per concludere il medley col trittico della memoria, Van e soci propongono anche una veemente Here Comes The Night, sempre caratterizzata da continui cambi di tempo. Every Time I See A River, ancora da Keep Me Singing, è una ballata splendida, degna di tutte quelle che l’hanno preceduta nel corso degli anni, un tipo di brano in cui Van Morrison è maestro assoluto, con la voce che sale e scende a piacimento, come se per lui il tempo si fosse fermato. Altro medley con la brillante Cleaning Windows e una sorprendente Be-Bop A Lula, riscoperta di recente dal vivo, appena accennata all’interno di un vortice di citazioni di celebri brani del passato. Anche Let It Rhyme ai tempi del concerto era nuovissima, un’altra bella canzone tratta da un disco, Keep Me Singing, che sicuramente è il migliore di Morrison degli ultimi venti anni, sorretto da una rinnovata ispirazione compositiva e che anche dal vivo mostra una freschezza di esecuzione invidiabile, con un ottimo Moran alla tromba.

Whenever God Shines His Light è un brano che il nostro amico ama molto, ma che abitualmente non mi fa impazzire, forse perché lo associo alla versione cantata con Cliff Richard, qui sostituito da una molto più incisiva Dana Masters che ripristina il tono gospel della canzone, poi ribadito anche in Sometimes We Cry, un brano tratto da The Healing Game, altra signora canzone e perla inestimabile tratta dal repertorio inesauribile dell’irlandese, che per l’occasione si supera anche grazie alla presenza stimolante della seconda voce femminile di una ispirata Masters. Sempre da Keep Me Singing viene anche Going Down To Bangor, molto bluesata e legata al passato, grazie all’uso dell’armonica a rinverdire gli amori del passato. E magiche ed intense sono pure le atmosfere di The Pen Is Mightier Than The Sword, penultimo brano tratto dall’album del 2016, con un ottimo interplay tra la slide di Keary e l’organo di Moran, come pure della title track Keep Me Singing, altro brano che rivaleggia con il glorioso passato del miglior Morrison. Enlightenment illustra il lato più spirituale della musica del grande cantautore di Belfast, un altro pezzo sontuoso estratto dal suo repertorio senza tempo, come anche Carrying A Torch, che viene da Hymns Of The Silence, degna controparte emotiva della canzone che la precede, ulteriore brano solenne che ispira riverenza per l’arte sopraffina di questo signore, che poi viene sublimata in una versione swingata e deliziosa di una delle sue canzoni più conosciute Brown Eyed Girl, sempre gioiosa e che ispira sentimenti positivi nell’ascoltatore, come pure la successiva Jackie Wilson Said, ennesima perla del suo songbook, un inno alla vita, alla bella musica e anche ad uno dei più grandi cantanti espressi dalla storia della musica nera. Come commiato questa volta niente Gloria (che stranamente non appare neppure nella parte irlandese del DVD), ma una comunque magnifica e corposa versione di In The Garden, un altro dei capolavori assoluti di Morrison, che canta con inimitabile aplomb il classico “No Guru No Method No Teacher” prima di congedarsi dal pubblico e la gente ne apprezza la commovente bellezza ancora una volta.

Ma non è finita qui. Il DVD come si diceva contiene anche lo short film di circa un’ora Up On Cyprus Avenue, registrato l’anno prima in occasione delle celebrazioni per il suo 70° compleanno, in una sorta di viaggio a ritroso fino alle sue origini, con il ritorno alla terra natale. La band che suona nel concerto è la stessa dell’anno successivo con l’eccezione di Robbie Ruggiero alla batteria invece di Clough. Mentre il repertorio. con qualche eccezione, è abbastanza differente dalla serata al BBC Theatre. Dopo una breve introduzione sulla storia passata di Morrison con la musica di Cyprus Avenue, il concerto si apre con lo strumentale Celtic Swing, un altro modo che è stato usato per definire la musica del grande Van, subito seguita dal medley Cleaning Windows/Be-Bop A Lula e poi da una avvolgente e maestosa Days Like This. Precious Time era su Back On Top, un pezzo tra R&B e soul, coinvolgente e ritmato, come nella migliore tradizione, mentre Sometimes I Feel Like A Motherless Children è un traditional (scusate il bisticcio) che si trovava su Poetic Champions Compose, un incalzante e urgente spiritual in cui Van si immedesima con grande empatia. Il medley del “passato” è leggermente diverso: si parte con Baby Please Don’t Go seguita da Parchman Farm dell’amato Mose Allison, per arrivare a Don’t Start Crying Now. It’s All In The Game è una vecchia canzone degli anni ’50 che Van Morrison ama molto, tanto da averla inserita nel suo album del 1979 Into The Music e questa versione è uno dei punti più esaltanti del concerto, si tratta di uno standard della canzone americana che ci permette di gustare la splendida voce del nostro amico in una esuberante e magistrale interpretazione che sfocia poi nella poca nota Burning Ground, che si trovava su Healing Game del 1997, comunque il miglior disco di Morrison degli ultimi 20 anni prima del recente Keep Me Singing.

In ogni caso anche questa è una versione splendida ed emozionante di un brano che ti lascia con il fiato mozzo per la sua bellezza. Una buona Whenever God Shines His Light fa da apripista per un altro dei classici imperdibili del suo repertorio ovvero And The Healing Has Begun, altra versione scintillante che anticipa la conclusione del concerto affidata ad un altro tributo alla memoria del passato, “ai giorni prima del rock and roll”, con la sognante ed eterea On Hyndford Street, altro brano magnifico, quasi declamato, che illustra la sua arte superba. E’quasi Pasqua e mi permetto un consiglio: se non lo avete ancora acquistato fatevi un regalo e comprate questo DVD, sono due ore e un quarto di pura magia e grande musica.

Bruno Conti

Tra Duchi E Conti Ci Si Intende! Duke Robillard – Calling All Blues

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The Duke Robillard Band – Calling All Blues – Dixiefrog/Stony Plain

Di Duke Robillard credo di avere detto, nel corso degli anni, anche sul Blog, in anni recenti http://discoclub.myblog.it/2013/04/17/piovono-chitarristi-2-the-duke-robillard-band-independently/http://discoclub.myblog.it/2010/11/16/blues-blues-e-ancora-blues-duke-robillard-passport-to-the-bl/, tutto quello che era umanamente possibile dire, ossia, sintetizzando, che si tratta di uno dei migliori bluesmen bianchi che abbia graziato la faccia di questo pianeta negli ultimi cinquanta anni circa: primo avvistamento del musicista di Woonsocket, Rhode Island con i Roomful Of Blues nel lontano 1967, quando aveva 19 anni. Ebbene, oggi che è un “arzillo” sessantaseienne, Robillard continua a fare quella musica  https://www.youtube.com/watch?v=hd7hZoFaUYA e per questa nuova prova discografica si presenta come The Duke Robillard Band e come il titolo, Calling All Blues, ampiamente prefigura, si tratta di un disco che ne vuole esaminare alcune delle mille sfaccettature, attraverso dieci brani perlopiù originali. Dal ricco Memphis Sound con fiati di Down On Mexico, dove si gustano con piacere anche l’organo di Bruce Bears e la voce di supporto di Sunny Crownover, ospite fissa in alcuni brani del disco, che si affiancano alle solide chitarre del Duke, Stratocaster per la ritmica e Esquire per la slide, come ricorda lui stesso nelle note. I’m Gonna Quit You Baby è un solido boogie, con Bears al piano, niente fiati e Sunny, ma una acustica per sostenere il ritmo e di nuovo l’elettrica in modalità slide, suonata con due dita legate fra loro a causa di una mano rotta, figurarsi se era sana, non manca il vocione di ordinanza e l’ottima ritmica di Brad Hallen al basso e Mark Teixeira alla batteria, precisi e puntuali come al solito.

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Svengali, con un florilegio di chitarre utilizzate per dargli un suono ricco ma anche vicino alle radici del blues classico, suona  un poco cooderiana nel suo incedere quasi rudimentale e primitivo, viceversa Blues Beyond The Call Of Duty è il classico slow blues di quelli dove organo e, soprattutto la chitarra di nuovo in modalità slide di Robillard, si divertono a sottolineare il cantato cristallino della brava Sunny Crownover, qui meno leggera e leziosa del solito, molto blues e grande intensità https://www.youtube.com/watch?v=9K2V6q7WJPU  . Emphasis On Memphis, scritto dalla strana accoppiata Gary Nicholson/Ron Sexsmith, è nuovamente un divertente R&B con fiati e voci di supporto a sottolineare il suono sudista della canzone, mentre Confusion Blues è la consueta escursione del nostro amico nello swing jazz raffinato, per l’occasione lasciando alla voce e al piano di Bruce Bears, qui molto alla Mose Allison, la guida del brano, riservandosi un assolo in punta di dita.

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Motor Trouble ha il suono del classico Chicago blues elettrico, con la voce di Duke raddoppiata e la solista in spolvero che conferisce alla canzone una grinta degna dei vecchi tempi, cosa che ogni tanto manca negli ultimi dischi, ma non è questo il caso. Nasty Guitar è un altro duetto tra Robillard e la Crownover e ha di nuovo quella grinta ed energia del precedente brano, fin nella “chitarra cattiva” del titolo che viene finalmente lasciata in libertà, per un altro assolo di quelli che dal vivo dovrebbero fare un figurone, Temptation, il brano più lungo con i suoi quasi sei minuti, ha una andatura sinuosa, punteggiata dalla tromba di Doug Woolwerton e dal piano elettrico di Bears, che unite alla chitarra “minacciosa” di Duke conferiscono alla canzone una ambientazione tra le paludi della Lousiana, dalle parti di New Orleans, eccellente assolo della solista incluso https://www.youtube.com/watch?v=MgEHGdoMXW4 . L’altra cover è un brano anni ’60 di una band minore (ma molto minore), tali Carter Brothers, probabilmente noti solo al nostro amico grazie alla sua enciclopedica conoscenza della musica, She’s So Fine, ancora con i fiati pronti alla bisogna per questo ulteriore tuffo nel vecchio soul, e che conclude degnamente questa nuova fatica del buon Duke. File under blues, non solo per “conoscitori e fanatici”!

Bruno Conti

Rock, Blues E Soul, Una Miscela Perfetta! Seth Walker – Sky Still Blue

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Seth Walker – Sky Still Blue – Royal Potato Family

Quando ascolti un album come questo Sky Still Blue ti verrebbe da dire “non solo Blues”, ma poi riflettendo, in effetti è blues, o quantomeno una musica chiaramente influenzata dalle classiche 12 battute https://www.youtube.com/watch?v=P9eZLvPNJaU . Anche se risulta mediata dalle esperienze musicali e di vita di Seth Walker, uno che in una carriera che ormai si estende su quasi due decadi e otto album (con questo) pubblicati, ha portato la sua musica dalla natia North Carolina al Texas, Austin, dove è vissuto per oltre dieci anni, poi a Nashville e infine a New Orleans, dove vive da un paio di anni e questo disco è stato registrato. Walker ha uno stile, sia vocale che chitarristico, molto laconico, mi verrebbe da dire una sorta di JJ Cale in trasferta in Louisiana, con questa resa sonora molto laidback, però ricca di nuances jazzate, à la Mosè Allison, se fosse stato un chitarrista, ma anche Charles Brown e Ray Charles, per volare alti e visto che siamo da quelle parti.

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La classe ovviamente non è quella ma Walker si difende alla grande, aggiungendo una quota funky della Crescent City, un pizzico di soul e gospel, grazie alla presenza delle McCrary Sisters, e, con l’aiuto di Oliver Wood, dei Wood Brothers, che produce, suona la seconda chitarra e si è portato il fratello Chris (Medeski, Martin & Wood) con il suo contrabbasso, oltre a una cinquina di canzoni, firma questo disco, molto raffinato e da centellinare negli ascolti, Sicuramente contribuiscono alla riuscita di questo bel dischetto anche Gary Nicholson, presente come autore in un paio di brani e che aveva prodotto il precedente Time Can’ t Change, oltre a partecipare anche a Leap Of Faith, entrambi gli album registrati in quel di Nashville https://www.youtube.com/watch?v=e3VYeq2czK8 , e che meritano, se volete approfondire, la vostra attenzione. Delbert McClinton, che ha partecipato all’ultimo album citato, quello del 2009, è un fan e ne ha cantato le lodi, le riviste americane, di settore e non, giustamente lo portano in palmo di mano, e Seth Walker in questo disco fa di tutto per meritarsi tutti i complimenti ricevuti.

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Lo fa senza sforzo apparente, con un lavoro che mette a frutto tanti anni di carriera e dove confluiscono le influenze citate prima, a cui si aggiungono le sue passioni per T-Bone Walker e Stevie Ray Vaughan, due musicisti che stanno agli antipodi.  Walker non è un cantante formidabile, ma assai interessante, la chitarra viaggia sempre su traiettorie inconsuete, tra jazz, blues e certo blue-eyed soul dalle fragranze delicate, anche gli altri musicisti utilizzati sono perfetti nei loro compiti, dalla sua road band, Steve McKey, basso e Derrick Phillips alla batteria, oltre a Jano Ritz che nei Wood Brothers suona la batteria, ma qui si inventa tastierista deluxe, a organo, piano e piano elettrico. E poi le undici canzoni sono veramente belle: che siano lo swampy blues, molto New Orleans, della deliziosa Easy Come, Easy Go, con la voce di supporto di Brigitte De Meyer, il titillante pianino di Ritz e la chitarra insinuante e magica dello stesso Walker, oppure il blues sanguigno (che non manca nell’album e nella precedente produzione del nostro amico) della potente Trouble (Don’t Want No), che ci fa capire perché il primo brano nel repertorio di inizio carriera di Seth era Cold Shot di SRV https://www.youtube.com/watch?v=XlMoAZ7mczE .

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Nel disco troviamo anche lo slow blues, virato gospel, quasi una magica ballata, di Grab Ahold, con le armonie vocali delle sorelle McCrary e un breve inserto di scat voce-chitarra https://www.youtube.com/watch?v=ihLg49jPdkY . Per non parlare (ma invece parliamone, perché no?) di una Another Way, tra funky moderato, quasi blue-eyed soul, alla Steely Dan, con un bel pianino elettrico a duettare con la chitarra  e lo strano R&B “valzerato” (ma esiste?) e acustico di Tomorrow, sempre raffinatissimo. All That I’m Askin’ alza la quota funky, aggiunge la tromba di Ephraim Owens, mette in evidenza il contrabbasso di Wood e ci aiuta a tuffarci nei meandri di New Orleans, con un sound comunque decisamente jazzato.

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High Wire, che cita il titolo dell’album nel testo, è una ballata da after hours che scorre sulle note dell’organo e della voce più laidback che mai di Walker, che si cimenta anche in un breve solo all’acustica. Ancora una meravigliosa e vellutata ballata, For A Moment There,  questa volta ricca di soul e con il contrappunto ancora delle bravissime McCrary Sisters, seguita dall’unica cover del disco, un Van McCoy di epoca pre-disco, Either Way I Lose, che diventa blues notturno, quasi minaccioso, con un notevole lavoro alla solista di Seth Walker. Chitarra ancora molto presente nel blues-gospel dell’intensa Jesus (Make My Bed), cantata benissimo e con grande partecipazione https://www.youtube.com/watch?v=YKG_-hnuo5w , come pure la dolcissima Way Too Far, che conclude in gloria questo piccolo gioiellino: veramente bravo!

Bruno Conti     

Gli “Inventori” dell’Heavy Metal? Blue Cheer – Vincebus Eruptum & Outsideinside

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Blue Cheer – Vincebus Eruptum – Sundazed

Blue Cheer – Outside Inside – Sundazed

Secondo alcuni le violente sferzate di Summertime Blues sono i primi poderosi “vagiti” dell’heavy metal (e del punk rock, dello stoner rock, del grunge…aggiungere a piacere). Secondi altri bisogna fare risalire questo “merito” a gruppi come Cream o Jimi Hendrix Experience che già qualche mese prima del fatidico gennaio 1968 in cui appariva Vincebus Eruptum dei Blue Cheer si erano affacciati, magari con maggiore classe, ma sicuramente con un fronte sonoro meno devastante di quello del trio californiano. Secondo le parole di tale Doug Sheppard della rivista Ugly Things i Blue Cheer sono stati il primo gruppo a “bastardizzare” il Blues, come dice nelle liner notes della ristampa della versione mono dell’album a cura della Sundazed, più di Cream e Led Zeppelin, che sempre nelle sue parole erano più deferenti verso le tradizioni. Ovviamente in queste parole c’è un po’ di partigianeria da parte di una rivista che dalle sue pagine parla soprattutto di Beat anni ’60, garage e rock psichedelico, tutti elementi presenti in abbondanti dosi nella musica dei Blue Cheer, ma è altrettanto vero che la versione del brano di Eddie Cochran, che poi verrà ripresa da lì a poco anche dagli Who in questo arrangiamento, ha veramente una potenza devastante come pochi altri brani dell’epoca (forse l’attacco di Kick Out The Jams degli MC5).

Non è la prima volta che questo album viene pubblicato: era già uscito nel 1993 per la Mercury Usa e anche l’italiana Akarma nella sua versione del 2003 aveva aggiunto una bonus track. Questa edizione “definitiva” ripristina l’album originale: 6 brani per un totale di 32 minuti scarsi, 3 cover e 3 brani originali firmati dal bassista Dickie Peterson che era anche il cantante della formazione. A completare la formazione il chitarrista Leigh Stephens e il batterista Paul Whaley e qualche tonnellata di sostanze sospette, ma neanche troppo. Ispirati dalla esibizione al Festival di Monterey del 1967 dell’Experience di Jimi Hendrix, il gruppo che in origine era un sestetto decise di adottare la formula del power trio per meglio sfruttare le potenzialità della propria musica. Il disco, con un titolo latino – me li vedo gli hippies e i rocker dell’epoca a entrare nei negozi di dischi americani “uè ce l’hai Vinkaybus aerouptum”arrivò all’11° posto delle classifiche Usa mentre anche il singolo entrò nei Top 20, ma erano altri tempi. Il suono è volutamente primordiale, distorto, con tutta la potenza consentita all’epoca dagli amplificatori Marshall e il cantato tra lo stoner e lo stonato di Peterson con la musica che deve qualcosa ai riff più semplici della musica di Jimi Hendrix, che aveva ben altra consistenza, per dirla tutta; Paul Whaley picchia con energia sui suoi tamburi mentre il basso di Peterson tiene ancorato con note profonde il sound del gruppo dove la chitarra di Stephens si occupa con assoli brevi e ficcanti, direi con un neologismo -“mononota”-,  di ricreare il vigore del Blues attraverso le nuove frontiere del rock.

E questo direte voi è solo il primo brano? Mica tanto, perché poi gli altri cinque se andiamo bene a vedere sono solo variazioni sul tema. Ok, abbiamo i tempi rallentati della versione di Rock Me Baby di BB King o gli otto minuti di Doctor Please dal testo “psichedelico” per i prodotti chimici utilizzati ma dal sound che tanto ricorda le cavalcate in libertà (le prime jam) di Cream e Hendrix all’ennesima potenza con più di un tocco di garage e psichedelia e il fervore percussionistico di Whaley che quasi pareggia la potenza di Keith Moon, Mitch Mitchell, Ginger Baker o John Bonham (ma quasi!). Out Of Focus e Parchment Farm (che poi sarebbe Parchman Farm di Mose Allison) offrono ulteriori variazioni sul tema e a ben ascoltare hanno parecchi punti di contatto anche con il suono dei Big Brother and The Holding Co. che però avevano nelle loro fila una cantante come Janis Joplin e qualche piccola differenza questo la faceva. Quindi una miscela tra suono californiano e le “nuove” derive blues-rock della scena musicale inglese con qualche elemento garage e il beat acido di Nuggets. Second Time Around è un altro brano proto-metal e conclude questo primo assalto alle vostre orecchie con l’immancabile, per i tempi, assolo di batteria.

Passano otto mesi e arriva Outsideinside, l’etichetta dell’epoca è sempre la Philips, il produttore è sempre Abe “Voco” Kesh, ma il nuovo ingegnere del suono è Eddie Kramer già con Hendrix e gli Stones e che poi avrebbe lavorato con Led Zeppelin e Kiss. La copertina è di Gut, che era il loro manager nonché ex Hells Angels e il disco prende il nome dal fatto che fu registrato sia dentro che fuori dagli studi di registrazione per cercare di contenere la potenza del suono che scaturiva dagli ampli della band. Questa volta il disco è stereo, fanno la loro timida comparsa delle tastiere come nell’iniziale Feathers From Your Tree, gli arrangiamenti sempre “picchiati” si arricchiscono di maggiori florilegi acidi e psichedelici e Leigh Stephens aggiunge delle nuove tonalità al suo campionario di solista e anche degli elementi dark che potrebbero ricordare i primi Black Sabbath. Il wah-wah di Sun Cycle è sintomatico di questa svolta e anche il cantato è meno urgente e frenetico ma non mancano le improvvise sventagliate ritmiche del recentissimo passato. Arriva anche il phasing alla batteria di Whaley per il brano Just A Little Bit con il ritmo che stantuffa come un treno e le chitarre che si inseguono nei canali dello stereo. Gypsy Ball potrebbe essere un brano di Hendrix ma in realtà è firmata Peterson/Stephens.

Come and Get It ritorna alle vecchie abitudini di “viuulenza” mentre la cover di Satisfaction degli Stones velocizzata in una sorta di futuristico incontro tra ritmi soul e punk-rock è più riuscita dell’altra cover del disco una The Hunter che sull’altro lato dell’oceano i Free di Rodgers e Kossoff avrebbero inserito pochi mesi dopo nel loro esordio Tons Of Sobs con ben altro tiro e potenza. Magnolia Caboose Babyfinger è un breve strumentale di poco più di un minuto sempre vicino a brani tipo Fire di Hendrix, psichedelia acida che viene ampliata e perfezionata nella conclusiva Babylon. I Blue Cheer hanno continuato in varie formazioni e combinazioni la loro carriera fin quasi ai giorni nostri ma i loro album “fondamentali” sono questi due.

Bruno Conti     

Le Novità Non Finiscono Mai. Per Fortuna! Mose Allison, Anais Mitchell, Black Rebel Motorcycle Club, Eccetera

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Dischi nuovi ne continuano a uscire (persino troppi) quindi il mercato resiste: ecco alcune ulteriori anticipazioni sulle uscite di marzo/aprile.

La prima riguarda i White Stripes di cui vi avevo parlato nel precedente post di anticipazioni novità: il loro nuovo disco dal vivo, Under Great White Northern Lights esce domani 12 marzo in Italia e il 15 in the rest of the world ma attenzione c’è anche l’edizione supermega deluxe per masochisti finanziari. E’ quel boxone che vedete effigiato qua sopra e consiste nel cd dal vivo (con libretto e confezione diverse dalla versione per poveri), doppio vinile 180 grammi, DVD documentario di 92 minuti con stesso titolo del CD, DVD del concerto per il 10^ anniversario, The White Stripes: Under Nova Scotian Lights di 135 minuti, 7 inch (il vecchio 45 giri) con due pezzi del vivo e grafica e colore del vinile diverso a seconda della vostra nazione di residenza, libro di 208 pagine con prefazione di Jim Jarmusch e una serigrafia. Prezzo? Tra i 205 euro e le 160 sterline. Secondo gli ottimisti (perché poi non si trova) ordinandolo direttamente nel sito dei White Stripes costa “solo” 140 sterline. Auguri!

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La settimana prossima (verso la fine), il 19 marzo esce su etichetta Anti il nuovo album di uno dei grandi “santoni” del jazz vocale mondiale, quel Mose Allison che Van Morrison adora per la sua diversità dall’intero universo sonoro jazz. Produce quel “diavolo” di Joe Henry che una ne pensa e cento ne fa, e non sbaglia un colpo. Dopo Ramblin’ Jack Elliott e Allen Toussaint questa volta è il turno di Mose Allison con questo The Way Of The World. Bella musica, per chi non lo conosce la possibilità di apprezzare uno dei grandi stilisti del jazz.

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IL nuovo album dei Black Rebel Motorcycle Beat The Devil’s Tattoo, per essere precisi, all’estero è già uscito la settimana scorsa, ma sul mercato italiano esce il 19 marzo (per cui rimane un’anticipazione). Anche qui tre versioni. normale, limited e vinile. La stranezza consiste nel fatto che la versione limitata e quella standard hanno entrambe tredici brani ma gli ultimi due sono differenti tra la due versioni. Misteri della discografia!

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Stesso discorso per il nuovo album di Anais Mitchell Hadestown: anche in questo caso negli States è già uscito mentre in Europa dovrebbe uscire a fine aprile. Si tratta dell’ennesima rivisitazione del mito di Orfeo ed Euridice (progetto in divenire già più volte rappresentato dal vivo)

questa volta in chiave di folk opera. Lei è una bravissima cantautrice, protetta di Ani DiFranco (per la cui etichetta Righteous Babe esce il progetto) che partecipa al’album in compagnia di Justin Vernon, più conosciuto come Bon Iver, Ben Knox Miller dei Low Anthem, le tre sorelle Haden, Petra, Rachel e Tanya e il grande Greg Brown (non sapete chi é? Per parafrasare “Il Più grande cantautore sconosciuto d’America”, solo per chi è pigro e non ama la ricerca dei grandi talenti). Si dice un gran bene di questo disco, recensione in uno dei prossimi post. Mi devo ricordare anche di Bonamassa e Kathy McCord (bellissimo) già promessi!.

Bruno Conti