Un Ripasso Più Che Doveroso! Lou Reed – The Sire Years: Complete Albums Set

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Lou Reed – The Sire Years: Complete Albums Set – Sire/Warner 10CD

Due anni fa, ad Ottobre, moriva prematuramente Lou Reed, uno dei grandi, anzi secondo me uno dei più grandi di tutti i tempi (e celebrato scandalosamente in sordina dalla stampa “che conta”, ma si sa che tra Lou ed i media l’amore non era mai sbocciato), e non è che da allora il mercato discografico sia stato inondato di iniziative a lui dedicate (anzi): è quindi con piacere che accolgo la pubblicazione di questo The Sire Years, che si occupa dell’ultima parte della carriera del rocker newyorkese, live compresi (mancano gli ultimi due album, cioè Berlin Live ed il CD in collaborazione coi Metallica Lulu, in quanto usciti per altre etichette…ed evito di citare il disco ambient Hudson River Meditations ed il live rumoristico The Creation Of The Universe preferendo consegnarli ad un giusto oblio). L’opinione comune è che il miglior periodo di Reed sia quello con la RCA/Arista, durante il quale il nostro ha prodotto capolavori assoluti come Transformer e Berlin e grandi album come Coney Island Baby, Street Hassle, The Bells e The Blue Mask, oltre a quello che per me è il più bel disco dal vivo di sempre dopo il Fillmore East degli Allman Brothers Band, cioè il formidabile Rock’n’Roll Animal: ebbene, questo boxettino smentisce in parte questa teoria, perché se è vero che Lou dopo il 1986 ha diradato di parecchio la sua produzione, è anche indubbio che ha sempre mantenuto un livello di qualità molto alto. Questo cofanetto è quindi indispensabile per chiunque voglia approfondire il discorso musicale dell’ex Velvet Underground, favorito anche dal costo per una volta contenuto (la confezione è di quelle spartane, niente note e bonus tracks, né rimasterizzazione, ma i dischi di Lou hanno sempre suonato benissimo): è dunque opportuno un breve ripasso dei dieci dischetti contenuti nella confezione.

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New York (1989): Lou inizia col botto la sua nuova avventura discografica, cioè con quello che è il suo disco da me preferito dopo Transformer. New York è, come da titolo, un concept dedicato alla sua città, che descrive con toni talvolta pieni d’amore, altre volte duri e critici, non mandandole a dire come da suo costume e facendo nomi e cognomi (Rudy Giuliani, allora non ancora sindaco, Jesse Jackson, George Bush Sr., ma anche Mike Tyson e Papa Wojtyla) e preferendo parlare più del degrado urbano e dei bassifondi che dei lati positivi. Musicalmente il disco è molto rock e diretto, e vede il nostro in grande forma, accompagnato da una solida ed essenziale band e con ospiti come Maureen Tucker e Dion. Le grandi canzoni sono più d’una, dalle roccate Romeo Had Juliet, Busload Of Faith, There Is No Time e la potente Strawman, ma anche ispirate ballad come Halloween Parade, Endless Cycle o la vivace Sick Of You. Ma la punta di diamante è senza dubbio Dirty Blvd., un instant classic che dal quel momento nei concerti assumerà la stessa importanza di Walk On The Wild Side e Sweet Jane.

Songs For Drella (1990): accreditato a Lou insieme all’ex compagno dei Velvet John Cale, Songs For Drella è un affettuoso e poetico ma anche ironico omaggio al loro ex mentore Andy Warhol scomparso da poco (Drella era un suo soprannome, un incrocio tra Dracula e Cinderella, usato per descrivere il suo carattere, un misto di crudeltà e dolcezza). Suonano tutto Lou e John, il primo la chitarra ed il secondo piano e viola, ma le interpretazioni sono talmente intense che non ci si accorge dell’assenza di una band: data l’unitarietà del lavoro ha poco senso citare un brano piuttosto di un altro, ma se proprio devo dico la bella Open House, la deliziosa Nobody But You e la commovente Hello It’s Me, in assoluto una delle più toccanti interpretazioni di Lou.

Magic And Loss (1992): un altro grande disco, anche se molto diverso da New York: Magic And Loss è un album cupo e permeato da testi che parlano della morte (è infatti ispirato alla scomparsa di due cari amici di Lou, uno dei quali è il noto songwriter Doc Pomus), un tema trattato con molta meno leggerezza che su Songs For Drella, ma con un valore poetico tra i più alti mai raggiunti dal nostro. Da segnalare la diretta What’s Good (il singolo dell’epoca), la cupa ma intensa Magician, la splendida Sword Of Damocles, una delle canzoni più emozionanti di Lou, o la scorrevole Warrior King. E se non vi viene la pelle d’oca ascoltando Cremation e Harry’s Circumcision vuol dire che siete dei duri di cuore.

Set The Twilight Reeling (1996): a quattro anni da Magic And Loss (ma nel mezzo c’è stata la reunion con i Velvet Underground) Lou torna con un buon disco, anche se inferiore ai precedenti (il classico tre stelle e mezza). Ispirato in parte ancora da New York, Set The Twilight Reeling ci consegna un Reed comunque in buona forma, e si fa ricordare per l’accattivante HookyWooky, la dura Egg Cream, la controversa Sex With Your Parents ma anche per cose più rilassate come NYC Man, che sembra un rifacimento di Walk On The Wild Side, o la title track, una ballata coi fiocchi, una delle più belle di Lou, che da sola vale l’acquisto del CD.

Perfect Night: Live In London (1998): dopo l’inarrivabile Rock’n’Roll Animal, questo è il live di Lou che preferisco. Registrato in modalità elettroacustica (ma full band) al Meltdown Festival di Londra nel 1997, e con un suono davvero spettacolare, Perfect Night vede il nostro in forma strepitosa presentare una bella serie di classici del suo repertorio. La sequenza iniziale formata da I’ll Be Your Mirror, Perfect Day, The Kids, Vicious (molto diversa da quella conosciuta), Busload Of Faith e Kicks è semplicemente da urlo, ma poi abbiamo anche una stupenda Coney Island Baby, una convincente New Sensations, fino al finale a tutto rock’n’roll di Dirty Blvd. Imperdibile.

Ecstasy (2000): l’ultimo grande disco di studio di Lou (infatti a distanza di quattro anni dalla sua uscita non ho ancora deciso se Lulu è un mezzo capolavoro o un mattone indigeribile), Ecstasy è un ottimo lavoro di classico rock alla maniera del nostro che, ad eccezione della pesantissima ed inascoltabile Like A Possum (diciotto minuti quasi rumoristici), contiene diverse canzoni di livello medio-alto, come la quasi rollingstoniana Paranoia Key Of E, la grintosa Future Farmers Of America, la superba ballad Turning Time Around o la conclusiva e trascinante Big Sky. Però la copertina che ritrae Lou con un’espressione orgasmica ce la potevano risparmiare.

The Raven (2003): uno dei progetti più ambiziosi del nostro, cioè la riscrittura e messa in musica delle opere del grande Edgar Allan Poe, per un disco in parte deludente. Nonostante i molti ospiti di nome (David Bowie, Ornette Coleman, la moglie Laurie Anderson, Kate & Anna McGarrigle, The Blind Boys Of Alabama, oltre purtroppo al solito Antony che rovina coi suoi gorgheggi, o sarebbe meglio dire gargarismi sotto acido, un rifacimento della splendida Perfect Day) l’album soffre una certa pesantezza di fondo, ed i continui intermezzi narrati non contribuiscono di certo a rendere più fruibile il tutto (esiste anche una versione singola senza le parti parlate). In più, dal punto di vista compositivo il lavoro suona involuto e cerebrale, ed i brani che salvano la baracca sono quelli (pochi) dove Lou lascia fuoriuscire maggiormente la sua vena più classica: Edgar Allan Poe, un furioso ed adrenalinico rock’n’roll, Call On Me, uno slow di grande impatto emotivo, e soprattutto la maestosa Who Am I?, che farebbe la sua bella figura su qualsiasi disco del nostro.

Animal Serenade (2004): un altro live, doppio (registrato al Wiltern di Los Angeles), con un Lou Reed insolitamente loquace e spiritoso, ma quando suona fa sul serio eccome: la band è un macigno (fatta eccezione per l’ingombrante presenza di Antony Hegarty ed i suoi insopportabili vocalizzi), ed il disco ha un’atmosfera piuttosto cupa. Ci sono diversi classici dei Velvet, tra cui una toccante Sunday Morning (raramente proposta dal vivo) ed una magnifica Venus In Furs, mai così cruda ed agghiacciante; ottime anche Tell It To Your Heart, The Day John Kennedy Died ed una Street Hassle che fa il paio con Venus In Furs in quanto a drammaticità.

Considerazione finale: nel riascoltare questi dieci dischetti mi è venuta voglia di ripassare anche gli album precedenti di Lou Reed. Potenza della (grande) musica.

Marco Verdi