Proseguono I Segnali Incoraggianti! Amos Lee al 1° Posto e gli Iron & Wine al 2° Posto Delle Classifiche USA

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Proseguono i segnali di risveglio della musica di qualità ( o di morte definitiva secondo altri analisti) nelle classifiche di Billboard. Dopo i Decemberists che la settimana scorsa hanno esordito direttamente al 1° posto delle classifiche di vendite USA con The King Is Dead (e questa settimana mantengono un rispettabile decimo posto), in questa prima di febbraio è la volta di Amos Lee con il suo ottimo Mission Bell installarsi al n.1 con Iron & Wine Kiss Each Other Clean al n.2. Quello che preoccupa i discografici è il numero di copie che sono state sufficienti ai due dischi per raggiungere quelle posizioni (40.000 e 39.000 rispettivamente), tra le più basse nella storia delle classifiche degli States, a conferma dell’inesorabile (e speriamo lento) declino del supporto di vendita CD, ma non a favore di altre alternative visto che il download digitale non fa faville a sua volta.

Per essere onesti (e dirla tutta) però la settimana scorsa il CD dei Decemberists aveva raggiunto il primo posto vendendo novantamila copie, quindi una quantità più che rispettabile di dischi in una sola settimana. A conferma dei segnali positivi il disco di Gregg Allman Low Country Blues non è precipitato oltre il 100° posto ma è rimasto al 15° e il disco dei Mumford and Sons a più di un anno dall’uscita è arrivato al 6° posto, ovvero la posizione più alta mai raggiunta. Finite queste tristi (ma spero utili) statistiche due parole ulteriori sui dischi ai primi posti.

Il disco di Amos Lee, pubblicato dalla Blue Note e distribuito dalla EMI (ma non in Italia, per il momento, a differenza dei precedenti) è il suo quarto disco ed è molto bello. Presentato ad inizio carriera come una sorta di Norah Jones al maschile in effetti Amos Lee è un cantautore nel significato più nobile e classico del termine, pensate ad un incrocio, almeno a livello vocale, tra James Taylor e Cat Stevens, quindi una bella voce, Lee scrive anche delle gran belle canzoni e questo nuovo Mission Bell ne è pieno, dodici brani tutti firmati da lui e prodotto da Joey Burns dei Calexico che suona anche nel disco insieme al collega Convertino.

Sin dall’iniziale El camino e proseguendo con la suggestiva Windows are rolled down si capisce che ci troviamo di fronte ad un ottimo album. Violin poi è addirittura splendida, una costruzione sonora da cinemascope, ampia e avvolgente cantata in modo appassionato da Lee, una pedal steel che sovraintende le operazioni e il risultato finale è veramente da incorniciare. Tra gli ospiti anche Sam Bean degli Iron & Wine (che quindi occupa contemporaneamente i primi due posti delle classifiche come ai tempi dei Beatles) e due nomi importanti come Lucinda Williams che duetta con Lee nella dolce Clear Blue Eyes da pari a pari (tutti i musicisti che partecipano sono anche fans di Amos Lee e della sua musica). A chiudere le operazioni la lunga (oltre 9 minuti) Behind Me Now in medley con la ripresa di El Camino questa volta in duetto con la riconoscibilissima voce di Willie Nelson, anche in questo caso risultato ottimo e assolutamente paritario vista la autorevolezza della  interpretazione di Amos Lee. Se non lo conoscete già ve lo consiglio perché è veramente bravo.

Anche gli Iron & Wine ( o Sam Bean se preferite) sono sulla scena da parecchi anni e questo Kiss Each Other Clean dovrebbe essere il quarto album di studio, oltre ad alcuni live, raccolte di B-Sides, EP e collaborazioni (curiosamente anche lui con i Calexico, In The Reins uno dei più belli della sua discografia). Anche in questo caso potrebbe essere il miglior disco fino ad ora (ma alcuni fans della prima ora non gli perdonano l’allontanamento dalle atmosfere lo-fi dei primi dischi a favore di un suono più “commerciale” ma anche più completo!).

Comunque per me il disco è molto bello, sin dall’iniziale, epica e semplice al tempo stesso, Walking Far From Home, si respira un’aria molto anni ’70 (come un po’ in tutto il disco d’altronde) e non è mica un delitto voler fare dei dischi che possono piacere a tutti, soprattutto se sono belli! Qualcuno non ha apprezzato il vago funky di Me and Lazarus, funzionale al contenuto del brano e con l’apparizione inconsueta di un sax. Tree by the river combina una minima elettronica appena accennata a coretti celestiali, funky, synth e elettronica che si fanno più marcati nella francamente inconsistente Monkeys Uptown. Meglio le atmosfere rilassate e solari della piacevole Half Moon e le strane sonorità filtrate di Rabbit Will Run. Godless Brother In Love è una di quelle ballate malinconiche e acustiche che tanto caratterizzano, in modo positivo, la musica di Sam Bean, anche in questo caso obiettivo riuscito. Big Burned Hand è uno strano funky-blues con voce filtrata e ancora il sax in evidenza, inconsueto ma non male nell’insieme. Glad Man Singing è una bella ballata vagamente mid-tempo molto solare e malinconica al tempo stesso, nel contrasto tra la voce di Beam e i coretti di sottofondo. Concludono i 7 minuti di Your Fake Name Is Good Enough For Me dove le sonorità si rivolgono addirittura verso gli Steely Dan (e in generale molto seventies, comunque interessanti e complesse) o così mi è parso di captare. Se volete l’unico appunto (ma minimo) che per il sottoscritto vale per tutti i dischi degli Iron & Wine è la voce non particolarmente memorabile del nostro amico ma musicalmente sicuramente il disco è molto valido.

Bruno Conti

Gironzolando Per Classifiche. Clamoroso Al Cibali! I Decemberists al N°1 Delle Classifiche USA

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Ogni tanto mi faccio un giro per le classifiche di vendita “all over the world” alla ricerca di qualche buona notizia sulla discografia mondiale ma il più delle volte me ne torno scornato o al massimo trovo un disco interessante di cui parlare sul Blog (a proposito, l’avevo già segnalato mesi fa, ma visto che ormai il Blog consta di 465 Post e oltre 90 pagine da visitare, non tutti quelli che lo scoprono si fanno un giro a ritroso fino alle origini, per cui ve lo linko di nuovo, si chiama Charts all over the world e trovate qualsiasi tipo di classifica, di qualsiasi paese vi venga in mente e quindi per il vostro divertimento http://www.lanet.lv/misc/charts/).

Questa settimana sembrano tornati gli anni ’70 (in quanto a buona musica non per il genere musicale, ma un po’ sì!), la classifica americana recita così:

1) The Decemberists – The King Is Dead (disco bellissimo che mi riprometto di trattare approfonditamente nei prossimi giorni, quello che manca è il tempo per parlare di tutti gli argomenti e comunque su tutte le riviste musicali è stato un plebiscito, super consigliato!)

2) Kidz Bop Kids – Kidz Bop 19 per la serie nessuno è perfetto, si tratta di un album dove dei ragazzini cantano molti successi nuovi e vecchi ed è arrivato al n.19 della serie, questo non ve lo consiglio, a meno che non siate fans delle trasmissioni di Antonella Clerici e Gerry Scotti!

3) The Script – Science & Faith il secondo disco del trio irlandese dopo aver raggiunto, qualche mese fa, il primo posto delle classifiche inglesi e irlandesi esordisce al terzo posto di quelle degli States. Non sono malaccio, non mi fanno impazzire ma nel piattume generale…

4) Social Distortion – Hard Times and Nursery Rhymes anche i veterani del punk rock americano, sempre guidati dall’ottimo Mike Ness, dopo oltre 30 anni di onorata carriera e a sette anni dal precedente centrano la posizione più alta mai raggiunta nelle classifiche di vendita!

5) Gregg Allman – Low Country Blues questa poi è clamorosa! E con un disco di pezzi di Blues per niente facile, ma bellissimo. Ma allora c’è ancora speranza!

e qui con Warren Haynes

 

E in Inghilterra cosa succede? Niente di buono se non che Rumer resiste nei Top 10 dopo 12 settimane e i Mumford and Sons all’11 dopo 68 settimane di permanenza nelle classifiche di vendita, per il resto stendo un velo pietoso ( solite facce e soliti culi o viceversa, o anche insieme), almeno per me. Se volete verificate!

Nella vicina Irlanda non va molto meglio: salviamo Adele che con il nuovo 21 esordisce al n°1 (in Inghilterra stranamente non appare ancora) e gli Iron and Wine al n.14 con Kiss Each Other Clean.

Nella lontana Australia non va molto meglio, sì ci sono Angus and Julia Stone ancora al 10° posto ma il disco ormai è in classica da 45 settimane, bel disco comunque.

Nella vicina Nuova Zelanda i Mumford and Sons sono sempre al primo posto (ma quanti dischi hanno venduto in tutto il mondo?).

Non male anche in Canada con i Pearl Jam direttamente al secondo posto con Live On Ten Legs, i Decemberists al 4°, The Script al 6° e Mumford and Sons all’8°.

Qualche curiosità qua e là: in Svezia The Promise di Springsteen è 10° e i Social Distortion 11°, in Norvegia c’è una antologia dei Bellamy Brothers al n.2 (ma la settimana scorsa era 1°) mentre guida la charts Sie Gubba con Alt Du Vil Ha ( e chi cacchio è? Adesso con la fortuna che mi ritrovo tra qualche giorno arriva qualche fan che si lamenta)!

Per la serie consoliamoci perché c’è a chi va peggio, in Olanda al n°1 troviamo il mitico Marco Borsato che ha iniziato la sua carriera di successi con una cover in olandese di Storie di Tutti i Giorni di Riccardo Fogli.

Per concludere su una nota di speranza: di tutti i paesi del mondo che uno potrebbe pensare chi l’avrebbe mai detto che al n°1 in Portogallo ci sono i Pearl Jam!

Per oggi è tutto, passo e chiudo!

Bruno Conti

Il Notaio Conferma. Grande Disco! Gregg Allman – Low Country Blues

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Gregg Allman – Low Country Blues – Rounder/Universal 18-01-2011 USA – 25-01-2011 ITA

E come avrebbe potuto essere diversamente? Comunque, come sempre, ho applicato il sistema San Tommaso, provare per credere! Dopo un prolungato e approfondito ascolto del disco non posso che confermare le sensazioni (e recensioni) positive che hanno accompagnato questo nuovo album di Gregg Allman. Il settimo da solista dopo quasi 13 anni dal precedente e il primo disco di studio dalla morte dell’amato produttore Tom Dowd.

Greg Allman è stato quasi forzato a questo disco, spinto dall’incontro avvenuto con T-Bone Burnett, nuovo Re Mida della musica di qualità che raramente sbaglia un colpo. Anche in questo caso ha radunato un manipolo di validi musicisti ai Village Recorder Studios di Los Angeles nel gennaio 2010, oltre ai soliti Dennis Crouch e Jay Bellerose che costituiscono una sezione ritmica collaudatissima, c’è Doyle Bramhall II alle chitarre elettriche e slide, lo stesso T-Bone Burnett alla chitarra, una aggiunta di gran pregio nella figura carismatica di Dr.John, grande pianista e amico di Gregg, che in un divertente aneddoto racconta essere la prima volta che si rivedevano dai tempi in cui erano completamente strafatti, “con il naso al pavimento” dice letteralmente (anche se questo non ha impedito ad entrambi di fare dell’ottima musica). C’è anche una ottima sezione fiati guidata dal trombettista Darrell Leonard che ai tempi di Delaney & Bonnie aveva lavorato con il fratello Duane.

Il risultato, come avrete letto in varie riviste, è ottimo e potrete verificarlo tra qualche giorno anche se per i soliti misteri del mercato internazionale in Italia uscirà una settimana dopo rispetto agli Stati Uniti.

E’ il primo disco per la nuova etichetta Rounder e consta di dodici brani, intrisi di blues e interpretati alla grande da Gregg Allman che ultimamente ha recuperato una invidiabile forma dopo il trapianto al fegato dello scorso giugno (la foto allegata è di gennaio di quest’anno). Il disco però era stato inciso prima dell’intervento ma non si direbbe dalla voce del nostro amico che appare calda ed espressiva come nei giorni migliori dei primi Allman Brothers o dell’album Midnight Rider. Il Blues, rivisto attraverso un’ottica sudista come musicista con il fratello Duane, ma anche come semplici appassionati in veste di ascoltatori è sempre stato la colonna sonora della vita degli Allman e in questo disco, con l’aiuto di T-Bone Burnett che da una montagna di 10.000 brani Blues più o meno oscuri ne ha ricavati una ventina da proporre per il disco e questi dodici (ma pare ne siano stati registrati 15) sono il risultato finale.

Il suono è quello classico di Burnett che dice di essersi rifatto anche alle sonorità pulite ed efficaci delle produzioni di Tom Dowd, uno dei più grandi in questo lavoro, ma mi sembra di rilevare anche un certo tipo di suono che si rifà ai vecchi dischi Chess o addirittura in un ambito più “bianco” alle prime produzioni della Blue Horizon di Mike Vernon, quando il suono si elettrificava ma rimaneva rispettoso del grande Blues di Chicago.

Questo è vero a maggior ragione soprattutto nei primi quattro brani: dall’iniziale Floating Bridge proveniente dal repertorio di Sleepy John Estes, una sorta di hard country-blues con il piano di Dr.John e la slide di Bramhall a punteggiare il cantato molto cadenzato di Gregg Allman, la sezione ritmica tiene un bel beat e la canzone è molto bella. In Little by little entra il classico suono dell’organo Hammond e la voce di Allman ci riporta agli esordi della sua carriera, il brano è di Junior Wells ma il piano di Dr.John lo tramuta verso lidi più pianistici e la chitarra di Bramhall è pungente ma non pervasiva (come è nel suo stile). Devil Got My Woman è uno dei classici del blues, un brano di Skip James, dalle sonorità arcane estrinsecate in una lunga introduzione solo voce e chitarra acustica a cui si aggiungono gli altri musicisti per una canzone che profuma di blues d’altri tempi, Greg Allman è sempre molto ispirato alla voce che viene usata con rinnovato vigore. I Can’t Be Satisfied suona come nei vecchi dischi di Muddy Waters, di cui era un cavallo di battaglia, rivista in un’ottica molto rispettosa senza troppi fronzoli ma suonata come Dio comanda da quegli ottimi musicisti e anche se la voce non è quella di Waters è altrettanto significativa e riconoscibile, non puoi sfuggire è lui, “quello degli Allman Brothers”!

Finita la prima parte a questo punto entrano i fiati e Blind man è un brano strepitoso, scritta da Little Milton ma resa celebre da Bobby Blue Band, rivive nella interpretazione di un Allman pimpantissimo a livello vocale, grande brano che ripropone il blues fiatistico dei primi anni ’60 in modo strepitoso. L’unico brano inedito di questo disco, scritto con la collaborazione di Warren Haynes, Just Another Rider è una perla di southern rock classico che ci riporta ai fasti dei tempi d’oro (e magari futuri visto che T-Bone Burnett è stato cooptato per produrre il prossimo disco di studio degli Allman Brothers e se il buongiorno si vede dal mattino…). Bello anche l’assolo, presumo di Doyle Bramhall, che non ha l’intensità di quelli di Haynes e Trucks ma notevole gusto.

Please Accept My Love è un brano di B.B King ma in questa versione sembra venire da un vecchio disco di Fats Domino, puro New Orleans anche per la presenza di Dr.John, ma chi ne esce alla grande è ancora Gregg Allman che canta con una verve incredibile, con fiati, chitarre e tastiere che gli danzano intorno in maniera deliziosa mentre la sezione ritmica swinga alla grande. I’ll Believe I’ll Go Back Home faceva parte del repertorio di John Lee Hooker ma viene rivisitata in una versione pià accelerata, quasi country-blues, diversa dallo stile ieratico di Hooker ma altrettanto efficace. Tears Tears Tears di nuovo con l’Hammond e il piano, e i fiati, in evidenza è un classico slow blues jazzato dal repertorio di una delle altre grandi icone del suono di New Orleans, Amos Milburn che prediligeva solitamente tempi più intrisi di boogie and roll ma sapeva anche dosare le emozioni su tempi più rilassati, il buon Gregg canta sempre alla grande.

My Love is your love è un brano non conosciutissimo del repertorio di Ivory Joe Hunter, sempre le 12 classiche battute del Blues rinforzate da un coro di voci femminili che di tanto in tanto sottolinea la voce di Allman. Il risultato finale mi ricorda anche i prima citati musicisti del British Blues revival, Fleetwood Mac, Chicken Shack, Savoy Brown ma anche il primo Mayall. Così, una impressione personale!

Checking On My Baby di Otis Rush è puro, non adulterato, classico, Chicago Blues diretto ed immediato e in una versione che rende giustizia all’originale, Rush è insuperabile alla chitarra (anche se Bramhall fa del suo meglio) ma la parte vocale di Gregg Allman è di caratura superiore.

Come nella conclusiva Rolling Stone uno dei brani tradizionali che hanno fatto la storia del Blues (e della musica, dando il nome a un gruppo, una rivista e uno dei brani più belli di Dylan): questa versione ha un arrangiamento strepitoso, una sorta di lento avanzare ritmico, un qualcosa che si avvicina ma non ti raggiunge mai, incalzante, minaccioso (il diavolo, un amante tradito, chi può dirlo), scandito dal piano di Dr.John, dalla slide acustica di Doyle Bramhall II, dalla sezione ritmica quasi primitiva e dalla voce ispirata di Gregg Allman. Veramente un gran finale per un disco che riporta agli antichi fasti uno dei musicisti e delle voci più importanti della scena musicale americana. Duane Allman è stato sempre giudicato il più bravo ma in questo disco Gregg si ripropone ai suoi migliori livelli qualitativi. Non solo Blues ma Musica con la lettera maiuscola per un inizio scoppiettante del 2011!

Bruno Conti