Meglio La Figlia…Heidi Feek – The Only

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Heidi Feek – The Only – Western PinUp Records

Una delle regole auree quando recensisco qualche disco (ma anche negli ascolti privati, sin dai tempi del vinile) è quella di ascoltare prima e leggere poi, per avere un giudizio sgombro da condizionamenti. Certo le note di copertina, per i titoli, eventuali musicisti ed ospiti ed i testi, si leggono mentre si ascolta il CD. Ma nel caso di questa giovane (e assai carina) Heidi Feek le informazioni sono veramente scarse, rete esclusa, dove si trova tutto. The Only dovrebbe (lo è, poi ho verificato) essere il suo album di esordio e la mia prima impressione ascoltandolo, sin dalla canzone di apertura, I Like The Way, lo giuro sul manuale delle Giovani Marmotte, è stata quella di trovarmi di fronte ad una novella Neko Case (quella più country alternative del primo periodo), accompagnata dalla band di Chris Isaak e con molte similitudini anche con Patsy Cline e Roy Orbison. Per cui mi ha fatto poi molto piacere verificare sul suo sito che la ragazza si è autodefinita: “un misto dell’estasi di Patsy Cline, la carica emotiva di Chris Isaak e le balle di Neko Case”.

E tutto calza a pennello, la giovin signora è veramente brava, bella voce (retaggio familiare, è la figlia di Joey+Rory, un duo country-bluegrass che negli ultimi anni ha pubblicato una serie di buoni album, l’ultimo, lo stesso giorno di uscita di questo The Only), molti anni on the road proprio con i genitori per affinare le sue qualità ed una notevole freschezza, nonché una buona penna, a giudicare dalle canzoni contenute nell’album.

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E’ ovvio che ormai nulla si crea e nulla si inventa, ma se ciò che fai lo esegui bene è già è un buon punto di partenza. E qui ci siamo! Registrato negli studios di Nashville dal profetico nome Welcome To 1979 (quello mi era saltato subito all’occhio leggendo le note, pensavo fosse una cantante dedita alla musica anni ’70 e in effetti qualcosa c’è), co-prodotto con il babbo Rory (che firma con lei anche gran parte dei brani), con un manipolo di validi musicisti in cui spicca la chitarra elettrica di Jeremy Felzer (che suona anche con Caitlin Rose, un’altra di quelle brave), che nella band svolge il ruolo che fu di James Calvin Winsley nei primi quattro e migliori dischi di Chris Isaak, con un sound riverberato e meraviglioso che ci riporta agli anni ’50 e ai primi anni ’60. Dopo la movimentata apertura, i ritmi si fanno più rilassati in Someday Somebody, con il “chitarrone” di Felzer che ben si accoppia con una pedal steel e le tastiere che sono gli altri elementi portanti del sound del disco e  la voce mi ricorda quella di una delle due cantanti dei Fleetwood Mac, ma Christine McVie che non viene mai citata a favore di Stevie Nicks, pur avendo la voce migliore, anche se forse meno caratteristica. 57 Bel Air ha quell’aria Orbison/Elvis anni ’50 ma con un suono anni ’70, appunto molto Fleetwood Mac epoca West Coast. The Only ha qualche la cadenza alla Patsy Cline, o meglio, molto vicina alla prima Neko Case quando era una piccola Orbison in gonnella.

Berlin, sempre in una atmosfera molto ricca di riverberi, introduce anche qualche elemento jazzy and blues, con un bel lavoro delle tastiere e nel suo essere vintage ha comunque un “feel” contemporaneo, come tutto il disco peraltro, raffinato e ricercato, ma con la giusta dose di pop, come usavano fare ai tempi tutti i nomi citati, perché non è un delitto, se ben fatto. One Night With You si candida per qualche futura colonna sonora di Quentin Tarantino, chitarra acustica che affianca la solita elettrica svisata, contrabbasso anche con archetto, un drumming molto composito, la pedal steel sullo sfondo e un’atmosfera molto noir che potrebbe ricordare certe cose di Anna Calvi, cantata con gran classe. Pretty Boy, sempre a proposito di Fleetwood Mac, ha un groove che ricorda moltissimo Rhiannon, completa di breve assolo alla Lindsey Buckingham, sempre se l’avesse cantata la voce più profonda di Christine McVie.


Take It Slow è una bella ballata molto sixties e There Lives A Fool, viene da ancora prima, con la già citata Cline nel DNA, quel country pop di gran classe che allora usava. I Don’t Know About You è nostalgia allo stato puro, West Coast, ma di quella dei Beach Boys, surf-pop con un pizzico di Anka e Sedaka. Per l’unica cover del disco cosa ti va a pensare la geniale figlia d’arte? Ragazzi, che ne direste se facessimo una bella versione di Heartbreak Hotel? Ma rallentata, moolto rallentata, non tipo la versione di John Cale, stiamo dalle parti di Chris Isaak, non potendo competere con la voce di Orbison, facciamola ad una tonalità molto più bassa. E sapete una cosa? Funziona, come tutto il resto del disco. Vedremo come evolverà la sua carriera, per il momento, promossa!

Bruno Conti  

Novità Di Settembre Parte Ia. Neko Case, North Mississippi Allstars, Volcano Choir, Reckless Kelly, Sweet Relief III

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E siamo arrivati anche a settembre: consueta lista delle uscite previste per domani, martedì 3 settembre (le date che leggete abitualmente sul Blog, sono indicative e sono quelle segnalate da case discografiche, etichette e siti degli artisti, per cui può capitare che i CD siano in circolazione anche prima di quella data, ma in modo diciamo non ufficiale). Questa settimana escono anche le due ristampe di Mike Oldfield, Crises e Five Miles Out in vari formati, di cui cui vi avevo parlato già nel lontano giugno, dell’ottimo Okkervil River avete letto ieri, esce pure un CD+DVD, DVD o Blu-Ray di Bryan Adams, Live At Sydney Opera House, il nuovo Over The Rhine, Meet Me At The Edge Of The World, di cui vi ha parlato chi scrive, il doppio Rarities di Rod Stewart e altri dischi, tipo Nine Inch Nails e John Legend, che non rientrano nel target del Blog. Più parecchie altre novità interessanti che trovate divise in due parti, come sta diventando abitudine consolidata.

Neko Case era all’incirca da quattro anni, dai tempi di Middle Cyclone, che l’aveva portata nei Top 5 delle classifiche di Billboard, che non pubblicava un nuovo album. Anni che sono stati ricchi di problemi, tra cui una leggera forma di depressione, anche causata dal ricordo macerato per le perdite dei genitori e dell’amata nonna che erano state accantonate e in questo disco vengono affrontate di nuovo con forza. Già il titolo, lunghissimo, è indicativo, The Worse Things Get, The Harder I Fight, The Harder I Fight, The More I Love You. Perchè vedete due diverse copertine? Perché anche la Anti non si è tirata indietro da questa “sciagurata” abitudine della doppia versione, normale e Deluxe, ma in un disco singolo, una con tre brani in più dell’altra, molto più costosa e anche, in questo caso, con copertine e confezioni diverse. Per il resto il disco mi sembra molto bello, con la partecipazione di membri assortiti di Los Lobos, Calexico, My Morning Jacket, Camera Oscura e componenti  vari del suo “secondo gruppo”, i New Pornographers, con cui ha cantato in cinque album, oltre ai sei da solista, un paio di Live e molte collaborazioni, e la Case si conferma una delle cantautrici più brave ed eclettiche in circolazione.

Dopo l’ottimo Keys To The Kingdom del 2011 temp-086ee697a949edee280239fe48ea96b8.html, e “decine” di progetti collaterali, tornano i North Mississippi Allstars con un nuovo album di studio, World Boogie Is Coming, sempre per la loro etichetta Song Of The South e con la partecipazione, come è consuetudine nei loro dischi, di molti ospiti, da Lightnin’ Malcolm, Duwayne e Garry Burnside, Kenny Brown, Alvin Youngblood Hart, Sharde Thomas, Chris Chew, Sid e Steve Selvidge, financo Robert Plant, ma all’armonica, nei due brani iniziali. Consueto, ma sembre benvenuto, album di southern rock blues elettrico.

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Seconda “terzina” di uscite.

I Volcano Choir sono l’ennesimo gruppo di Bon Iver (o meglio di Justin Vernon), oltre agli Shouting Matches, di cui qualche mese fa era uscito il debutto Grownass Man. Repave è il secondo disco per questa sigla, dopo Unmap del 2009, che vede insieme Vernon con alcuni componenti di The Collections Colonies Of Bees, per un sound più “rude” e sperimentale rispetto al suo moniker da solista, differente anche dal semi rock-blues diretto, in trio, degli Shouting Matches. L’etichetta è la Jagjaguwar, file under alternative indie-rock-

E i Reckless Kelly dei fratelli Braun sotto cosa li cataloghiamo? Alternative country-rock. Ah, va bene. Oppure anche come “bravi”, semplicemente. Long Night Moon. che esce per la loro No Big Deal Records. dovrebbe essere l’undicesimo disco, compresi i Live, e li conferma tra i migliori eredi della grande tradizione del country-rock classico misto al southern rock del loro Texas natio, con tante chitarre e belle canzoni dalle armonie irresistibili.

Quella dei dischi della serie Sweet Relief, per la raccolta di fondi per la ricerca sulla sclerosi multipla, giunge al terzo capitolo, dopo il disco dedicato a Victoria Williams, affetta dalla malattia e il secondo, con le canzoni dello scomparso Vic Chesnutt. Questa volta, per Sweet Relief III: Pennies From Heaven il tema del disco ruota intorno alle canzoni sull’aiuto e l’assistenza a chi ha bisogno e c’è la solita pattuglia di ottimi cantanti sul CD distribuito dalla Vanguard:

Ron Sexsmith                  Pennies From Heaven

Shelby Lynne                  Brother Where Are You

Sam Phillips                     Big Spender

k.d. lang                           How Did You Find Me Here

Ben Harper                      Crazy Love

Genevieve Toupin            Heart Of Gold

Joseph Arthur                   If I Needed You

Rickie Lee Jones              Surfer Girl

Tina Schlieske                  With A Little Help From My Friends

Victoria Williams               Change Is Gonna Come

She & Him                         King Of The Road

Eleni Mandell                    I’ll Be Home

Jackson Browne               Don’t Let Us Get Sick

Per una buona causa e l’occasione per i fans di alcuni cantanti presenti di arricchire la loro collezione.

Domani il seguito delle uscite del 3 settembre.

Bruno Conti

Novità Di Agosto Parte IIb. Jimmy Buffett, Laura Veirs, Ricky Skaggs & Bruce Hornsby, Blue October, The Big E Tribute To Buddy Emmons, Santana & McLaughlin Live At Montreux

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Seconda parte delle novità in uscita domani 20 agosto.

Pur essendo Jimmy Buffett da sempre legato allo stereotipo della musica solare, estiva, marinara perfino, era dall’estate del 2004, dai tempi di Licence To Chill uscito nel mese di luglio, con l’eccezione, forse di qualche disco dal vivo, che non pubblicava un disco nel pieno della stagione estiva. Questo nuovo Songs From St. Somewhere viene distribuito come è consuetudine da parecchi anni dall’etichetta dello stesso Buffett, la Mailboat Records (e questo non ha impedito peraltro al Live del 2010 Encores di andare nella Top Ten di Billboard. Accompagnato come al solito dai tipi della Coral Reefer Band, questo è il 29° disco di studio in quasi 45 anni di onorata carriera discografica e con i Live e le antologie probabilmente si superano i 40, ma il buon Jimmy che quest’anno compie i 67 anni (nato di tutti i posti degli States, non in Florida o California come si potrebbe pensare, ma a Pascagoula, Mississippi) contiene a deliziare i suoi ammiratori con quella miscela di country, rock, musica caraibica e belle ballate che da sempre lo contraddistingue. Non piace a tutti e i vecchi album degli anni ’70, secondo chi scrive, erano di un’altra categoria, in ogni caso in questo Songs From St. Somewhere presenta anche un duetto con Toby Keith, Too Drunk To Karaoke, una versione in spagnolo di I Want Back To Cartagena cantata in coppia con la cantante latina Fannie Lu (che non so chi diavolo sia, magari è consociutissima e bravissima!) e canzoni con titoli come Somethin’ ‘Bout a Boat, Einstein Was A Surfer, Oldest Surfer On The Beach che la dicono lunga sui passatempi preferiti di Buffett che però ci porta anche in Rue De La Guitare e il disco contiene anche un brano come Soulfully che è stato paragonato a quelli di Leonard Cohen. Sto sentendo, bel disco e bella vita! Tra una tournée e l’altra. Parrotheads all’erta.

Laura Veirs è una bravissima cantautrice basata in quel di Portland, Oregon, all’estremo lembo nord-ovest degli Stati Uniti, una delle nuove mecche della musica americana, patria di Decemberists, Shins, Dandy Warhols, M Ward, Modest Mouse e in passato anche di Ellliott Smith e di Paul Revere, nonché di Tucker Martine, che oltre ad essere un ottimo produttore (oltre ai citati Decemberists, Neko Case, Beth Orton, Laura Gibson, Jesse Sykes, Erin McKeown e moltissimi altri, con una preferenza, ma non solo, per le voci femminili) è anche il marito della Veirs, ed insieme sfornano figli, il secondo nato a maggio di quest’anno. Nel nuovo disco, Warp and Weft, che esce il 20 agosto negli USA per la Raven Marching Band Records e la settimana prossima in Europa per la Bella Union, ed è il decimo della sua carriera, dopo Tumble Bee, dedicato alle canzoni per bambini, molto piacevole comunque, appaiono componenti vari dei My Morning Jacket (altri clienti del marito), il batterista Brian Blade, Rob Burger del Tin Hat Trio a tastiere e fisarmonica, Nate Query dei Decemberists, il violinista Jeremy Kittel, Karl Blau a basso e chitarra e, dulcis in fundo, Kd Lang e Neko Case (tra un paio di settimane esce anche il suo disco nuovo, dal titolo chilometrico).

Ricky Skaggs e Bruce Hornsby avevano già fatto un disco omonimo nel 2007 con la crème de la crème della musica country/bluegrass americana e ora ci riprovano con questo Cluck Ol’ Hen che esce per l’etichetta personale di famiglia di Ricky, la Skaggs Family Record. Ovviamente è indirizzato a chi ama il genere.

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Un gruppo, un tributo e un DVD della inesauribile serie di Live at Montreux per completare la lista delle uscite “interessanti” (per il Blog) della settimana.

I Blue October sono un gruppo, non conosciutissimo, che viene dal Texas, ma non fa blues, southern o country, ma della buona alternative music. Sway se ho fatto bene i conti, dovrebbe essere il decimo album della loro discografia (penso compresi live, Ep e un disco per la Motown), viene pubblicato dalla Down Records/Up/Up/Down Records, un nome complicatissimo per una etichetta. L’ispirazione oltre che dall’indie e dall’alternative rock viene anche dai Cure e dalla musica inglese ex new wave anni ’80 con chitarre e tastiere in evidenza, qualche ballata e anche reminiscenze dei vecchi Cars o di Peter Gabriel mi sembra traspaiono dal disco. Niente di trascendentale ma piacevole.

Buddy Emmons è stato (si è ritirato) uno dei più grandi pedal steel guitarisr della storia della musica country americana e questo, The Big E: A Salute To Steel Guitarist Buddy Emmons, è un tributo di alcuni dei suoi colleghi chitarristi, Paul Franklin, Steve Fishell, Dan Dugmore, Jay Dee Maness, Mike Johnson, Duane Eddy e molti altri alla sua lunga storia musicale. Ma…nel disco ci sono altrifior di ospiti: da Vince Gill alla accoppiata Rodney Crowell/Emmylou Harris, Willie Nelson, John Anderson, Greg Leisz, Albert Lee, Raul Malo, tanto per citare i più noti e non fare l’elenco delle Pagine Gialle. Anche questo è un disco per “specialisti” ma si ascolta con piacere, distribuzione Warner Music in America,

La serie Live At Montreux si arricchisce di un nuovo DVD (o Blu-Ray), quello che contiene la reunion tra Carlos Santana e John McLaughlin, si intitola Invitation To Illumination Live 2011 e segna la prima volta insieme sul palco per i due musicisti a 40 anni dall’uscita del classico Love, Devotion & Surrender. Esce per la Eagle Rock e mi piacerebbe ascoltare i due, nel brano Montreux Boogie, citare all’interno dello, La Grange degli ZZ Top. Giuro!

Anche per oggi è tutto, alla prossima.

Bruno Conti

Giovani Talenti. Lydia Loveless – Indestructible Machine

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Lydia Loveless – Indestructible Machine – Bloodshot/Ird

Quando mi hanno dato il “promo” di questo CD da ascoltare la prima cosa che mi aveva incuriosito era sapere se fosse parente o meno della più famosa Patty. Appurato che Lydia Loveless, nativa di Coshocton, una piccola località vicino a Columbus, Ohio, non ha nessun legame di parentela con la citata Patty, mi sono detto già che ci sono diamogli una ascoltata. E questo Indestructible Machine si è rivelato una gradevole sorpresa. La nostra amica, come si vede dalla foto, è giovanissima, 21 anni compiuti da poco, ma ha già la grinta e la classe di una veterana. Dotata di una pimpante e squillante voce e di un repertorio che come per molti colleghi alla Bloodshot mischia country e punk, “roots” e tradizione a sonorità rock, la giovane Loveless è stata definita da molti giornali e riviste (americani, qui ancora non pervenuta) come un incrocio tra Neko Case ed Exene Cervenka, una novella Shane MacGowan al femminile, con abbondanti spruzzate di Loretta Lynn e Jeannie C. Riley. Lei cita tra le sue influenze giovanili (cioè di ieri) Charles Bukowksi, Richard Hell e Hank Williams III (ma anche il nonno fa capolino tra le pieghe).

Confermo tutto ma, se devo essere sincero, il primo nome che ho pensato mentre ascoltavo il brano di apertura Bad Way To Go è stato quello di Maria Mckee e dei suoi Lone Justice ad inizio carriera (che fine ha fatto? E’ un po’ che tace). Con i dovuti aggiustamenti da allora ad oggi, ma la grinta nella voce, l’abilità, condivisa con i suoi musicisti, nel miscelare un banjo tipicamente country a velocita supersonica a delle chitarre elettriche sferraglianti come nemmeno Jason and Scorchers ai tempi d’oro, fanno del brano iniziale un viatico per un viaggio divertente tra le pieghe di un country-punk-rock di grande impatto.

Can’t Change Me con il suo riff alla London Calling e la voce sicura e matura di una cantante di grande appeal è persino meglio e le chitarre elettriche ruggiscono con il giusto abbandono del rock di qualità. More Like Them è power pop rock and roll irresistibile con le chitarre, elettriche e pedal steel, ancora sugli scudi e quella voce fantastica a narrare la solita storia dell’outsider come neppure Willie Nile avrebbe saputo fare in modo migliore.

Dopo un inizio così scoppiettante Lydia Loveless lascia spazio anche alla sua anima più country e How Many Women è una stupenda ballata con una seconda voce maschile e un violino insinuante nel corpo della canzone con un contrabbasso che si insinua tra le pieghe del ritmo, e la voce sempre magnetica. Il suo sestetto con Todd May alla chitarra solista, il banjo di Rob Woodruff, la pedal steel di Barry Hensley, il violino di Adrian Jusdanis, il basso slappato di Ben Lamb, e papà Parker Chandler alla batteria ha una perfetta conoscenza della materia e un brano come Jesus Was A Wino avrebbe fatto felice la giovane Emmylou Harris. Poi racconta anche storie divertenti come Steve Earle, titolo della canzone, giuro! Le avventure del “damerino” del paese a tempo di honky tonk, quello che insidia le ragazze, autonominatosi “lo Steve Earle di Columbus”. E anche magnifiche canzoni cantate a piena voce come Learn to say no con un ritornello che ti si insinua nel cervello e non se ne vuole andare, marchio della buona qualità.

I brani sono “solo” nove e quindi ci avviamo alla conclusione ma non prima di avere ascoltato Do Right un’altra scatenata sarabanda country-punk a velocità supersonica, pensate ai Pogues se avessero vissuto in America. Conclude Crazy, un’altra bellissima canzone che sembra incredibile provenga da una ragazza di soli 21 anni, se nella sua prossima carriera vorrà dedicarsi alla musica folk, questo brano accompagnato solo da chitarra acustica e violino è un punto di partenza magnifico. Ma attenzione, questa ragazza, a 19 anni, aveva già pubblicato un album (non so quanto reperibile), The Only Man per la Peloton Records da cui è tratta questa Back On the Bottle che ascoltate qui sotto.

Lydia Loveless, appuntatevi questo nome perché se ne parlerà nei prossimi mesi. Il mensile inglese Uncut (non ho ancora letto il nuovo numero) le ha dato quattro meritatissime stellette. Approvo!

Bruno Conti

Delizie Pop Estive Canadesi. Sarah Harmer – Oh Little Fire

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Sarah Harmer – Oh Little Farmer – Zoe/Rounder/Universal

A quel pop del titolo potete aggiungere senza timore folk, country e rock e avrete un’idea di quello che vi aspetta e se già la conoscete non insisto ulteriormente. Per i novizi vorrei citare come punti di riferimento ma non necessariamente di ispirazione e in ordine sparso, Suzanne Vega, Feist, Laura Veirs, ma anche i connazionali canadesi Blue Rodeo e Bruce Cockburn con cui Sarah Harmer ha collaborato.

Al sottoscritto ricorda, come approccio musicale, se non come voce e genere completamente, la bravissima Aimee Mann con cui condivide un inizio carriera all’interno di un gruppo, nel caso della Mann i ‘Til Tuesday (dove era la regina glamour del pop statunitense anni ’80, poi quanto diversa la carriera solista, per i meno attenti Aimee Mann è quella della colonna sonora di Magnolia e di tanti altri dischi bellissimi) mentre per Sarah Harmer parliamo dei meno conosciuti Weeping Tile che hanno pubblicato un paio di dischi negli anni ’90.

Vi dico ciò perché questo Oh Little Fire segna un spostamento (o un ritorno) ad atmosfere più leggiadre e pop dopo il folk dell’album I’m A Mountain del 2005 che aveva avuto ottimi riscontri critici. Questa pausa di cinque anni è stata usata per l’altra grande passione della Harmer, l’amore per l’ecologia ambientale per la quale svolge varie campagne di sensibilizzazione nel nativo Canada e in giro per il mondo.

Il richiamo per la musica è stato comunque irresistible e questo disco è comunque un piccolo gioiellino di pop cantautorale (l’ho detto ancora, lo so) misto a testi ricercati e alle altre influenze di cui vi dicevo.

Il suono è molto fresco ed estivo, adatto alla stagione in cui vede la luce il disco: le iniziali The Thief e Captive, con la collaborazione delle voci  e tastiere dell’amica canadese Julia Fader e con la produzione di Gavin Brown che ha tra i suoi clienti anche i Metric (il cui cantante James Shaw peraltro appare nel disco come ospite), sono molto poppy ma deliziose e potrebbero addirittura allietare le onde radio della nostra estate, soprattutto Captive che ha un ritornello inesorabile nella sua leggera piacevolezza (avete presente  1 2 3 4 di Leslie Feist, canadese pure lei).

Dopo la pausa folk di New Loneliness, sussurrata nel miglior Suzanne Vega style della prima ora si torna ai babà sonori, forse troppo leggeri e zuccherosi ma piacciono anche delle pause più leggere nella musica che ascolto, One Match è puro pop ma perfetto e preciso, con il suo stacchetto di chitarra elettrica nella parte centrale, le armonie vocali delicate e le pause e ripartenze, difficile fare delle canzoni pop migliori. Nella successiva Careless ci si avvicina molto. Washington, con il suo cantato strascicato e i ritmi country-rock non sfigurerebbe in un disco di Neil Young (altra influenza) o dei Blue Rodeo (spesso compagni di avventure) con le sue belle chitarre aperte e un organo insinuante.

Late Bloomer ricorda ancora quelle atmosfere tra pop e rock che ti risucchiano nelle loro armonie senza tempo e la voce della Harmer, spesso coadiuvata da una seconda voce femminile , è una piccola delizia sonora, sicura e leggera come poche nel panorama attuale. Per The City non posso che ripetere quanto detto per il brano precedente, forse potrei aggiungere che mi ricorda anche la deliziosa Carlene Carter (figlia di Johnny Cash e moglie di Nick Lowe, uno che di pop se ne intendeva) ma anche la Mary Chapin Carpenter meno country, quelle voci vispe e brillanti.

Un’altra che ha una voce molto bella,  Neko Case, si presenta all’appello per registrare un duetto Silverado, che è un piccolo capolavoro di equilibri vocali e sonori, con le due voci che si rincorrono e si sovrappongono su un tappeto country con tanto di pedal steel, magnifica canzone. The Marble In Your Eye è un’altra delizia in salsa folk-rock con un ritornello circolare e una musica che ti abbraccia e ti coccola delicatamente.

La conclusione è affidata a It Will Sail altro piacevole esempio di folk pop acustico colorato da un intermezzo di tromba quasi alla Bacharach, troppo? Va bene facciamo alla Herb Alpert.

A me piace parecchio, spero che delizierà i vostri viaggi e le vostre serate estive (ma anche il resto dell’anno).

Bruno Conti

Pochi Ma Buoni. Peter Wolf – Midnight Souvenirs

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Peter Wolf – Midnight Souvenirs – Verve

Non sempre la qualità coincide con la quantità: Peter Wolf certo il problema non se lo pone, sette album solisti in più di 25 anni di carriera solista, tre negli ultimi 12 anni e l’ultimo Sleepless nel 2002. Però che belli! L’ultimo è stato inserito dalla rivista Rolling Stone tra i migliori 500 album di tutti i tempi (considerando che dall’avvento dell’album saranno usciti milioni di titoli non è impresa da poco), ma non è tutto, il precedente Fool’s Parade del 1998 è stato considerato trai 50 dischi più importanti degli anni ’90. Con questi precedenti il nostro amico ci ha abituato certamente bene, ma anche questa volta non delude le aspettative.

Un breve passo indietro. Negli anni ’70 c’erano due gruppi che si contendevano lo scettro di “Rolling Stones americani”, gli Aerosmith dei Toxic Twins Steven Tyler e Joe Perry, che rappresentavano il lato più ribaldo, caciarone, trasgressivo degli Stones e la J Geils Band di Peter Wolf, J Geils e Magic Dick che rappresentava il lato più bluesy, genuino, tradizionale della musica di Jagger & Co.. Ovviamente gli Aerosmith hanno avuto un successo maggiore ma anche la J Geils Band ci ha lasciato, negli anni 70, alcuni album da avere in una discoteca che si rispetti e penso ai due live Full House e Blow Your Face, ma anche Bloodshot e The Morning After tra quelli in studio. Purtroppo tutti li ricordano per l’album Freeze-Frame del 1982, numero 1 nelle classifiche Usa, quello che conteneva l’hit single Centerfold, ma dal sound tamarro, disco-rock, specchio dei tempi. Dopo lo scioglimento Peter Wolf ha fatto anche di peggio con un disco Lights out prodotto da un tipo della Jonzun Crew, electro-sound che ve lo raccomando. Poi dopo una serie di album, diciamo non memorabili, la redenzione negli anni ’90 e 2000. Domanda, secondo voi Mick Jagger e Keith Richards hanno partecipato come ospiti ad un disco degli Aerosmith o di Peter Wolf? Esatto, sono presenti nel disco Sleepless, che se riuscite a trovare giustifica tutte le buone recensioni avute in quegli anni.

Questo Midnight Souvenirs (bellissimo titolo), potremmo dire alla Frassica, Che Bello. Che Bello, Che Bello e farla finita lì, invece parliamone. La prima cosa da notare è lo splendido lavoro in fase di produzione di Kenny White, che suona nel disco anche le tastiere, il basso e la chitarra, e in passato ha collaborato con Judy Collins, Cheryl Wheeler e Marc Cohn, giusto per citarne alcuni, oltre ad avere pubblicato dei CD a nome proprio. 

Si apre con l’eccellente country-soul-blues di Tragedy, un duetto con Shelby Lynne oserei dire perfetto, con le due voci che si integrano perfettamente, si prosegue con la trascinante I Don’t Wanna Know un rocker con armonica a tutta birra. La Bluesata Watch Her Move ha un groove che farebbe la gioia di Charlie Watts e degli Stones tutti, con coloriture errebì da sballo e una bella chitarra alla J Geils band. There’s Still Time è un meraviglioso mid-tempo ancora stonesiano (è una caratteristica di tutto l’album), con fiati, chitarre acustiche, coretti, tutti gli ingredienti giusti che fanno grande l’arrangiamento di un brano, se il brano stesso ha sostanza e questo ce l’ha.

Lyin’ Low è un’altra piccola meraviglia di equilibri sonori, con piano e chitarra acustica, a contendere all’organo l’attenzione dell’ascoltatore, Wolf canta con divina nonchalance. The Green Fields Of Summer è il delizioso duetto con Neko Case, una ballata impreziosita da un violino che le conferisce echi celtici, una canzone d’amore inconsueta per chi conosce il “solito”  Peter Wolf ma realizzata con tutta l’esperienza di un 64enne che è diventato un grande cantante a livello interpretativo, tra le cose migliori del disco. Thick as Thieves è un altro funky-blues molto Jaggeriano. Always Asking For You ci trasporta in territori country, ma con gran classe, ragazzi! Then It Leaves Us All Behind è l’unico brano non memorabile, l’unica traccia dove prevale un certo bland-rock che non si amalgama col resto del disco.

Poteva mancare il lato più carnale della musica di Wolf? Certo che no e allora vai con il soul-errebi Philly misto Stax di Overnight Lows con recitativo alla Isaac Hayes o alla Barry White (ma non ha il vocione), però estrae dal cilindro un falsetto malandrino che si fonde coi coretti perfetti e con certe rullate tra reggae e funky d’annata, chitarra-sitar e goduria suprema. A questo punto Wolf non lascia ma raddoppia con il funky in perfetto stile New Orleans alla Meters di Everything I Do Gonna Be Funky, quasi una dichiarazione d’intenti.

Le migliori le ha tenute per la fine, Don’t Try To Change Her è il più bel brano dei Rolling Stones, ma direi degli ultimi trent’anni, una ballata mid-tempo nella migliore tradizione Jagger-Richards, solo che la firma è Peter Wolf! The Night Comes Down è un meraviglioso brano dedicato a Willy Deville nella miglior tradizione del grande Willy che tanto ci manca, una piccola meraviglia che sigilla un album stupendo. La ciliegina sulla torta è il duetto finale con Merle Haggard It’s Too late For Me un brano country dove Haggard estrae dall’ugola la sua migliore interpretazione degli ultimi anni (ma il nuovo album in uscita tra breve potrebbe sorprendere molti) e Peter Wolf non sfigura al confronto, è strano perché mi è sembrato di ascoltare un duetto tra due Willie Nelson quasi gemelli vocali, molto bello, come tutto l’album uno dei migliori di questo 2010. Gran classe!

Bruno Conti