Un Bellissimo Disco Di Uno Dei “Segreti” Meglio Custoditi Di New Orleans, Veramente Un Peccato Che Si Trovi Con Molta Difficoltà. Johnny Sansone – Hopeland

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Johnny Sansone – Hopeland – Short Stack Records

Johnny Sansone viene da New Orleans, e questo per il sottoscritto è già una nota di merito a prescindere, di solito la musica che arriva dalla capitale della Louisiana ha dei profumi e delle suggestioni che sono uniche. Poi scopriamo che il nostro amico non è un indigeno autoctono, è nato a West Orange nel New Jersey 61 anni fa, ma è comunque cittadino onorario in quanto è residente nella Crescent City dal lontano 1990 e lì ha proprio vissuto gran parte della sua vita e della sua carriera, a parte la fase iniziale quando facendo la  gavetta in giro per gli Stati Uniti, suonava da supporto a gente come Robert Lockwood, Jr., David “Honeyboy” Edwards e Jimmy Rogers. In seguito al suo trasferimento a Nola ha imparato anche a suonare la fisarmonica, ispirato da Clifton Chenier: tutte queste influenze sono quindi confluite nei suoi album, che anche se risultano poco conosciuti a causa della scarsa reperibilità, sono già la bellezza di 12, compresi un paio di Live Al Jazz Fest e questo nuovo Hopeland, uscito qualche mese or sono (quasi un anno per la verità), ma assolutamente meritevole di essere portato alla vostra attenzione in quanto è probabilmente il migliore della sua discografia.

Alcuni sono stati pubblicato come Jumpin’ Johnny Sansone e così lo conosceva chi scrive (e mi pare di avere recensito qualcosa sul Buscadero diversi anni fa), ma molti, quasi tutti quelli editi dalla Short Stack Records, portano semplicemente il suo nome. Quelli degli anni dal 2007 in avanti sono tutti molto interessanti perché, oltre ad alcune leggende locali come Stanton Moore, Ivan Neville, Monk Boudreaux e Henry Gray, vi appare quasi sempre un altro “oriundo” di New Orleans, il bravissimo Anders Osborne, che ha prodotto anche il nuovo disco, registrato agli studi Dauphin Street Sound di Mobile, Alabama, altra località storica, dove opera come ingegnere del suono la plurivincitrice di Grammy Trina Shoemaker, e dove lo aspettavano per registrare questo album anche Luther e Cody Dickinson dei North Mississippi Allstars, e in un brano anche Jon Cleary. Da tutti i nomi sciorinati (che contano sempre, non fatevi ingannare da chi dice il contrario) si evince che Hopeland è un signor album che, partendo dal blues canonico, tocca ovviamente anche le sonorità tipiche della Louisiana, con un suono sapido, pimpante, molto variegato: come dice lo stesso Johnny nel testo di Delta Coating “They call it the blues, they call it country, they call it rock ’n’ roll. It’s all just soul with a ‘Delta coating’”, che mi pare perfetto.

L’album, in tutto 8 brani, dura solo 35 minuti, ma non c’è un secondo di musica sprecato: dalla vorticosa Derelict Junction, dove la voce potente di Sansone e la sua armonica scintillante, unite al gruppo portentoso che lo accompagna, ci regala un blues elettrico dal suono classico e vibrante, con Dickinson e Osborne che iniziano a mulinare le chitarre, l’appena citata Delta Coating ci porta sulle ali di un train time raffinato in un viaggio dal country e soul di Memphis a quello di New Orleans, con la slide di Cody Dickinson che comincia a disegnare le sue traiettorie raffinate, poi portate alla perfezione nella splendida Hopeland, una ballata di grande intensità e spessore, che mi ha ricordato la celebre Across The Borderline di Ry Cooder (firmata, insieme a John Hiatt, anche dal babbo di Luther e Cody, Jim Dickinson, e quindi il cerchio si chiude), eccellente nuovamente il lavoro della slide di Cody e del piano di Cleary, oltre a Sansone che rilascia una prestazione vocale da brividi, siamo sui livelli del miglior Ry anni ’70-’80, come spesso succede in questo album. Plywood Floor, tra blues e R&R è un’altra iniezione di energia, con la band che tira alla grande a tutto riff, sempre con bottleneck in agguato e Osborne che risponde, come pure in Johnny Longshot, dal drive quasi stonesiano, di nuovo con Dickinson che sfodera il suo miglior timbro alla Mick Taylor o alla Cooder.

Con Can’t Get There From Here che aumenta ulteriormente il ritmo a tempo di boogie, prima di lanciarsi nel classico Chicago Sound alla Howlin’ Wolf della gagliarda One Star Joint, dove chitarre ed armonica si sfidano di nuovo a colpi di blues sanguigno e vibrante. La conclusione è affidata ad una classica ballata tipica del New Orleans sound, con uso di accordion, di cui Sansone è virtuoso come dell’armonica, e con una melodia che ricorda moltissimo quella di Save The Last Dance For Me, con l’ennesima prestazione eccellente di Dickinson alla slide, inutile dire che il risultato finale è affascinante, finezza e classe fuse insieme, come in tutto l’album.

Bruno Conti

Un Po’ Di “Vero” Blues Dalla Crescent City! Jeff Chaz – This Silence Is Killing Me

jeff chaz this silence is killing me

Jeff Chaz – This Silence Is Killing Me – JCP CD

Jeff Chaz è un chitarrista e cantante blues di New Orleans, poco conosciuto a livello nazionale ma abbastanza popolare in Louisiana: non è proprio di primissimo pelo, anche se ha esordito discograficamente solo nel nuovo millennio, ed il suo background è più jazz che blues, essendo cresciuto ascoltando i dischi del padre, che era appassionato di gente del calibro di Louis Armstrong, Count Basie e Duke Ellington e, prima di scoprire il mondo delle dodici battute ed avvicinarsi alla chitarra, i suoi primi strumenti sono stati la tromba ed il trombone. La sua musica comunque ha mantenuto qualcosa delle sue radici, ed in più si è arricchita anche con elementi del suono della sua hometown (d’altronde è quasi impossibile essere musicista a New Orleans e non venirne influenzato), per cui i dischi affiancano al classico blues chitarristico diverse dosi di rhythm’n’blues e funky, creando un cocktail stimolante.

Non conosco i precedenti dischi di Jeff, ma credo che non siano molto diversi da questo This Silence Is Killing Me, classico blues chitarristico, colorato da ritmiche ed elementi tipici della Crescent City, una buona voce (non eccezionale, ma neppure piatta come, ad esempio, quella di Jimmy Thackery), ed un suono influenzato principalmente da B.B. King, ma anche da Little Milton e da un altro grande King, Albert. Jeff si presenta a capo del classico power trio (con Doug Thierren al basso e Doug Belote alla batteria), ed in aggiunta l’organo e le tastiere di John Autin e Tom Worrell, più una sezione fiati di quattro elementi e le percussioni di Michael Skinkus, molto noto a New Orleans per le sue precedenti collaborazioni con Dr. John,  Radiators ed Irma Thomas.

Il CD si apre con Savin’ Everything For You, un gustoso jumpin’ blues punteggiato dai fiati, con un gran ritmo ad assoli a go-go della chitarra di Jeff, con un suono caldo che annuncia il clima del disco. E poi Chaz è un chitarrista notevole, dotato di un bel fraseggio e di un timbro melodico e pulito, davvero simile al sound di Lucille, la sei corde di B.B. King. La title track è un lento proprio alla King, un’atmosfera suadente ed un motivo ben costruito, anche se gli archi in sottofondo forse  non c’entrano granché; con I Ain’t Nothin’ Nice torniamo a sonorità classiche, con un maggior coinvolgimento dei fiati e quindi del suono di New Orleans, una via di mezzo tra blues e funky, decisamente saporita ed energica. Anche I’m Not All There ha il mood tipico della Crescent City, ritmica spezzettata e sonorità annerite, quasi un errebi classico con il tocco blues dato dalla chitarra del nostro, che si produce tra l’altro in un paio di assoli mica da ridere; The Blues Is My Drug è invece, come da titolo, blues al 100%, lento, caldo, con un bel pianoforte ed atmosfera afterhours, un brano di qualità superiore, e anche se Jeff non è Stevie Ray Vaughan se la cava più che bene, mentre Merry Christmas To You è una canzone stagionale a tutto funky, un brano che stona un po’ con il resto del disco, più che altro per la melodia volutamente natalizia, non particolarmente nelle corde del nostro.

L’incalzante Oncoming Train è ancora un gustoso errebi fatto da un bluesman, con una buona prestazione vocale, Fried Chicken Store è invece uno slow blues di ottima fattura, con organo e fiati sullo sfondo e Jeff che gigioneggia un po’ ma alla fine convince. La funkeggiante Self Inflicted Wound ha il sapore della Big Easy, mentre il blues si prende la rivincita con la cadenzata The Backwash Blues, che pur non facendo gridare al miracolo fa il suo dovere, grazie anche alla slide suonata davvero bene. L’album termina con la veloce e saltellante Creole Mustard Swing, l’unico strumentale del disco, un saporito blues ritmato e con la chitarra assoluta protagonista. Pur non essendo uno dei grandi del blues, Jeff Chaz sa come si fa un buon disco e riesce a portare a casa il risultato anche piuttosto agevolmente: se vi piace il genere, e non disdegnate qualche contaminazione “made in Louisiana”, questo disco non vi deluderà.

Marco Verdi

Se Ne E’ Andata Anche Una Delle Leggende Di New Orleans: E’ Morto A 77 Anni Allen Toussaint Per Un Attacco Di Cuore!

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E’ morto nella notte tra lunedì 9 e martedì 10 novembre Allen Toussaint. Il fatto luttuoso è avvenuto a Madrid, dove il musicista di New Orleans aveva appena tenuto un concerto al Teatro Lara della città spagnola. Toussaint aveva avuto un primo infarto nella sua camera d’albergo ma i medici erano riusciti a rianimarlo, poi mentre lo trasportavano in ambulanza all’ospedale ne ha avuto un secondo che è stato fatale. Il grande artista della Big Easy, una delle leggende della scena locale e non solo, avrebbe dovuto tenere ai primi di dicembre un concerto benefico nella sua città, in compagnia di Paul Simon, per raccogliere fondi per l’associazione “New Orleans Artists Against Hunger and Homelessness“, un ente benefico che aiutava gli artisti della città della Louisiana.

Per ricordarlo, questi sono due filmati proprio tratti da quell’ultima esibizione…

Toussaint è stato ovviamente uno dei più grandi rappresentanti della musica americana tout court, non solo della scena di New Orleans: dai suoi inizi nella scena locale della sua città, dove era nato il 14 gennaio del 1938, alle sue canzoni tra cui ricordiamo Working in the Coal Mine, Mother-in-Law, Fortune Teller,Southern Nights, Sneakin’ Sally Through the Alley, Get Out of My Life, Woman, ma anche Holy Cow, incisa da Lee Dorsey e poi dalla Band (in italiano era Qui e Là di Patty Pravo). Proprio con il gruppo di Robbie Robertson ha avuto una delle collaborazioni più proficue, prima arrangiando i fiati nell’album Cahoots e poi nel famoso Live Rock Of Ages e a quel periodo, prima metà anni ’70. risalgono i suoi dischi migliori: From A Whispet To A Scream del 1970, l’omonimo Toussaint del 1971, Life, Love And Faith del 1972 e Southern Nights del 1975, fulgidi esempi del miglior funk e R&B usciti dagli stati del Sud.

I brani ricordati sopra sono stati incisi nel corso degli anni da gente come Jerry Garcia, Ringo Starr, Little Feat, Robert Palmer, gli Yardbirds, Glen Campbell, Bonnie Raitt, la Band ricordata prima, Warren Zevon, i Rolling Stones e moltissimi altri. Tra le sue altre celebri collaborazioni quelle con i Wings, Paul Simon e le Labelle, di cui produsse Lady Marmalade. E ancora, in anni più recenti, nel 2006, il bellissimo The River In Reverse, registrato in coppia con Elvis Costello, che era un suo fan sfegatato e lo invitò come ospite anche nella sua trasmissione televisiva Spectacle, in una serata memorabile in cui c’erano anche Ray LaMontagne, Levon Helm, Nick Lowe, Richard Thompson, Larry Campbell https://www.youtube.com/watch?v=uyXOjiVhH5U .

allen toussaint songbook

Negli ultimi anni della sua vita aveva pubblicato ancora due album formidabili come The Bright Mississippi del 2009, dedicato alla sua terra https://www.youtube.com/watch?v=qNAp0igLZIs e Songbook del 2013, una confezione CD+DVD dove rivisitava con classe sublime il meglio del suo repertorio, seduto al suo pianoforte Steinway.

Tra l’altro la BBC gli ha dedicato un bellissimo documentario The Allen Toussaint Touch che potete vedere qui sotto, se volete capire a fondo la grande personalità di questo musicista che rimane uno dei più grandi della musica nera americana e scusate se insisto!

Rest in Peace, Mister Music Allen Toussaint!