Manolenta Va Ai Caraibi! Eric Clapton – Old Sock

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Eric Clapton – Old Sock – Bushbranch/Surfdog/Polydor CD

So che il titolo del post potrebbe anche sembrare quello di un’avventura di un personaggio dei fumetti, ma è in realtà il modo più sintetico per riassumere i contenuti di Old Sock (vecchio calzino, titolo indubbiamente autoironico), il nuovissimo album di studio di Eric “Manolenta” Clapton. A giusto tre anni da Clapton, che era il suo miglior disco di studio da secoli a questa parte (quelli di covers di blues esclusi), Old Sock migliora addirittura il livello, diventando forse il lavoro più bello addirittura da Money And Cigarettes (il disco con Ry Cooder, e stiamo parlando di trent’anni fa), ma operando delle scelte stilistiche diverse in materia di sound. Non è che Eric sia andato fisicamente ai Caraibi ad incidere, ma l’atmosfera all’interno del CD è quella, non tanto per i suoni (non somiglia, per dire, ad un disco di Jimmy Buffett), quanto per l’atmosfera solare e rilassata che si percepisce in tutti i brani.

Clapton ormai ha la sua età, è in pace con sé stesso e non deve dimostrare più nulla da tempo, e può fare ciò che gli pare, quando gli pare e con chi gli pare: a conferma di questo, l’album è il primo ad uscire per la sua etichetta personale, la Bushbranch. Eric riscopre il reggae (se ne era innamorato già negli anni settanta, ricordate I Shot The Sheriff e Knockin’On Heaven’s Door?), usandolo però non in dosi massicce, così da non scontentare chi non ama il genere alla follia (tipo il sottoscritto), fa qualche brano in perfetto stile anni 30-40, addirittura del country, un paio di pezzi tipici suoi, ma tutto in modo assolutamente rilassato. Attenzione, questo non va a discapito del feeling e dalla qualità: Old Sock è un gran bel disco, in cui Eric coniuga abilmente classe, mestiere e voglia di suonare e sperimentare anche sonorità insolite per lui, lasciando talvolta addirittura in secondo piano la sua chitarra (pochi sono infatti i suoi tipici assoli poderosi).

Clapton sceglie di fare perlopiù covers di varia estrazione, i brani originali (tra l’altro neppure scritti da lui, ma da Doyle Bramhall II con…Nikka Costa!!!) sono solo due su dodici, ma, come ho detto prima, Eric è arrivato ad un punto in cui sceglie le canzoni che vuole. Se aggiungiamo a tutto ciò una lista di musicisti impressionante (oltre a Bramhall abbiamo Steve Gadd, Greg Leisz, Jim Keltner, Matt Rollings, Willie Weeks, Henry Spinetti ed altri) ed alcuni special guests davvero special (li nominerò man mano) non ci vuole molto a fare un grande disco. Altro particolare degno di nota, il CD esce in una versione sola, ed oggi è una rarità (a dire il vero una versione deluxe ci sarebbe anche, ma è venduta solo sul suo sito, è limitata a mille copie, costa circa il triplo e l’unica bonus track, No Sympathy, non è sul CD ma su una chiavetta USB allegata. Complimenti…).

L’album si apre con Further On Down The Road, da non conforndersi con il quasi omonimo classico di Bobby “Blue” Bland: questo è un brano scritto da Taj Mahal, che appare al banjo ed armonica, proposto con un arrangiamento solare e delicatamente reggae, molto piacevole, subito una bella canzone. Angel (di e con J.J. Cale) è una ballata laidback tipica del suo autore, raffinata e godibilissima, cantata quasi sottovoce e strumentalmente ineccepibile; The Folks Who Live On The Hill (un brano anni trenta portato al successo da Peggy Lee) ha un arrangiamento di gran classe, tra jazz e musica hawaiana d’altri tempi. Gotta Get Over è un brano nuovo ed è anche il primo singolo, ed il suono qui è più vicino allo stile tipico di Eric, un rock classico ma molto ben fatto, vibrante, orecchiabile, diretto, con Chaka Khan alle armonie (ma non si nota…), ma soprattutto con il nostro che si lascia finalmente andare alla Stratocaster. Till Your Well Runs Dry (Peter Tosh) è molto bella nonostante sia un reggae (anche se solo nel ritornello); in All Of Me Clapton duetta addirittura con Sir Paul McCartney, regalandoci un irresistibile brano jazzato vivace e solare, anni quaranta, dove l’unico tributo alla modernità è il suono della chitarra di Eric (in origine era una canzone interpretata sia da Billie Holiday che da Sarah Vaughan). Born To Lose è stato un successo di Ted Daffan, un pioniere del country oggi dimenticato: l’arrangiamento di Eric è fedele allo stile dell’autore, e sembra che il nostro non abbia mai fatto altro che suonare musica country. Uno dei brani migliori, senza dubbio, una cover scintillante.

E il blues? Eccovi servita una sontuosa interpretazione di Still Got The Blues, un omaggio di Clapton a Gary Moore, con l’amico Steve Winwood a fare i numeri all’organo: versione manco a dirlo da applausi, lunga, profonda e sentita. Grandissima classe. Old Sock cresce brano dopo brano: è la volta della celeberrima Goodnight Irene (di Leadbelly, ma che ve lo dico a fa?), solare, fluida, caraibica, ispiratissima, in breve una delle più riuscite. La migliore del disco? Decisamente sì. Un capolavoro assoluto nella discografia di Clapton, sentire per credere. L’album si chiude con Your One And Only Man di Otis Redding, ancora reggae, Every Little Thing, il secondo brano originale del disco, molto bella anche questa, una ballata anni settanta cantata benissimo da Eric (ma il coro di bambini finale ce lo poteva risparmiare), e Our Love Is Here To Stay, dei fratelli Gershwin, jazzata e raffinata come da copione.

Che altro dire…uscite e compratelo!!!

Marco Verdi