Lo Springsteen Della Domenica: Un Gran Concerto Per Tre Quarti, Con Un Finale “Normale”. Bruce Springsteen & The E Street Band – Madison Square Garden, New York, 6/27/2000

bruce springsteen madison square garden 27-06-2000

Bruce Springsteen & The E Street Band – Madison Square Garden, New York, 6/27/2000 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Partiamo dal presupposto che l’aggettivo “normale” associato ad un concerto di Bruce Springsteen & The E Street Band sottintende comunque un livello inarrivabile per circa il 90% dei gruppi rock al mondo, ma in ogni caso non sarebbe corretto spacciare per leggendario ogni singolo show tenuto dal rocker del New Jersey e dal “suo” gruppo, anche se penso che nessuno dei suoi fans se ne sia mai tornato a casa insoddisfatto. Il famoso Reunion Tour tenuto dal Boss nel biennio 1999-2000, che lo vedeva ricongiungersi con i suoi “blood brothers” dopo undici anni, terminò nell’estate del duemila con ben dieci serate consecutive al Madison Square Garden di New York, delle quali quella finale del primo luglio è già stata pubblicata tra le uscite mensili degli archivi live del nostro (ed in parte anche nel doppio CD del 2001 Live In New York City).

Oggi mi occupo del penultimo episodio della serie, Madison Square Garden, New York, 6/27/2000, che invece documenta l’ottava serata, a detta di molti la migliore dopo appunto quella conclusiva, e con nove canzoni diverse in scaletta. Ebbene, come ho accennato nel titolo del post per tre quarti lo show è una bomba, con il Boss ed i suoi compari in perfetta simbiosi ed in totale sintonia col pubblico: nei bis però, quando cioè di solito Bruce spende le ultime briciole di energia rimaste in corpo, sembra che i nostri inseriscano all’improvviso il pilota automatico, complice forse una parte finale di setlist che riserva poche sorprese. E comunque il giudizio complessivo rimane ampiamente positivo, grazie soprattutto a più di un momento esaltante nella parte di spettacolo prima dei bis. L’avvio è formidabile, con la rara Code Of Silence, una grande rock song suonata molto di rado, seguita dalla sempre irresistibile The Ties That Bind e da una potentissima Adam Raised A Cain, con Bruce che inizia a farci sentire la voce della sua sei corde. Un’energica Two Hearts, tradizionalmente un duetto con Little Steven, precede l’amatissima Trapped di Jimmy Cliff, vero e proprio “crowd-pleaser” con ritornello da cantare a squarciagola, ed una struggente Factory, dotata di un inedito arrangiamento country.

Dopo l’allora nuova American Skin (41 Shots), ispirata ad un tragico caso di abuso di potere da parte della polizia verso un uomo disarmato (ma musicalmente non eccelsa), lo show prosegue con ottime riletture di classici alternati a pezzi più recenti: vediamo quindi susseguirsi versioni super-coinvolgenti di The Promised Land, Badlands e Out In The Street, una Youngstown molto più rock e tagliente che in origine ed una scatenata Murder Incorporated. Tenth Avenue Freeze-Out, con i suoi 18 minuti di durata e varie improvvisazioni al suo interno (It’s Alright di Curtis Mayfield, Take Me To The River di Al Green, Red Headed Woman di Bruce e Rumble Doll cantata da Patti Scialfa), è forse il momento centrale della serata https://www.youtube.com/watch?v=r1twvwbB_cU , ma poi abbiamo un trittico di rarità (la splendida e trascinante Loose Ends, la bellissima soulful ballad Back In Your Arms e l’antica Mary Queen Of Arkansas) e la strepitosa Backsteets, a mio giudizio la migliore ballata della “golden age” del Boss insieme a Jungleland e The River.

Da qui in poi come dicevo il concerto da eccellente diventa “solo” buono: Light Of Day l’ho sempre vista come un pretesto per mostrare i muscoli (tra l’altro per quasi un quarto d’ora) ma non una gran canzone, Hungry Heart e Born To Run sono fra i pochi pezzi che Springsteen esegue sempre allo stesso modo, mentre sia la vecchia e solare Blinded By The Light che l’inimitabile Thunder Road fanno salire nuovamente la temperatura. Finale con If I Should Fall Behind, che in quel tour serviva come showcase per i vari membri “cantanti” della band che avevano una strofa a testa (quindi Bruce, Patti, Little Steven, Nils Lofgren e Clarence Clemons) e con l’allora inedita Land Of Hope And Dreams, un brano che non mi ha mai fatto impazzire ed anche discretamente tirato per le lunghe. Per la prossima uscita ci sposteremo sulla costa ovest e ci imbarcheremo sul “Tunnel Of Love Express”.

Marco Verdi

Il (Doppio) Springsteen Della Domenica: Le Due Facce Del Boss, Rocker E Folksinger. Bruce Springsteen – St. Paul, MN Nov. 12, 2012/Nice, France 1997

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Bruce Springsteen & The E Street Band – St. Paul, MN Nov. 12, 2012 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Bruce Springsteen – Nice, France 1997 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 2CD – Download

A differenza del solito questa volta ho deciso di raggruppare in un’unica recensione le due ultime uscite degli archivi live di Bruce Springsteen (a dire il vero è appena stato annunciato un altro episodio, registrato nel 2000 al Madison Square Garden nel corso del Reunion Tour), in quanto offrono una esauriente contrapposizione tra le due anime del nostro: lo Springsteen rocker a 360 gradi insieme alla E Street Band in St. Paul, MN Nov. 12, 2012 e quello folksinger da solo sul palco in Nice, France 1997. Lo show di St. Paul, un CD triplo (il quinto del 2012 ed il terzo registrato in suolo americano), è stato indicato da molti come uno dei migliori del tour, e se ho parlato del lato rocker di Bruce non l’ho fatto a caso, in quanto il concerto è decisamente spostato verso i brani più elettrici e mossi e limita al minimo sindacale le ballate. Già uno spettacolo che inizia con I’m A Rocker (tra l’altro è la prima volta che il Boss comincia con questa canzone) lascia ben sperare per il seguito https://www.youtube.com/watch?v=FJrLh6Uomt8 , che infatti mette in fila una sequenza senza respiro con il “crowd-pleaser” Hungry Heart e le epiche No Surrender, Night https://www.youtube.com/watch?v=9RkJDkPJkOc  e Loose Ends https://www.youtube.com/watch?v=pLnx1nz36f0 .

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Dopo due ottimi pezzi dal mood più rilassato (Something In The Night ed una splendida Stolen Car, uno dei brani più oscuri di The River che in quella serata Bruce propose solo per la seconda volta dal 1985) https://www.youtube.com/watch?v=THqSKKv1_yw  lo show riprende a vibrare con tre dei migliori momenti di Wrecking Ball (la title track, We Take Care Of Our Own e Death To My Hometown), per poi arrivare ad una monumentale My City Of Ruins di 17 minuti, piena di anima e con un crescendo notevole, ed una pimpante e ritmata The E Street Shuffle. La parte centrale del concerto forse è ancora meglio, in quanto i nostri alternano coinvolgenti pezzi che non mancano quasi mai come Shackled And Drawn https://www.youtube.com/watch?v=HRpU9HzQHsg , Waitin’ On A Sunny Day, The Rising e Badlands ad altri più rari come una stupenda Devils And Dust dall’insolito arrangiamento rock full band https://www.youtube.com/watch?v=hTIUZvMxLJc , la tesa Youngstown, affilata come una mannaia, una Murder Incorporated resa ancora più potente dai fiati e con una grande sfida finale a base di assoli tra il Boss, Little Steven e Nils Lofgren, e l’irresistibile Pay Me My Money Down che è forse il momento più trascinante della serata. Tra i bis spiccano la solita inimitabile Jungleland (undici minuti con, inutile dirlo, Roy Bittan grande protagonista) ed un finale tra il commovente (Tenth Avenue Freeze-Out, con annesso tributo allo scomparso Clarence Clemons) e l’esagitato (American Land).

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E veniamo al doppio Nice, France 1997, quarto volume della serie ad essere estrapolato dai concerti seguiti alla pubblicazione di The Ghost Of Tom Joad ma primo a provenire dalla parte finale del tour (18 maggio 1997). Una versione intima e pacata del Boss, solo voce, chitarra e armonica (e le tastiere “offstage” di Kevin Buell), un concerto che forse non farà saltare sulla sedia l’ascoltatore ma di certo è in grado di provocare più di un brivido, anche perché vede un Bruce decisamente ispirato e “sul pezzo”. Le canzoni tratte da The Ghost Of Tom Joad occupano un terzo circa della setlist con ben nove selezioni (splendide la title track, durante la quale non si sente volare una mosca, Sinaloa Cowboys, The Line e Across The Border), ma poi ci sono altri brani perfetti per questa veste acustica, come Atlantic City, Highway Patrolman (molto intensa) https://www.youtube.com/watch?v=7XImAedciX0 , l’ironica Red Headed Woman, This Hard Land, l’antica Growin’ Up, l’allora inedita Brothers Under The Bridge, che sarebbe uscita l’anno seguente sul box Tracks https://www.youtube.com/watch?v=Zh9ejlgNsm0 , e It’s The Little Things That Count, una outtake di Tom Joad che a tutt’oggi giace ancora negli archivi  . Il trattamento voce-chitarra funziona anche con pezzi all’apparenza meno adatti, in particolare con It’s Hard To Be A Saint In The City https://www.youtube.com/watch?v=znqV14v7dbY , Two Hearts e l’ancora sconosciuta Long Time Comin’ (in anticipo di otto anni su Devils And Dusthttps://www.youtube.com/watch?v=fMxivCE8wbo , ed in maniera del tutto inaspettata anche brani originariamente rock’n’roll come Murder Incorporated https://www.youtube.com/watch?v=Av1n3isTar0 , You Can Look (But You Better Not Touch) e Working On The Highway.

E’ chiaro, come ho già affermato in passato, che continuo a ritenere il Bruce Springsteen rocker nettamente superiore al suo alter ego folksinger, ma anche armato di sola chitarra e armonica il Boss è tra i pochi al mondo che riesce a suonare per più di due ore senza annoiare.

Marco Verdi

E Questa Sarebbe Una Edizione Deluxe? Neil Young – After The Gold Rush 50

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Neil Young – After The Gold Rush 50 – Reprise/Warner CD

Il 2020 appena trascorso ha visto un Neil Young molto attivo dal punto di vista discografico: a parte il secondo volume degli Archivi che è stato l’apice delle varie pubblicazioni abbiamo avuto il leggendario unreleased album Homegrown (che però poi è stato inserito anche nel cofanettone degli Archives, creando così un poco gradito doppione), l’EP registrato in lockdown The Times ed il doppio Greendale Live con i Crazy Horse. Per quest’anno ci sono già in calendario diverse cose, tra cui altri due live (Way Down In The Rust Bucket ancora con il Cavallo Pazzo e l’acustico Young Shakespeare) e l’inizio di una serie di Bootleg Series sempre dal vivo, anche se al momento non sono state annunciate date di pubblicazione (ma proprio ieri mentre scrivevo queste righe il buon Neil ha confermato che il doppio Way Down In The Rust Bucket uscirà il 26 febbraio).

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lo scorso dicembre però il cantautore canadese, avendo forse deciso che non aveva inondato abbastanza il mercato, ha fatto uscire una versione deluxe per i 50 anni del suo famoso album del 1970, After The Gold Rush, cosa insolita per lui dal momento che né l’esordio Neil Young né il seguente Everybody Knows This Is Nowhere avevano beneficiato dello stesso trattamento. C’è un problema però, grosso come una casa, e cioè che chiamare deluxe una ristampa (ok, in digipak) aggiungendo appena la miseria di due bonus tracks, delle quali solo una inedita, necessita di una buona dose di fantasia per non dire faccia di tolla. E chiaro comunque che è sempre un piacere immenso riascoltare un disco epocale, che molti considerano il migliore di Young (io posso essere d’accordo, anche se sullo stesso piano ci metto Harvest e forse Rust Never Sleeps), un album inciso assieme ai suoi consueti collaboratori dell’epoca, cioè i Crazy Horse al completo (Danny Whitten, Billy Talbot e Ralph Molina), Nils Lofgren, l’amico Stephen Stills, Jack Nitzsche e Greg Reeves, oltre a Bill Peterson che suona il flicorno in un paio di pezzi e prodotto insieme al fido David Briggs.

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After The Gold Rush è principalmente un disco di ballate, e la magnifica trilogia all’inizio è uno splendido esempio in tal senso: Tell Me Why https://www.youtube.com/watch?v=sSWxU-mirqg , la title track (uno dei più bei lenti pianistici di sempre) https://www.youtube.com/watch?v=d6Zf4D1tHdw  e Only Love Can Break Your Heart, tre classici assoluti del songbook del Bisonte e del cantautorato in generale https://www.youtube.com/watch?v=364qY0Oz-xs . Ma anche le meno note Birds e I Believe In You sono due ballad fantastiche, completate dalla malinconica e riuscita cover di Oh Lonesome Me di Don Gibson. Detto di due piacevoli bozzetti di poco più di un minuto ciascuno (Till The Morning Comes e Cripple Creek Ferry), l’album non dimentica comunque il Neil Young rocker, con la tesa Don’t Let It Bring You Down https://www.youtube.com/watch?v=eVy1h2FcRiM  e soprattutto le mitiche Southern Man (dal famoso e controverso testo, al quale i Lynyrd Skynyrd risponderanno con Sweet Home Alabama) https://www.youtube.com/watch?v=-KTpIQROSAw  e When You Dance I Can Really Love.

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Le due bonus tracks riguardano due versioni della stessa canzone, vale a dire l’outtake Wonderin’, un gustoso e cadenzato honky-tonk: la prima era già uscita sul volume uno degli Archivi, mentre la seconda (più rifinita, dal tempo più veloce ed in definitiva migliore) è inedita https://www.youtube.com/watch?v=2hE5w-2sz-w . Tutto qui? Ebbene sì, ma se avete dei soldi da buttare via a marzo uscirà una versione a cofanetto con l’album in LP a 180 grammi ed un 45 giri con le due takes di Wonderin’, il tutto alla “modica” cifra di 90-100 euro! Attendiamo dunque pubblicazioni più stimolanti da parte di Neil Young, anche se è abbastanza evidente che se per qualche strana ragione non possedete After The Gold Rush, questa è l’occasione giusta per riparare alla mancanza.

Marco Verdi

Mentre Il Capo Non C’è Mi Faccio Un Bel Disco Dal Vivo. Nils Lofgren – Weathered

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Nils Lofgren – Weathered Live – 2 CD Cattle Track

In questi tempi nei quali il suo datore di lavoro Bruce Springsteen è stato impegnato con altri progetti, e quindi la E Street Band era in stand-by, Nils Lofgren ha avuto molto più tempo per dedicarsi ai suoi progetti solisti, che peraltro avevano preso l’abbrivio già nel 2014 con la pubblicazione dell’ottimo box retrospettivo Face The Music. In attesa che il grande capo li chiami di nuovo all’opera (e si vociferava che il Boss si stesse disputando l’uso del loro studio di registrazione casalingo, dove la moglie Patti Scialfa sta completando il suo album, per non meglio specificati progetti, leggi nuove canzoni *NDB Tra pochi giorni una realtà con il nuovo album Letter To You), Nils Lofgren ha pubblicato nel 2019 il suo album solo Blue With Lou https://discoclub.myblog.it/2019/05/08/non-un-capolavoro-ma-un-disco-onesto-e-personale-nils-lofgren-blue-with-lou/ , comprendente anche alcuni brani rimasti inediti dalla sua passata collaborazione con Lou Reed.

Ovviamente, visto che non c’era ancora la pandemia, Nils ha pensato bene di portare in tour quell’album e anche molti brani del suo enorme repertorio (oltre trenta album tra studio e live, compresi i Grin) : e per fare questo ha scelto una formidabile band per accompagnarlo, rispolverando dal doppio dal vivo del 1977 Night After Night il fratello Tom Lofgren a tastiere e chitarra, e una sezione ritmica con Kevin McCormick al basso e Andy Newmark alla batteria, già utilizzata nel disco in studio, e molte altre volte in passato, come pure la vocalist aggiunta Cindy Mizelle. Sedici canzoni in tutto, eseguite con foga e classe: Lofgren non hai mai avuto una grande voce, per quanto subito riconoscibile, ma come chitarrista è uno dei migliori su piazza, come mette subito in chiaro la potente Daddy Dream dal disco Wonderland del 1993, la ritmica scandisce il tempo, la Mizelle “aiuta” e sostiene Nils con la sua voce ricca di soul, ma quando il leader inizia a mulinare la sua chitarra in una lunga serie di assoli nei nove minuti del brano, il pubblico presente, pure non molto numeroso pare di capire, non può non apprezzare, fratello Tom aggiunge l’organo e il brano fila liscio come l’olio.

Sempre dallo stesso album (dove apparivano Newmark e McCormick) arriva anche Across The Tracks, tirata e a tutto riff, benché più contenuta come durata, Rock Or Not è una delle canzoni nuove, sempre aggressiva e tirata, più immediata della versione in studio, che lascia poi spazio a Girl In Motion, uno dei brani migliori di Silver Lining del 1991, qui in versione monstre da oltre 14 minuti, con la band che dà il meglio di sé, inclusi Newmark e McCormick che apparivano di nuovo nel disco originale. dove Kevin era anche il co-produttore, con Lofgren che racconta un episodio dell’epoca relativo a Ringo Starr, presente nell’album, ma a quanto mi risulta non in questo pezzo, ma si sa che le nebbie del tempo confondono le idee, e la canzone rimane comunque eccellente, soprattutto in questa versione allungata con grande assolo di Nils. E sempre dallo stesso album molto buona anche una vibrante Walkin’ Nerve, cantata a due voci con la Mizelle, seguita da Too Many Miles, scritta in origine per Bonnie Bramlett, un sinuoso blues, sempre con notevole lavoro della solista, Too Blue To Play, dal nuovo album è una ballata acustica, con i fremiti soul di Big Tears Fall, in origine su Back It Up Live cantati dalla Mizelle.

Don’t Let Your Guard Down e la lunga e improvvisata Give, sono altre due delle collaborazioni con Reed, entrambe più vibranti ed incisive nelle versioni live. Tender Love era una ballata in duetto con la Bramlett, qui sostituita dalla Mizelle, forse un po’ troppo zuccherosa ma non disprezzabile, stesso discorso per Like Rain, vecchio brano anni ‘70, più incisivo, con la Mizelle che sovrasta Lofgren, ma nell’insieme non dispiace, gradevole anche No Mercy, una ballata rock più elettrica e con la chitarra che torna a brillare. Mind Your Own Business è una strana cover di un pezzo country di Hank Williams, cantata con i tre fratelli di Lofgren, non malvagia e con Nils che va di slide, ma non si capisce cosa c’entri con il resto, molto meglio la cover di Papa Was A Rolling Stone dei Temptations, con jam annessa, che poi confluisce nel gran finale di I Came To Dance, uno dei brani migliori in assoluto di Nils Lofgren, oltre dieci minuti di rock (and roll) a tutto tondo, con chitarra fumante e band in grande spolvero, che chiude un album dal vivo più che soddisfacente nell’insieme e che conferma la sua fama di performer.

Bruno Conti

Lo Springsteen Della Domenica: Una Delle Migliori Serate Del “Reunion Tour”. Bruce Springsteen & The E Street Band – Philadelphia 1999

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Bruce Springsteen & The E Street Band – First Union Center, Philadelphia September 25, 1999 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Dopo essersi meritatamente conquistato la reputazione di formidabile performer dal vivo, Bruce Springsteen aveva deciso alla fine del tour del 1988 di sciogliere l’amata E Street Band, prendendosi una lunga pausa e gettando i fans nello sconforto. Era tornato nel 1992 con i due discussi album Human Touch e Lucky Town, e soprattutto per supportarli aveva deciso di usare un gruppo eterogeneo di musicisti che nulla aveva a che fare con il suo passato (a parte Roy Bittan), con il risultato di offrire prestazioni ben lontane da quelle leggendarie insieme ai suoi vecchi compagni. Il Greatest Hits uscito a inizio 1995, con gli E Streeters riuniti per i quattro brani nuovi, aveva ridato qualche speranza ai fans, ma il suo album successivo pubblicato alla fine dello stesso anno, The Ghost Of Tom Joad, vedeva di nuovo musicisti estranei al suo gruppo storico, e addirittura il Boss decise di promoverlo con una tournée acustica in completa solitudine.

Ci si cominciava dunque a chiedere se Bruce avesse ancora voglia (o fosse ancora in grado) di imbarcarsi in lunghi tour da rocker come una volta e con il gruppo “giusto”, e la risposta a queste domande arrivò nel 1999 quando finalmente il Boss riunì i suoi ex compagni (mettendo insieme per la prima volta sia Little Steven che il suo sostituto negli anni ottanta Nils Lofgren) per intraprendere una tournée di due anni che iniziò in Europa per proseguire tra fine anno e tutto il 2000 negli Stati Uniti, durante la quale il nostro dimostrò che i dubbi sulla sua capacità di entusiasmare ancora le folle erano assolutamente malriposti. Il live di cui mi occupo oggi, registrato il 25 settembre del 1999 a Philadelphia (l’ultimo di sei consecutivi al First Union Center), è considerato a ragione uno dei concerti migliori del periodo, con Springsteen in forma strepitosa sia dal punto di vista vocale che da quello della resa sul palco, e con la band in tiro come non si sentiva dal tour di Born In The U.S.A. Che la serata è di quelle giuste lo si capisce fin dal brano d’apertura, una formidabile, potente ed ispirata versione di Incident On The 57th Street, una canzone “antica” che Bruce non suonava dal vivo addirittura dal 1980 (ed anche all’epoca fu eseguita una sola volta in tutto il The River Tour), un pezzo che manda subito i fans in visibilio.

Non avendo un disco nuovo da promuovere i nostri spaziano poi tra i classici del songbook springsteeniano, con riletture da manuale di brani del calibro di The Ties That Bind (grande versione di una delle canzoni più coinvolgenti del Boss), Prove It All Night, Two Hearts, Atlantic City rigorosamente elettrica (da non perdere il boato del pubblico, vista la location, nel sentire i primi versi “They blew up the chicken man in Philly last night”), Badlands, Out In The Street, una Tenth Avenue Freeze-Out di ben 19 minuti nella quale Bruce assume il ruolo di predicatore rock, una Sherry Darling più gioiosa che mai; particolarmente belle e toccanti due rese della splendida Factory in versione molto più country che su disco (e se non vi commuovete all’ascolto, per dirla con Gigi Buffon, avete un bidone dell’immondizia al posto del cuore https://www.youtube.com/watch?v=GKiQ8QkF1dQ ) e della drammatica Point Blank. Sono presenti anche pezzi all’epoca recenti come l’elettrica e coinvolgente Murder Incorporated, una Youngstown trasformata in un selvaggio rock-blues e, visto il luogo del concerto, una bella resa della struggente Streets Of Philadelphia, che nei tour seguenti verrà ripresa pochissime volte; la prima parte della serata si conclude come era iniziata, e cioè con una monumentale rivisitazione di un pezzo appartenente agli esordi del Boss, nella fattispecie l’epica New York City Serenade.

Dopo la potentissima Light Of Day (che non ho mai amato più di tanto) e la sempre splendida Jungleland, lo show, finora da cinque stelle, cala un po’ nei bis. Intendiamoci, il gruppo è in serata di grazia e renderebbe imperdibile anche un brano di Tiziano Ferro, ma è la scelta delle canzoni che forse lascia in bocca un sapore un po’ di incompletezza: se Born To Run e Thunder Road è normale che ci siano, e la versione corale di If I Should Fall Behind è tipica di questo tour, forse il finale con l’allora nuova Land Of Hope And Dreams (non una grande canzone, ed anche troppo lunga) ed una seppur pimpante Raise Your Hand di Eddie Floyd https://www.youtube.com/watch?v=ZhIcXjmMLnU  (che da lì ad una decina d’anni verrà “retrocessa” a base strumentale quando Bruce a metà concerto scenderà tra il pubblico a raccogliere i cartelli con le richieste) manca dell’esplosività tipica di altri spettacoli del nostro, quando sarebbe bastato un bel Detroit Medley per portare anche il terzo CD al livello dei primi due.

Ma sono (forse) quisquilie da fan: lo show è per almeno due terzi imperdibile, ed è una più che adeguata aggiunta ad una serie di pubblicazioni che spero vada avanti ancora a lungo.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Una Serata “Normale” Per Il Boss…Quindi Eccellente! Bruce Springsteen & The E Street Band – Nassau Coliseum 05.04.09

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Nassau Coliseum 05.04.09 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Spesso le pubblicazioni dei concerti del passato tratti dagli archivi di Bruce Springsteen (che sono da tempo diventati una piacevole abitudine mensile) si sono occupate di serate storiche: penso soprattutto a certi show degli anni settanta come quelli all’Agora Ballroom di Cleveland o al Capitol Theatre di Passaic, ma anche degli eighties come il fantastico live del 1985 a Los Angeles, fino al nuovo millennio con gli ultimi spettacoli con Danny Federici e Clarence Clemons all’interno della E Street Band prima che lasciassero questa valle di lacrime. La penultima uscita prende invece in esame una serata “normale”, nel senso che non presenta particolari connotati storici, e cioè lo show del quattro maggio 2009 al Nassau Coliseum, che non è alle Bahamas ma a Uniondale nello stato di New York (già teatro di due concerti ben più leggendari a fine dicembre 1980, entrambi documentati in uscite precedenti) nell’ambito del tour seguito all’album Working On A Dream, invero uno dei dischi più deboli del Boss.

Il nostro forse all’epoca si era reso conto che il livello di quel lavoro era sotto i suoi standard abituali (avrebbe fatto anche peggio anni dopo con High Hopes), e non insisteva più di tanto a riprenderne i brani nella setlist, e quindi gli show erano una sorta di retrospettiva sulla sua carriera. Ed il tour (che va ricordato è l’ultimo con Clemons) vide alcune performance davvero eccellenti da parte del Boss e dei suoi compagni, dato che anche una serata normale per loro è inarrivabile per il 90% degli acts mondiali: io ho visto Bruce dal vivo dieci volte nella mia vita, ma lo show allo Stadio Olimpico di Torino il 21 luglio di quell’anno lo ricorderò sempre come uno dei più belli, a partire dal saluto iniziale del Boss in dialetto piemontese…Anche la prestazione dei nostri in questo triplo CD (o download se preferite) è davvero notevole, a partire dall’avvio subito trascinante con le splendide Badlands e No Surrender, seguite da due estratti da Working On A Dream (inframezzati da una solida She’s The One), cioè l’epica cavalcata di Outlaw Pete, un brano che dal vivo funziona alla grande (e che risentito oggi sembra una anticipazione dello stile di Western Stars), e la title track che invece giudico una canzonetta piuttosto debole. Dopo un uno-due a tutto rock’n’roll con la rara Seeds ed una travolgente Johnny 99 è la volta della magnifica The Ghost Of Tom Joad, sempre una grande canzone anche in questa veste elettrica con Nils Lofgren protagonista alla chitarra; si prosegue con le richieste, il momento in cui Bruce raccoglie i cartelli fra il pubblico mentre il gruppo suona Raise Your Hand.

In quella serata abbiamo una chicca assoluta, cioè l’unica volta in cui i nostri hanno suonato Expressway To Your Heart, un errebi che è stato una hit minore per i Soul Survivors nei sixties (scelta che dimostra la preparazione infinita dei nostri), seguito dalla cristallina For You e dall’irresistibile Rendezvous, per chiudere il mini-set delle richieste con la splendida Night. La seconda parte dello show alterna classici del passato (The Promised Land, Born To Run) con altri più recenti, veri crowd-pleasers come Waitin’ On A Sunny Day, Lonesome Day e le trascinanti The Rising e Radio Nowhere; in mezzo, la migliore canzone di Working On A Dream (The Wrestler, una ballata da brividi) seguita da Kingdom Of Days, discreta ma nulla più. I bis inizano con un altro highlight, una stupenda versione full band elettrica del noto traditional Hard Times (Come Again No More) subito doppiato dall’eccezionale Jungleland, uno dei pezzi che senza Roy Bittan non avrebbe senso suonare. Dopo Land Of Hope And Dreams (che non ho mai amato molto), finale da “tutti in piedi” con una delle migliori American Land mai sentite e due classici come Dancing In The Dark e Rosalita.

Alla prossima uscita, che per la quarta volta da quando è iniziata questa serie si occuperà di un concerto del tour di Tunnel Of Love.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Tutti Insieme Di Nuovo Nel Nome Del Rock’n’Roll! Bruce Springsteen & The E Street Band – Los Angeles 1999

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Los Angeles, October 23 1999 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Uno degli eventi dal vivo più importante degli anni novanta è stato senza dubbio il Reunion Tour del 1999/2000 di Bruce Springsteen & The E Street Band, dopo ben undici anni di assenza dalle scene, periodo nei quali il Boss aveva girato soltanto con la famigerata “Other Band” nella tournée di supporto agli album Human Touch e Lucky Town ed in totale solitudine in seguito a The Ghost Of Tom Joad: in entrambi i casi i commenti erano stati contrastanti, ma c’era unanimità nel riconoscere che a Bruce mancava tantissimo la “sua” band. Un primo riavvicinamento c’era stato nel 1995 con i quattro pezzi nuovi incisi per il Greatest Hits, ma la molla decisiva pare sia stata la compilazione da parte del rocker di Freehold del box quadruplo Tracks, nel quale trovavano posto molte canzoni inedite registrate con i suoi ex compagni. La macchina si era rimessa quindi in moto nel 1999, con il gruppo tirato a lucido e per la prima volta con sia Little Steven che Nils Lofgren contemporaneamente sul palco (il secondo aveva infatti sostituito il primo a metà anni ottanta), e Bruce che ricominciava ad affrontare platee numerose con rinnovata grinta ed energia.

Non c’era un album da promuovere (fatto più unico che raro per il Boss), e così ogni serata diventava una celebrazione del passato dell’artista, con scalette che riproponevano pochi brani tra quelli recenti ma in maggior parte i classici che tutti volevano risentire suonati come Dio comanda. Il concerto di cui mi occupo oggi, penultima uscita all’interno degli archivi live di Springsteen, documenta la serata del 23 Ottobre 1999 allo Staples Center di Los Angeles, ed è considerato dai fans uno degli show più belli ed intensi di quella tournée lunga due anni (NDM: questo è il terzo spettacolo del Reunion Tour ad essere pubblicato nella serie, dopo New York 2000 e Chicago 1999). Inutile dire che Bruce è in forma strepitosa, ed il gruppo non è certo da meno e rilascia una performance tra le più solide che ho sentito all’interno di queste uscite mensili: le setlist in quel tour avevano delle parti fisse ed altre “intercambiabili”, con diverse chicche suonate ogni sera (particolare strano, in questo concerto californiano non viene eseguito nessun pezzo da Born In The U.S.A., fatto piuttosto inusuale dato che stiamo parlando di uno dei dischi più amati dai fans).

Dopo una partenza scintillante con la rara Take’em As They Come, una outtake di The River pubblicata su Tracks, i nostri si lanciano in una serie di brani che nella prima parte attingono esclusivamente da Darkness On The Edge Of Town (la title track, The Promised Land in una delle migliori versioni mai sentite, una splendida Factory, una Adam Raised A Cain dalla notevole foga chitarristica e la sempre trascinante Badlands) e da The River (The Ties That Bind, Two Hearts, la toccante Independence Day ed una super-coinvolgente Out In The Street), con le uniche eccezioni delle recenti Youngstown, molto più elettrica e tesa che in studio e con grande assolo finale di Lofgren, e della travolgente Murder Incorporated, con Bruce, Nils e Steve che incrociano le chitarre come se fossero spade. Una torrenziale Tenth Avenue Freeze-Out di venti minuti, durante i quali Bruce infila una lunghissima presentazione della band con toni da predicatore gospel, precede la fase più emozionale dell’intera serata, con il nostro che regala al pubblico una straordinaria e struggente Incident On 57th Street, un’inattesa e pimpante For You che precede l’intensa The Ghost Of Tom Joad.

Ma soprattutto un uno-due dal pathos incredibile che inizia con una fantastica The Promise che vede Bruce da solo al pianoforte (per la prima volta dal 1978) ed una Backstreets splendida come sempre, grazie anche al tocco magico di Roy Bittan. Si riprende a tutto rock’n’roll con una potentissima Light Of Day di undici minuti, seguita a ruota dall’irresistibile Ramrod e dai superclassici Born To Run e Thunder Road. C’è ancora spazio per una tenue If I Should Fall Behind, in cui ogni membro “cantante” della band ha a disposizione una strofa, e per l’allora nuova Land Of Hope And Dreams (che sinceramente non mi ha mai fatto vibrare più di tanto): finale a sorpresa con una rara esecuzione di Blinded By The Light, che in questa nuova rilettura brilla particolarmente e chiude degnamente un concerto davvero bellissimo. Nel prossimo episodio troveremo Bruce in una veste sonora completamente diversa, ed anche molto più vicino a casa.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Un Boss “Diverso”, Ma Non Privo Di Sorprese! Bruce Springsteen – Bridge School 1986

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Bruce Springsteen – Bridge School, October 13th 1986 – live.brucespringsteen.net/nugs.net CD – Download

Per la penultima uscita della serie di concerti d’archivio di Bruce Springsteen la scelta è caduta su uno show molto particolare, una performance rara e poco conosciuta anche dai collezionisti di bootleg del Boss. Sto parlando della partecipazione del nostro al primo Bridge School Benefit in assoluto, tenutosi nell’Ottobre del 1986 allo Shoreline Amphitheatre di Mountain View in California, serata organizzata da Neil Young con l’allora moglie Pegi per supportare la Bridge School, istituto che si occupa di aiutare i bambini disabili (ricordo che Neil ha due figli affetti da problemi cerebrali), una manifestazione che da allora si è ripetuta per quasi tutti gli anni fino al 2016 e che ha ospitato alcuni tra i migliori artisti del panorama internazionale in performance perlopiù acustiche. Inutile dire che Springsteen era uno degli artisti di punta della serata, ed il nostro ha ripagato il pubblico con una prestazione breve ma intensa (dieci canzoni per un totale di 58 minuti, finora l’unica uscita su singolo CD dell’intera serie dei Live Archives di Bruce), che tra l’altro era il suo primo show dopo la trionfale tournée di Born In The U.S.A., ed il suo primo set acustico degli anni ottanta.

L’inizio del breve concerto è abbastanza strano, con una You Can Look (But You Better Not Touch) cantata a cappella, non il primo brano di Bruce che mi verrebbe in mente per una esecuzione per sola voce (ed infatti il risultato non mi convince molto, anche se il pubblico apprezza). Born In The U.S.A. è in una irriconoscibile versione folk-blues, che se nei futuri tour acustici diventerà familiare, in questa serata del 1986 era alla prima performance in assoluto con questo arrangiamento. Al terzo brano la prima sorpresa, in quanto salgono sul palco Danny Federici alla fisarmonica e Nils Lofgren alla chitarra e seconda voce, e rimarranno fino alla fine: Seeds è più tranquilla rispetto alle versioni elettriche con la E Street Band ma sempre coinvolgente, Dartlington County è vivace anche in questa veste stripped-down, e Mansion On The Hill è come al solito davvero intensa e toccante. Fire è il consueto divertissement, con Bruce che stimola le reazioni del pubblico alternando ad arte stacchi e ripartenze, mentre sia Dancing In The Dark che Glory Days, spogliate dalle sonorità “ruspanti” di Born In The U.S.A., sembrano quasi due canzoni nuove (e la seconda è trascinante anche in questa versione “ridotta”).

Dopo una godibilissima Follow That Dream in chiave folk (brano di Elvis Presley tra i preferiti del nostro), gran finale con il Boss che viene raggiunto nientemeno che da Crosby, Stills, Nash & Young alle voci (Stills e Young anche alle chitarre) per una corale e splendida Hungry Heart, rilettura decisamente emozionante con l’accordion di Federici grande protagonista, degna conclusione di un set breve ma intrigante, le cui vendite frutteranno la cifra di due dollari a copia (o download) da destinare alla Bridge School. Squilli di tromba e rulli di tamburo per la prossima uscita della serie, che si occuperà di quella che è forse la performance più leggendaria di sempre del Boss. Un indizio? Trattasi di un vero “cavallo di battaglia”…

Marco Verdi

Novità Prossime Venture 17. Annunciato Da Mesi, Il Prossimo 25 Ottobre Uscirà Il Nuovo Album Di Neil Young Con I Crazy Horse Intitolato Colorado!

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Niel Young And Crazy Horse – Colorado – Reprise – 25-10-2019

Quando la scorsa primavera sarebbe dovuto uscire il famoso e tanto sospirato secondo volume della serie The Archives, a sua volta annunciato da Neil Young sul finire dello scorso anno, il canadese aveva detto che in quei giorni, fine aprile, sarebbe entrato nei suoi studi, situati appunto in Colorado, per dare un seguito all’ultimo album pubblicato con i Crazy Horse Psychedelic Pill, uscito sul finire del 2012. Neil aveva annunciato che erano pronti almeno undici nuovo brani scritti da lui e che sarebbero stati registrati con la nuova formazione della band, dove Nils Lofgren (a quasi 50 anni dall’ultima apparizione in un album della band, avvenuta nel 1971), libero dagli impegni con la E Street Band, aveva sostituito il chitarrista Frank Sampedro, che aveva deciso di ritirarsi dalle scene. In effetti, come vediamo tra un attimo, le canzoni incise tra aprile e maggio del 2019 per questo nuovo Colorado sono state dieci, di durata oscillante tra i tre e i tredici minuti (She Showed Me Love), alcune già eseguite dal vivo negli scorsi mesi, così dicono le prime notizie. La versione in vinile, conterrà un 45 giri in “omaggio” (dal prezzo annunciato sui 45 dollari, non sembrerebbe molto), che avrà su un lato una bonus track ulteriore di studio Truth Kills e sull’altro lato un brano dal vivo Rainbow Of Colors, registrato dal vivo a Portland, Oregon il 17 maggio, la prima esecuzione live di questo pezzo che avrebbe dovuto essere anche.il primo singolo estratto dall’album (qui con i Promise Of The Real https://www.youtube.com/watch?v=X7v6e7f3_DE ) .

In effetti il primo singolo ad uscire in rete è stato in questi giorni Milky Way, che insieme alle altre due citate e a Green Is Blue, era uno dei brani già suonati in concerto, Comunque ecco la lista completa delle canzoni incluse in Colorado, la cui uscita è prevista per il prossimo 25 ottobre, salvo ripensamenti del nostro, che non sono assolutamente da escludere.Il disco è stato prodotto dallo stesso Neil Young con John Hanlon.

1. Think Of Me
2. She Showed Me Love
3. Olden Days
4. Help Me Lose My Mind
5. Green Is Blue
6. Shut It Down
7. Milky Way
8. Eternity
9. Rainbow Of Colors
10. I Do

Bruno Conti

Non Un Capolavoro, Ma Un Disco Onesto E Personale. Nils Lofgren – Blue With Lou

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Nils Lofgren – Blue With Lou – Cattle Track Road CD

L’album di cui mi accingo a parlare ha origini lontane, e più precisamente nel 1978, anno in cui Nils Lofgren era in studio con il noto produttore Bob Ezrin per registrare il suo disco Nils. Il nostro era in un momento di impasse, avendo pronte le musiche di una manciata di canzoni ma con la difficoltà a trovare dei testi che lo soddisfacessero: fu così che Ezrin gli propose di incontrare Lou Reed per vedere se fosse possibile iniziare una collaborazione, e Nils gli diede retta. I due si piacquero subito (cosa non scontata quando c’era di mezzo l’ex Velvet Underground), e Lofgren diede a Lou un nastro con tredici canzoni per vedere se riusciva a cavarci qualcosa: dopo qualche giorno di silenzio, la classica telefonata in piena notte, con il rocker newyorkese che si dichiarò positivamente colpito dalle musiche di Nils, ed iniziò letteralmente a dettargli al telefono i testi appena scritti per quei brani (immagino il costo della bolletta telefonica).

Di questi tredici pezzi, tre se li prese lo stesso Reed per il suo album del 1980 The Bells (Stupid Man, City Lights e With You), altri tre finirono sul già citato Nils (A Fool Like Me, I’ll Cry Tomorrow e I Found Her) ed altri due li ritroveremo su due album successivi di Lofgren, Life su Damaged Goods (1995) e Driftin’ Man su Breakway Angel (2002). Il resto è storia recente: inattivo discograficamente dal 2011 (Old School), Nils ha approfittato della pausa concessa da Bruce Springsteen alla E Street Band (e prima di tornare in pista con Neil Young & Crazy Horse al posto di Frank “Poncho” Sampedro) per pensare ad un nuovo album da solista, e siccome non aveva ancora avuto modo di omaggiare Reed (scomparso nel 2013), ha avuto l’idea di utilizzare i restanti cinque brani della loro collaborazione, oltre a scriverne uno dedicato a lui e ad offrire una sua rilettura di City Lights. Il risultato, dall’emblematico titolo di Blue With Lou, è quindi un vero e proprio tributo all’amico che non c’è più, ed è uno dei lavori più personali dell’intera carriera di Lofgren (anche per altre due “canzoni-omaggio” che vedremo tra poco, ma non scritte pensando a Reed) oltre che uno dei più positivi da Crooked Line (1992) in avanti. Nils a mio parere non è mai stato un fuoriclasse come artista in proprio: ottimo sideman, eccellente chitarrista, ma un disco intero a suo nome si fa un po’ fatica a reggerlo dall’inizio alla fine, sia per qualche limite dal punto di vista del songwriting, ma anche a causa del fatto che madre natura lo ha dotato di una voce sì intonata, ma un po’ monocorde e scarsamente dotata di sfumature.

Blue With Lou, pur avendo dei difetti e qualche episodio sottotono, si mantiene comunque ben al di sopra della sufficienza, ed anzi in molti punti è perfino ottimo: prodotto da Nils con la moglie Amy, l’album è stato registrato in presa diretta dal nostro con una configurazione a trio, molto essenziale, dove però i compagni di lavoro sono Kevin McCormick al basso ed Andy Newmark alla batteria, cioè due musicisti con un pedigree lungo come da qui a New York. Il disco ha quindi un suono secco, potente e diretto, tipico dei lavori incisi live in studio, con una serie di backing vocals sia maschili che femminili a dare più profondità. Comincerei senz’altro proprio dai sei brani scritti dal nostro insieme a Lou: Attitude City ha un ritmo pulsante, riff di chitarra quasi creedenciano e Nils che canta con la sua tipica voce pulita ma un po’ chioccia, una rock’n’roll song diretta e potente che fa comunque iniziare il disco col giusto piglio. Give è un funk-rock annerito e dal tempo veloce, non un grande brano dal punto di vista compositivo, ma suonato con una bella dose di grinta, con Nils che comincia a mostrare la sua abilità chitarristica. Talk Thru The Tears è invece una rock ballad pianistica (anche le tastiere sono suonate da Lofgren) dal ritmo sempre cadenzato e la chitarra che si fa spazio da par suo, con un coro maschile sullo sfondo quasi ecclesiastico, che crea un deciso contrasto con la strumentazione tipicamente rock.

Gli ultimi due inediti a firma Lofgren/Reed sono Don’t Let Your Guard Down, un rock’n’roll molto piacevole con la solita ottima chitarra ed un motivo diretto ed immediato, e Cut Him Up, rock song ariosa e limpida che si pone tra le più riuscite, grazie anche al tocco chitarristico sopraffino; e poi c’è City Lights, che viene riletta da Nils con un arrangiamento in stile reggae ed il sax di Brandford Marsalis a riempire gli spazi, una veste sonora molto distante da quella di Lou ma gradevole e ottimamente eseguita. La title track è invece un brano nuovo di zecca, seppur ispirata da Lou, ed è un pezzo di sette minuti dalla ritmica pulsante e con una slide tagliente, atmosfera bluesata e decisamente “black”, niente male. Le restanti cinque canzoni, tutte opera di Lofgren, partono con Pretty Soon, un buon folk-rock elettroacustico dal tempo sostenuto, una melodia discorsiva e distesa e splendidi riff di chitarra slide (odo qualche vago richiamo allo stile del Boss). La chitarristica Rock Or Not è aggressiva e vibrante, anche se forse concede poco all’ascoltatore e ha un ritornello un po’ sopra le righe, mentre Too Blue To Play è molto bella, una ballata acustica toccante ed intensa nonostante un altro coro maschile “strano” e la poco duttile voce di Nils, ma il brano ha uno script solido ed una parte di chitarra superlativa. Il finale rende Blue With Lou ancora più personale, in quanto presenta due omaggi a perdite recenti: Dear Heartbreaker è dedicata a Tom Petty, una rock ballad discretamente piacevole anche se un po’ ripetitiva e forse mancante del pathos necessario, mentre Remember You è dedicata al cane di Nils, Groucho, scomparso da poco, un pezzo lento e melodicamente intenso, anche se avrei evitato il sottofondo a base di synth: dal secondo minuto in poi il ritmo cresce, entra la chitarra ed il brano migliora sensibilmente.

Quindi un disco che non posso definire perfetto al 100%, ma comunque con molti più momenti positivi che sottotono, e di certo profondamente onesto e sincero: direi che può bastare.

Marco Verdi