Un Vero Costruttore…Di Musica! Kevin Deal – There Goes The Neighborood

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Kevin Deal – There Goes The Neighborhood – Blindfellow Records

Ottavo album, a ben quattro (* sarebbero tre) di distanza dal precedente Seven, per il texano Kevin Deal, uno che abbiamo sempre seguito con piacere fin dal suo esordio nel 2000 con Honky Tonk’n’Churches. Deal è un texano di quelli giusti, in tredici anni non si è mai piegato alle leggi del marketing, ha sempre fatto la sua musica nei tempi che ha voluto: un rockin’country decisamente diretto e godibile, ma nello stesso tempo di spessore e ben lontano da certa paccottiglia che viene prodotta a Nashville. Particolare da non sottovalutare (e che si collega al titolo del post): Kevin ha ancora meno problemi a fare una musica che vende poco, solo per il piacere di farla, dato che la sua principale fonte di guadagno è l’azienda Deal Masonry, fondata dal padre e della quale è titolare, una ditta edile che si occupa della costruzione di ville e chiese in pietra (e quindi il titolo del suo primo CD non era casuale), un’attività a quanto pare molto ben avviata.

There Goes The Neighborhood, la sua nuova fatica, prosegue il discorso avviato con i precedenti lavori, stavolta però con una maggiore attenzione verso la musica bluegrass e gospel: non è però un disco a tema, la base di partenza è sì la musica d’altri tempi, ma filtrata ed elaborata secondo i canoni di Kevin, ed il risultato è uno dei lavori più riusciti del nostro. Intanto sono tutti brani originali (tranne uno), è poi il trattamento di Deal e della sua band (Bob Penhall, Miles Penhall, Jim Bownds e Rick Hood) è tipicamente texano, quella miscela di country e rock piena di ritmo e feeling, nobilitata oltremodo dalla produzione (e partecipazione come membro aggiunto della band) del grande Lloyd Maines, che come tutti sapete è il miglior produttore del Lone Star State ed in dischi come questo ci sguazza.

La title track apre l’album, un bluegrass tune che più classico non si può, vivace e godibile, con banjo e dobro protagonisti e la voce di Kevin perfettamente in parte. Cosmic Accident è invece un puro honky-tonk texano, con un bel motivo di fondo ed un train sonoro diretto ed evocativo al tempo stesso. La mossa e godibile I Need Revival è country d’altri tempi, ancora con elementi bluegrass e Kevin calato alla perfezione nel suo elemento; l’annerita Big Prayer è invece un gospel-blues a forti tinte swamp, una canzone che non t’aspetti. Le sorprese continuano con un’intrigante versione del superclassico gospel Amazing Grace, arrangiata però come una rock ballad alla Joe Ely, con il passo tipico del grande texano di Amarillo ed uno splendido assolo di armonica: una versione spiazzante, ma di grande bellezza.

Gideon riprende il discorso country-grass, con il Texas che esce ad ogni nota: gran bella canzone, suonata e cantata alla grande (e la presenza di Maines si sente, eccome); Finish Well è una cowboy ballad coi controfiocchi, dove non mancano echi di Robert Earl Keen (sempre in Texas siamo), mentre la ritmata When Your Name Is Called è puro country di una volta, ricorda quasi certe sonorità dei primi anni settanta della Nitty Gritty Dirt Band. La bucolica A Long Time Ago anticipa l’intensa (più di sei minuti) Just Another Poet, un racconto western che potrebbe essere uscito dalla penna di Guy Clark (NDB. In uscita fra una decina di giorni con il nuovo album, My Favorite Picture Of You). Chiudono un ottimo album la bella King Jesus, un country-rock molto piacevole, ancora con Ely tra le note, e la lunga This Old Cross Around My Neck, elettrica, sfiorata dal blues, con un suggestivo crescendo che ce la fa gustare per tutti i suoi sette minuti abbondanti. Bravo Kevin, ancora un bel disco.

Marco Verdi

*NDB Anche questo, come i Field Report recensito ieri, in effetti è uscito all’incirca un annetto fa, luglio 2012, comunque rimane bello!

Quasi Meglio Di Emmylou! Matraca Berg – Love’s Truck Stop

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Matraca Berg – Love’s Truck Stop – Proper Records

Anzi direi di più! Quasi meglio della “miglior” Emmylou (Harris). Matraca Berg è una bella signora di quasi 49 anni (a febbraio, lo so non si dovrebbe dire), portati benissimo, cantante e autrice country, una delle migliori della scena di Nashville, dove vive felicemente con il marito Jeff Hanna, uno dei membri fondatori della Nitty Gritty Dirt Band. E questo è importante sottolinearlo, perché se la nostra amica Matraca è diventata celebre (negli States) soprattutto come autrice per cantanti di country diciamo tradizionale, commerciale anche, come Randy Travis, Michelle Wright, Deanna Carter, Trisha Yearwood, come cantante e autrice il suo stile si avvicina molto a quello della citata Emmylou, ma anche di Mary Chapin Carpenter, Nanci Griffith, Iris DeMent, insomma quelle brave. Non per nulla le hanno fatto fare solo cinque album, di cui due antologie, negli anni ’90 (peraltro tutti molto belli, nel genere) e poi è scomparsa dalle scene, fino allo scorso anno quando è stata ripescata dalla Dualtone per un disco, The Dreaming Fields, tra i migliori nel cantautorato country di qualità. Quello di quest’anno, Love’s Truck Stop, è anche meglio, ai livelli di quegli album country “speciali” che Emmylou Harris pubblicava a getto continuo negli anni ’70 e ’80 – poi non è che abbia iniziato a fare dischi brutti, ha solo spostato il suo raggio di azione verso uno stile più raffinato ma meno immediato, ma vi annuncio che a fine febbraio uscirà il suo album in coppia con Rodney Crowell per la Nonesuch che probabilmente la riporterà alle vecchie sonorità della Hot Band – tornando a Matraca Berg, si diceva che questo CD è notevole, e infatti la rivista inglese Maverick, specialista nel genere folk, country, rooos le ha assegnato addirittura cinque stellette, forse esagerando, nella sua recensione pubblicata ad ottobre.

Perché in effetti l’album, come avevo annunciato nella rubrica delle novità, è uscito già da un paio di mesi, ma visto che in questi giorni, tra una montagna di dischi in arretrato, mi è capitato di risentirlo e ne ho vieppiù apprezzato le qualità, ho deciso di approfondire la questione.

Questo Love’s Truck Stop riprende il filo del discorso interrotto nel 1997 dopo Sunday Morning To Saturady Night e riallacciato lo scorso anno con il già citato e ottimo The Dreaming Fields. Sono piccole storie e tragedie della vita di tutti i giorni, spesso presentate come metafore, con le protagoniste che di volta in volta si chiamano Mary o Magadalene, con un suono volutamente scarno e intimo, ma con tutti gli elementi della migliore country music: lap steel, violino, banjo, chitarra, armonica, il piano, suonato da lei stessa, e tante voci, ce ne sono ben dieci, utilizzate per delle armonie vocali da sogno. Senza dimenticare la voce della protagonista, Matraca Berg, che non ha nulla da invidiare appunto alla migliore Emmylou, la voce perfetta per il genere, capace di molte sfumature, melodica e ben strutturata, partecipe e variegata: quando si incontra proprio con Emmylou per una stupenda Magdalene, la storia di una giovanissima prostituta da strada, l’intreccio delle due voci dà i brividi ed è difficile districarle e distinguerle, con il tessuto sonoro del brano, solo acustica e una lontana lap steel, perfetto per il brano.

Ma tutto il disco è di alta qualità: dall’iniziale Love’s Truck Stop, cantata con il supporto di Pat McLaughlin, la weeping lap steel di Jason Goforth e la baritone guitar di Jeff Hanna, un esercizio perfetto su come deve essere suonata una grande country song, firmata in questo caso con Holly Gleason. Tutti i brani sono firmati con altri autori e questo contribuisce alla varietà dei temi. Her Name Is Mary, di nuovo con la Gleason, si avvale delle armonie vocali di Kim Carnes, ed è un altro bozzetto della America meno glamour, la storia di una giovane cameriera di 20 anni che vive la sua difficile storia in una America minore ed in difficoltà, cantata con grande partecipazione ed umanità, come nella grande tradizione della migliore canzone popolare americana.

Black Ribbons, scritta e cantata con due delle migliori rappresentanti delle ultime generazioni della musica country americana, Gretchen Peters e Suzy Bogguss, è un’altra malinconica cavalcata negli stilemi del genere. Anche in Foolish Flower prevalgono i tempi lenti, con un’armonica, suonata dalla stessa Matraca, ad unirsi al suono di chitarre, banjo e al violino di David Henry che è anche il produttore dell’album, il brano è scritto da Angaleena Presley e le armonie vocali sono a cura di Ashley Monroe e Jessi Alexander, altre rappresentanti del nuovo country. In quasi tutto il disco, come nell’ultimo della Chapin Carpenter, le atmosfere sono lente e malinconiche, con il cello spesso in evidenza, come in We’re Already Gone, dove appare come autrice e seconda voce, Angel Snow, altra cantautrice emergente della scena roots americana (appuntatevi tutti questi nomi, se già non le conoscete, perché vale la pena di approfondire): inutile dire che lo stile oscilla sempre tra Emmylou, Nancy Griffith, la Chapin Carpenter, volete aggiungere qualche spruzzata delle sorelle Lynn e Moorer? Fatelo.

I Buried Your Love, con cello, steel e il piano della Berg che virano verso atmosfere quasi bluesate, ma sempre molto raccolte. Detto di Magdalene anche My Heart Will Never Break This Way Again, già dal titolo non suggerisce variazioni sui temi non positivi, ma realistici, dell’amore e della vita ai giorni nostri, soprattutto visti dal punto di vista delle donne, stando alla brava Matraca c’è poco da stare allegri, perfino la natura è triste come riportato nella bellissima Sad Magnolia, dove un banjo, la solita steel, di nuovo l’armonica e le armonie vocali di Jeff Hanna ci riportano ai fasti della vecchia Nitty Gritty. Molto bella anche Waiting On A Slow Train, scritta con Phil Madeira, recente collaboratore di Emmylou Harris, e se la seconda voce non è quella della stessa Berg, raddoppiata, potrebbe essere di nuovo quella della Harris, tanto si somigliano. Conclude la ballata pianistica Fistful Of Roses che avrebbe fatto la sua bella figura anche nell’ultimo album di Iris DeMent. Disco di genere, ma assolutamente meritevole, per appassionati del buon country, ma non solo.

Visto che siamo alla fine, Happy New Year, anche se il mondo è finito il 21 dicembre, ma non ce ne siamo accorti, per cui eventualmente ci vediamo l’anno prossimo.

Bruno Conti

Altri “Muli” Di Valore Dalla Virginia. Wrinkle Neck Mules – Apprentice To Ghosts

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Wrinkle Neck Mules – Apprentice To Ghosts – Blue Rose 2012

I Wrinkle Neck Mules, quintetto originario di Richmond (Virginia), sono una delle band “minori” più interessanti del rock provinciale americano. Il gruppo capitanato dal chitarrista di origine armena Andy Stepanian, e coadiuvato da Mason Brent  alla pedal-steel e mandolino, Brian Gregory al basso, Stuart Gunter alla batteria e percussioni e Chase Heard al banjo e chitarre, esordisce con Minor Enough (2004), a cui faranno seguito Pull The Brake (2006), The Wicks Have Met (2007) e Let The Lead Fly (2009), il disco che indubbiamente li ha fatti conoscere ad un pubblico più vasto. Con questo nuovo lavoro, Apprentice To Ghost i Mules ampliano il loro suono, con una sezione ritmica più potente, da vera rock band, usando ogni tipo di strumento a corda, ma, nel parere di chi vi scrive,  principalmente continuando a scrivere canzoni valide, nella tradizione dell’alternative country più “roots”.

Basta ascoltare l’iniziale When The Wheels Touch Down, una ballata d’altri tempi, molto rock, voce grintosa e la batteria ben presente dentro il brano, mentre Stone Above Your Head è pura “Americana” (ricorda i primi Jayhawks). On Wounded Knee è un brano dal suono tosto, seguito dalla title-track, lenta e rilassata e con un delizioso intervento alla pedal-steel di Brent. Patience In The Shadows e Double Blade sono due composizioni classiche, con voci all’unisono, un suono leggermente garage e “feeling” da vendere. Un intrigante mandolino accompagna Parting Of The Clouds, mentre Leaving Chattanooga viaggia in territori cari a gruppi come la Nitty Gritty Dirt Band. Si torna alla country-song con Liberty Bell e Banks Of The James (con il banjo che domina) con un “sound” elettroacustico e crepuscolare, tipico del movimento “no depression”. La vivace e quasi galoppante Central Daylight Time (è come se i Beat Farmers si fossero riuniti (di questi tempi può succedere di tutto), precede la conclusiva Dry Your Eyes splendida ballata che inizia a lievitare sulle note del banjo di Chase Heard, che ci trasporta tutti nelle ampie distese tra Texas e Messico.

Tutte le canzoni sono accreditate all’intera band, quasi a rivendicare che nessun componente abbia un ruolo da leader fisso, la stessa filosofia che animava gruppi come gli Uncle Tupelo, Son Volt, Jayhawks di ieri, e i Reckless Kelly, Bottle Rockets, Blue Mountain di oggi. Nulla di nuovo sotto il sole, ma una maturità e una perfezione nel delineare melodie e impasti vocali, che portano questi ragazzotti della Virginia a diversificarsi dalla massa di proposte roots e americana che inondano il mercato, in definitiva uno dei migliori CD degli ultimi mesi. Se amate il genere, non dimenticatevi dei Wrinkle Neck Mules, una band da tenere d’occhio, sapranno accontentarvi senza chiedere troppo in cambio, giusto quei 15-20 euro del CD.

Tino Montanari