Un Musicista Che Si “Compromette”, Ma Solo Nel Titolo Del Disco! Steve Forbert – Compromised

steve forbert compromised

Steve Forbert – Compromised – Rock Ridge Music

Sono passati 37 anni da quando un giovane di belle speranze, Steve Forbert cantautore del Mississippi trasferito a New York, esordiva con Alive On Arrival (78), seguito da un altro album ben riuscito come Jackrabbit Slim (79), da cui fu tratto un singolo, Romeo’s Tune (un piccolo gioiello) che varcò subito la soglia delle Top 20 delle classifiche americane, e da quel momento il buon Steve (come tanti altri) ricevette il “bacio della morte” dalla critica musicale, destinato ai cantautori etichettati come “ il nuovo Dylan”. Ma Forbert non ha mai mollato, ha superato vari periodi di crisi grazie alla sua grande voglia di fare musica, e ripensando a una carriera quasi” infinita”  (con16 album in studio e vari Live), il suo disco migliore (per chi scrive) rimane On The Streets Of  This Town (88), senza dimenticare però il successivo The American In Me (91) e Mission Of The Crossroad Palms (95), e in tempi più recenti Any Old Time (02), un bel tributo appassionato e riuscitissimo delle canzoni di Jimmie Rodgers (uno dei padri della musica country), nominato anche per un Grammy nel 2004. Per questo nuovo lavoro, Compromised,  prodotto dallo stesso Forbert con l’aiuto di John Simon, uno che nella sua lunga carriera ha messo lo zampino in dischi di artisti del calibro di Janis Joplin, The Band, Simon & Garfunkel e Leonard Cohen (nel suo disco d’esordio), il nostro si avvale di musicisti di grande esperienza quali Robbie Kondor alle tastiere (già presente in Alive On Arrival), Joey Spampinato degli NRBQ al basso, Lou Cataldo alla batteria, Tad Price alle chitarre e il bravo polistrumentista Kami Lyle piano e tromba, che danno vita a 15 brani (comprese 4 bonus tracks)  che potremmo definire folk-roots, da sempre il genere di Steve.

Le canzoni di Compromised si muovono su binari ormai familiari all’artista, a partire dall’iniziale title track che strizza l’occhio ad un pop di facile ascolto, a cui fa seguito un “uptempo” di notevole vigore come A Big Comeuppance con il magistrale uso dei fiati (la tromba di Kami Lyle), l’incedere di When I Get To California, dal gradevole ritornello, passando per un brano quasi tex-mex come la ritmata Drink Red Wine, omaggiare una grande band con Welcome The Rolling Stones, con il marchio di fabbrica dell’artista che si fa sentire, rendendo il brano piacevole e ben strutturato. Alcuni brani ricordano il Forbert più tipico, come l’incantevole ballata Rollin’ Home To Someone You Love, dove spunta un bellissimo intermezzo strumentale accarezzato dall’uso dell’armonica, mentre la seguente Send In The Clowns è una cover pescata dal Musical A Little Night Music, per poi ritornare alla ballata confidenziale e romantica con I Don’t Know If You Know e la semi-acustica Devil (Here She Comes Now). La qualità del lavoro non scende di un millimetro anche negli ultimi due pezzi, la solare Time Seemed So Free, e una Whatever Man dalla bella linea melodica, cantata con grande trasporto da Steve. Come non sempre accade le bonus tracks sono un valore aggiunto, a partire da You’d See The Things That I See (The Day John Met Paul), un piccolo gioiello di eleganza con di nuovo la spolverata finale di una sapiente armonica, mentre Devil (Here She Comes Now), When I Get California e Whatever Man, vengono riproposte in una versione “americana” ancora più roots degli originali, e questo potrebbe essere il “nuovo corso” dei prossimi lavori di questo artista.

Steve Forbert, oggi come ieri, si conferma un cantautore gentile e intimista, che spazia nell’ambito di un folk-rock tradizionale e genuino, con qualche accenno pop (nella sua migliore accezione), un sound elettroacustico che raggiunge i migliori risultati nelle ballate costruite con garbo e cantate con classe da vendere, a dimostrazione che anche in questo campo, si può invecchiare con stile. Esce il 6 novembre

Tino Montanari