“Nuovi” Dischi Live Dal Passato 1. Elliott Murphy – Elliott Murphy Is Alive!

elliott murphy is alive

Elliott Murphy – Elliott Murphy Is Alive! – Murphyland CD

Sesto album dal vivo per Elliott Murphy, singer-songwriter nato a New York e trapiantato da diversi anni a Parigi. Dopo aver goduto di una certa popolarità negli anni settanta, grazie a dischi bellissimi come Aquashow, Night Lights e Just A Story From America (che lo avevano fatto rientrare di diritto nella categoria dei “nuovi Dylan”), Murphy ha continuato a fare la sua musica con regolarità anche nelle decadi seguenti, fregandosene delle mode e del fatto che i suoi lavori non andassero aldilà di un apprezzabile status di culto, ed arrivando ad avere una discografia di qualità e quantità con oltre trenta album di studio il cui ultimo, Prodigal Son (2017), è uno dei suoi più riusciti del corrente millennio https://discoclub.myblog.it/2017/07/01/35-album-e-non-sentirli-un-inossidabile-storyteller-cittadino-del-mondo-elliott-murphy-prodigal-son/ . Elliott è uno che in carriera ha guadagnato abbastanza per fare una vita più che dignitosa, ma probabilmente non si può permettere lunghe tournée con band elettriche a seguito, e quindi spesso si esibisce in duo con l’ormai inseparabile chitarrista francese Olivier Durand, e a volte in quartetto ma sempre senza batteria, come nei due album Alive In Paris e Just A Story From New York.

Elliott Murphy Is Alive! è il nuovissimo disco registrato on stage, ma non si riferisce ad un concerto recente, bensì ad una serata belga del 7 Maggio 2008 (il tour è lo stesso di Alive In Paris), e vede il nostro alla chitarra acustica e armonica e Durand che lo doppia come al solito in maniera egregia, suonando spesso e volentieri l’elettrica: i due nel 1999 avevano già dato alle stampe l’ottimo April, un live di stampo decisamente folk, mentre qui, pur essendo i due ancora completamente soli, l’approccio è nettamente più rock, ed in diversi momenti sembra di sentire una band al completo. Il CD comprende undici canzoni, quasi tutte discretamente lunghe, ma la noia non affiora neppure per un momento: Elliott canta con voce forte e ben centrata, e gli intrecci chitarristici tra lui e Durand fanno letteralmente decollare i brani, specie durante gli assoli di Olivier. Spesso gli spettacoli dal vivo acustici vanno bene per qualche canzone, poi iniziano a mostrare la corda, ma non è il caso di Elliott Murphy Is Alive!, e questo grazie alla bravura ed all’intesa dei due personaggi sul palco, oltre naturalmente alla bellezza delle canzoni. Sugli undici pezzi totali, ben sei provengono da Notes From The Underground (che all’epoca era il nuovo album di Murphy), a partire da Crepescule, una folk song cantautorale decisamente bella e con ottimi ricami di Durand, per proseguire con la toccante e delicata Ophelia e con la sanguigna Razzmatazz, dall’arrangiamento che è una via di mezzo tra un flamenco sotto steroidi ed un western psichedelico (sentite l’assolo del collega di Elliott): magnifica.

Scandinavian Skies è fluida, distesa ed evocativa (scritta, dice Murphy, dopo un viaggio in macchina da Stoccolma ad Oslo), The Valley Below ha una profonda ed intensa melodia di stampo folk, mentre Frankenstein’s Daughter è coinvolgente e cadenzata, ed è eseguita con il contributo del pubblico che si occupa di tenere il tempo. Le altre cinque canzoni provengono da diversi momenti della carriera del songwriter newyorkese, a cominciare dall’energica Sonny, suonata con forza e decisione dai due, al punto che sembra di essere investiti da una cascata di note cristalline, e cantata da Elliott con grinta e passione (e Durand rilascia un assolo elettrico strepitoso): quasi otto minuti che passano in un baleno. Anche la tesa Green River è una vera rock song, e l’assenza della band è coperta dalla performance magistrale del duo, e poi la canzone è bella di suo, e ha un ritornello immediato, mentre la trascinante Canaries In The Mind è puro rock’n’roll, e non importa che manchino basso e batteria, il ritmo lo tiene il pubblico. Il finale è appannaggio della classica Diamonds By The Yard, di gran lunga il brano più noto tra quelli inclusi (versione che nel suo arrangiamento essenziale fa fuoriuscire tutta la straordinaria bellezza della canzone) e da una cover di L.A. Woman dei Doors, che suonare elettroacustica poteva sembrare un azzardo, ma Elliott e Olivier la fanno loro con una prestazione assolutamente debordante.

Elliott Murphy è un grande, ma non ci voleva di certo questo disco dal vivo (pur decisamente riuscito) per ricordarcelo.

Marco Verdi

35 Album E Non Sentirli: Un Inossidabile Storyteller Cittadino Del Mondo. Elliott Murphy – Prodigal Son

elliott murphy prodigal son

*NDB. Giusto ieri si parlava sul Blog di Willie Nile, uno dei grandi outsiders della musica americana. Forse ancor più di lui in questa categoria rientra Elliott Murphy, uno dei primi “nuovi Dylan” e poi comunque con una carriera di grande spessore. Oggi ce ne parla Tino Montanari, in occasione dell’uscita del nuovo album, al solito buona lettura.

Elliott Murphy – Prodigal Son – Route 61 Music/Murphyland

Ritorna con il trentacinquesimo disco (in oltre 40 anni di carriera), un “cliente” abituale di questo blog. Stiamo parlando di Elliott Murphy cittadino americano di New York, trasferitosi da parecchio, fin dall’inizio anni ’90 nella romantica Parigi, e anche figlio adottivo italiano per un periodo trascorso a Roma suonando da “busker: questo è il secondo album edito, dopo il “remake” di Aquashow Deconstructed (15) http://discoclub.myblog.it/2015/05/15/rilettura-pagine-preziose-elliott-murphy-aquashow-deconstructed/ , dalla benemerita etichetta italiana Route 61 Music di Ermanno Labianca. Questo nuovo lavoro, Prodigal Son, come al solito è stato registrato negli studi Question De Son a Parigi, con la band e i “compagni di merende” che lo accompagnano da anni: The Normandy All Stars, composti dal compianto Laurent Pardo al basso (scomparso poco dopo la registrazione del disco), Alan Fatras alla batteria, e naturalmente l’amico di vecchia data Olivier Durand alle chitarre, con l’apporto di superbi musicisti, tra i quali Leo Cotton alle tastiere, la bella e brava Melissa Cox al violino, e il figlio Gaspard validissimo polistrumentista (per chi scrive è stato quasi determinante, insieme a Durand, nell’ultima parte di carriera del padre), che ha anche prodotto, arrangiato e mixato il disco.

Si parte con il primo singolo Chelsea Boots (uscito in edizione limitata vinile 7” per il Record Story Day), e sembra che il tempo non sia passato dagli anni d’oro del suo esordio, con armonica e chitarre in primo piano, mentre la successiva Alone In My Chair è accelerata e movimentata, e fa battere il piedino, per poi approdare alla prima ballata Hey Little Sister, con il violino della Cox in sottofondo che accompagna la voce calda e profonda di Elliott. Si prosegue con l’intima e pianistica Let Me In, impreziosita da un intrigante coretto “soul”, seguita ancora dalla title track Prodigal Son (sicuramente il brano più creativo e interessante), con un ritmo incalzante (in cui Cotton si esprime al meglio), abbellito da voci “chiassose” in chiave gospel, e poi ci si commuove con la struggente bellezza di una romantica Karen Where Are You Going, dove è certificata la bravura del figlio Gaspard alla chitarra (perfetta da cantare in un Bistrot della vecchia Parigi). La parte finale ci regala un brano come Wit’s End, con un sontuoso finale in crescendo “soul”, dove non poteva mancare di nuovo il magico violino di Melissa Cox, per poi passare alla ritmata melodia di You’ll Come Back To Me, che fa da ponte al brano conclusivo Absalom, Davy & Jachie O, credo, anzi sono certo,  il più lungo firmato da Murphy durante la sua carriera, quasi dodici epici minuti per una sorta di cavalcata musicale letteraria che ripercorre la storia di uno dei figli di Re David, e la proietta verso orizzonti nuovi e poco conosciuti, per certi versi fino a poco tempo fa impensabili.

Quella di Elliott Murphy è certamente una carriera piena di soddisfazioni, almeno a livello critico e di seguito da parte di un fedelissimo zoccolo duro di fan immarcescibili,  merito di un songbook che negli anni ci ha regalato grandi album e grandi canzoni, e anche in questa occasione non si smentisce, pubblicando questo Prodigal Son (come detto il suo trentacinquesimo album), che conferma anche la sua regolarità nelle uscite e pure il rispetto di illustri colleghi (Bruce Springsteen e Billy Joel fra i tanti), per un musicista vero cittadino del mondo.

Tino Montanari

Rilettura Di Pagine Ancora Preziose! Elliott Murphy – Aquashow Deconstructed

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Elliott Murphy – Aquashow Deconstructed –  Route 61 Music

Oltre quarant’anni fa, Elliott Murphy dava alle stampe il bellissimo disco d’esordio Aquashow (73), e come usava ai tempi la critica americana lo etichettò come il nuovo Bob Dylan (è stato uno dei primi e non sarà certo l’ultimo); un marchio che alla lunga (per tutti) diventerà più maledizione che benedizione. A oltre quarant’anni di distanza Elliott, che dal ’90 si è trasferito a Parigi, decide di rivisitare quel disco (uno dei classici della sua copiosa discografia), e lo fa con il consueto aiuto del fidato Olivier Durand alle chitarre, mandolino e dobro, del figlio Gaspard Murphy alle chitarre, basso, tastiere e percussioni (nonché produttore del lavoro), e di validi turnisti parigini come Tom Daveau alla batteria, David Gaugué al cello, Thomas Roussel al violini, rivisitandoil vecchio album con nuovi arrangiamenti dal passo più intimo e semiacustico.

elliott murphy aquashow

All’epoca i dieci brani di Aquashow dimostravano già una maturità notevole per un esordiente, con uno stile compositivo vario e una voce calda e appassionata (sono andato a risentirlo, un disco che a distanza di tempo mantiene inalterato il suo fascino), e questo Aquashow Deconstructed, già con la traccia iniziale Last Of The Rock Stars (dedicata alla morte di Jim Morrison e Janis Joplin), mette subito le carte in tavola, con una versione più lenta e struggente, mentre How’s The Family diventa nella nuova veste più sentita e drammatica (con violino, archi e armonica) https://www.youtube.com/watch?v=R4P62Q56IF8 , mentre si cambia ritmo con la pimpante Hangin’ Out, per poi passare alla nostalgia di una crepuscolare Hometown https://www.youtube.com/watch?v=oOlAocPBo68  e alle note incalzanti di Grayeyard Scrapbook (molto simile all’originale). La “restaurazione” prosegue con la pianola di Poise ‘N’ Pen, e aggiunge una sorta di atmosfera “berlinese” ad una carezzevole Marilyn https://www.youtube.com/watch?v=uwiez_G_sNI , il torrido “swamp-blues” di White Middle Class Blues https://www.youtube.com/watch?v=u90wh36dAUM , il pop acustico di una solare Like A Great Gatsby, andando a chiudere con un sontuoso violino che accompagna la stupenda Don’t Go Away.

Elliott Murphy ormai viaggia verso i 65 anni, è stato ed è tuttora uno dei tanti grandi “outsider” del rock americano, destino condiviso per esempio, da Willie Nile, Dirk Hamilton, Carolyne Mas e in parte anche dal grande Willy DeVille e naturalmente molti altri, e non so se veramente è stato il migliore dopo Dylan, ma se lo è stato, se lo è  guadagnato sul campo con una lunga e dignitosa discografia, e mi piace pensare che questo ultimo lavoro idealmente chiuda un cerchio, perché se Aquashow per tanti rimane un disco indispensabile, ora potrebbe diventarlo anche Aquashow Deconstructed.

Tino Montanari

Piccoli Ma Buoni, Il Ritorno: Attenti A Quei Due! Uno Americano, L’Altro Inglese: Elliott Murphy E Ed Harcourt

elliott murphy intime

Elliott Murphy – Intime – Last Call Records EP

Ed Harcourt – Time Of Dust – Universal Music EP

E con questo fanno trentadue: fidandoci del conto tenuto dallo stesso Elliott Murphy, trentadue dischi in quarant’anni di carriera, da quando nel lontano ’73 Aquashow segnalava al mondo uno dei songwriters più intelligenti e sfortunati della New York “bohémienne” degli anni settanta. Ad un anno dalla pubblicazione di It Takes A Worried Man (recensito puntualmente dal sottoscritto su queste pagine virtuali http://discoclub.myblog.it/2013/04/03/un-americano-a-parigi-colpisce-ancora-elliott-murphy-it-take/ *NBD 1. All’interno trovate il link anche per leggere la recensione del disco precedente. E così vale spesso per i Post che leggete abitualmente sul Blog), esce Intime un EP di cinque canzoni, sempre prodotto dal figlio di Murphy, il bravo Gaspard, che in breve tempo si sta creando una solida futura reputazione professionale.

I brani sono stati composti da Elliott negli ultimi tempi a Parigi, con l’aiuto dell’immancabile pard Olivier Durand anche alle chitarre e banjo, con Alan Fatras alla batteria, Tom Daveau alle percussioni, Laurent Pardo al basso, e il figlio Gaspard alle chitarre e tastiere, si sono ritrovati ritrova negli studi di Parigi per incidere cinque nuove canzoni, che, come da titolo, sono state ispirate da sensazioni intime e personali.  

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Il dischetto si apre con Benedict’s Blues, caratterizzata dai cori e con una chitarra acida in sottofondo https://www.youtube.com/watch?v=3ETpRNZze2A , come nella seguente Sweet Honky Tonk, dal ritmo accelerato, mentre Blissed Out In The Land Of Nod inizia con un bel gioco di chitarre e si trasforma in una piacevole ballata melodica https://www.youtube.com/watch?v=gsjejONhx48 , seguono gli arpeggi acustici e la batteria pulsante di The Land That Time Forgot, e andando a chiudere, un brano “bowiano” come Every Little Star, con una melodia fluida, che nel finale ricorda la nota Starman.

Per chi scrive, Intime è il solito buon disco di Elliott Murphy, anche se onestamente essendo un EP con soli cinque pezzi, non c’è molta differenza tra averlo e non averlo, only for fans.

ed harcourt time of dust

Ed Harcourt inglese di nascita, rappresenta una delle eccellenze del pop orchestrale della terra di Albione. La sua carriera si è andata costruendo passo dopo passo, a partire dall’EP Maplewood del lontano 2000 fino a Back In The Woods dello scorso anno (http://discoclub.myblog.it/2013/03/29/piano-songs-confidenziali-ed-harcourt-back-into-the-woods/). L’artista inglese si è sempre dimostrato compositore ed interprete eccellente, capace di muoversi, con estrema disinvoltura, tra ballate notturne e momenti più diversificati, e questo minialbum di sei brani non fa eccezione.

ed harcourt 1

Time Of Dust è un invito ad entrare nel suo mondo oscuro, fatto come al solito da composizioni tutte guidate dal pianoforte, a partire dall’iniziale Come Into My Dreamland, con un “carillon” ossessionante ad accompagnare la melodia (perfetta per un film di David Lynch), seguita dal mid-tempo marziale di In My Time Of Dust https://www.youtube.com/watch?v=6mqub8sb63Q , ma il cambio di passo arriva con The Saddest Orchestra, un poema epico dalla melodia straziante che ti commuove, una meraviglia quasi operistica che vede come guest vocalist la brava Megan Washington https://www.youtube.com/watch?v=USpwI0IcAk0 .

Ed Harcourt

Dopo questo momento sublime, si prosegue con la potente We All Went Down With The Ship, mentre in Parlament Of Rooks fa la sua apparizione la brillante voce di Kathryn Williams ( *NDB 2 Altra bravissima cantautrice inglese, poco conosciuta nelle nostre lande ma non nel Blog http://discoclub.myblog.it/2010/03/07/c-e-tanta-buona-musica-la-fuori-basta-cercarla-betty-soo-kat/ ), un brano dal crescendo inquietante https://www.youtube.com/watch?v=8xMwiDxipII , per poi finire con l’Harcourt che preferisco, una ballata pianistica coinvolgente e notturna come Love Is A Minor Key, a rubare la scena e ricordarci di cosa è capace quest’uomo.

Tino Montanari

P.S. Informo Bruno e i tanti lettori del blog, che fin d’ora la mia canzone dell’anno senza ulteriori ripensamenti, sarà senza ombra di dubbio The Saddest Orchestra (It Only Plays For You). Augh! (*NDB 3 Ma ieri non era Oaks degli Hold Steady?)

“L’Americano Di Parigi” Colpisce Ancora! Elliott Murphy – It Takes A Worried Man

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Elliott Murphy – It Takes A Worried Man – Blue Rose/Last Call Records 2013

Da più parti acclamato come il Bob Dylan degli anni ’70, Elliott James Murphy è uno dei più validi poeti del rock newyorkese. Dimostrandosi un ragazzino precoce a soli 13 anni, col gruppo dei Rapscallios vince un concorso di band giovanili, e nei primi anni ‘70 viene in Europa , gira i piccoli Club e ottiene una piccola parte nel film Roma del nostro Federico Fellini. Di ritorno in America si esibisce regolarmente nei locali, in compagnia dei New York Dolls, Patti Smith e altri personaggi dell’underground di New York. Scoperto dal critico Paul Nelson, ottiene brillanti riconoscimenti di critica con il disco d’esordio Acquashow (73), che contiene la stupenda Last Of The Rock Stars, una delle migliori ballate rock di Murphy, ma i successivi e costanti cambi di etichetta tengono l’artista ai margini del rock business, con ottime referenze di critica, un buon seguito di culto, ma con pochi risultati commerciali. In seguito Elliott forma una propria etichetta, la Courtisane e il primo disco è Affaire (80), registrato con musicisti che costituiranno l’ossatura di tutte le prove discografiche degli anni ’80, periodo in cui Murphy collabora con le riviste americane Rolling Stone e Spin, e scrive anche in Italia per Il Mucchio Selvaggio.

Nell’estate del ’89 l’artista appare in uno storico concerto al Festival di Losanna con Chris Spedding e Garland Jeffreys e non mancano le soddisfazioni, come l’apparizione a fianco di Bruce Springsteen in un suo concerto parigino del ’92, e proprio la capitale francese diventa la sua residenza fissa, trovandovi famiglia, e da allora vive a Parigi con la moglie Francoise (ballerina) e il figlio Gaspard (suona con lui da anni e gli fa da produttore). Gli anni 2000 lo vedono accasarsi alla Blue Rose e dopo il live April in coppia con il compare e chitarrista Olivier Durand, arriva Rainy Season lavoro ispirato più sul piano letterario che su quello musicale. La Terre Commune è invece il frutto della collaborazione con Iain Matthews (Fairport Conventio) e si divide tra composizioni originali e cover (brani di Dylan, Springsteen, Brecht/Weill), mentre Soul Surfing e il successivo doppio Strings Of The Storm mantengono inalterate l’ispirazione e la popolarità dell’artista, e Murphy Gets Muddy è un bellissimo e doveroso omaggio ai padri del blues, cui fanno seguito Coming Home Again e Notes From The Underground che chiudono in gloria la decade.

Se non ho sbagliato i conti (tra compilation, raccolte di inediti e dischi dal vivo) questo It Takes A Worried Man (prodotto dal figlio Gaspard) è il trentunesimo album per “l’americano a Parigi”, e accompagnato dalla fedele Normandy All Stars, con Laurent Padro al basso, Alan Fratas alla batteria, il bravo Kenny Margolis (Willy DeVille) alle tastiere, Olivier Durand (da anni fedele compagno di ventura di Murphy) alle chitarre e come gradita ospite in un brano Patti Scialfa, è sicuramente tra i suoi lavori migliori, con una vena compositiva ritrovata.

*NDB Anche se una piccola ma tignosa parte della critica lo accusa di ripetersi (cosa dovrebbe fare secondo costoro, alternative rock, r&b, soul, dischi di tarantelle, farsi produrre da Rick Rubin)? Se ve la siete persa (e ve ne frega qualcosa) qui trovate la recensione del disco precedente, con il mio parere il-migliore-dei-vecchi-nuovi-dylan-ancora-in-circolazione-el.html

Si parte con l’iniziale folk tradizionale di Worried Man Blues, seguita da una classica Angeline, mentre Little Big Man è un mid-tempo con le chitarre in spolvero. Murphyland è un autodedica molto gustosa, mentre Then You Start Crying è un perfetto brano “dylaniano”, cui fa seguito la ballata I Am Empty con la voce al controcanto della signora Springsteen e un finale chitarristico di Durand da brividi (una delle migliori del disco). Un piano introduce la sofferta He’s Gone, mentre la seguente Day For Night è un rock tagliente, una cavalcata che ricorda il Murphy degli esordi, niente a che da vedere con le trombe delicate di Little Bit More. Il country si manifesta in Eternal Highway con un pregevole intermezzo di armonica (alla Neil Young), e chiude un disco splendido il pianoforte malinconico e solitario di Even Steven.

Per anni Elliott James Murphy è stato uno dei segreti meglio custoditi del panorama americano, e per chi lo conosce non ha bisogno di presentazioni, è uno storyteller capace di scrivere splendide canzoni sulla vita urbana e sugli amori bohèmienne, creando un ponte ideale tra la New York del Village dei suoi esordi e la sempre romantica Parigi, dove da diversi anni vive. Nella sua lunga discografia, ci sono dischi che hanno avuto un ruolo prioritario nel consolidare la sua fama, e mi fa piacere pensare che questo It Takes A Worried Man possa entrare in quel contesto, a dimostrazione che in quarant’anni di carriera un onesto poeta della musica come il buon Murphy, aveva tutte le potenzialità per diventare un grande “numero uno”, e se l’America abbandona i suoi eroi, la vecchia Europa li accoglie a braccia aperte: certamente il successo commerciale non sarà mai paragonabile a quello d’oltreoceano, ma almeno si può vivere dignitosamente (di questi tempi non è poco!).

NDT: Recentemente a dimostrazione di quanto sopra, Elliott Murphy è stato insignito della prestigiosa Medaille De Vermeil de La Ville de Paris, da parte del primo cittadino di Parigi.

Tino Montanari