Ancora Uno Che Di Slide Se Ne Intende! Roy Rogers – Into The Wild Blue

roy rogers into the wild blue

Roy Rogers – Into The Wild Blue – Chops Not Chaps Records 

Lo avevo lasciato un paio di anni fa alle prese con l’ultimo disco registrato in collaborazione con Ray Manzarek (il terzo della serie http://discoclub.myblog.it/2013/07/08/ray-manzarek-roy-rogers-atto-finale-twisted-tales-5497222/ ) e ora Roy Rogers si ripresenta con questo nuovo album Into The Wild Blue, pubblicato come di consueto dalla sua etichetta Chops Not Chaps (che era anche il titolo del suo primo album solista uscito nel lontano 1986), ma in mezzo, e anche prima, c’è tutta una vita di blues (e non solo). Il musicista californiano, è nato a Redding, quasi un destino nel nome, muove i primi passi a metà degli anni ’70, poi forma la sua prima band, i Delta Rhytm Kings, viene “scoperto” da John Lee Hooker che lo vuole nel suo gruppo dei tempi, la Coast To Coast Band, dove passa quattro anni, prima di iniziare la carriera solista con l’album citato prima. Ma la sua collaborazione con il grande “Hook” non finisce lì, infatti Rogers gli produrrà quattro album, The Healer, Mr. Lucky, Boom Boom e Chill Out, non un granché l’ultimo, ma gli altri tre sono strepitosi, prima di lasciare a Van Morrison la produzione dell’ultimissimo Don’t Look Back. Comunque Mr. Rogers è un ottimo chitarrista (e cantante) anche in proprio: uno dei maestri della slide guitar delle ultime generazioni, assolutamente alla pari con gente come Ry Cooder, Sonny Landreth, Derek Trucks, anche se meno pirotecnico e virtuosistico nel suo approccio, quindi forse più vicino a Cooder; anche per lui, come quasi per tutti, i suoi album migliori risalgono al passato, tutti quelli con la parola Slide nel titolo, ma anche i due pubblicati dalla Point Blank negli anni ’90, e non è male, tra i più recenti, Split Decision, uscito per la Blind Pig nel 2009, il suo ultimo come solista prima di questo Into The Wild Blue, senza dimenticare quello registrato in coppia con il compianto Norton Buffalo.

 

Il nuovo album propone la solita formula dei dischi di Roy Rogers, un misto di stili, dove confluiscono varie forme di blues, irrobustite da innesti rock e funky, con una serie di brani strumentali, quattro questa volta e il suo stile chitarristico spesso in evidenza, ma senza esagerare. Rogers è anche un buon vocalist, niente di memorabile, si scrive le proprie canzoni e ha un buon gruppo dove spiccano il tastierista Jim Pugh, vecchio sodale di Robert Cray e anche il batterista Kevin Hayes, pure lui in passato con Cray, oltre a Carlos Reyes che con i suoi violino e arpa aggiunge sonorità inconsuete al tutto. Si parte alla grande con Last Go Round, un brano dove si gusta subito la slide di Roy Rogers, in bella evidenza con il suo sinuoso fluire, mentre la band gira a mille, con abilità e tecnica, senza strafare. Don’t You Let Them Win, con un bel groove ritmato tra Buddy Holly e Bo Diddley, la voce pacata e gradevole di Rogers, con Reyes all’arpa che appoggia le fluide evoluzioni chitarristiche di Rogers, per una volta non alla slide, e Pugh che con l’organo aggiunge quel tocco soul-rock in più, molto piacevole.

Got To Believe, ha un’aura latineggiante, ma anche un vago sentore di tango, con il violino di Reyes e la voce di supporto di Omega Rae ad aggiungere quel tocco esotico di cui si diceva qualche riga fa, poi ci pensano la slide sognante di Roy e il piano di Pugh a fare il resto https://www.youtube.com/watch?v=CW9jqlKzHeU . Losin’ You è uno dei pezzi più tirati e rock dell’album, con un tiro non dissimile dalle prove soliste dei dischi di Sonny Landreth e anche con pari virtuosismo, qui la slide viaggia alla grande, mentre She’s A Real Jaguar ricorda certe cose più rilassate, laid-back, di Ry Cooder, magari nelle collaborazioni con Hiatt e nei Little Village, sempre con il piacevole dualismo tra violino e chitarra https://www.youtube.com/watch?v=jrUCll6Cr9s . Dackin’ è il primo dei quattro strumentali, qui si va di groove funky, una voglia di jam tra la chitarra slide decisa di Rogers e l’organo di Pugh e anche Love Is History, di nuovo cantata in coppia con la Rae, rimane in territori funky-soul, questa volta con Pugh al piano a sostenere il solismo di Rogers. Into The Wild Blue, altro strumentale, più sognante, con i florilegi dell’arpa di Reyes a sostenere il leader, con High Steppin’ che ricorda nuovamente le scorribande al bottleneck di Landreth, ricche di tecnica anche se non particolarmente eccitanti. Dark Angels torna  al blues-rock deciso dei brani iniziali e la conclusiva Song For Robert, dedicata al fratello scomparso, è l’ultimo strumentale, questa volta un lento d’atmosfera dove si apprezza il lato più riflessivo della musica di Roy Rogers https://www.youtube.com/watch?v=7ihaCZYmDh8 . In definitiva un buon album, per amanti dei chitarristi, ma non solo!

Bruno Conti