Loro Lo Chiamano “Bluesabilly”, Chi Siamo Noi Per Dissentire. Cash Box Kings – Hail To The Kings!

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Cash Box Kings – Hail To The Kings! – Alligator Records  

Album numero nove (o forse dieci)  per il gruppo di Chicago, anzi forse sarebbe meglio dire duo con membri “onorari” che a rotazione suonano nei dischi di Joe Nosek, armonicista e fondatore dei Cash Box Kings, nonché di Oscar Wilson, che ne è la gagliarda voce solista: Billy Flynn è ormai il chitarrista fisso da alcuni dischi, Kenny ‘Beedy Eyes’ Smith, che nell’album precedente Royal Mint, il loro debutto su Alligator https://discoclub.myblog.it/2017/07/26/in-piccolo-ma-pure-loro-sono-re-del-chicago-blues-cash-box-kings-royal-mint/ , era presente solo in tre brani alla batteria, è tornato a sedere sullo sgabello che lo ha visto per lunghi anni anche con Muddy Waters, e John W. Lauder è il nuovo bassista. Ovviamente lo stile non cambia, quel consolidato approccio alla musica della Windy City, che loro  hanno definito “bluesabilly”, termine che non richiede spiegazioni, basta ascoltare.

Tra gli ospiti anche la brava tastierista Queen Lee Kanehira, Xavier Lynn alla solista in un paio di brani, e Little Frank Krakowski alla chitarra ritmica in quasi tutte le tracce, in sostituzione del dimissionario Joel Paterson, e la bravissima Shemekia Copeland, che duetta  alla grande con Wilson nella maliziosa ed intensa The Wine Talkin’. La divertente Ain’t No Fun (When The Rabbit Got The Gun) è  un coinvolgente jump blues sempre puro Chicago Blues, con l’armonica di Nosek e il piano della Kanehira in bella evidenza, Take Anything You Can un altro eccellente esempio del blues più classico, con la chitarra veramente pungente di Flynn a duettare con l’armonica. Smoked Jowl Blues è un viscerale shuffle lento ispirato chiaramente dallo stile di Muddy Waters, come pure Poison In My Whiskey, in entrambe Billy Flynn si fa notare con la sua solista, slide e wah-wah innestato nel secondo brano. Back Off, Joe, You Ain’t From Chicago e Hunchin’ On My Baby, sono I tre brani cantata da Joe Nosek, più leggeri e disimpegnati, a tutto swing la prima, con un bel drive à la Bo Diddley la seconda e nuovamente un movimentato shuffle la terza.

I’m The Man Down There, con il pianino di Queen Lee a dettare i tempi, è una cover di un pezzo di Jimmy Reed, mentre Bluesman Next Door, tra ritmi funky e errebì ci dice che “il blues non è nato in Inghilterra nel 1963, ma nelle piantagioni ai tempi dello schiavismo”, manco non lo sapessimo, con  un ennesimo ottimo assolo di chitarra, questa volta di Xavier Lynn, che si produce alla solista anche nella energica e gagliarda Jon Burge Blues, uno dei brani dove è presente anche una forte componente rock. Sugar Daddy è lo slow  che non può mancare in un disco di blues elettrico che si rispetti, con l’armonica di Nosek, la chitarra di Flynn e il piano della Kanehira a sottolineare una ulteriore grande prestazione vocale dell’ottimo Oscar Wilson, lasciando alla divertente The Wrong Number, tra swing anni ’20 e ragtime, il compito di chiudere questo disco che conferma la reputazione dei Cash Box Kings di onesti ed apprezzati depositari della grande tradizione del blues di Chicago.

Bruno Conti

Se Serve Un Armonicista Eccolo: E Si E’ Portato Pure Parecchi Amici! Bob Corritore & Friends – Do The Hip-Shake Baby

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Bob Corritore & Friends – Do The Hip-Shake Baby – VizzTone Label/SWMAF

Non vorrei esagerare dichiarando che l’armonicista di Chicago stia mettendosi in competizione con Bonamassa quanto a prolificità, ma certo Bob Corritore sta tenendo una bella media: quasi un album all’anno e con questo Do The Hip-Shake Baby siamo al quattordicesimo pubblicato in una ventina di anni di carriera solista (ma è dal 2007 che le uscite sono diventate molto più ravvicinate), senza contare soprattutto le numerosissime collaborazioni e partecipazioni a dischi di altri https://discoclub.myblog.it/2017/06/22/una-garanzia-nellambito-blues-e-dintorni-john-primer-bob-corritore-aint-nothing-you-can-do/ . Tra l’altro applicando spesso la formula del Corritore & Friends: lo aveva fatto anche di recente nel 2018, con il precedente Don’t Let The Devil Ride, di cui in effetti il nuovo CD è una sorta di estensione, riportando materiale registrato in diverse sedute di registrazione effettuate tra il 2016 ed il 2018, con la presenza di diversi ospiti “importanti”, in ambito blues naturalmente, che vediamo tra un attimo, ma scorrendo le note si vede che nel dischetto sono stati impiegati ben 39 musicisti. Il tutto poi è stato assemblato ai Greaseland Studios di San Jose, California, sotto la guida di Kim Andersen che ha anche co-prodotto l’album insieme allo stesso Corritore.

Per un disco che ancora una volta mescola abilmente tutte le musiche preferite dal buon Bob e dai suoi amici: R&B, R&R delle origini, un pizzico di soul e di gospel, e soprattutto tanto blues elettrico, con Corritore che come sappiamo non canta neanche sotto tortura e quindi si limita “solo” a suonare l’armonica in tutti i 13 pezzi di questa raccolta, lasciando la parti vocali ai vari friends. I brani non sono esattamente celeberrimi, con l’ eccezione di due o tre: proprio l’iniziale Shake Your Hips, una delle canzoni più famose di Slim Harpo, con i Fremonts e la voce solista di Mighty Joe Milsap, dal classico timbro “importante”, indica subito questo spirito da juke joint o live club degli anni ’60, con un sound volutamente vintage e vagamente tribale, poi ripetuto nell’altra cover di Harpo, sempre cantata da Milsap, ovvero l’altrettanto vibrante e mossa I’m Gonna Keep What I’ve Got. Alabama Mike ne canta ben quattro: la swingante Gonna Tell Your Mother di Jimmy McCracklin, con L.A. Jones alla chitarra, è blues con retrogusti R&R, Worried Blues, un intenso errebì con tracce gospel , sempre molto sixties, la famosissima Stand By Me che se mi passate il termine viene “bluesificata”, grazie all’armonica di Corritore, la chitarra di Anson Funderburgh ed una parte cantata che ricorda il primo Sam Cooke, niente male anche Few More Days, un oscuro brano di  Eddy Bell and The Bel-Aires, ammetto di averlo letto, non conoscevo prima, comunque fa la sua porca figura, con coretti tra doo-wop e R&R.

Oscar Wilson dei Cash Box Kings canta Bitter Seed di Jimmy Reed, un gagliardo shuffle che è puro Chicago blues, mentre il “giovane” Henry Gray (94 anni e non sentirli) si diverte con una brillante rilettura dell’altro brano molto famoso, una movimentata The Twist di Chubby Checker, dove Gray volteggia sui tasti del suo piano. Bill ‘Howl-N-Madd’ Perry, un personaggio quantomeno pittoresco, canta e suona la chitarra in You Better Slow Down, un suo brano che quanto ad intensità non ha nulla da invidiare a quelli di Muddy Waters, che appare poi come autore nella palpitante Love, Deep As The Ocean, dove John Primer è la voce solista e si impegna con merito anche alla slide. Altra bella accoppiata per Trying To Make A Living dove Sugaray Rayford si conferma vocalist di grande presenza e potenza, con Junior Watson che lo sostiene con impeto alla chitarra, e lo stesso Rayford riappare anche nella conclusiva Keep the Lord on With You!, questa volta con Kid Ramos alla solista, un devastante lungo blues elettrico scritto dallo stesso Ray, dove la quota gospel fa quasi a botte con un ardore direi hendrixiano, pezzo fantastico. Manca solo I Got The World in a Jug un pezzo cantato da Jimi “Primetime” Smith che è nuovamente puro Chicago Blues e conferma la validità di questa nuova proposta di Corritore, che suonerà anche “solo” l’armonica, ma certo sa scegliere i suoi collaboratori.

Bruno Conti

In Piccolo, Ma Pure Loro Sono Re, Del Chicago Blues. Cash Box Kings – Royal Mint

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Cash Box Kings  – Royal Mint – Alligator Records/Ird

Li avevo lasciati nel 2015 su etichetta Blind Pig con l’album Holding Court http://discoclub.myblog.it/2015/05/07/vecchia-scuola-del-blues-elettrico-cash-box-kings-holding-court/ , e me li ritrovo nel 2017 con questo nuovo Royal Mint su Alligator. Dovrebbe essere il loro ottavo album, almeno stando alle discografie disponibili, ma nelle note interne del CD, Joe Nosek e Oscar Wilson, i due leader della band, scrivono che si tratta del nono, e chi siamo noi per contraddirli? Purtroppo non c’è più Barrelhouse Chuck, il pianista che aveva condiviso con loro una lunga parte di carriera, che ha dovuto soccombere ad una lunga battaglia con il cancro, ma per il resto non è cambiato molto, i Cash Box Kings sono sempre fieri rappresentanti di quel blues vecchia scuola di Chicago, sia pure fuso al rockabilly di Memphis (e aggiungo io, a soul, R&B e Jump) in quello che il gruppo definisce “bluesabilly”. La missione è quella di perpetrare la grande tradizione delle registrazioni Chess, che un po’ rappresentavano tutti questi stili, cercando di modernizzarlo, ma appena un poco, forse più dal lato delle tecniche di registrazione, e magari con l’iniezione, a fianco di brani classici, di composizioni che portano la firma di Nosek e Wilson, ma nello spirito sono identiche ai brani in modalità anni ’40 e ’50 che compongono il loro repertorio.

Per fare tutto ciò si avvalgono più o meno degli stessi musicisti del disco precedente: Billy Flynn, il solista, e Joel Paterson, l’altro chitarrista, Kenny “Beedy Eyes” Smith, presente solo in tre brani, viene affiancato alla batteria da Mark Haines, mentre c’è un nuovo bassista Brad Beer, che sostituisce Gerry Hundt. E. ovviamente, in sostituzione di Barrelhouse Chuck, c’è un nuovo tastierista aggiunto, Lee Kanahira, oltre ad una piccola sezione fiati, in un brano. L’apertura, House Party, un piccolo classico di Amos Milburn, uno dei veri re del jump blues, indica quale sarà l’atmosfera dell’album, allegra e divertita, con Al Falaschi presente al sax solo in questo pezzo, con il vocione poderoso di Oscar Wilson a guidare le danze e l’armonica amplificata del virtuoso Joe Nosek, a farsi largo tra piano e chitarra, mentre la ritmica swinga di brutto. I’m Gonna Get My Baby è classico Chicago blues, e anche se l’autore Jimmy Reed non ha mai inciso per la Chess,  il sound è quello di quei dischi, poi ribadito nel classico slow di una Flood, proveniente dal repertorio di Muddy Waters, ancora con la bella voce espressiva di Wilson in evidenza, ma anche la slide di Flynn, e gli altri solisti si danno da fare. Comunque il risultato sonoro non cambia neppure quando i Cash Box Kings cantano e suonano le proprie canzoni, come nel divertente rockabilly di Build That Wall, con la piacevole e squillante voce di Nosek e la chitarra twangy di Flynn, oppure nel solido Blues For Chi-Rag, scritta a quattro mani da Joe e da Oscar, che la canta con la sua potente ugola, mentre i fiati aggiungono spessore all’eccellente lavoro del sempre eccellente Billy Flynn.

Certo, un pezzo di Robert Johnson, come Travelling Riverside Blues, anche in una versione solo per voce e chitarra bottleneck, ha ben altro spessore autorale; poi ci si torna a divertire con la leggera e vorticosa If You Get A Jealous Facebook Woman Ain’t Your Friend (titolo che segue la “modernità” della Download Blues del precedente album, anche se il sound è pur sempre quello del secolo scorso). E pure la leggiadra Daddy Bear Blues, cantata in modo suadente da Nosek, è sempre musica da club degli anni ’50, con il pianino barrelhouse di Kanahira che si fa notare, come pure il mandolino di Flynn; altro “bluesaccio” torrido del grande Muddy in una pimpante Sugar Sweet, https://www.youtube.com/watch?v=vQI2o5oP35w sempre più o meno Chess Records metà anni ’50, fedele all’originale, forse fin troppo, e questo è per certi versi il (piccolo?) limite di questo album, fin troppo didascalico e citazionista a tratti, anche se assai godibile. I’m A Stranger è un buon slidin’ blues, con uso puree di armonica e piano, e la solita voce passionale di Wilson, che rilancia nella successiva I Come All The Way From Chi-Town, un omaggio alla propria città di origine, ovvero Chicago, sede della loro nuova etichetta Alligator, solo per voce, chitarra e armonica, prima di tornare al divertimento con la spensierata e scatenata All Night Long di Clifton Chenier e al “bluesabilly” di Don’t Let Life Tether You Down, affidata di nuovo a Joe Nosek.

Bruno Conti    

“Vecchia Scuola” Del Blues Elettrico. Cash Box Kings – Holding Court

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The Cash Box Kings – Holding Court – Blind Pig Records/Ird

Terzo album per la Blind Pig e settimo in totale per i Cash Box Kings, un gruppo di Chicago che ruota attorno alle figure di Joe Nosek, autore, cantante e soprattutto armonicista, il “bianco” e Oscar Wilson, il cantante carismatico “nero”, un omone che ricorda fisicamente nella stazza Muddy Waters; entrambi sono dediti a tramandare la grande tradizione del blues classico, quello della Windy City, dei dischi Chess, come dicono spesso nelle presentazioni dei loro concerti. Ovviamente non parliamo di un duo acustico, perché poi la formazione è allargata dalla presenza di vari ospiti, vogliamo chiamarli componenti aggiuntivi? Kenny “Beedy Eyes” Smith alla batteria, Joel Paterson alla chitarra, ma anche Gerry Hundt al basso, l’ottimo Billy Flynn alla chitarra e, quando serve, Barrelhouse Chuck al piano. Il repertorio della band viene pescato anche da classici minori del repertorio del Chicago blues elettrico: la pimpante Ain’t Gonna Be No Monkey Man, porta la firma di Big Smokey Smothers, vecchio chitarrista della band di Howlin’ Wolf https://www.youtube.com/watch?v=e6xcFVHcoLc , mentre Joe Nosek affronta anche tematiche più “moderne” in una Download Blues dove i nostri amici “soffrono” le 12 battute in modo digitale, cambiano le parole, ma il suono è sempre ancorato all’interscambio tra l’armonica e la chitarra, anche slide, dalle sonorità comunque sempre discrete e mai troppo spudoratamente rock. In Gotta Move Out To The Suburbs, una sorta di blues sociologico, c’è anche un organo dal suono vintage che si agita sullo sfondo, mentre è la chitarra la protagonista di questo brano decisamente più grintoso rispetto ad altre tracce del CD e racconta della “gentrificazione” dei centri delle aree urbane (anche a Chicago) con gli abitanti spinti verso le aree periferiche https://www.youtube.com/watch?v=mZNQTVCCAg4 .

Cash Box Boogie, cantata da Nosek e con il pianino di Barrelhouse Chuck a dividersi gli spazi con armonica e solista, è un divertente brano tra blues swingante e boogie appunto, sempre molto old school; Hobo Blues è un pezzo non conosciutissimo di John Lee Hooker ma porta inciso l’imprinting del vecchio “Hook”, il classico slow blues, ipnotico e ripetitivo, scandito dalla potente voce di Oscar Wilson, cantante in grado di incanalare le intense emozioni del blues più genuino, anche in questo formato solo voce e chitarra. Baby Without You, ancora Nosek, vira verso un jump blues più leggero, spensierato e divertente, con la chitarra sugli scudi e il piano che tiene bordone https://www.youtube.com/watch?v=GXGUfCukZ6Y , con Juju ci si spinge, a tempo di danza, verso le paludi sonore della Crescent City, con i ritmi della Lousiana che si sommano al blues in modo naturale https://www.youtube.com/watch?v=kOuHpinuMKE . Everybody’s Fishin’ viene addirittura dal repertorio di Willie Love, un vecchio pianista del Delta, attivo a cavallo delle due guerre mondiali, il brano, a tempo di boogie-woogie, viene rivisitato senza l’uso del piano, con la chitarra di Paterson e l’armonica di Nosek che si alternano con Wilson alla guida della canzone. Out On The Road è il classico slow che non può mancare in un disco di blues elettrico urbano che si rispetti, con lo spirito di Muddy e Wolf a guardare benefici questi loro discendenti che proseguono con passione la tradizione, non per nulla il brano porta la firma di Jimmy Rogers, altro grande del Chicago Blues. Quando guida le danze a livello vocale Nosek, l’atmosfera si alleggerisce e diviene più piacevole e scanzonata, come in Sugar Pea e I Miss You Miss Anne, ma in I’m A Real Lover Baby, altro oscuro manufatto della penna di tale Honey Boy Allen, Oscar Wilson ci riporta al Mississippi Delta Blues più classico con la sua bella vociona vissuta e la conclusione è affidata ad un altro blues lento ed intenso, l’unico strumentale dell’album https://www.youtube.com/watch?v=C0peeDk33gg , Quarter To Blue che conferma i Cash Box Kings come una delle migliori attuali formazioni portatrici sane del morbo delle 12 battute.

Bruno Conti